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TitreLettera a m. Giorgio Vasari, nella quale si racconta i nomi, e l’opere de’più eccellenti artefici antichi in Pittura, in bronzo, et in marmo
AuteursAdriani, Giovanni Battista
Date de rédaction1567
Date de publication originale1568
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(t. I), p. 200

Antifilo di cui è molto lodato un fanciullo che soffia nel fuoco tale che tutta una stanza se ne alluma, medesimamente una bottega di lana dove si veggono molte femmine in diverse maniere sollecitar ciascuna il suo lavoro, uno Tolommeo in caccia et un Satiro bellissimo con pelle di pantera indosso.

Dans :Antiphilos, L’Enfant au brasero(Lien)

(t. I), p. 192-193

Dipinse ancora a quelli di Efeso nel tempio della lor Diana un Alessandro Magno con la saetta di Giove in mano, le dita della quale pareva che fussero di rilievo e la saetta che uscisse fuor della tavola, e ne fu pagato di moneta d’oro non a novero, ma a misura.

Dans :Apelle, Alexandre au foudre(Lien)

(t. I), p. 192

Dipinse con un nuovo modo Antigono re che l’uno degl’occhi aveva meno, in maniera che il difetto della faccia non apparisse, perciò che egli lo dipinse vol viso tanto vòlto, quanto bastò a celare in lui quel mancamento, non parendo però difetto alcuno nella figura.

Dans :Apelle, le portrait d’Antigone(Lien)

, p. 194

Trovò nell’arte molte cose e molto utili, le quali giovarono molto a quegli che dipoi le appararono. Questo non si trovò giamai dopo lui chi lo sapesse adoperare, e questo fu un color bruno, o vernice che si debba chiamare, il quale egli sottilmente distendeva sopra l’opre già finite; il quale con la sua riverberazione destava la chiarezza in alcuni de’ colori e gli difendeva dalla polvere, e non appariva se non da chi ben presso il mirava; e ciò faceva con isquisita ragione, acciò che la chiarezza d’alcuni accesi colori meno offendessero la vista di chi da lontano, come per vetro, le riguardasse, temperando ciò col più e col meno, secondo giudicava convenirsi. [[4:suite : Aristide]]

Dans :Apelle, atramentum(Lien)

(t. I), p. 193

Dipinse ancora a pruova con certi altri pittori un cavallo, dove, temendo del giudizio degli uomini, et insospettito del favore de’ giudici inverso i suoi avversarii, chiese che se ne stesse al giudizio de’ cavagli stessi ; et essendo menati i cavalli d’attorno a’ ritratti di ciascuno, ringhiarono a quel d’Apelle solamente – il qual giudizio fu stimato verissimo.

Dans :Apelle, le Cheval(Lien)

, p. 193

Fu bello anco di lui una Diana secondo che la dipinse in versi Omero, e pare che il dipintore in questo vincesse il poeta.

Dans :Apelle, Diane(Lien)

(t. I), p. 191

Fu inoltre molto piacevole et alla mano, e per questo oltre a modo caro ad Alessandro Magno, talmente che quel re lo andava spesso a visitare a bottega, prendendo diletto di vederlo lavorare et insieme d’udirlo ragionare. Et ebbe tanto di grazia e di autorità appresso a questo re, benché stizzoso e bizzarro, che ragionando esso alcune volte della arte di lui meno che saviamente, con bel modo gl’imponeva silenzio, mostrandoli i fattorini che macinavano i colori ridersene. Ma quale Alessandro lo stimasse nell’arte si conobbe per questo, che egli proibì a ciascuno dipintore il ritrarlo fuori che ad Apelle. [[4:suite : Apelle et Campaspe]]

Dans :Apelle et Alexandre(Lien)

(t. I), p. 191-192

[[4:suit Apelle et Alexandre]] E quanto egli lo amasse et avesse caro si vide per questo altro, perchiò che, avendoli imposto Alessandro che gli ritraesse nuda Cansace, una la più bella delle sue concubine, la quale esso amava molto, et accorgendosi per segni manifesti che nel mirarla fiso Apelle s’era acceso della bellezza di lei, concedendoli Alessandro tutto il suo affetto, gnene fece dono, senza aver riguardo anco a lei, che, essendo amica di re e di Alessandro re, le convenne divenire amica d’un pittore. Furono alcuni che stimarono che quella Venere Dionea tanto celebrata fusse il ritratto di questa bella femmina.

Dans :Apelle et Campaspe(Lien)

(t. I), p. 191

Ebbe questo artefice in costume di non lasciar mai passare un giorno solo che almeno non tirasse una linea et in qualche parte esercitasse l’arte sua ; il che poi venne in proverbio. Usava egli similmente mettere l’opere sue finite in pubblico et appresso star nascoso ascoltando quello che altri ne dicesse, estimando il vulgo d’alcune cose essere buon conoscitore e poterne ben giudicare. Avvene, come si dice, che un calzolaio accusò in una pianella d’una figura non so che difetto, e conoscendo il maestro che e’ diceva il vero, la racconciò. Tornando poi l’altro giorno il medesimo calzolaio e vedendo il maestro averli creduto nella pianella, cominciò a voler dire non so che di una delle gambe ; di che sdegnato Apelle et uscendo fuori disse proverbiandolo che a calzolaio non conveniva giudicar più su che la pianella ; il qual detto fu anco accettato per proverbio. [[4:suite: Apelle et Alexandre]]

Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)

(t. I), p. 190-191

Fu costui[[5:Apelle.]] non solamente nell’arte sua eccellentissimo maestro, ma d’animo ancora semplicissimo e molto sincero, come ne fa fede quello che di lui e di Protogene dicono essere avvenuto. Dimorava Protogene nell’isola di Rodi sua patria, dove alcuna volta venendo Apelle con desiderio grande di vedere l’opere di lui, che le udiva molto lodare et egli solamente per fama lo conosceva, dirittamente si fece menare alla bottega dove ei lavorava, e giunsevi appunto in tempo che egli era ito altrove; dove, entrando Apelle, vide che egli aveva messo su una gran tavola per dipignerla, et insieme una vecchia sola a guardia della bottega, la quale, domandandola Apelle del maestro, rispose lui essere ito fuore. Domandò ella lui chi fusse quegli che ne domandava. “Questi”, rispose tostamente Apelle, e preso un pennello tirò una linea di colore, sopra quella tavola, di maravigliosa sottigliezza, et andò via. Torna Protogene, la vecchia gli conta il fatto, guarda egli, e considerata la sottigliezza di quella linea, s’avisò troppo bene ciò non essere opera d’altri che di Apelle, ché in altri non caderebbe opera tanto perfetta ; e preso il pennello, sopra quella istessa d’Apelle, d’altro colore ne tirò un’altra più sottile, e disse alla vecchia : “Dirai a quel buono uomo, se ci torna, mostrandoli questa, che questi è quegli che ei va cercando”. E così non molto poi, avvenne che tornato Apelle et udito dalla vecchia il fatto, vergognando d’esser vinto, con un terzo colore partì quelle linee stesse per lungo il mezzo, non lasciando più luogo veruno ad alcuna sottigliezza; onde tornando Protogene e considerato la cosa e confessando d’esser vinto, corse al porto cercando d’Apelle e seco nel menò a casa. Questa tavola, senza altra dipintura vedervisi entro, fu tenuta degna per questo fatto solo d’esser lungo tempo mantenuta viva, e fu poi come cosa nobile, portata a Roma e nel palazzo degli Imperadori veduta volentieri da ciascuno e sommamente ammirata, e più da coloro che ne potevano giudicare, tuttoché non vi si vedesse altro che queste linee tanto sottili, che poi appena si potevano scorgere ; e fra le altre opere nobilissime fu tenuta cara, e per quello istesso che entro altro non vi si vedeva, allettava gli occhi de’ riguardanti. [[4:suite: Apelle et cordonnier]]

Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)

(t. I ), p. 190

Fu costui[[5:Apelle.]] maraviglioso nel fare le sue opere graziose, et avengaché al suo tempo fussero maestri molto eccellenti – l’opere dei quali egli soleva molto commendare et ammirare –, nondimeno a tutti diceva mancare quella leggiadria, la quale da’ Greci e da noi è chiamata grazia, nell’altre cose molti essere da quanto lui, ma in questo non aver pari. 

Dans :Apelle supérieur par la grâce(Lien)

(t. I), p. 36

Ebbero gran nome alcune imagini da lui fatte di persone che morivano ; ma fra le molte sue e molto lodate opere, qual fosse la più perfetta non si sa così bene.

Dans :Apelle et les mourants(Lien)

(t. I), p. 190

[[4:suit Apelle grâce]] Di questo altro si dava egli anche vanto che, riguardando i lavori di Protogene con maraviglia di fatica grande e di pensiero infinito, e commendandoli oltre a modo, in tutti diceva averlo pareggiato, e forse in alcuna parte essere da lui vinto, ma in questo senza dubbio essere da più, perciò che Protogene non sapeva levar mai la mano d’in sul lavoro. Il che, detto da cotale artefice, si vuole avere per ammaestramento, che spesse fiate nuoce la soverchia diligenza.  [[4:suite : Apelle et Protogène]]

Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)

(t. I), p. 192

Augusto Cesare consagrò al tempio di Giulio suo padre quella Venere nobilissima, ch’è per uscir del mare e da quell’atto stesso fu chiamata Anadiomene, la quale da’ poeti greci fu mirabilmente celebrata et illustrata, alla parte di cui che s’era corrotta, non si trovò chi ardisse por mano ; il che fu grandissima gloria di cotal artefice. [[4:suite : Apelle Vénus inachevée]]

Dans :Apelle, Vénus anadyomène (Lien)

(t. I), p. 192

Egli medesimo cominciò a quelli di Coo un’altra Venere, e ne fece il volto e la parte sovrana del petto, e si pensò, da quel che se ne vedeva, che egli arebbe e quella prima Dionea e se stesso in questa avanzato. Morte così bella opera interroppe, nè si trovò poi chi alla parte disegnata presumesse aggiugner colore.

Dans :Apelle, Vénus inachevée(Lien)

(t. I ), p. 194

Al medesimo tempo fu Aristide tebano, il quale, come si dice, fu il primo che dipignesse l’animo e le passioni di quello. Fu alquanto più rozzo nel colorire. Ebbe gran nome una tavola di costui, dove era ritratto, fra la strage d’una terra presa per forza, una madre, la quale moriva di ferite, et appresso aveva il figliuolo che carpone si traeva alla poppa, e nella madre pareva temenza che ’l figliuolo non bevesse con il latte il sangue di lei già morta. Questa tavola, estimandola bellissima, fece portare in Macedonia a Pella sua patria Alessandro Magno.

Dans :Aristide de Thèbes : la mère mourante, le malade(Lien)

(t. I ), p. 184

[…] perciò che e’ si dice essere stata molto in pregio una tavola dove era dipinta una battaglia de’ Magneti con sì bella arte, che Candaule re di Lidia l’aveva comperata altro e tanto peso d’oro, il che venne a essere intorno alla età di Romolo primo fondatore di Roma e primo re de’ romani, che già era cotale arte in tanta stima. 

Dans :Bularcos vend ses tableaux leur poids d’or(Lien)

(t. I), p. 204-205

Il primo che si dice aver ritratto di terra fu Dibutade Sicionio, che faceva le pentole in Corinto, e ciò per opera d’una sua figliuola, la quale, essendo innamorata d’un giovane che da lei si doveva partire, si dice che a lume di lucerna con alcune linee aveva dipinta l’ombra della faccia di colui cui ella amava, dentro alla quale poi il padre, essendoli piaciuto il fatto et il disegno della figliuola, di terra ne ritrasse l’imagine, rilevandola alquanto dal muro ; e questa figura poi asciutta, con altri suoi lavori, mise nella fornace. E dicono che la fu consecrata al tempio delle Ninfe, e che ella durò poi insino al tempo che Mummio consolo romano disfece Corinto.

Dans :Dibutade et la jeune fille de Corinthe(Lien)

(t. I), p. 202

Marzia di Marco Varrone nella sua giovanezza adoperò il pennello e ritrasse figure, massimamente di femmine e la sua istessa dallo specchio ; e, secondo si dice, niuna mano menò mai più veloce pennello e trapassò di gran lunga Sopilo e Dionisio pittori della sua età, i quali di loro arte molti luoghi empierono et adornarono. Dipinse anco una Olimpiade della quale non rimase altra memoria se non ch’ella fu maestra di Antobulo.

Dans :Femmes peintres(Lien)

(t. I), p. 197

Fu anco poi all’età di Augusto un Ludio, il primo che cominciasse a dipignere per le mura con piacevolissimo aspetto ville, logge, giardini, spalliere fronzute, selve, boschetti, vivai, laghi, riviere, liti e piacevoli imagini di viandanti, di naviganti, di vetturali, ed altre simili cose in bella prospettiva, altri che pescavano, cacciavano, vendemmiavano, femmine che correvano, e, fra queste molte piacevolezze e cose da ridere mescolate.

Dans :Ludius peintre de paysages et la rhopographia(Lien)

(t. I), p. 208

Quasi alla medesima età fu anco celebrato infinitamente Mirone per quella bella giovenca che egli formò di bronzo, la quale fu in versi lodati molto commendata.

Dans :Myron, la Vache(Lien)

(t. I), p. 183

Dicesi adunche, lasciando stare gli Egizii dei quali non è certezza alcuna, in Grecia la pittura avere avuto suo principio ; alcuni dicono in Sicione et alcuni in Corinto, ma tutti in questo convengono ciò essersi fatto prima semplicemente con una sola linea circondando l’ombra d’alcuno, e dipoi con alcuno colore con alquanto più di fatica ; la qual maniera di colore è stata, come semplicissima, in uso et ancora è.

Dans :Les origines de la peinture(Lien)

(t. I ), p. 187

[…] a giudizio d’ogni uomo a llui si concesse la gloria del bene et interamente finire e nelli ultimi termini far perfette le sue figure, perciò che in cotale arte questo si tiene che sia la eccellenza. Dipignere bene i corpi et il mezzo delle cose è bene assai, ma dove molti sono stati lodati ; terminare e finir bene e con certa maestria rinchiudere dentro a se stessa una figura, questo è rado e pochi si sono trovati li quali in ciò sieno stati da commendare, perciò che l’ultimo d’una figura debbe chiudere se stesso talmente che ella spicchi dal luogo dove ella è dipinta, e prometta molto più di quello che nel vero ella ha e che si vede ; e cotale onore li diedero Antigono e Senocrate, i quali di cotale arte e delle opere della pittura ampiamente trattarono, non pure lodando ciò in lui e molte altre cose, ma ancora celebrandonelo oltre a modo. Rimasero di lui e di suo stile in carte et in tavole alcune adombrate figure, con le quali non poco si avanzarono poscia molti di cotale arte. Egli, come poco fa dicemo, fu tale nel bene et interamente finire l’opere sue, che paragonato a se stesso, nel mezzo di loro apparisce molto minore.

Dans :Parrhasios et les contours(Lien)

(t. I), p. 188

Ebbero gran fama due figure di lui armate, l’una che in battaglia correndo pareva che sudasse, e l’altra che per stanchezza ponendo giù l’arme pareva che ansasse.

Dans :Parrhasios, les Hoplites(Lien)

(t. I), p. 188

Valse ancora molto nel ben parlare, ma fu superbo oltre a misura lodando se stesso arrogantemente e l’arte sua, chiamandosi per sopranome or Grazioso et ora con cotali altri nomi dichiarante lui essere il primo e convenirsegli il pregio di quell’arte e d’averla condotta a somma perfezzione, e sopratutto d’essere disceso da Apollo ; e che l’Ercole, il quale egli aveva dipinto a Lindo città di Rodi, era tal e quale egli diceva più volte essergli apparito in visione.

Dans :Parrhasios : orgueil(Lien)

(t. I), p. 187-188

Dipinse con bellissima invenzione il genio, e come sarebbe a dire, sotto una figura stessa la natura del popolo ateniese quale ella era, dove in un subietto medesimo volle che apparisse il vario, l’iracondo, il placabile, il clemente, il misericordioso, il superbo, il pomposo, l’umile, il feroce, il timido e’ l fugace, che tale era la condizione e natura di quel popolo.

Dans :Parrhasios, Le Peuple d’Athènes(Lien)

(t. I), p. 198

Fece questo artefice medesimo alcune altre opere molto magnifiche, come fu un sacrificio di buoi – del quale se ne adornò in Roma la loggia di Pompeo Magno –, all’eccellenza della quale l’opera et all’invenzione si sono provati d’arrivare molti, ma niuno vi aggiunse giamai. Egli primieramente volendo mostrare con bella arte la grandezza d’un bue, lo dipinse non per lo lungo, ma in iscorcio in tal maniera che la lunghezza vi appariva giustissima ; e poi, conciosiaché tutti coloro che vogliono far parere in piano alcuna cosa di rilievo adoperino color chiaro e bruno mescolandoli insieme con certa ragione e proporzione, egli lo dipinse tutto di color bruno, e del medesimo fece apparir l’ombre del corpo : grande arte certamente nel piano far parere le cose di rilievo, e nel rotto intere.

Dans :Pausias, le Bœuf(Lien)

, p. 515-516

Potrebbe essere che questo nome di Pannone fosse corretto in Pausone, ancorché io sia d’opinione che più presto voglia dire Pausia che Pannone o Pausone attento che Plinio fa menzione di molti eccellenti pittori, fra li quali parla di Pausia Sicionio, chiamato così dalla patria, che per lungo tempo, come il medesimo Plinio testifica, fu chiamata patria della pittura ; e tanto più lo credo, sapendo che Pausia si dilettava di depingere in tavolette, sì come nel portico di Pompeo dipinse i sacrifici de’ bovi. Scrisse parimente fra l’altre opere sue una battaglia a cavallo, fece medesimamente un’altra figura in Efeso, nella qual era un Ulisse che finse d’esser pazzo mettendo ad un giogo un bue et un cavallo. Che questo Pausia si dilettasse di dipingere tavole lo testifica il medesimo Plinio, parlando delle ghirlande, così dicendo : « Quando si facevano di fiori, percioché quelli erano intrecciati, allora si chiamavano serve ; ma ciò non è molto antico apresso de’ Greci, i quali usorono prima far ghirlande di rami d’arbori ne’ giuochi sacri, poi cominciorono a variare con misture di fiori, e la città di Sicione cominciò ad accendere i colori e gli odori de’ fiori, e ciò nacque dall’ingegno di Pausia pittore e di Glicera facitrice di ghirlande, alla quale egli volle grandissimo bene, percioché egli nell’opera e componimenti delle sue ghirlande con la pittura l’imitava, et ella, provocandolo, si ingegnava di variare ; così veniva a esser un contrasto dell’arte e della natura.

Dans :Pausias et la bouquetière Glycère(Lien)

, p. 197-198

Pare che fosse[[5:Pausia Sicionio.]] il primo che cominciò a dipignere per le case i palchi e le volte : il che innanti non s’era usato. Dipigneva costui per lo più tavolette picciole, e massimamente fanciulli ; il che i suoi avversarii dicevano farsi da lui, perciò che quel modo di lavorare era molto lungo, onde egli per acquistare nome di sollecito e presto dipintore, quando voglia o bisogno gliene venisse, fece in un giorno solo una tavola, la quale da questo fu chiamata « il lavoro d’un solo giorgno », entrovi un fanciul dipinto molto bello.

Dans :Pausias, L’Hémérésios(Lien)

, p. 183-184

[[4:Suit : Origines de la peinture]] I primi, che in questa si esercitarono si truova essere stato Ardice da Corinto, e Telefane Sicionio, li quali, non adoperando altro che un color solo ombravano le lor figure dentro con alcune linee. E perciò che, essendo l’arte loro ancor rozza e le figure d’un color solo, non bene si conosceva di cui elle fussero imagini, ebbero per costume di scrivervi a piè chi essi avevano voluto rassembrare.

Dans :Peintres archaïques : « ceci est un bœuf »(Lien)

, p. 197

Furono al medesimo tempo alcuni altri, che, partendosi da quella maniera grande di questi detti di sopra, esercitarono l’ingegno e l’arte in cose molto più basse, ma che furono tenute in pregio assai né meno stimate delle altre. Tra i quali fu Pireo che dipigneva e ritraeva botteghe di barbieri, di calzolai, taverne, asini, lavoratori, e così fatte cose, onde egli trasse il soprannome, che si chiamava il « dipintore delle cose basse » ; le quali nondimeno, per essere lavorate con bella arte, non erano stimate meno che le magnifiche e le onorate. Altri fu chi dipinse molte bene le scene delle commedie, e da questo ebbe nome, et altri altre diverse cose, variando assai dalli gravi e celebrati pittori, non senza grande utile loro, e diletto altrui. [[4:suite : Ludius]]

Dans :Piraicos et la rhyparographie(Lien)

, p. 211

Vidonsi di lui parimente due bellissime figure, l’una rassembrante una onesta mogliera che piangeva, e l’altra una femmina di mondo che rideva (e’ si crede che questa fusse quella Frine famosissima meretrice), e nel volto di quella onesta donna pareva l’amore che ella portava al marito et in quello della disonesta femmina l’ingordo prezzo che ella chiedeva agli amanti.

Dans :Praxitèle, Vénus de Cnide(Lien)

, p. 219

Ma fra le molte eccellenti, e non solo di Prassitele ma di qualunche altro maestro singolare in tutto il mondo, è più chiara e più famosa quella Venere la qual sol per vedere e non per altra cagione alcuna molti di lontano paese navigavano in Gnido. Fece questo artefice due figure di Venere, l’una ignuda e l’altra vestita, e le vendè un medesimo pregio ; la ignuda comperarono quei di Gnido, la quale fu tenuta di gran lunga migliore e la quale Nicomede re volle da loro comperare offerendo di pagare tutto il debito che aveva il lor comune, che era grandissimo ; i quali elessero innanzi di privarsi d’ogni altra sustanza e rimaner mendichi che di spogliarsi di così bello ornamento : e fecero saviamente, perciò che quanto aveva di buono quel luogo, che per altro non era in pregio, lo aveva da questa bella statua. La cappelletta dove ella si teneva chiusa si apriva d’ogn’intorno, talmente che la bellezza della dea, la quale non aveva parte alcuna che non movesse a maraviglia, si poteva per tutto vedere. Dicesi che fu chi, innamorandosene, si nascose nel tempio e che l’abbracciò, e che del fatto ne rimase la macchia la quale poi lungo spazio si parve.

Dans :Praxitèle, Vénus de Cnide(Lien)

, p. 195

Questa figura di Protogene fu quella che difese Rodi da Demetrio re il quale fieramente con grande esercito la combatteva, perciò che potendo agevolmente prendere la terra dalla parte dove si guardava questa tavola, che era luogo men forte, dubitando il re che la non venisse arsa nella furia de’ soldati, volse l’impeto dell’oste altrove, et intanto gli trappassò l’occasione di vincere la terra. Stavasi in questo tempo Protogene in una sua villetta quasi sotto le mura della città, cioè dentro alle forze di Demetrio e nel suo campo, nè per combattere che si facesse, nè per pericolo che e’ portasse, lasciò mai di lavorare. E chiamato una fiata dal re e domandato in su che egli si fidasse, che così gli pareva star sicuro fuor delle mura, rispose perciò che egli sapeva molto bene che Demetrio aveva guerra con i Rodiani, e non con le arti. Fece Demetrio, piacendogli la risposta di questo artefice, guardare ch’e’ non fusse da alcuno noiato e offeso. E perché egli non si avesse a scioperare, spesso andava a visitarlo ; e, tralasciata la cura delle armi e dell’oste, molte volte stava a vederlo dipignere fra i romori del campo et il percuotere delle mura. E quinci si disse poi che quella dipintura, che egli allora aveva fra mano, fu lavorata sotto il coltello. [[4:suite : Protogène Satyre]]

Dans :Protogène et Démétrios(Lien)

, p. 195

Fu diligente molto, e nel dipignere tardo e fastidioso né così bene in esso si sodisfaceva. Il vanto delle sue opere porta lo Ialiso, il quale insino al tempo di Vespasiano imperadore si guardava ancora a Roma nel tempio della Pace. Dicono che nel tempo che egli faceva cotale opera non mangiò altro che lupini dolci, sodisfacendo a un tempo medesimo con essi alla fame et alla sete per mantenere l’animo et i sensi più saldi e non vinti da alcuno difetto. Quattro volte mise colore sopra colore a questa opera, riparo contro alla vecchiezza e schermo contro al tempo, acciò consumandosi l’uno succedesse l’altro di mano in mano. Vedevasi in questa tavola stessa un cane di maravigliosa bellezza fatto da l’arte et insieme dal caso in cotal modo. Voleva egli ritrarre intorno alla bocca del cane quella schiuma, la quale fanno i cani faticati et ansanti, né poteva in alcun modo entro sodisfarvisi : ora scambiava pennello, ora con la spugna scancellava i colori, ora insieme gli mescolava, che arebbe pur voluto che ella uscisse della bocca dell’animale, e non che la paresse di fuora appiccata ; nè si contentava in modo veruno, tanto che, avendovi faticato intorno molto, né riuscendogli meglio l’ultima volta che la prima, con istizza trasse la spugna che egli aveva in mano piena di quei colori nel luogo stesso dove egli dipigneva. Maravigliosa cosa fu a vedere : quello, che non aveva potuto fare con tanto studio e fatica d’arte, lo fece il caso in un tratto solo. Percio che quelli colori vennero appiccati intorno alla bocca del cane di maniera che ella parve proprio schiuma che di bocca gli uscisse. Questo stesso dicono essere avvenuto a Nealce pittore nel fare medesimamente la schiuma alla bocca d’un cavallo ansante, o avendolo apparato da Protogene, o essendoli avvenuto il caso medesimo. [[4:suite : Protogène et Démétrios]]

Dans :Protogène, L’Ialysos (la bave du chien faite par hasard)(Lien)

, p. 196

[[4:suit Protogène Ialysos]] E quinci si disse poi che quella dipintura che egli allora aveva fra mano, fu lavorata sotto il coltello. E questo fu quel Satiro di maravigliosa bellezza, il quale, perciò che egli appogiandosi a una colonna si riposava, ebbe nome “il Satiro riposantesi” ; il quale, quasi nullo altro pensiero lo toccasse, mirava fiso una sampogna che egli teneva in mano. Sopra a quella colonna aveva anco quel maestro dipinta una quaglia tanto pronta e tanto bella, che non era alcuno che senza maraviglia la riguardasse : alla quale le dimestiche tutte cantavano invitandola a combattere.

Dans :Protogène, Satyre et parergia(Lien)

, p. 188-189

In Timante, il quale fu al medesimo tempo[[5:di Parrasio.]], si conobbe una molto benigna natura ; di cui intra le altre ebbe gran nome – e che è posta da quegli che insegnono l’arte del ben dire per essempio di convenevolezza – una tavola dove è dipinto il sacrificio che si fece di Ifigenia figliuola di Agamennone la quale stava dinanzi allo altare per dover essere uccisa dal sacerdote, d’intorno a cui erano dipinti molti che a tal sacrificio intervenìeno e tutti assai nel sembiante mesti, e fra gli altri Menelao zio della fanciulla alquanto più degli altri ; né trovando nuovo modo di dolore che si convenisse a padre in così fiero spettacolo, avendo negli altri consumato tutta l’arte, con un lembo del mantello gli coperse il viso, quasi che esso non potesse patire di vedere sì orribile crudeltà nella persona della figliuola, ché così pareva che a padre si convenisse. Molte altre cose ancora rimasero di sua arte, le quali lungo tempo fecero fede della eccellenzia dello ingegno e della mano di lui, come fu un Polifemo, in una picciola tavoletta, che dorme ; del quale volendo che si conoscesse la lunghezza, dipinse appresso alcuni satiri che con la verga loro misuravano il dito grosso della mano. Et insomma in tutte le opere di questo artefice sempre s’intendeva molto più di quello che nella pittura appariva e, comeché l’arte vi fusse grande, l’ingegno sempre vi si conosceva maggiore.

Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)

, p. 186

Dipinse un campione, di quelli che i Greci chiamano atleti, e di questa sua figura cotanto si satisfece che egli stesso vi scrisse sotto quel celebrato motto : « Troverassi chi lo invidi, sì, ma chi il rassembri, no ».

Dans :Zeuxis, l’Athlète(Lien)

, t. I, p. 187

Alla medesima età et a lui nell’arte concorrenti furono Timante, Androcide, Eupompo e Parrasio, con cui (Parrasio dico) si dice Zeusi avere combattuto nell’arte in questo modo, che, mettendo fuori Zeusi uve dipinte con si bell’arte che gli uccegli a quelle volavano, Parrasio messe innanzi un velo sì sottilmente in una tavola dipinto come se egli ne coprisse una dipintura, che credendolo Zeusi vero, non senza qualche tema d’esser vinto chiese che, levato quel velo, una volta si scoprisse la figura; et accorgendosi dello inganno, non senza riso dello avversario, si rese per vinto confessando di buona coscienza la perdita sua, conciosiaché egli avesse ingannato gli uccelli e Parrasio sé, così buon maestro. Dicesi il medesimo Zeusi aver dipinto un fanciullo, il quale portava uve, alle quali volando gli augelli seco stesso s’adirava, parendogli non aver dato a cotale figura intera perfezzione, dicendo: “Se il fanciullo così bene fusse ritratto come l’uve sono, gli augelli dovrebbono pur temerne”.

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, p. 186

Fu con tutto ciò accurato molto, tanto che dovendo fare a nome de’ Crotoniati una bella figura di femmina, dov’e’ pareva che egli molto valesse, la quale si deveva consacrare al tempio di Giunone che egli aveva adornato di molte altre nobili dipinture, chiese di avere comodità di vedere alcune delle loro più belle e meglio formate donzelle (ché in quel tempo si teneva che Crotone, terra di Calavria, avesse la più bella gioventù dell’uno e dell’altro sesso che al mondo si trovasse), di che egli fu tantosto compiaciuto; delle quali egli elesse cinque le più belle, i nomi delle quali non furono poi taciuti da’ poeti come di tutte le altre bellissime, essendo state giudicate cotali da chi ne poteva e sapeva meglio di tutti gli altri uomini giudicare; e delle più belle membra di ciascuna ne formò una figura bellissima, la quale Elena volle che fosse, togliendo da ciascuna quello che in lei giudicò perfettissimo.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, p. 186

Fece costui con questa arte ricchezza infinita, tale che, venendo egli alcuna volta ad Olimpia là dove ogni cinque anni concorreva quasi tutta la Grecia a vedere i giuochi e gli spettacoli pubblici, per pompa a lettere d’oro nel mantello portava scritto il nome suo, acciò da ciascuno potesse esser conosciuto. Stimò egli cotanto l’opere sue, che, giudicando non si dover trovare pregio pari a quelle, si mise nell’animo non di venderle, ma di donarle ; e così donò una Atalanta al comune di Gergento, Pane dio dei pastori ad Archelao re.

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