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TitreDiscorsi poetici nella Accademia fiorentina in difesa d’Aristotile
AuteursBuonamici, Francesco
Date de rédaction
Date de publication originale1597
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, p. 45-47

Et ciò provano benissimo questi esempii, perche ancor che le cose rappresentate in se stesse sieno mostrose, et horribili, nondimeno per la rappresentazione si rimirano volentieri, che se le fusseno quell’istesse cose, o pure se conoscessino come cose, non come rappresentante, mettiero spavento. Per via d’esempio. Il drago che si rappresenta per San Giovanni se fusse il vero, e sbruffasse fuoco da vero, e sputasse veleno, saria fuggito, e se alcuno fusse tant’idiota, è necessario che credesse, che egli fusse vero sbigottito, s’ascenderebbe: che essendo imagine del vero, conosciuto per imagine, trahe a se li occhi del popolo. Sovienmi a questo proposito un caso avenuto a Vinci ne primi anni della creatione del Serenissimo Gran Duca Cosimo, il quale rimettendo insieme tutti li ordini della Repubblica, e chiamati, e richiamati molti huomini valorosi in ogni professione, e inviatone buona parte per Pisa per restaurarla, vi condusse Lionardo da Vinci pictore della sua età molto raro, e sculptore di chiara fama, e in quei tempi riordinate, e privilegiate le bande, tra li altri soldati fu messo nella banda un parente di Lionardo (capitan d’egli in Pisa) et avisandogli, come parente lo richiesse che gli dipignesse uno scudo, e vi inserisce qualche cosa bizzarra, egli lo dipinse leggiadramente, e nel mezzo vi figurò un nodo di serpenti tanto naturale, che per poco havrebbe ingannato huomo accorto, e per parergli bella pittura, accioché la si conservasse, gliene involse in uno fodero di cuioio, et in dandogliene, gli commesse che lo riguardasse: questo soldato per l’allegrezza d’haverlo avuto, e con spezanza di mostrarlo alla improvista ad una rassegna generale in presenza del Commissario, lo rispose in una sua camera alquanto buia; e lui lo lasciò stare fin che gli paresse tempo di farlo vedere. Al tempo non l’havendo mai più scoperto, se ne va tutto baldanzoso a questo suo scudo, e lo foderò con frutta, di subito gli si rappresentò quel nodo delle serpi; e a lui pare si naturale, che egli non lo distinguendo dal vero, tutto sbigottito e tremante se lo lascio cadere di mano, e diesi a fuggire. Ecco che bisogna discernere la cosa rappresentante dalla rappresentata, e far questa ricognizione dalla pittura, alla cosa che ella dimostra, come fece Enea, riconoscendo i fatti di Troia a Cartagine nelle porte del tempio, di che prese tanta dolcezza che s’intenerì, e prese speranza della sua salute.
En Priamus sunt hic etiam sua praemia laudi
Sunt lachrymae rerum, et mentem mortalia tangunt,
Solve metum, feret hoc aliquam tibi fama salutem.
Sic ait, atque animum pictura pascit inani.

E la battezza sottonome di ricognizione,
Agnoscit lachrymans,
e discorre, ecco quime
Se quoque principibus permissum agnovit Achivis.

Ne è da credere che Roscio piacesse, ne da per se, ne per la voce, ne per i concetti, ne con quell’habito in teatro, se non che pareva il popolo di vedere Agamemnone, o Achille, e se uno recitasse la sentenza d’un altro, che verbigratia parlasse co’l naso, nella sua maniera propria, non moverebbe a riso, ma se mentre che egli pronuntia la sentenza contrafacesse la di lui voce, si che si riconoscesse, quest’è la voce del tale, muoverebbe a riso. Talché l’imitazione è dilettevole, come imitazione: però imitandosi ne poemi, si prende diletto udengoli. Alle ragioni d’Aristotile s’oppone il C.V. e lasciate queste altre v’aggiugne. Percioché egli non approva la ragione di Aristotile, che volendo mostrare che la poesia habbia havuto origine dal diletto, che si prende dell’imitazione, usi quest’argomento: imitare è fare quel ch’altrui fa. Consciosia che se il poeta facesse quello che fece altri, non saria poeta, che vuol dire huomo d’invenzione, ma pieno di vanità, e tasserebbesi giustamente di furto. Di poi l’esempio preso dal pittore a mostrar’ com’imita il poeta, non è molto a proposito, avenendo il contrario al poeta, ch’al pittore: percioché allhora diletta la pittura, quando è di certa cosa, non quando d’incerta, perché è più faticoso il rappresentare Cosimo che un uomo (come si dice) a vanvera, però che a quello mancando pure una linea, non è più imagine di Cosimo, a somigliar un’uomo in generale è il suo arbitrio fingerne uno a sua fantasia. Il poeta non dura fatica a rappresentare il particolare, avendone la storia avanti, ma ben l’universale.

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, p. 117

E poiché siamo discorsi nel ragionamento de’ costumi, mi soviene al proposito della rappresentazione cercare onde nasca, che essendo le poesie introdotte dalle Republiche par purgare gli animi, e indirizzarli alla virtù, i recitatori, e rappresentatori siano per lo più di pessimi costumi ? Che tuttavia trafficando co’ poemi, ne quali s’insegna la via della virtù, e riducendoli in scena, e dovendo imitare con le parole e co’ movimenti del corpo azioni d’uomini valorosi, tanto più sarebbe necessario, che s’imprimesse il costume, perché volendo eglino muovere altri a riso, o a pianto, fa di mestiere, che prima si muovino eglino, acciò che muovendo loro noi, ci commoviamo con esso loro, e per usar l’esempio preso da Aristotele noi facciamo, come quando si sente la musica, che tacitamente noi cantiamo co’ cantanti, che convenghiamo con loro nel moto. Adunque i rappresentatori si deono muovere per muovere noi. Si vis me flere, dolendum est / Ipsi tibi, tunc tua fortuna me lædent.

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