1746-06-12, de Voltaire [François Marie Arouet] à Accademia della Crusca.

Eccellentissimi signori,

Il favore, che io ricevo dalla vostra somma benignità, mi fa giudicare, che l'Eccellenze Vostre possono aggregare alla loro tanto pregiata Accademia i menomi discepoli, come gli antichi Romani concedevano alcune volte il titolo di Cive Romano ai meno cospicui forestieri, ne' quali s'era scoperta vera ammirazione, e sincera parzialità della virtù Romana.
E già un pezzo, che non fu collocata in nissufno Francese la grazia, della quale m'avete onorato, giacchè io reputo il Signor Duca di Nevers non meno Toscano, che Francese, il Chapelain, il Menage, e l'Abbate Regnier Desmarais, che riceverono anticamente il medesimo onore, erano molto più prattici di tutte le finezze della vostra bellissima lingua, e più versati di me nella vostra eloquenza, benchè non più appassionati d'essa. Ebbero eziandìo il nobil ardire di scrivere versi Italiani, e questi loro tentativi servirono a comprobare quanto poetica sia la favella Toscana, e che bel soccorso ella somministra ad un virtuoso; poichè succederono in comporre versi Italiani, ma non potettero mai riuscire nella nostra poesìa. Erano faniculli, che non potevano camminare agevolmente senza la mano della lore madre; e da-vero la lingua Toscana, questa figlia primogenita del latino, è la madre di tutte le buone arti, especialmente della poesia. Ho bevuto io troppo tardi le dolci acque del vostro bel sacro fonte; non ho letto i vostri divini Poeti, che dopo aver faticato le Muse Galliche co'i miei componimenti; al fine mi sono rivolto ai vostri autori, e ne sono stato innamorato. Avete mostrato pietà della mia passione, e l'avete infiammata. Mi pare, che il mio gusto nel leggerli sia divenuto già più vivace, e più affinato dall'onore che le Eccellenze Vostre m'hanno compartito. Mi sembra, che io sia fatto maggior di me; e se non posso scrivere con eleganza in Toscana, avrò almeno la consolazione di leggere le belle opere della Vostra Accademia, e forse non senza profitto. Vi sono dunque in debito, non solamente d'un onore, ma ancora d'un piacere, e non si può mai conferire una più grande grazia mentre che amerò la virtù, cioè, fintanto che sarò uomo, resterò cumulato di vostri favori, e mi dirò sempre coi più vivi sentimenti di riconoscenza, e col più ossequioso rispetto,

Di Vostre Eccellenze.