Apelle supérieur par la grâce

Bibliographie

Brock, Maurice "La vénusté dans l'Hypnerotomachia Polifili (Venise, 1499): une réélaboration de la qualité majeure d'Apelle"[ + ]

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Pline l'Ancien (Gaius Plinius Secundus), Naturalis Historia, liber XXXV(redac: 77, trad: 1985) (79)(latin)

Verum omnes prius genitos futurosque postea superauit Apelles Cous olympiade centesima duodecima. Picturae plura solus prope quam ceteri omnes contulit, uoluminibus etiam editis, quae doctrinam eam continent. Praecipua eius in arte uenustas fuit, cum eadem aetate maximi pictores essent ; quorum opera cum admiraretur, omnibus conlaudatis deesse illam suam uenerem dicebat, quam Graeci χαριτα uocant; cetera omnia contigisse, sed hac sola sibi neminem parem.

 6 sous-textes

Pline l'Ancien (Gaius Plinius Secundus), Naturalis Historia, liber XXXV, (trad: 1985)(trad: "Histoire naturelle. Livre XXXV. La Peinture" par Croisille, Jean-Michel en 1985)(fran)(traduction récente d'un autre auteur)

Mais celui qui ensuite surpassa tous les peintres précédents ou à venir fut Apelle de Cos, dans la 112e Olympiade. À lui seul il a presque davantage contribué que tous les autres au progrès de la peinture et a publié également des livres qui contiennent les principes de son art. Le point sur lequel cet art manifestait sa supériorité était la grâce, bien qu’il y eût à la même époque de très grands peintres; mais, tout en admirant leurs œuvres et en les comblant toutes d’éloges, il disait qu’il leur manquait ce fameux charme qui lui était propre et que les Grecs appellent Charis ; qu’ils avaient atteint à toutes les autres perfections, mais que, sur ce seul point, il n’avait pas d’égal.

 

Pline l’Ancien; Landino, Cristoforo, Historia naturale di C. Plinio secondo tradocta di lingua latina in fiorentina per Christophoro Landino fiorentino, fol. 240v (italien)(traduction ancienne d'un autre auteur)

Ma Apelle della isola di Choo fu nela centesima duodecima olympiade: elquale vinse quegli che furono innanci allui e quegli che furono dopo e piu cose truovo quasi lui solo che tutti gl’altri insieme e scripse volumi nequali si contiene quella dottrina. Fu excellente la sua venusta ne l’arte sua e nella eta sua furono excellenti pictori equali sommamente lodo. Ma disse mancare loro una certa venusta laquale e Greci chiamono charis benche havessino tutte l’altre cose et in questo nessuno essere pari a lui.

 

Pline l’Ancien; Brucioli, Antonio, Historia naturale di C. Plinio Secondo nuovamente tradotta di latino in vulgare toscano per Antonio Brucioli, p. 989 (italien)(traduction ancienne d'un autre auteur)

Ma Apelle superò dipoi tutti quegli che nacquono prima, e che dipoi sono per nascere. Et nella Olympiade .112. Proccede tanto avanti nella pittura, che piu cosa trovo quasi lui solo, che tutti gli altri, e truovansi anchora libri, che contengono quella dottrina. Et fu precipua venusta la sua nell’arte, avvegna che nella medesima età fussino grandissimi dipintori, l’opere dequali grandemente ammirava, e tutti laudava. Ma disse manchare loro quella una venusta, laquale i Greci chiamono charita, e che tutte le altre cose havieno, ma che in questa nessuno era pari à se solo.

 

Pline l’Ancien; Domenichi, Lodovico, Historia naturale di G. Plinio Secondo tradotta per Lodovico Domenichi, con le postille in margine, nelle quali, o vengono segnate le cose notabili, o citati alteri auttori… et con le tavole copiosissime di tutto quel che nell’opera si contiene…, p. 1098 (italien)(traduction ancienne d'un autre auteur)

Ma tutti quegli che nacquero prima di lui, e tutti quegli ancora che vennero dopo lui furono vinti da Apelle, il quale nella Olimpia centodicesima fu di si grande nella pittura, ch’egli solo fece in essa quasi maggior profitto, che tutti gli altri insieme e compose anco libri, iquali trattano quella dottrina. Ma sopra tutto egli uso leggiadria nell’arte, ancora che a quel tempo fossero grandissimi pittori; le cui opere essendo da lui molto ammirrate e lodate, usava dire, che mancava loro una certa venere, che i Greci chiamano charite, e noi gratia; e ch’essi havevano havuto tutte l’altre perfettioni, e in questa sola niuno gli era eguale.

 

Pline l’Ancien; Du Pinet, Antoine, L’histoire du monde de C. Pline second… mis en françois par Antoine du Pinet, p. 947-948 (fran)(traduction ancienne d'un autre auteur)

Note marginale :
  • [1] c’est à dire que toutes leurs besongnes avoyent faute de grace

Mais quoy que soit, Apelles seul a surmonté non seulement tous les peintres qui l’avoyent precedé, mais aussi ceux qui sont venus depuis. Il estoit en regne la CXII Olympiade, et si consommé en cest art, qu’on tient que luy seul l’a plus, ou autant illustré, que tous ceux qui l’avoyent precedé : aussi en fit-il plusieurs livres, où tous les secrets de cest art sont comprins. Toutesfois le principal poinct qu’il avoit, estoit que toutes les peintures avoyent une certaine grace inimitable. Et neantmoins il y avoit de son temps plusieurs excellnes (sic) peintres, lesquels luy mesme admiroit : et ayant veu leurs besongnes une par une, les louoit merveilleusement, et disoit qu’il n’y avoit rien à redire, hormis que toutes avoyent faute d’une certaine venus [1] que les Grecs appellent Charis, en laquelle il les precedoit tous.

 

Pline l’Ancien; Poinsinet de Sivry, Louis, Histoire naturelle de Pline, traduite en françois [par Poinsinet de Sivry], avec le texte latin… accompagnée de notes… et d’observations sur les connoissances des anciens comparées avec les découvertes des modernes, (vol. 11 ), p. 247 (fran)(traduction ancienne d'un autre auteur)

Mais un peintre qui surpassa tous ses devanciers, et à qui il étoit réservé d’éclipser encore tous ses rivaux futurs, c’est Apelle de Cos[1], qui florissoit dans la cent douzieme Olympiade. Il ajouta, presqu’à lui tout seul, à l’art de la peinture, plus que tous les autres peintres ensemble, ayant même laissé des volumes qui contiennent tous les principes sur lesquels ce bel art est fondé. Le principal mérite d’appel (sic) est l’élégance. Il y avoit de son tems de très habiles peintres ; il étoit le premier à les admirer ; mais après leur avoir rendu justice sur leur mérite réel, il dit un jour qu’il leur manquoit un seul point seulement, la grace[2] ; qu’ils avoient en partage toutes les autres perfections ; mais que celle-la lui avoit été réservée exclusivement à tout autre.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Strabon, liv. 14 ; Elien, Hist. Anim. liv. 4 ; et Tzetzès, Chil. 8, Hist. 197, le font toutefois Ephésien. Cela vient sans doute de ce qu’Apelle fut honoré du droit de bourgeoisie à Ephese.
  • [2]   Quintilien, liv. 12, chap. 10, p. 894 : ingenio, et gratiâ, quàm in se ipse maximè jactat, Apelles est praestantior.
 

Maffei, Raffaele (Il Volterrano), Commentariorum urbanorum Raphaelis Volaterrani octo et triginta libri cum duplici eorundem indice secundum tomos collecto(publi: 1506) (liber XIII), fol. CXXXVI (latin)

Apelles Cous pictor omnes superauit : voluminibus editis, quae doctrinam eam continerent. Aliorum opera solebat laudare : verum vnam deesse Venerem, quam graeci Χάριτα vocant, dicebat.

 

Castiglione, Baldassare, Il libro del Cortegiano(publi: 1528, redac: 1513-1524) (I, 28), p. 62-65 (italien)

Allora il signor Magnifico, « Questo ancor, » disse, « si verifica nella musica, nella quale è vicio grandissimo far due consonanzie perfette l’una dopo l’altra; tal che il medesimo sentimento dell’audito nostro l’aborrisce e spesso ama una seconda o settima, che in sé è dissonanzia aspera ed intollerabile; e ciò procede che quel continuare nelle perfette genera sazietà e dimostra una troppo affettata armonia; il che mescolando le imperfette si fugge, col far quasi un paragone, donde piú le orecchie nostre stanno suspese e piú avidamente attendono e gustano le perfette, e dilettansi talor di quella dissonanzia della seconda o settima, come di cosa sprezzata. » « Eccovi adunque, » rispose il Conte, « che in questo nòce l’affettazione, come nell’altre cose. Dicesi ancor esser stato proverbio presso ad alcuni eccellentissimi pittori antichi troppa diligenzia esser nociva, ed esser stato biasmato Protogene da Apelle, che non sapea levar le mani dalla tavola. » Disse allora messer Cesare: « Questo medesimo diffetto parmi che abbia il nostro fra Serafino, di non saper levar le mani dalla tavola, almen fin che in tutto non ne sono levate ancora le vivande. » Rise il Conte e suggiunse: « Voleva dire Apelle che Protogene nella pittura non conoscea quel che bastava; il che non era altro, che riprenderlo d’esser affettato nelle opere sue. Questa virtú adunque contraria alla affettazione, la qual noi per ora chiamiamo sprezzatura, oltra che ella sia il vero fonte donde deriva la grazia, porta ancor seco un altro ornamento, il quale accompagnando qualsivoglia azione umana, per minima che ella sia, non solamente súbito scopre il saper di chi la fa, ma spesso lo fa estimar molto maggior di quello che è in effetto; perché negli animi delli circunstanti imprime opinione, che chi cosí facilmente fa bene sappia molto piú di quello che fa, e se in quello che fa ponesse studio e fatica, potesse farlo molto meglio. E per replicare i medesimi esempi, eccovi che un uom che maneggi l’arme, se per lanzar un dardo, o ver tenendo la spada in mano o altr’arma, si pon senza pensar scioltamente in una attitudine pronta, con tal facilità che paia che il corpo e tutte le membra stiano in quella disposizione naturalmente e senza fatica alcuna, ancora che non faccia altro, ad ognuno si dimostra esser perfettissimo in quello esercizio. Medesimamente nel danzare un passo solo, un sol movimento della persona grazioso e non sforzato, súbito manifesta il sapere de chi danza. Un musico, se nel cantar pronunzia una sola voce terminata con suave accento in un groppetto duplicato, con tal facilità che paia che cosí gli venga fatto a caso, con quel punto solo fa conoscere che sa molto piú di quello che fa. Spesso ancor nella pittura una linea sola non stentata, un sol colpo di pennello tirato facilmente, di modo che paia che la mano, senza esser guidata da studio o arte alcuna, vada per se stessa al suo termine secondo la intenzion del pittore, scopre chiaramente la eccellenzia dell’artifice, circa la opinion della quale ognuno poi si estende secondo il suo giudicio e ’l medesimo interviene quasi d’ogni altra cosa. Sarà adunque il nostro cortegiano stimato eccellente ed in ogni cosa averà grazia, massimamente nel parlare, se fuggirà l’affettazione; nel qual errore incorrono molti, e talor piú che gli altri alcuni nostri Lombardi; i quali, se sono stati un anno fuor di casa, ritornati súbito cominciano a parlare romano, talor spagnolo o franzese, e Dio sa come; e tutto questo procede da troppo desiderio di mostrar di saper assai; ed in tal modo l’omo mette studio e diligenzia in acquistar un vicio odiosissimo. E certo a me sarebbe non piccola fatica, se in questi nostri ragionamenti io volessi usar quelle parole antiche toscane, che già sono dalla consuetudine dei Toscani d’oggidí rifiutate; e con tutto questo credo che ognun di me rideria. »

 

Il codice Magliabechiano cl. XVII. 17 contenente notizie sopra l’arte degli antichi e quella de’ fiorentini da Cimabue a Michelangelo Buonarroti, scritte da anonimo fiorentino(redac: (1540:1550)), p. 22 (italien)

Apelle dell’isola di Coo pittore fu 422 annj doppo Roma edificata. Fu excellentissimo et unico maestro ne sua tempi et ne passatj anchora, che supero tuttj li altrj maestri, statj auantj a luj. Studio assaj l’arte sua della pittura et scrissene piu volumj. Et furno nel suo tempo piu excellentj pittorj, e qualj eglj sommamente lodava, ma diceva, manchare loro una certa venusta, laquale e Grecj chiamono Charis, et in cio non fu alcuno equale a luj. 

 

Borghini, Vincenzio, Selva di notizie(redac: 1564), p. 139-140 (italien)

Apelle superò tutti quelli ch’erano stato inanzi a lui e che furon dopo. Fu precipua in lui la venustà et quella venere ch’e Greci chiaman gratia, quella forse che fra’ nostri è mirabile di Raffaello d’Urbino. 

 

Adriani, Giovanni Battista, Lettera a m. Giorgio Vasari, nella quale si racconta i nomi, e l’opere de’più eccellenti artefici antichi in Pittura, in bronzo, et in marmo(publi: 1568, redac: 1567) (t. I ), p. 190 (italien)

Fu costui[Explication : Apelle.] maraviglioso nel fare le sue opere graziose, et avengaché al suo tempo fussero maestri molto eccellenti – l’opere dei quali egli soleva molto commendare et ammirare –, nondimeno a tutti diceva mancare quella leggiadria, la quale da’ Greci e da noi è chiamata grazia, nell’altre cose molti essere da quanto lui, ma in questo non aver pari. 

 

Maranta, Bartolomeo, Discorso di Bartolomeo Maranta all’Ill.mo Sig. Ferrante Carrafa marchese di Santo Lucido in materia di pittura, nel quale si difende il quadro della cappella del Sig. Cosmo Pinelli, fatto per Tiziano, da alcune opposizioni fattegli da alcune persone [Biblioteca Nazionale di Napoli, ms. II c. 5](redac: (1571)), p. 883 (italien)

E negli viventi si ragiona con grazia, si camina con grazia, si guarda, si ride, si mangia, si bee, si dorme, si muore, et insomma tutti i movimenti si possono fare con una certa leggiadria che addolscice gli occhi de’ riguardanti. Et è ciò di tanto momento che da questo solo acquistò Apelle particolar gloria e vinse tutti gli altri famosissimi pittori, del che egli stesso se ne solea vantare dicendo che le opere di quei famosi pittori del suo tempo erano degne da ammirarsi e da lodarsi assai, ma mancava loro poi quella venere e quella grazia di che abbiamo parlato, et in questo si gloriava di non trovar pari, ancorché nelle altre cose confessava di esser pareggiato e forse anco avanzato. 

 

Borghini, Rafaello, Il riposo di Raffaello Borghini : in cui della pittura, e della scultura si fauella, de’piu illustri pittori, e scultori, et delle piu famose opere loro si fa mentione ; e le cose principali appartenenti à dette arti s’insegnano(publi: 1584), p. 273 (italien)

Nella duodicesima e centesima Olimpiade fiorì Apelle da Coo, il quale trapassò di gran lunga tutti i pittori che furono avanti à lui, e che dopo a lui seguirono, e sopra tutte le cose che il fecero fra gli altri ottenere il primo luogo fu una certa gratia maravigliosa che egli dava alle sue figure.

 

Montjosieu, Louis de, Gallus Romae hospes. Ubi multa antiquorum monimenta explicantur, pars pristinae formae restituuntur. Opus in quinque partes tributum(publi: 1585), « Commentarius de pictura » (numéro IV ) , p. 18 (latin)

De Protogene dicere solitus[Explication : Apelles.] omnia sibi cum illo paria esse, aut illi meliora, deesse tamen omnibus ijs illam Venerem dicebat, quam Graeci Charita vocant. Caetera omnia contigisse, sed hac sola sibi neminem comparandum. Honesta quidem oratio, sed qua sibi tamen in pictura principatum arrogabat. Hac enim laude summam artis complexus, caeteris omnibus aliquid deesse notabat, sibi vni omnia contigisse.

 

Lomazzo, Gian Paolo, Idea del tempio della pittura(publi: 1590), « De la forza de l'instituzione dell'arte e della diversità dei genij » (numéro Capitolo II) , p. 253 (italien)

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  • [1] Antichi pittori e suoi genii

[1] L’istesso si può osservar ne gli antichi, perciò che in Apelle era genio di grandezza e venustà, della quale egli stesso soleva molto gloriarsi, anco che confessasse che in altre cose a molti cedeva.

 

Possevino, Antonio, Tractatio De Poesi et Pictura ethnica, humana et fabulosa collata cum sacra(publi: 1593), « Quinam pingendi præcepta tradiderint antiqui et recentes » (numéro caput XXIV) , p. 283 (latin)

Tamen Amphioni de dispositione : Asclepiodoro de mensuris, hoc est quanto quid a quo distare videbatur, petere officium.

 

Van Mander, Karel,  Het leven der oude antijcke doorluchtighe schilders(publi: 1603:1604 ), « Van Appelles, Prince der Schilders » , fol. 77r (n)

Hy is so uytnemende geworden, dat hy alleen de Schilder-const also gheruchtich oft gheruchtiger ghemaeckt heeft, als alle die voor henen zijn gheweest. Hy heeft verscheyden Boecken ghemaeckt, waer in begrepen waren alle de wetenschappen en verborgenthedem der Consten: zijn schriften zijn van Plinio dickmael aengetrocken. Iae Plinius die houdt, dat hy niet alleen alle Schilders die voor hem waren en heeft overtroffen: maer oock alle die naer hem zijn gheweest. Men leest oock nerghens by den Ouden, van geenen soo uytnemenden. Dan yemandt mocht dencken, of zijn dingen, soo sy in wesen waren, niet bysonders en souden wesen, alsmense stelde tegen de schilderijen van de Schilders van desen tegenwoordigen tijt, daer ben ick gantsch van meyninge tegen, dewijle datmen te Room siet de ronde Beelden in Marber en Coper, die tegen de Iaren hun harde hoofden hebben connen bieden, soo uytnemende te wesen. Nademael men ooc altijts bevonden heeft, dat de Schilder-const en ronde beelden-const malcander niet en ontwijcken: maer dat wanneer d’een opgeclommen is, d’ander niet en is ghedaelt, maer hebben gemeenlijck gelijck in waghe ghelegen. Laet ons nu ons moderne ronde Beelden by de beste Antijcke leggen: de Michael Agnoli selve sullen ghenoech te doen hebben, hun in Consten te doen wijcken. Nu soud’ ick gissen uyt datmen leest, dat Appelles gheschilderde Beelden eer beter als slimmer waren, als de beste ronde, die men van de oude noch siet. Nu wil ick verhalen de wercken van onsen voorghenomen Appelles. Daer wordt van hem ghetuyght, dat hy hadde voor een bysonder deel oft gave, dat in al zijn Schilderijen te sien was een seker gracelijckheyt, die geen Schilders en vermochten nae te volghen. Doch waren in zijnen tijdt verscheyden uytnemende Meesters in de Schilder-const, en seer ervaren, der welcker constighe wercken hy self met verwonderen aensagh, en de selve een voor een met opmerck wel oversien hebbende, heeftse hooghlijck ghepresen, en seyde, datter niet op en was te segghen, uytghenomen datse alle ghelijck van doen hadden een seker Venus, die de Griecken heeten Charis, in welcke hyse alle overtrof, oft te boven gingh. Hy wilde seggen, dat hun dingen hadden van doen een bysonder uytnemende gratie, die zijn dingen hadden. Hier schijnt, of Appelles hem selven al wat seer gepresen heeft: dan het magh hem, ghelijck den uytnemenden Poeten (die dat veel al doen), om zijn groote doorluchticheyt in der Const ten besten afgenomen worden.

 

Tassoni, Alessandro, Pensieri diversi, libri dieci(publi: 1620), « Statue, e pitture antiche e moderni » (numéro libro X, cap. XIX) , p. 387 (italien)

Ma di tutti quest’eccellenza dell’arte, e’l favor d’Alessandro Macedone fecero Apelle più inominato, e famoso, la pulitezza, e grazia delle cui pitture niuno antico agguagliò.

 

Carducho, Vicente, Diálogos de la pintura, su defensa, origen, essencia, definicion, modos y diferencias(publi: 1633), “Dialogo Segundo del origen de la pintura; quienes fueron sus inventores; como se perdio, y se bolvio à restaurar; su estimacion, nobleza, y dificultad” , fol. 32v (espagnol)

No me atreverè a dezir, si esta facultad de la Pintura, generalmente hablando, se ha baxado, ò subido desde Micael acà; si bien para mi temo, no decline, por no dar materia a la calumnia; pero bien me atreverè a afirmar, que ninguno ha passado de aquella raya del dibujo; si bien en la imitacion, colorido, viveza, paises, frutas, animales, y otras cosas (que aquellos tuvieron por acessorias, y de poca consideracion) en algunos modernos se han aventajado; porque los antiguos, ocupados en averiguar lo principal del dibujo, y las demas cosas cientes, descuidaron de las circunstancias que la adornan: y assi Micael pudo bien dezir de su dibujo, lo que Apeles de la gracia que dava a sus Pinturas, que aunque en otras cosas le igualassen, ningunon delos destos tiempos le llegò en el dibujo.

 

Leon, Antonio de (relator del Supremo Consejo de las Indias), Por la pintura, y su exempcion de pagar alcavala (publi: 1633), fol. 175v (espagnol)

Esta alma de la Pintura es la gracia del pinzel, de que se alabava tanto Apeles, que quando veia otras pinturas, dezia quel es saltava, como refiere Plinio d.c. 10. Deesse ejus unam illam Venerem dicebat, quam Græci Charita vocant. Desta alma es criadora el Arte, o industria del Artifice, que parece que no contenta con ser imitadora de Dios, formando de tierra, que esso son los colores, cuerpos, si no vivos, al vivo retratados.

 

Carducho, Vicente, Diálogos de la pintura, su defensa, origen, essencia, definicion, modos y diferencias(publi: 1633), “Dialogo Segundo del origen de la pintura; quienes fueron sus inventores; como se perdio, y se bolvio à restaurar; su estimacion, nobleza, y dificultad”, fol. 27v (espagnol)

Apeles fue en el mismo tiempo, y se aventajò a todos, y tuvo aquella gracia de ninguno imitada, que el Latino llamò Venus, y los Griegos Charite.

 

Junius, Franciscus, The Painting of the Ancient(publi: 1638) (III, 4, 3 ), p. 325-326 (anglais)

Note marginale :
  • [1] In Timoleonte

It is then most evident what a hard taske they undertake, which go about to recommend their memories to the following age by one or other absolute piece of workmanship; seeing that this gracefull comelinesse is not sufficient to the worke, unlesse there doe moreover appeare in it some successful effects of a bold and confident facilitie. After that Plinie, as it is quoted in the first section of this present chapter, hath related how Apelles did challenge unto himselfe the chiefest praise in this point of Grace above all other artificers, he goeth further on to something else; Apelles did also take on him another praise, sayth he, when he did admire Protogenes his worke done with excessive pains and too much care: for he said that Protogenes in all other things was equall with him, or rather better then he thought himselfe to be; but that Protogenes in one thing was far inferior to him, because he knew not when to hold his hand: insinuating by this memorable precept, that too much diligence is oftentimes hurtfull. Plutarch does likewise make a distinction betweene the fore-mentioned Grace and this same bold facility: the verses of Antimachus, sayth he [1], and the pictures of Dionysius, who both were Colophonians, having vehemencie and intension, seeme to be forcibly expressed and too much belaboured: but Nicomachus his pictures and Homer his verses have this also besides all the other efficacie and grace which is in them, that you would thinke them made out of hand with much ease. So doth then this excellent perfection of Grace waxe more graceful, when it is accompanied with an unconstrained facilitie proceeding out of the unstayed motions which used to stirre and to impell the free spirit of a most resolute artificer; whereas an unresolved and timorous lingerer doth on the contrary deface and utterly overthrow all the hope of grace.

 

Ridolfi, Carlo, Le meraviglie dell’arte, overo le vite de gl’illustri pittori veneti, e dello stato(publi: 1648), p. 7 (italien)

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  • [1] Apelle

[1] Ma fra gli antichi sortì Apelle il più famoso nell’Olimpiade cento diciottesima, che diede alla pittura il compimento della gratia, e della venustà.

 

La Mothe le Vayer, François de, Petits traitez en forme de lettres escrites à diverses personnes, Lettre IX, « Sur la peinture »(publi: 1662, redac: 1649:1662), « Sur la peinture » (numéro Lettre IX) , t. II, p. 441-442 (fran)

[1] Comme Apelle accusa de fort bonne grace tous ceux de son art de cette trop grande exactitude, et de n’avoir pas assez fait estat dans leurs travaux de la Charité des Grecs, se mocquant de Protogene qui ne pouvoit oster la main de dessus un tableau, memorabili praecepto, nocere saepe nimiam diligentiam : Raphaël d’Urbin est celuy qui a pû de mesme reprendre le soin extréme de ces grands hommes dont nous venons de parler, qui ne sacrifioient pas aux Graces comme luy. Il fut excellent en tout, quoiqu’il changeast parfois de maniere : il donna l’agréement avec le naturel à la peinture, proprement prise pour celle qui emploie les couleurs : et je le nommerois le Phoenix de son art, s’il n’estoit mort âgé de trente-sept ans seulement, à la veille d’estre fait cardinal par Iule Second, Michel-Ange aiant doublé ce terme, et plus, puisqu’il ne s’en falut qu’une année qu’il n’arrivast à la grande climacterique. Ce que Raphaël a eu de plus commun avec Apelle, c’est que la beauté de ses pieces n’ostoit rien à la ressemblance.

Voir aussi :
  • [1] voir aussi Apelle nimia diligentia
 

Vossius, Gerardus Joannes, De quatuor artibus popularibus, de philologia et scientiis mathematicis, cui operi subjungitur chronologia mathematicorum, libri tres, cap. V, De Graphice(publi: 1650), De Graphice, §49 (numéro cap. V) , p. 83-84 (latin)

Aequalis huius Aristidis fuit Apelles ; qui, quicquid vel ante, vel sua aetate, pictorum fuit, Venere exsuperavit : unde nec ab alio, quam Apelle pingi voluit Alexander Magnus. De hoc sic Plinius loco ante dicto : Omnes prius genitos, futurosque postea, superavit Apelles ; eousque olympiade CXII in pictura provectus, ut plura solus prope, quam caeteri omnes, contulerit ; voluminibus etiam editis, quae doctrinam eam continent. Praecipua ejus in arte venustas fuit, cum eadem aetate maximi pictores essent ; quorum opera cum admiraretur, collaudatis omnibus, deesse iis unam illam Venerem dicebat, quam Graeci Charita vocant : caetera omnia contigisse ; sed hac sola sibi neminem parem.

 

[Félibien, André], De l’origine de la peinture et des plus excellens peintres de l’Antiquité(publi: 1660), p. 34-35 (fran)

Car outre qu’il estoit abondant en inventions, sçavant dans la proportion et dans les contours, charmant et precieux dans le coloris, il avoit encore cela par-dessus les autres peintres, qu’il donnoit une beauté extraordinaire à ses figures ; et par un bon-heur tout particulier, il fut le premier, et presque le seul qui receust du Ciel cette science toute divine, qui sçait inspirer la grace et donner ce je ne sçais quoy de libre, de vif, de rare, ou pour mieux dire, de celeste, qui ne se peut enseigner, et que les paroles mesme ne sont pas capables de bien exprimer.

 

[Félibien, André], De l’origine de la peinture et des plus excellens peintres de l’Antiquité(publi: 1660), p. 38 (fran)

Ce fut ce tableau qui surprit si fort Appelle, qu’il confessa que c’estoit la plus belle chose du monde ; il dist neantmoins pour se consoler, qu’il y manquoit encore cette Grace, que luy seul sçavoit donner si parfaitement à ses ouvrages.

 

Félibien, André, Entretiens sur la vie et les ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes, vol. 1(publi: 1666) (Ier Entretien), p. 77 (fran)

Ce fut ce tableau qui surprit si fort Appelle, qu’il confessa que c’estoit la plus belle chose du monde ; il dit neanmoins pour se consoler, qu’il y manquoit encore cette Grace, que luy seul sçavoit donner si parfaitement à ses ouvrages.

 

Félibien, André, Entretiens sur la vie et les ouvrages des plus excellens peintres anciens et modernes, vol. 1(publi: 1666), Ier Entretien, p. 74 (fran)

Car outre qu’il estoit abondant en inventions, sçavant dans la proportion et dans les contours, charmant et precieux dans le coloris, il avoit encore cela par-dessus les autres peintres, qu’il donnoit une beauté extraordinaire à ses figures ; et par un bon-heur tout particulier, il fut le premier, et presque le seul qui receust du Ciel cette science toute divine, qui sçait comme inspirer la grace et donner ce je ne sçais quoy de libre, de vif, de rare, ou pour mieux dire, de celeste, qui ne se peut enseigner, et que les paroles mesme ne sont pas capables de bien exprimer.

 

Dati, Carlo Roberto, Vite de' pittori antichi(publi: 1667), p. 83-84 (italien)

Aveva nel dipignere una certa sua particolar leggiadria, e benchè fossero ne’ suoi tempi grandissimi maestri, de’ quali egli ammirava l’opere, dopo avergli celebrati usava dire, che ad essi altro non mancava, che quella vaghezza, e venustà, la quale i Greci e noi Toscani chiamiamo Grazia. Tutte l’altre prerogative esser toccate loro, ma in questa lui esser’ unico, e non aver pari.

 

Piles, Roger de, L’Art de Peinture de Charles-Alphonse Du Fresnoy, traduit en François, avec des remarques necessaires et tres-amples(publi: 1668), p. 158 (fran)

Une certaine Grace qui luy estoit toute particuliere. Raphaël est comparable en cela à Apelle, qui en loüant les ouvrages des autres, disoit, que cette Grace leur manquoit, et qu’il voyoit bien qu’il n’y avoit que lui seul qui l’eust en partage. Voyez sa remarque sur le 218e vers.

 

Piles, Roger de, L’Art de Peinture de Charles-Alphonse Du Fresnoy, traduit en François, avec des remarques necessaires et tres-amples(publi: 1668), p. 112 (fran)

Et de la Grace. Il est assez difficile de dire ce que c’est que cette Grace de la peinture : on la conçoit et on la sent bien mieux qu’on ne la peut expliquer. Elle vient des lumieres d’une excellente nature, qui ne se peuvent acquerir, par lesquelles nous donnons un certain tour aux choses qui les rendent agreables. Une figure sera desseignée avec toutes ses proportions, et aura toutes ses parties regulieres, laquelle pour cela ne sera pas agreable, si toutes ces parties ne sont mises ensemble d’une certaine maniere qui attire les yeux, et qui les tienne comme immobiles. C’est pourquoy il y a difference entre la Beauté et la Grace, et il semble qu’Ovide les ait voulu distinguer, quand il a dit parlant de Venus, Multaque cum Forma Gratia mista fuit. Il y avoit beaucoup de Grace mélée avec la Beauté. Et Sueton parlant de Neron dit, Qu’il estoit beau plustost qu’agreable. Vultu pulchro magis quam venusto. Et combien voyons-nous de personnes belles qui nous plaisent beaucoup moins que d’autres qui n’ont pas de si beaux traits. C’est par cette Grace que Raphaël s’est rendu le plus celebre de tous les Italiens, de mesme qu’Apelle l’a esté de tous les Grecs.

 

Scheffer, Johannes, Graphice, id est, de arte pingendi liber singularis, cum indice necessario(publi: 1669), Venio ad Gratiam, partem septimam hujus artis ; quam nomino singularem picturæ totius amabilitatem, ex ingenio artificis ad temperatam voluptatem omnia accommodantos natam (numéro §39) , p. 149-152 (latin)

Venerem vocare Apelles solebat, primusque observare in picturis. Plinio Venustas est. Quintiliano Gratia. Quod nomen nobis placuit. Quid autem per id vere denotarint veteres, haud satis liquet. Junius interpretatur id, quod ex curiosa observatione earum partium, quæ ad picturam pertinent, resultat. Venerem, inquit, summus artifex dicit peculiarem inventionis, symmetria, coloris, motus, dispositionis denique gratiam per universa picturæ membra sic diffusam, ut non modo inventione, symmetria, colore, motu, dispositione spectantes teneat, sed multiplici singularum partium harum venustate, in unum efflorescat. Sed existimo, si sit ex his omnibus, non posse esse aliud quippiam, et ab illis omnibus diversum. Saltem qui habebit ista omnia, etiam hoc habebit. At habere negat Apelles, ut proinde ex his esse nequeat. Nam expresse dicit de pictoribus ætatis suæ, ipsis cætera omnia contigisse, sed hac sola sibi neminem parem. Removet hanc solam a cæteris omnibus, et facit penitus diversam, cumque alia omnia ipsis concedat, hanc tribuit sibi uni, ut ex dictis verbis apud Plinium XXXV. c. 10 manifestum est. Quid ergo arbitrabimur fuisse ? Singularem amabilitatem picturæ, istis omnibus adjectam. Quæ ut rectius intelligatur, animadvertendum, esse in prædictis partibus universis, summum ultimumque, ut imitemur naturam, quam qui expressit, arti ex illarum regulis satisfecit. Sed esse simul præter naturam in picturis, quod visum moveat, quod oculos delectet, idque non repugnans quidem aliquid naturæ, sed tamen ab ea cum ratione paulisper recedens et accommodans se intuentium judicio ac voluptati. Id quod intelligimus ex Lysippo, quem idcirco Plinius XXXIV. c. 9. dicere solitum, ait, statuas a veteribus factas, quales essent homines, a se, quales esse viderentur. Manifestum est, Lysippum observasse deprehendisseque aliquid in hominibus, quod naturam quidem non esset, esse tamen videretur, et ad illud magis, quam naturam ipsam suum accommodasse opus. Id vero nihil aliud, quam gratia prædicta, quod apparet, quia inde statuæ ipsius maxime sunt commendatæ. Quod idcirco dictis omnibus adjiciendum. Quid hoc non observat, licet totam exprimat naturam, frustra est, nec amari potest. Denique destitui non levi parte artis intelligitur. Discimus ex Fabio, qui lib. X. c. 10. Demetrium testatur reprehensum, tanquam nimium in veritate exprimanda. Fuitque, ait, similitudinis, quam pulchritudinis amantior. Etiam Quintiliano judice, pulchritudo aliud quid est a similitudine, nec consistit in simplici ac rigorosa veritatis imitatione, sed expressione quadam ejus, quod videtur. Quod cum ne Durerus quidem satis intelligeret : objectum ei ab artifice ingenioso, tanquam nimis exprimeret, quod esset, ut Henricus Votton auctor est in Elementis Architectonicis. Rigidior nimirum videbatur, veritatisque tenacior, quam admitteret pulchritudo, quæ non est alia, quam ista, de qua gloriari Apelles solebat, Venus gratiaque. Quæ proinde maxime consistit in eo, ut serventur rerum species, exprimanturque, prout pulcherrime perfectissimeque putantur se habere. Quo pertinet initio quidem artis omnis studiosa occultatio, cum quæcunque denique pinguntur, tum demum vere optimeque picta sint, cum non ab arte, sed natura videantur formata. Deinde fuga nimiæ sollicitudinis, quæ quantum admirationem auget, tantum detrahit de jucunditate. Plinius XXXIV. c. 9 loquens de Callimacho : Hujus sunt saltantes Lacenæ, emendatum opus, sed in quo gratiam omnem diligentia abstulerat. Expressis verbis ait, nimiam diligentiam obesse gratiæ, hoc est, illi ipsi Veneri, de qua gloriari Apelles solebat. Neque rationis indulgentia seu phantasia debet esse major, quam permittit suavitas et delectatio. Quod cum non attenderent pictores veteres, alius quidam cura, alius ratione, alius phantasia celebrantur, unicus Apelles laudem gratiæ invenit. Quamquam quod et ipsum bene observandum, diligens harum rerum custodia, non tam gratiam illam gignat, quam locum ei faciat. Adeo ne in ipsa quidem constistit, sed est aliud quid diversum, quod nec verbis definiri satis potest, quemadmodum et Demontiosus testatur. Tantum abest, ut illius regulæ præceptave, quædam possint tradi, velut a quibus omnibus, cum ratione aliqua recedat.

 

Pline (Gaius Plinius Secundus); Gronovius, Johann Friedrich (Johannes Federicus), C. Plinii Secundi Naturalis historiae, Tomus Primus- Tertius. Cum Commentariis & adnotationibus Hermolai Barbari, Pintiani, Rhenani, Gelenii, Dalechampii, Scaligeri. Salmasii, Is. Vossii, & Variorum. Accedunt praeterea variae Lectiones ex MSS. compluribus ad oram Paginarum accurate indicatae(publi: 1669) (vol. 3), p. 581 (latin)

Verum omnes prius genitos futurosque postea superavit Apelles, eousque olympiade centesima duodecima. In pictura provectus, ut plura solus prope, quam cæteri omnes, contulerit, voluminibus etiam editis quae doctrinam eam continent. Praecipua ejus in arte venustas fuit, cum eadem ætate maximi pictores essent : quorum opera cum admiraretur, collaudatis omnibus, deesse illam suam Venerem dicebat, quam Græci Charita vocant : cætera omnia contigisse, sed hac sola sibi neminem parem.

 

Germain, Des peintres anciens et de leurs manières(publi: 1681), p. 98 (fran)

Aussi se vantoit-il d’accompagner tous ses ouvrages d’une grace toute particuliere et inimitable, qui ne se rencontroit point dans ceux de tous les autres, qui y laissoient toujours à desirer une certaine Vénus, que les Grecs appelloient Charis, c’est-à-dire, Grace, en laquelle il les surpassoit tous.

 

Pline l’Ancien; Hardouin, Jean, Caii Plinii Secundi Naturalis historiae libri XXXVII. Interpretatione et notis illustravit Joannes Harduinus,... in usum Serenissimi Delphini(publi: 1685) (t. V), p. 207 (latin)

Verum omnes prius genitos futurosque postea superavit [1]Apelles Cous, olympiade CXII. Picturae plura solus prope, quam ceteri omnes contulit, voluminibus etiam editis quae doctrinam eam continent. Praecipua ejus in arte venustas fuit, cum eadem aetate maximi pictores essent : quorum opera cum admiraretur, collaudatis omnibus, deesse iis unam venerem dicebat, quam [2]Graeci charita vocant : cetera omnia contigisse : sed hac soli sibi neminem parem.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Apelles Cous. Et hanc hujus patriam fuisse testatur Ovidius lib. 3. de arte amandi, vers. 401. Si Venerem Cous  nusquam posuisset Apelles, / Mersa sub aequoreis illa lateret aquis. Testantur et alii. Ephesium tamen appellant Strabo, lib. 14. Aelianus, lib. 4. hist. anim. cap. 50. Tzetzes, Chil. 8. hist. 197. alii, quod ab Ephesiis scilicet, ut moris erat, donatus civitate fuerit. Vide notas et emend. num. X.
  • [2] Graeci charita. χαριτα, Quintilianum gratiam vocat, et pulcritudinem. Libro enim 12. cap. 10. pag. 894. Ingenio et gratia, quam in se ipse maxime jactat, Apelles est praestantissimus. Est nimirum in picturis, praeter naturae imitationem, quae pars picturae prima est, quiddam quod visum moveat, quod oculos delectet, idque non repugnans quidem naturae, sed ab ea tamen paulipser recedens, et accommodans sese intuentium judicio ac voluptati. Id quo ex Lysippo intelligimus, quem dicere solitum Plinius ait, lib. 34. sect. 19. num. 6. a veteribus factos, quales essent, homines : a se, quales viderentur esse. Illud similitudinis, istud pulchritidunis esse Fabius dixit, loc. cit. pag. 895. cum Demetrium affirmat in veritate exprimenda nimium fuisse, eoque nomine reprehendi, quod erat similitudinis, quam pulcritudinis, amantior.
 

Dupuy du Grez, Bernard, Traité sur la peinture(publi: 1699), p. 55 (fran)

Apelle seul contribua à la perfection de la peinture plus que tous les autres peintres ensemble : il excelloit surtout par la bonne grace : et quoiqu’il admirat les ouvrages de plusieurs de sa profession, il disoit pourtant, qu’il leur manquoit ce je ne sai quoi, cette qualité que les Grecs appellent Carite : qu’ils avoient toutes les autres parties, mais qu’en ce point il n’étoit égalé de personne.

 

Piles, Roger de, Abrégé de la vie des Peintres, avec des reflexions sur leurs ouvrages, et un Traité du Peintre parfait, de la connoissance des Desseins et de l’utilité des Estampes(publi: 1699), p. 126 (fran)

Une autre marque de la simplicité d’Apelle, c’est qu’il avoüoit qu’Amphion l’emportoit sur luy pour la disposition, et Asclépiodore pour la régularité du dessein ; mais il ne le cédoit à personne pour la Grace, qui étoit son talent particulier. Quand il regardoit les ouvrages des grans peintres, il en admiroit les beautés, mais il n’y trouvoit pas, disoit-il ingénuëment, cette Grace, que luy seul savoit répandre dans tout ce qu’il peignoit.

 

Coypel, Antoine, "Commentaire de l'épître à son fils (le gracieux en peinture)", lu à l'Académie royale de peinture et de sculpture le 1er octobre 1712(redac: 1712/10/01), p. 59-60 (fran)

« La grâce, le naïf, le charme du pinceau » (60e vers de l’Épître)

Les ouvrages les plus recherchés, les plus réguliers, même les plus savants et les plus profonds, pourront, sans doute, se faire estimer, mais ils n’auront pas toujours le bonheur de plaire s’ils sont dénués de ce charme divin que l’on appelle la grâce, et qui embellissant, pour ainsi dire, la beauté même, gagne le cœur plus promptement que cette beauté ne touche l’esprit et la raison.

Il est des grâces que l’on ressent très vivement, dont on ne peut rendre raison ; mais on peut rendre raison de la beauté. On trouve assez souvent des femmes régulièrement belles, qui ont le déplaisir de voir que l’on s’en tient uniquement à les admirer, sans qu’il en coûte rien au cœur, parce qu’il leur manque ce je ne sais quoi de gracieux qui sait le captiver avant la réflexion. On en voit d’autres qui, malgré l’irrégularité de leurs traits, sont tellement remplies de grâces, que les voir et s’en laisser toucher, c’est presque la même chose.

C’est cette partie, si nécessaire dans la peinture, qui faisait qu’Apelle ne pouvait s’empêcher de s’applaudir lui-même, car il avouait qu’Amphion l’emportait sur lui pour la disposition, et Asclépiodore pour la régularité du dessein, mais il ne le cédait à personne pour la grâce, qui était le caractère qui le distinguait et l’élevait en même temps au-dessus de tous ses concurrents. Ce grand peintre, dépouillé de cette basse jalousie qui infecte tant de gens estimables d’ailleurs, admirait de bonne foi dans les ouvrages des autres les beautés qu’il y trouvait ; mais il ne pouvait s’empêcher de dire qu’il y manquait toujours cette grâce que lui seul savait répandre dans ce qu’il peignait.

Commentaires : Coypel, Commentaire de l’Épître à son fils, 1er octobre 1712, Conférences, IV, 1, 2010, p. 59-60

 

Palomino, Antonio, El museo pictórico y escala óptica(publi: 1715:1724) (Tomo I,Teórica della pintura, I, 9, 8), p. 178 (espagnol)

Así fué singularísimo Apeles en la gracia, y belleza entre los griegos; pues superó, no sólo a los de su tiempo, sino a los antecesores, y a los que habían de suceder en el arte, según el sentir de Plinio. Tan poderosa es la fuerza de esta singular gracia, que confesando igualidad, y exceso a los otros en diferentes partes de la Pintura, en ésta decía, que ninguno le igualaba; y ella sola le hizo superior a todos, y le alquirió inmortal nombre en la posteridad.

 

Palomino, Antonio, El museo pictórico y escala óptica(publi: 1715:1724), “Propiedades accidentales de la pintura”, §4 (numéro Tomo I, Teórica della pintura, II, 8) , vol. 1, p. 322-323 (espagnol)

No era menos la ingenuidad, con que Apeles cedía a Anfión, en la disposición de una historia; y a Asclepiodoro en la simetría; pero no le faltaba por eso el conocimiento, de que a éstos, y a los demás lleza, y gracia, que él llaman Venus, o Venustas de la Pintura; que los griegos llaman Charites: y ésta es la verdadera, e ingenua perspicacia del proprio conocimiento; que no es menester desconocer la verdad en nuestras cosas para conocer la ventaja de las ajenas: en que sólo nos puede reconvenir la dificultad de ser juez en causa propria; pero desponjándonos de todo linaje de pasión, la modestia, siendo virtud de discretos, no nos precribirá leyes de tontos: la dificultad está en deponer el propio amor.

 

Durand, David, Histoire de la peinture ancienne, extraite de l’Histoire naturelle de Pline, liv. XXXV, avec le texte latin, corrigé sur les mss. de Vossius et sur la Ie ed. de Venise, et éclairci par des remarques nouvelles(publi: 1725), p. 63-64 (fran)

Marque-page :
  • [2] Comment il se rendoit justice

Le fort de son pinceau a été la GRÂCE, comme on l’appelle, c’est-à-dire, ce je ne sçai quoi de libre, de noble et de doux, en même tems, qui touche le cœur et réveille l’esprit : article sur lequel il a laissé bien loin derrière lui tous les grands maîtres de son tems, qui n’étoient pas en petit nombre. Car lorsqu’il admiroit leurs ouvrages et qu’il en faisoit l’éloge en détail, par rapport aux diverses parties de la peinture, il concluoit en disant, qu’il n’y manquoit que la seule grace[1], comme s’expriment les Grecs, ou sa seule Venus, comme nous parlons nous autres Latins ; ajoutant qu’à la vérité ses confreres, ou ses emules, éxcelloient en toute autre partie ; mais qu’à l’égard de celle-là, elle lui étoit échuë en propre, et que personne ne pouvoit légitimement lui en disputer la palme. [2] C’est ainsi qu’avec une ingénuité, digne du vrai mérite[3], il se plaçoit lui-même au-dessus de tous les peintres de son siécle, sur un talent qui ne s’acquiert point.

Notes au texte latin, p. 259 : 

(M) Praecipua ejus in arte venustas fuit. Venustas ; c. à. d. la Grace, l’agrément, ce je ne sçai quoi de libre, de vif, ou, pour mieux dire, de céleste, dit Félibien, qui ne se peut apprendre, et que les paroles mêmes ne sont pas capables de bien éxprimer. On dit que Raphaël a possédé cette partie au souverain degré. Aussi avoit-il bien des choses qui lui étoient communes avec le peintre grec : voyez Felib. Tom. I. p. 182.

(N) Omnibus conlaudatis, deesse iis unam illam suam venerem dicebat. C’est la leçon de Venise, préférable, à mon gré, à toutes les autres. Celle du P. H. porte, unam venerem : mais ce n’est pas assez ; illam suam doit être de la partie. Apelle étoit un homme ingénu, qui, en convenant du mérite des autres, ne faisoit point la petite bouche sur le sien propre. Ingenio et gratia, quam in se ipse maxime jactat, Apelles est praestantissimus ; dit Quintilien, liv. 12 ch. 10. Il semble que ce peintre avoit laissé échapper, dans ses livres, ce sentiment vif qu’il avoit de la beauté de son pinceau, et que le rhéteur y fait allusion ; quam in se ipse maxime jactat : car autrement il auroit dit, jactavit. J’ai donc bien fait, ce me semble, de préférer une leçon, qui convient bien au caractère du personnage. Les plus grands hommes ont avoué ingénument leurs défauts, comme leurs bons endroits. Les peintres surtout n’ont point été muets sur cet article. On a vû Zeuxis, on a vû Parrhase se donner les plus grands éloges ; et il n’est pas étonnant qu’Apelle ait senti sa supériorité sur un talent qui ne s’acquiert point, et qu’il l’ait reconnuë devant tout le monde. 

(O) Sed hac sola sibi neminem parem. C’est la leçon d’un MS. de Dalecamp : d’autres portent, hoc solo sibi… La I. de Venise, sed hoc sibi neminem parem. Le P. H. sed hac soli sibi neminem parem. Le sens est le même partout ; mais je ne suis point pour soli, qui n’ajoute rien au sens. Prenez garde qu’Apelle accordoit à ses emules toutes les autres parties de l’art ; cetera omnia contigisse ; mais qu’il leur refusoit la grace, au moins dans le dégré qu’il possédoit, sed hac sola sibi neminem parem : ce n’étoit donc qu’en ce seul article, où il prétendoit n’avoir point d’égal. Ciceron raisonnoit à peu près de même sur le talent qu’il avoit de bien écrire : Nam philosophandi scientiam concedens multis : quod est oratoris proprium, apte, distincte, ornate dicere, quoniam in eo studio aetatem consumsi, si id midi adsumo, videor id meo jure quodam modo vindicare. Offic. Liv. I. ch. I.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Quintilien lui donne l’esprit et la grace, au-dessus des autres peintres, et confirme la même ingénuïté, dont il faisoit profession.
  • [3] Il y a des occasions, où la vérité vaut mieux que la modestie ; et chacun sçait la réponse du prince Maurice, à celui qui lui demandoit quel étoit le premier general du siécle ? Spinola est le second, dit ce prince.
 

Rollin, Charles, Histoire ancienne, tome XI, livre XXIII(publi: 1730:1738), « De la peinture » (numéro livre XXIII, ch. 5) , p. 168 (fran)

Le fort de son pinceau a été la GRÂCE, c’est-à-dire ce je ne sai quoi de libre, de noble, et de doux en même tems, qui touche le cœur et qui réveille l’esprit. Quand il louoit et admiroit les ouvrages de ses confrères, ce qu’il faisoit fort volontiers, après avoir avoué qu’ils excelloient dans toutes les autres parties, il ajoutoit que la Grace leur manquoit, mais que pour lui cette qualité lui étoit échue en partage, et que personne ne pouvoit lui en disputer la palme. Ingénuité qui se pardonne aux hommes d’un vrai mérite, quand elle ne vient point d’orgueil et de fierté.

 

Turnbull, George, A Treatise on Ancient Painting(publi: 1740), p. 89 (anglais)

In fine, the quality which is pronounced by the Ancients most essential to good painting, is called by them Grace[1]. This we are told comprehends truth, beauty, ease, freedom, spirit, greatness, all these are necessary to it; yet it superadds something to them, which it is exceeding difficult to describe by words. We find by their accounts of it, that its greatest opposite is the κακοζηλον, or over-diligence in finishing. The pictures of Protogenes wanted grace, because he did not know when it was time to give over. It is extremely rare and difficult to give grace to a piece; and yet there is a certain air of negligence, says Cicero, that is a main ingredient in every kind of grace, as well as in that of dress. Simplicity is inseparable from it. It is far removed from superfluity and affectation. Whatever is graceful is likewise truly beautiful and great; yet grace is something distinct from both: for it is grace that distinguishes greatness from the rough and savage; and it is greatness, on the other hand, that supports beauty from degenerating into the languid and insipid. It is withal a mistake to imagine, that grace is peculiar to one character; on the contrary, each character hath its peculiar and distinguishing grace. Meekness hath its grace as well as majesty. Humility has its grace as well as magnanimity. Cheerfulness may be graceful; and fear itself frequently adds a very great beauty and grace. It results from the whole, and yet belongs to every part, the very folds of the draperies not excepted. But it is vain to attempt to define that charm which the Ancients themselves have pronounced so inexplicable by words. It may be clearly discerned, or rather felt in the works of Raphael, and in the antiques upon with that most perfect master of greatness and grace formed, or rather perfected his taste.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] See what is said in the notes on the second chapter of Apelles. And to the passages of Cicero and Quintilan referred to concerning the decorum, may be added what Cicero says (De Orat. l. I). Roscium sæpe audio dicere, caput esse artis docere ; quod tamen unum esse quod tradi arte non possit. See Quint. Inst. l. 8. c. 3. Virtus et gratia in omnibus operibus efflorescens, res est prorsus admiranda, et quamvis disertæ orationis vim exsuperans. Maxime quidem ideonea est conspici, omnibusque pariter idiotis, atque artium harum intelligentibus perspiciendam se præbet ; oratione tamen eam explicari etiam iis est arduum, qui plurimum dicendo valent. Quisquis itaque qualemcumque hanc vim explicari sibi verbis requirit, plurimarum quoque aliarum insignium atque ineffabilium rerum rationem pari jure postulabit. Quidnam videlicet in corporum pulchritudine vocamus ὥραν. Quid in mobili illa modulatione ac flexu vocum ἔυαρμοσον, quid in omni convenientia temporum sit τάχις atque ἔυρυθμον. In omni denique opere atque in omni re gerenda, quisnam sit ille qui dicitur χαιρόν, quemadmodum etiam τό μέτριον in quo consistat. Sensu enim horum singula, non oratione comprehenduntur. Dion. Halic. In Lysia.
 

Turnbull, George, A Treatise on Ancient Painting(publi: 1740), p. 20 (anglais)

He well knew the difference between nicety or concinnity, and true elegance; how necessary to grace and beauty, and the perfection of works of genius and fancy, ease, freedom, and the hiding of art and labour are: he had found the secret of discerning when to stop and lay aside his pencil; whereas Protogenes not knowing when to give over, his works appeared too laboured, and had not the spirit, ease, and grace, that are the great charms in painting: an important lesson in all the arts, and often applied by Cicero and Quintilian to oratory[1]. Now Raphael is praised for the same courteousness to his rivals, affability and communicativeness to all; the same readiness to commend whatever is excellent, and to learn from every one; the same ambition to be ever improving, without which any degree of self-confidence is insufferable arrogance. And what that grace means in which Apelles so greatly excelled all his competitors, can only be understood and learned from Raphael or Correggio’s works. For that je-ne-sçay-quoi of sweetness duely mixed with freedom and greatness, that at the same time touches the heart and sooths the imagination, cannot be defined by words or taught by rules; it is in a peculiar sense the gift of Nature, and can only be distinguish’d by the eye, and felt within one.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] In omnibus rebus videndum est quatenus; etsi enim suus cuique modus est, tamen magis offendit nimium quam parum. In quo Apelles Pictores quoque eos peccare dicebat, qui non sntirent quod esset satis. Cic. Orator n. 22

    Et ipsa emendation finem habet. Quint. Inst. Lib. 10. c. 4.

    Utilissima est dissimulata subtilitas, quae effectu apparet, habitu latet. Senec. In Pro lib. I. Contro.

 

Palomino, Antonio, Las Vidas de los pintores y estatuarios eminentes españoles que con fus heroycas obras, han ilustrado la Nacion(publi: 1742), “Gracia, o buona manera” (numéro Tomo I, Teórica della pintura, I, 9, 6) , vol. 1, p. 175-176 (espagnol)

La séptima, y última parte integral de la Pintura, es la gracia, buen gusto, o buena manera, que los antiguos llamaron Charites y Venus; de donde vino a llamarse venustas; que es cierta especie de hermosura, graciosa y deleitable, que no consiste precisamente en lo hermoso, en razón de simetría, o fisionomía; pues de Nerón se lee, que era de rostro hermoso, y perfecto, y no era el semblante grato, ni venusto; sino en una cierta, y oculta especie de belleza; que tanto puede pertenecer a lo hermoso, como a lo fiero, teniendo en aquella especie de forma, aquel linaje de perfección, y gracia, que le compete; lo cual es más fácil entenderlo, que definirlo: así como de una mujer, nada hermosa, se suele decir, que tiene un no sé qué, o un donaire, que a veces le falta a la más linda; y así más fácil es conocerlo, que esplicarlo. Definiólo elegantemente un ingenio, en esta cuarteta: 

El no sé qué de las lindas,

es un oculto primor,

que lo conocen los ojos,

y lo ignora la razón.

Y si esto pasa en términos de naturaleza, no será maravilla, que en el arte, émulo suyo, suceda lo mismo; pues ninguno de los autores ha encontrado la genuina, y legítima esencia de esta gracia, y donaire, oculta a el entendimiento, y manifiesta a el sentido. Demoncioso dice, que es una excelencia, que ninguno jamás pudo expresar con palabras. Fresnoy le llama nobleza, y hermosura de las Charites, o Gracias; don peregrino del hombre, más dado del cielo, que investigado con el arte. Junio dice, que es sin duda quien la copia de los preceptos más la entorpece, que la aviva. Schefero pretende explicarla, pero no definirla. Es, dice, una singular amabilidad de toda la Pintura, nacida del ingenio del artífice: (es esto imita a Junio) que todo lo ajusta a un bien templado deleite.

 

Desportes, Alexandre François,  "Sur l’utilité des Conférences", Conférence prononcée à l’Académie royale de peinture et de sculpture le 4 mai 1748(redac: 1748/05/04) (t. V, vol. 1), p. 119 (fran)

Si la grâce, qu’il possédait à un degré éminent et qu’il a répandue sur toutes ses productions, a réparé ce qui lui manquait du côté de la correction du dessein, Raphaël, qui réunissait ces deux perfections et qui, par le grand nombre des parties de la peinture dans lesquelles il excellait, s’est acquis parmi les peintres modernes le rang qu’Apelle tenait parmi les anciens, Raphaël, dis-je, avait encore un génie plus élevé et d’une plus vaste étendue.

 

Bellori, Giovanni Pietro, Descrizione delle Immagini dipinte da Rafaello d’Urbino nelle camere del Palazzo Vaticano, con alcuni ragionamenti in onore delle sue opere, e della pittura, e scultura(publi: 1751), « Dell’ingegno, eccellenza, e grazia di Raffaelle comparato ad Apelle », p. 226 (italien)

Il famoso Apelle, benché de’ più rari pregi della pittura fosse dotato, contuttociò di un dono suo proprio tanto si compiacque, che con esso facevasi superiore a ciascuno. Questo mirabilmente fu la grazia, ch’era in lui, e ch’egli inspirava alle sue figure: sicche non solo si fece uguale ad altri pittore, ma si contentò di cedere ad Anfione nella disposizione, ad Asclepiodoro nelle misure, e proporzioni, e a Protogene in altre eccellenze dell’arte solo a se stesso, come sua, riserbò la grazia inestimabile, e divina. Ora se noi vorremo paragonare gl’ingegni de’ nostri secoli a gli antichi, trovaremo che Raffaelle non fu punto dissimile ad Apelle, e che s’inalzò al pari di esso con la grazia, che sopra ogni altro infuse ne’ suoi colori, nel modo che per natura egli era graziosissimo nell’aspetto, e ne i costumi, e con essa ne’ suoi dipinti ritraea se stesso, onde il grazioso Raffaelle venne chiamato. E certamente al pittore non sono bastanti l’invenzione, il disegno, e’l colore, ne altro pregio alcuno più lodato, se a lui manca la grazia, per cui ad Apelle, e a Raffaelle cessero gli emuli loro le primi laudi: collaudatis omnibus, diceva l’istesso Apelle, deesse iis unam illam Venerem, dicebat, quam Greci Charita vocant, cætera omnia contingisse, sed hæc sola sibi neminem parem. Ma se Apelle incontrò al suo tempo chi gli andò del pari, e l’avanzò ancora in alcune parti, fuori della grazia, per questo pare che Raffaelle palesasse meglio il suo sublime ingegno; poichè oltre la grazia nella disposizione, o componimento delle figure, andò avanti a ciascuno de’ moderni, e ne riportò la palma. Così per lui, e nel suo secolo non ben pulito ancora uscì fuori l’invenzione nobile, e seconda accompagnata da gli affetti, e dal costume, nel modo che ammiriamo le sue immagini nelle Vaticane camere.

 

Caylus, Anne-Claude Philippe de Tubières, comte de, « Réflexions sur quelques chapitres du XXXVe livre de Pline » (publi: 1759, redac: 1752:1753), « Du caractère et de la manière des peintres grecs » (numéro t. XXV ; Troisième partie,) , p. 198 (fran)

Il dit ensuite d’Apelle, praecipua ejus in arte venustas fuit. La manière qui le rendit ainsi supérieur, consistoit dans la grace, le goût, la fonte, le beau choix ; et pour faire usage d’un mot qui réunisse une partie des idées que celui de venustas nous donne ; dans le morbidezza, terme dont les Italiens ont enrichi la langue des artistes. Quoiqu’il soit difficile de ne pas accorder des talents supérieurs à quelques-uns des peintres qui ont précédé celui-ci, il faut convenir que toute l’Antiquité s’est accordée pour faire son éloge ; la justesse de ses idées, la grandeur de son âme, son caractère enfin doivent avoir contribué à un rapport unanime. Il recevoit le sentiment du public pour se corriger, et il l’entendoit sans en être vu ; sa réponse au cordonnier devint un proverbe, parce qu’elle est une leçon pour tous les hommes ; ils sont trop portés à la décision et sont en même temps trop paresseux pour étudier. Enfin Apelle fut in aemulis benignus, et ce sentiment lui fit d’autant plus d’honneur, qu’il avoit des rivaux de grand mérite. Il trouvait qu’il manquait dans tous les ouvrages qu’on lui présentait, unam Venerem, quam Graeci charita vocant ; caetera omnia contigisse : sed hac sola sibi neminem parem. Il faut qu’il y ait eu une grande vérité dans ce discours, et qu’Apelle ait possédé véritablement les graces, pour avoir forcé tout le monde d’en convenir, après l’aveu qu’il en avoit fait lui-même. Cependant, lorsqu’il s’accordoit si franchement ce qui lui était dû, il disoit, avec la même vérité, qu’Amphion le surpassoit pour l’ordonnance, et Asclépiodore pour les proportions ou la correction. C’est ainsi que Raphaël, plein de justesse, de grandeur et de graces, parvenu au comble de la gloire, reconnaissoit dans Michel-Ange une fierté dans le goût du dessein qu’il chercha à faire passer dans sa manière, et cette circonstance achève de rendre complet le parallèle de Raphaël et d’Apelle.

 

Lacombe, Jacques, Dictionnaire portatif des beaux-arts ou abrégé de ce qui concerne l’architecture, la sculpture, la peinture, la gravure, la poésie et la musique(publi: 1752), art. « Apelle », p. 29 (fran)

Mais ce qui caracterisoit ses ouvrages, c’étoit la Grace et l’Elegance ; il avoit une touche libre, noble et gracieuse ; en un mot, ce je ne sçai quoi qui remue le cœur et reveille l’esprit. Ce talent est d’autant plus précieux, qu’il est très-rare que la nature seule l’accorde, et que l’art ne peut l’acquérir. Apelle connoissoit son mérite, il en parloit avec cette ingénuité qu’on admire dans les grands hommes ; d’ailleurs il avoit la bonne foi de convenir du talent des autres célèbres artistes, et de les mettre pour certaines parties au-dessus de lui. Apelle, outre cette Grace qui lui était propre, avoit aussi beaucoup de génie ; il inventoit facilement, et disposoit avec esprit et avec goût ; la nature sembloit conduire son pinceau, il en saisissoit toutes les expressions, toute la finesse, et jusqu’aux moindres nuances.

 

Caylus, Anne-Claude Philippe de Tubières, comte de, « De la peinture ancienne » (redac: 1753/11/10), 251-252 (fran)

Apelle fut doux et bon avec ses rivaux, et ce sentiment lui fit d’autant plus d’honneur qu’il avait des émules d’un grand mérite. Il trouvait qu’il manquait, dans tous les ouvrages qu’on lui présentait, une certaine Venus, mot que nous ne pouvons traduire que par celui de grâce et d’amour, et qu’il n’y avait que lui qui possédât. Il faut qu’il y ait eu une grande vérité dans ce discours et qu’Apelle ait supérieurement possédé les grâces pour que tout le monde en soit convenu, surtout après l’aveu qu’il en avait fait lui-même. Cependant, lorsqu’il s’accordait si franchement ce qui lui était dû, il convenait avec la même sincérité qu’Amphion le surpassait pour l’ordonnance, et Asclépiodore pour les proportions ou la correction. C’est ainsi que Raphaël, plein de justice, de grandeur et de grâce, parvenu au comble de la gloire, reconnaissait dans Michel-Ange une fierté dans le goût du dessein, qu’il chercha à faire passer dans sa manière, et cette circonstance suffirait pour admettre le parallèle de Raphaël et d’Apelle.

 

Caylus, Anne-Claude Philippe de Tubières, comte de, « De l’avantage des vertus de société »(redac: 1756/11/08), 467 (fran)

II n’est pas possible de douter qu’Apelle n’ait véritablement possédé les grâces. Les témoins les plus inté­ressés à démentir cette vérité en sont convenus, même après un aveu public qui devait plutôt les révolter que les persuader, mais tel est le charme de la vérité : elle ne redoute rien, elle ne craint rien et finit toujours par plaire, ou tout au moins par convaincre.

 

Caylus, Anne-Claude Philippe de Tubières, comte de, « De l’avantage des vertus de société »(redac: 1756/11/08), 467 (fran)

Apelle, très éloigné de recevoir des impressions pareilles, convenait qu’Amphion le surpassait pour l’ordonnance, et Asclépiodore pour les proportions ou la correction, mais avec la même sincérité, il disait que tous les ouvrages exécutés de son temps étaient dépourvus d’une certaine grâce, qu’on ne trouvait que dans les siens[1]. Ce jugement paraît d’abord l’effet d’un orgueil, non seulement aveugle, mais excessif. Cependant la réflexion nous apprend qu’il était fondé sur la plus grande vérité. II n’est pas possible de douter qu’Apelle n’ait véritablement possédé les grâces. Les témoins les plus intéressés à démentir cette vérité en sont convenus, même après un aveu public qui devait plutôt les révolter que les persuader, mais tel est le charme de la vérité : elle ne redoute rien, elle ne craint rien et finit toujours par plaire, ou tout au moins par convaincre.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Pline, Histoire naturelle, XXXV, 79.
 

Winckelmann, Johann Joachim, Von der Gratie in den Werken der Kunst(publi: 1759)(allemand)

Die Grazie ist das vernünftig Gefällige. Es ist ein Begriff von weitem Umfange, weil er sich auf alle Handlungen erstreckt. Die Grazie ist ein Geschenk des Himmels, aber nicht wie die Schönheit, denn er erteilt nur die Ankündigung und Fähigkeit zu derselben. Sie bildet sich durch Erziehung und Überlegung und kann zur Natur werden, welche dazu geschaffen ist. Sie ist ferne vom Zwange und gesuchten Witze; aber es erfordert Aufmerksamkeit und Fleiß, die Natur in allen Handlungen, wo sie sich nach eines jeden Talent zu zeigen hat, auf den rechten Grad der Leichtigkeit zu erheben. In der Einfalt und in der Stille der Seele wirkt sie und wird durch ein wildes Feuer und in aufgebrachten Neigungen verdunkelt. Aller Menschen Tun und Handeln wird durch dieselbe angenehm, und in einem schönen Körper herrscht sie mit großer Gewalt. Xenophon war mit derselben begabt, Thucydides aber hat sie nicht gesucht. In ihr bestand der Vorzug des Apelles, und des Correggio in neueren Zeiten, und Michelangelo hat sie nicht erlangt. Über die Werke des Altertums aber hat sie sich allgemein ergossen und ist auch in dem Mittelmäßigen zu erkennen.

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Winckelmann, Johann Joachim, Von der Gratie in den Werken der Kunst  , (trad: 1786)(trad: "De la grâce dans les ouvrages de l'art" par Jansen, Hendrick; Huber, Michael en 1786)(fran)(traduction ancienne d'un autre auteur)

La grace est ce qui plaît à l’esprit. L’idée de ce mot est fort étendue, puisqu’elle peut être appliquée à tout ce qui sort de la main de l’homme. La grace est un don du ciel, mais qui n’est pas de la même espèce que la beauté ; car elle ne fait qu’annoncer la disposition qu’ont les objets à être beaux. La grace se forme par l’éducation et par la réflexion ; elle peut même devenir naturelle à l’homme, qui semble fait pour la posséder. Elle fuit toute espèce d’affectation et de contrainte ; mais il faut cependant du travail et de l’attention pour parvenir à la connoître dans les productions de l’art. Elle agit dans le calme et dans la simplicité de l’ame ; tandis que le feu des passions et de l’imagination l’obscurcit. C’est par elle que toutes les actions et tous les mouvemens de l’homme deviennent agréables, et elle règne avec la plus grande puissance dans un beau corps. Xénophon en fut doué ; c’est par elle qu’Apelle et le Corrège ont embelli leurs chefs-d’œuvre ; elle est répandue généralement sur tous les ouvrages de l’antiquité, et s’y fait sentir même dans les productions médiocres ; mais Thucydide et Michel-Ange ne la connurent et ne la cherchèrent jamais.

 

Webb, Daniel, An Inquiry into the Beauties of Painting(publi: 1760), « Of Design »  (numéro Dialogue IV ) , p. 55-57 (anglais)

A – So far as a definition of Grace can go, yours give a just idea for it ; for it implies the highest degree of elegance in the choice ; of propriety in the application ; and of ease in the execution : you rightly term it an action, for there is no grace without motion. Thus, Milton distinguishes it from beauty. 

Grace was all her steps, heav’n in her eye.

Venus was but guessed at by her beauty, she was known by her motions – Vera incessu patuit Dea –but the perfection of Grace is, when it becomes characteristic[1] ; and marks some amiable emotion in the mind. Such, we may presume, was the excellence of Apelles[2], who, living at the same time with some of the greatest painters ; after he had seen and admired their several works, declared, that the only thing wanting in them was Grace ; that they possessed every other excellence ; but in this, he saw no one equal to himself.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Let us unite to these amiable expressions, a becoming air of the head, flexure of the body, and an elegant disposition of the limbs, we shall then have a clear conception of that correggiesque Grace, which it has so much puzzled our writers to explain. I have in my possession an excellent copy of the St. Jerome of Correggio, where one may see in the Angel, the Madonna, the Christ, and the Magdalen, so many distinct examples of this idea.
  • [2] Praecipua Apellis in arte venustas fuit, cum eadem aetate maximi pictores essent : quorum opera cum admiraretur, collaudatis omnibus, deesse iis unam illam Venerem dicebat, quam Graeci χαριτα vocant ; caetera omnia contigisse, sed hac soli sibi neminem parem. Plin. lib. XXXV. c. 10.
 

Hagedorn, Christian Ludwig von, Betrachtungen über die Malerei(publi: 1762), « Von dem Reize oder der Grazie insbesondere » (numéro I, 2) , p. 28-30 (allemand)

Mit einem Worte : die Anmuth in allgemeinem Verstande theilet sich allen, auch leblosen Geschöpfen und Werken mit, wenn der Künstler mit kluger Wahl zur Zusammenfügung des Gemäldes ihnen die gefälligste Seite abzusehen, oder solche durch Vortheile der Kunst zu erhöhen weiß. Sie zeiget sich ihm an dem Schwunge der Aeste und führet sein Auge auf den angenehmen Wurf eines Gewandes, und den mäßigen Bruch zufällig wohlgeordneter Falten. Hier bemerket er die zarte Untermischung der kleinern Theile ohne Störung der ganzen Partie, dort siehet er das wechselnde Spiel freiwallender Zweige und deren Verhältnisse gegen die übrigen Theile des Gemähldes. Er bauet damit ohne zu verbauen. In diesem Stücke giebt die Grazie das Gefällige beides den Theilen und dem Ganzen, der Anordnung wie der Ausführung, und siegend rufet sie in Kunstsälen den Kenner des Schönen zu sich.

Diesen weitesten Begriff der Grazie dürfen wir für die Ausübung der Kunst weder fahren lassen, noch, eines höchsten, aber zugleich eingeschränktesten Begriff wegen, den Künstler von der Beobachtung des Reizes in minderen Fällen entübriget halten. Der Reiz hat seine Stuffen ; aber der Sprache fehlt es vielleicht mehr an der Bestimmung, als an Worten, von dem guten Anstand und der Annehmlichkeit an, bis zur Anmuth und dem Reize, und bis zu derjenigen Holdseligkeit, die himmlischen Bildern eigenthümlich geworden. Was Quintilian gratia hieß, ward von dem älteren Plinius durch venustas gegeben : Apelles hat es zuerst venus genannt[1], und in seinen in der Geschichte unsterblichen Werken ausgedrücket. Dieses kann allerdings nur von der höhern Bedeutung der Grazie verstanden werden: in so weit die innern Bewegungen einer erhabenen und ihres himmlischen Ursprungs würdigen Seele mit der Schönheit der äusseren Bildung und der Wirksamkeit des Körpers[2] übereinstimmen, und deren Ausdruck durch die Nachahmung des Künstlers mit jener scheinbaren Leichtigkeit, die nichts als die ungezwungene Natur verräth, glücklich erreichtet wird. Nur nach diesem Begriffe würde ein Mahler, wie Apelles es noch ietzt wagen dürfen, die himmlische Venus des Plato zu schildern.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] S. Scheffers Graphice i.e. de arte pingendi liber singularis (Norim. 1669. 8.) §39. Dieses Werk eines Mannes, der, nebst der Gelehrsamkeit, auch Züge der Natur für die Mahlerey befaß, wird einigen Lesern auchalsdenn am angenehmsten sehn können, wenn es der Lesung des Junius (Dujon) de Pictura veterum, doch allenfalls mit Zuziehung dessen vortrefflichen Verzeichnisses der alten Künstler, vorangeschicket, und das Weitläuftige durchs kürzere erleichtert wird.
  • [2] Felibien Entretiens T. I. p. 31. (edit. de Paris 1685. 4.)
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Hagedorn, Christian Ludwig von, Réflexions sur la peinture, (trad: 1775), « De la grace en particulier » (numéro I, 2) , p. 24-26 (trad: " " par Huber, Michael en 1775)(fran)(traduction ancienne d'un autre auteur)

En un mot : la grace, dans le sens général, se communique à tous les êtres, aux êtres inanimés même, lorsque l’artiste, savant dans l’agencement de sa composition, fait saisir le côté le plus avantageux des objets, ou lorsque, pour produire le plus grand effet, il sait les faire valoir par les finesses de son art, précepte important pour le peintre de portrait. Elle se montre à lui dans les branches vigoureuses des arbres, elle conduit ses regards sur les déploiments agréables d’une drapperie et sur la rupture savante des plis heureusement disposés. Ici il remarque le tendre mélange des petites parties qui se font valoir sans troubler la composition entiere, là il contemple les branches variables des arbres et les rapports de leur feuillé relativement aux autres parties du tableau. Il construit son édifice avec ces matériaux, sans le charger d’ornements superflus. C’est alors que la grace répand ce je ne sais quoi qui plaît sur les parties et sur le tout, sur l’ordonnance et sur l’exécution : victorieuse elle appelle le connoisseur du beau dans les cabinets de l’art.

Gardons-nous donc, et de perdre de vue cette notion étendue de la grace par rapport à la pratique de l’art, et de dispenser l’artiste, à cause d’une idée plus haute, et en même tems plus restreinte de la grace, de rechercher le gracieux dans les moindres circonstances. La grace a ses degrés : mais sans doute les langues manquent plutôt de termes fixes que de mots généraux pour les marquer, à commencer par le bon air et la bonne mine, jusqu’au charme et à l’agrément, et de là jusqu’à cet attrait sublime, approprié aux êtres célestes. Ce que Quintilien appella Gratia, Pline le nomma Venustas. L’histoire de l’art nous apprend qu’Apelle fut le premier qui lui donna le nom de Venus[1], et qui l’imprima à ses ouvrages immortels. Mais ce que nous venons de dire de cette qualité ne peut être entendu que de la plus haute signification de la grace, qu’autant que les mouvements intérieurs d’une ame digne de son origine céleste, s’accordent avec la beauté de la configuration et de l’action extérieure du corps, et que l’artiste imitateur réussisse à rendre l’expression de ces mouvements avec cette facilité qui n’est que la pure et simple nature. Ce n’est qu’après avoir saisi cette idée qu’un peintre, marchant sur les traces d’Apelle, pouroit encore risquer de tracer les traits de la Venus céleste de Platon.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Voyez, Shefferi Graphice t. I. de arte pingendi liber singularis. Norimb. 1669 in 8. p. 39. Cet ouvrage d’un homme qui, avec un grand fonds d’érudition, décèle un goût naturel pour la peinture, ne sauroit manquer de faire plaisir aux curieux, s’ils veulent en entreprendre la lecture avant celle de Junius (Dujon) de Pictura veterum : dans le premier ils trouveront un abrégé de ce qui est discuté fort au long dans le second.
 

Algarotti, Francesco, Saggio sopra la pittura, saggio sopra l’Academia di Francia che è in Roma(publi: 1763), p. 136 (italien)

Benché Raffaello potesse vantarsi, come l’antico Apelle, a cui fu simile in tante altre parti, che non fu chi lo eguagliasse nella grazia[1] ; vi ebbe nondimeno per rivali il Parmigianino, e il Correggio. Ma l’uno ha oltrepassato il più delle volte i termini della giusta simmetria, l’altro nella gastigatezza del dintorno non è giusto a toccare il segno.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Praecipua eius (Apellis) in arte venustas fuit, cum eadem aetate maximi pictores essent : quorum opera cum admiraretur, collaudatis omnibus, deesse illam suam Venerem dicebat, quam Graeci Charita vocant : cetera omnia contigisse : sed hac sola sibi neminem parem. C. Plin. Nat. Hist. Lib. XXXV. Cap. X. Ingenio, et gratia, quam in se ipse maxime jactat, Apelles est præstantissimus. Quintil. Inst. Orat. Lib. XII cap. X.
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Algarotti, Francesco, Saggio sopra la pittura, saggio sopra l’Academia di Francia che è in Roma, p. 211-212 (fran)(traduction ancienne d'un autre auteur)

Quoique Raphaël pût se vanter de même que l’ancien Apelle à qui il ressemblait dans beaucoup de parties de n’avoir jamais été égalé par personne pour les grâces[1], il eut cependant le Parmesan et le Corrège pour rivaux. Le premier est sorti plusieurs fois des bornes d’une juste symétrie (proportion) et le second manque de cette grande pureté de dessin.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Praecipua ejus (Apellis) in arte venustas fuit, cum eadem aetate maximi pictores essent; quorum opera cum admiraretur, omnibus collaudatis deesse illam suam Venerem dicebat, quam Graeci Charita vocant; cetera omnia contigisse, sed hac sola sibi neminem parem. C. Plin. Nat. Hist. Lib. XXXV. Cap. X. Ingenio, et gratia, quam in se ipse maxime jactat, Apelles est præstantissimus. Quintil. Inst. Orat. Lib. XII cap. X.

Commentaires : Trad. Pingeron, 1769, p. 211-212

 

Winckelmann, Johann Joachim, Geschichte der Kunst der Altertums(publi: 1764, trad: 1766), p. 223 (allemand)

Es ist merkwürdig, daß der Vater dieser Grazie in der Kunst und Apelles, welchen sich dieselbe völlig eigen gemacht hat und der eigentliche Maler derselben kann genannt werden, so wie er dieselbe insbesondere allein, ohne ihre zwei Gespielinnen gemalt, unter dem wollüstigen ionischen Himmel und in dem Lande geboren sind, wo der Vater der Dichter einige hundert Jahre vorher mit der höchsten Grazie begabt worden war : denn Ephesus war das Vaterland des Parrhasius und des Apelles.

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Winckelmann, Johann Joachim, Geschichte der Kunst der Altertums, (trad: 1766) (vol. 2), p. 33 (trad: "Histoire de l'art chez les Anciens" par Sellius, Gottfried en 1766)(fran)(traduction ancienne d'un autre auteur)

On peut observer, comme une circonstance remarquable, que le pere de cette Grace dans l’art, et Apelles[1] qui peut en être nommé le fils, parce qu’il se l’est tout-à-fait appropriée et qu’il l’a peinte séparément sans ses deux compagnes[2], sont nés tous deux sous le ciel voluptueux de l’Ionie, dans ce même pays, où quelques siecles auparavant le pere des poëtes fut aussi favorisé de la Grace la plus sublime. Ephese étoit la patrie de Parrhasius et d’Apelles.

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Pausan. p. 781.
  • [2] Plin. Lib. XXXV. Cap. 10.

Commentaires : Trad. 1766, Histoire de l’art chez les Anciens, 1763, vol. 2, p. 33

 

Jaucourt, Louis de, Encyclopédie, art. « Peintres grecs », tome XII(publi: 1765)(fran)

Enfin Apelle fut in aemulis benignus, & ce sentiment lui fit d’autant plus d’honneur, qu’il avoit des rivaux d’un grand mérite. Il trouvoit qu’il manquoit dans tous les ouvrages qu’on lui présentoit, unam Venerem, quam Graci charita vocant ; catera omnia contigisse : sed hac solà sibi neminem parem. Il faut qu’il y ait eu une grande vérité dans ce discours, et qu’Apelle ait possédé véritablement les graces, pour avoir forcé tout le monde d’en convenir, après l’aveu qu’il en avoit fait lui-même. Cependant lorsqu’il s’accordoit si franchement ce qui lui étoit dû, il disoit avec la même vérité, qu’Amphion le surpassoit pour l’ordonnance, et Asclépiodore pour les proportions ou la correction. C’est ainsi que Raphaël, plein de justesse, de grandeur et de graces, parvenu au comble de la gloire, reconnoissoit dans Michel-Ange une fierté dans le goût du dessein qu’il chercha à faire passer dans sa maniere ; et cette circonstance peut servir au parallele de Raphaël et d’Apelle.

 

Jaucourt, Louis de, Encyclopédie, art. « Peintres grecs », tome XII(publi: 1765), p. 256 (fran)

Le même Pline, pour caractériser encore plus particulierement Apelle, dit de lui, præcipua ejus in arte venustas fuit. La maniere qui le rendit ainsi supérieur, consistoit dans la grace, le goût, la fonte, le beau choix, & pour faire usage d’un mot qui réunisse une partie des idées que celui de venustas nous donne, dans le morbidezza, terme dont les Italiens ont enrichi la langue des artistes. Quoiqu’il soit difficile de refuser des talens supérieurs à quelques-uns des peintres qui ont précédé celui-ci, il faut convenir que toute l’antiquité s’est accordée pour faire son éloge ; la justesse de ses idées, la grandeur de son ame, son caractere enfin, doivent avoir contribué à un rapport unanime.

 

Jaucourt, Louis de, Encyclopédie, art. « Peintres grecs », tome XII(publi: 1765), p. 255 (fran)

Apelle né l’an du monde 3672 ; il eut au degré le plus éminent la grace et l’élégance pour caractériser son génie, le plus beau coloris pour imiter parfaitement la nature, le secret unique d’un vernis pour augmenter la beauté de ses couleurs, et pour conserver ses ouvrages. Il se décéla à Protogene par sa justesse dans le dessein, en traçant des contours d’une figure (lineas) sur une toile. Il inventa l’art du profil pour cacher les défauts du visage. Il fournit aux Astrologues par ses portraits, le secours de tirer l’horoscope, sans qu’ils vissent les originaux. Il mit le comble à sa gloire par son tableau de la calomnie, et par sa Vénus Anadyomene, que les Poëtes ont tant célébrée, et qu’Auguste acheta cent talens, c’est-à-dire selon le P. Bernard ; environ vingt mille guinées, ou selon Mrs Belley et Barthelemi, 470000 liv. de notre monnoie. Enfin Apelle contribua lui seul plus que tous les autres artistes ensemble, à la perfection de la Peinture par ses ouvrages et par ses écrits, qui subsistoient encore du tems de Pline. Contemporain d’Aristote et d’Alexandre, l’un le plus grand philosophe, l’autre le plus grand conquérant qu’il y ait jamais eu dans le monde, Apelle est aussi le plus grand peintre.

 

Dictionnaire portatif des faits et dits mémorables de l’histoire ancienne et moderne, tome 2(publi: 1768), art. « Apelle », p. 119-120 (fran)

Après la mort de Protogène, Apelle fit un autre voyage à Rhodes, et vit le fameux tableau d’Ialise, que Protogène avoit été sept ans à peindre. Il en fut d’abord interdit d’admiration ; puis l’ayant encore examiné avec soin : « Le travail est grand, dit-il, et d’un excellent artiste ; mais la grace ne répond pas au travail. Si l’auteur avoit pu la lui donner, son ouvrage l’éleveroit aux cieux. »

Il y avoit de son temps plusieurs grands peintres dans la Gréce ; et comme il n’étoit jaloux des talens de qui que ce fût, il louoit volontiers les ouvrages de ces peintres ; il en faisoit même, avec plaisir, remarquer aux autres les beautés ; mais il ajoûtoit avec franchise, qu’il leur en manquoit une à tous ; celle que les Grecs appellent la charite, et dont un de nos poëtes a dit :

Et la grace plus belle encore que la beauté.

ce je ne sçais quoi sans qui la beauté n’est point belle, et que l’on sent et qu’on ne sçauroit définir, et sans laquelle l’éloquence et la poësie, ainsi que les autres arts n’atteignent jamais à leur but.

 

Falconet, Etienne, Traduction des XXXIV, XXXV et XXXVI livres de Pline l’Ancien, avec des notes(publi: 1772) (t. I ), p. 158-159 (fran)

Ce qui l’a principalement distingué, quoiqu’il y eut de très grands peintres de son tems, c’est une grâce particulière dans ses ouvrages. En même tems qu’il admiroit ceux de ses confrères, et qu’il leur donnoit à tous les louanges qu’ils méritoient, ils disoit qu’il leur manquoit une grâce (que les Grecs appellent Charita) ; qu’ils avoient tout le reste ; mais que pour cette partie il n’avoit point d’égal.

 

Nougaret, Pierre Jean Baptiste ; Leprince, Thomas , Anecdotes des beaux-Arts, contenant tout ce que la peinture offre de plus piquant chez tous les peuples du monde(publi: 1776) (t. I), p. 203 (fran)

Apelle louoit volontiers les talents de ses rivaux ; il se permettoit seulement de dire à leur sujet : « Ils réunissent toutes les perfections de la peinture ; mais il leur manque une partie essentielle, la grâce : dans celle-ci, je suis le seul qui n’ait point d’égal. »[1]

Note de bas de page de l'auteur :
  • [1] Et la grâce plus belle encore que la beauté … dit un de nos poètes modernes.
 

Arnaud, François,  Mémoire sur la vie et les ouvrages d’Apelle(redac: 1783/06/02) (III), p. 171-172 (fran)

Apelle avait cette simplicité de mœurs et de caractère, qui presque toujours accompagne le génie, et qui sied si bien à la supériorité ; il admirait sincèrement les talents des grands peintres de son siècle, le fini de Protogène, l’intelligence de Pamphile et de Mélanthe, la facilité d’Antiphile et la fécondité de Théon de Samos ; il avouait même qu’Amphion l’emportait sur lui pour la disposition et pour l’ordonnance, et Asclépiodore pour l’intelligence des plans, la dégradation des objets et tout ce qui concerne la perspective ; mais j’ai éminemment la grâce, disait-il avec la même franchise, et la grâce leur manque à tous. Par la grâce, il ne faut pas entendre ici seulement cette qualité, très précieuse sans doute, par qui tout s’anime et tout plaît, qui pare la négligence, fait pardonner les défauts et quelquefois même les fait aimer ; mais elle qui ne pouvant naître que de la beauté même et de la beauté parfaite, l’emporte encore sur son origine. Il y a loin du grâcieux à la grâce ; le gracieux peut appartenir à des formes très éloignées de la véritable beauté ; mais la grâce dont Apelle enrichit la peinture n’était pas seulement inséparable du beau, elle en était le complément et la perfection, ou plutôt c’en était la fleur.

 

Pauw, Cornélius de, Recherches philosophiques sur les Grecs(publi: 1788), « Considérations sur l’état des beaux-arts à Athènes », §2, « De l’Éthographie, et du choix des sujets dans les tableaux grecs » (numéro III, 7) , t. II, p. 88-89 (fran)

Quand Apelle s’arrogeoit ouvertement la gloire d’avoir répandu sur ses compositions plus de grâces que n’avoient fait avant lui tous les autres peintres de la Grèce, il devoit cet avantage en grande partie à la supériorité de ses talens, mais aussi en grande partie à l’heureux choix de ses sujets. Le tableau où il représenta Diane environnée d’un chœur de Nymphes sur le penchant du mont Taygète, étoit susceptible de tous les charmes et de toutes les richesses de son art : au milieu de tant de mortelles d’une beauté ravissante paroissoit une Déesse plus belle encore : on la reconnoissoit à son air majestueux, et on la reconnoissoit à sa taille ; car elle s’élevoit autant au dessus de ses compagnes, que le laurier s’élève au dessus des myrtes qui se plaisent le long de l’Eurotas. [1]

Voir aussi :
  • [1] voir aussi Apelle Diane
 

Watelet, Claude-Henri ; Levesque, Pierre-Charles, article « Peinture chez les Grecs »,  Encyclopédie méthodique. Beaux-Arts(publi: 1788:1791), p. 647 (fran)

Apelles étoit modeste, mais il n’avoit pas la modestie affectée dont on se pare sans tromper personne. Il reconnoissoit, il célébroit les talens de ses rivaux ; il avouait que les plus habiles d’entr’eux possédoient aussi bien que lui toutes les parties de l’art, excepté une seule ; la grace. Ce mérite qu’il s’attribuoit, lui a été accordé par tous ceux qui ont pu voir ses ouvrages. Il seroit difficile de refuser aux Grecs d’avoir été de bons juges dans cette partie.

 

Watelet, Claude-Henri ; Levesque, Pierre-Charles, Encyclopédie méthodique. Beaux-Arts(publi: 1788:1791), art. « Sculpture », « Sculpture chez les Grecs », p. 328 (fran)

Les artistes du beau style donnèrent à la grace un charme plus attrayant, et remplacèrent la fierté par l’aménité. C’étoit, dit Winckelmann, la fière Junon qui, pour être sûre de plaire, emprunte le ceste de Vénus. Il croit que les peintres furent les premiers à cultiver cette grace, que Parrhasius en fut le père, et qu’elle se communiqua sans réserve à Apelles. Les statuaires l’empruntèrent des peintres, et tous les ouvrages de Praxitèles se distinguèrent par la grace.