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TitreOpere
AuteursTasso, Torquato
Date de rédaction1562:1595
Date de publication originale1724
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, t. IV, p. 166-167

Tuttavolta egli non imita i simili, né i peggiori, ma i megliori, come dice Aristotele, ma non vole peravventura imitar gli ottimi ; e per giudizio di Platone nel Sofista, l’imitazione non è buona, né laudevole, s’ella non è simigliante alla cosa imitata ; però dell’imitazione, ch’egli chiama arte immaginaria, e fatitrice de’ simulacri, pone due spezie ; l’una, che fa l’opera, secondo la misura dell’esemplare, nella lunghezza, nella larghezza, e nella profundità, e la rassomiglia ancora colla convenevolezza de’ colori ; l’altra spezie finge, o dipinge l’opera secondo l’apparenza ; però alcune volte fa le membra superiori più picciole, che non si conviene, e l’inferiori più grandi ; perciocché quelle son riguardate di lontano, queste dappresso, ed in questa guisa, lasciando adietro la verità, accomoda a’ simulacri non le vere misure, ma quelle, che ci paiono più belle ; e questo artificio, per suo avviso, è simile all’arte de’ prestigatori, e fa quasi un fantasma, in cambio d’una immagine, e d’un rittrato, e se i pittori e i scultori sono sottoposti a questa opposizione, vi sono soggetti parimente i poeti, i quali fingono le persone maggiori dal vero. Non doveva dunque Omero imitare i migliori, ma i simili, cioè gli uomini come sono ; meno errò nondimeno imitando i migliori, che s’egli avesse imitato gli ottimi, i quali non si veggiono, né si ritrovano. Ma a questa opposizione assai acuta non consentì Senofonte, perocché egli nel formare il suo Ciro ebbe riguardo non alla verità delle cose, ma all’idea d’un Re eccellentissimo. Aristotile ancora nella Poetica si mostrò più favorevole all’opinione di Senofonte, lodando più i pittori ed i poeti che fingono i megliori ; anzi Platone istesso nel dialogo del Giusto e delle Leggi, par che non ripugna a questa più approvata sentenza, ricevendo l’epopeia, che è imitazione de’ migliori, e rifiutando la commedia, che de’ peggiori è imitazione.

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