1777-02-27, de Giuseppe Pezzana à Voltaire [François Marie Arouet].

Illustre Patriarca della Letteratura,

Non so per qual fatalita siasi smarrita la lettera, che dovea accompagnare la mia edizione a Ferney.
La consegnai sul cominciar dell'anno a questo sigr Conte d'Argental: pochi giorni dopo m'assicurò d'averla spedita; ed ora sento non esservi giunta. Il Sigr d'Argental ha interrogato, me presente, il segretario, e i servitori, iguali affermano la mia lettera essere stata compiegata con quelle del padrone, e diretta al suo destino. Communque sia la faccenda, siate persuaso che giammai non avrei commessa sa sgarbatezza di avventurare l'Ariosto a mani profane, senza due righe che vi annunziassero il suo arrivo, e vi chiedesser licenza di presentarvelo.

Quella lettera dicera le ragioni, per cui il commento dell'Orlando non poteva troversi col Poema. Io non pensava punto a questo comento. Le mie note non estendevansi oltre itra nuovi volumi che ho fatti stampare a mie spese: voi mi animaste colla vostra prima risposta: il vostro supporre ch'io avessi comentato anche L'Orlando, fu da me interpretato come un vostro desiderio ch'io il facessi: i vostri desideri hanno forza di comando: dissi allora tra me: est deus in nobis; agitante calescimus illo; e pensai al comento del Furioso.

Una turba di scrittori del 500 si pose ad interpretare l'Ariosto; e ognun d'essi il fece imperfettamente, e in uno stile che stucia ed ammazza: spero di appagar più compiutamente la curiosità de'letterati, e degli sviscerati pel nostro Poeta. La storia di que tempi, politica, e letteraria; la genealogia della cassa d'Este, il catalogo degli uomini celebri per letteratura, per sangue, o per azioni farrano lo scopo principale del mio comanto, di cui voi solo sarete stato il promotore.

Nella lettera perduta v'indicava il vivo desiderio dell'Orfeo della Francia (sigr Jeliote) di recarsi a riverire il gran sacerdote delle Muse, nel suo vitorno ch'ei fa da Pau sua patria. Non vi maravigliate dunque se il vedeste comparire improvvisamente a Ferney. Quando ego te aspiciam!

Un Francese, mio amico, ha tradotto con tutta la grazia, e la purità il vostro graziosissimo Ingenuo in italiano. Sta benissimo anche in questo nuovo abito. Il traduttore vorrebbe ch'egli comparisse così nel mondo; ma non è possible il farlo qui stampare: vorrebbe mandarvelo, ma non ardisse, se prima non gliel concedete.

Ho tra le mani la traduzione della vostra Enriade, ch'io avrei voluto più convenevolmente tradurre Enricheide dal nome italiano Enrico. Il conte Medini, che è attualmente in Parigi, me l'ha datta a leggere. Non potreste immaginarvi, immortal genio, con quanto diletto abbia veduto messo in ottave italiane codesto Poema, che l'eroica Calliope ha riposto di sua mano tra gli epici illustri nella biblioteca di Pindo, a dispetto dell'invidia. La versione in generale mi è paruta felice; ci trovo franchezza, maestria, e quella discreta libertà, che sa far risaltar l'ingegno senza alterar gli oggetti. Parogonerei volentieri codesta traduzione ad una bella copia del bellissimo quadro del Correggio, che è in Parma, fatta da un de'Caracci, e che ho veduta nel Palazzo Reale.

Non so s'io m'inganni; mi pare che l'ottava rima aggiunga maestà, e decoro ad un Poema epico. Quell'alternar delle rime, quel poterne interrompere il suono col protrarre la fine della frase alla metà del verso, per chi sa ben maneggiar questo, e quelle, mi par che contriduisca per molto a quell' armonica facondia, che distingue la prosa dalla poesia. Al solo Voltaire è stato concesso il render confacente alla gravità, ed al fasto della epopeja una lingua per se indocile, e che oppone tanti ostacoli a chi tenta di signoreggiarla.

Vi rendo distinte grazie, o gemma de'letterati, per La cortese accoglienza da voi fatta alla mia edizioncella. Degnatevi a tanti favori aggiungerne un altro, quello cioè di proteggere i tre ultimi tometti delle opere varie, che l'amor per l'Ariosto m'ha indotto a far quì stampare a mie spese. La vendita non è sollecita quanto mel figuravo, e quanto il desiderio di far rientrare lo speso ma lo facea sperare. Queste infordissime arpie di libraj mi porra no il piè sul collo, e si divoreranno il mio, se voi nol difendete; e non me ne liberate, come Astolfo liberò il Re de Nubi dalle vare Arpie. Voi solo potete porre in credito le Poesie varie del nostro Ariosto, poco note in Francia: lo meritan da per se stessa ma voi saprete persuaderlo a chi nol sa, e a chil nol crede.

Serbatevi al desiderio di chi vi adova, e a disperazion dell'invidia: serbatevi per flagellare il fanatismo, la superstizione, e tutti i mostri che l'ipocrisia produce a danno della povera umanità. Senza voi le Lettere, non interamente superstiti, nè grate, restrebbero ofese nel loro splendore: voi vovo, trovan grazia, alimento, e decoro.

Sono immutabilmente, e con tutto l'ossequio

Celeberrimo signore

vostro umilmo servo ed ammior.

L'abate Pezzana