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Type de textesource
TitreVite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni
AuteursPascoli, Lione
Date de rédaction
Date de publication originale1730
Titre traduit
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Date de reprint

, « Vita di Salvator Rosa » (numéro t. I) , p. 73-74

[[4:voir le reste dans Zeuxis et Parrhasius]] Dovreste saper parimente, che Apelle coloriva così maestrevolmente, e con tanta naturalezza gli animali, e particolarmente i cavalli, che esposti alla pubblica vista, gli altri cavalli in passando nel vederli anitrivano. E questo seguì in Efeso, quando dipinse l’immagine equestre del mentovato Alessandro. Ed altrove adivenne, quando a concorrenza d’altri pittori ne dipinse un altro, e perché accorto s’era, che gli emuli avevano il favore de’giudici, s’appellò dal giudizio degli uomini a quello de’ brutti.

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, “Vita di Salvator Rosa” (numéro t. I) , p. 74-75

[[4:suit Zeuxis et Parrhasios]] E mentrecchè era un giorno in casa sua tutta la brigata, che secon anche pranzato aveva, prese esarruto l’Abati ad amplificare le maraviglie de’ pittori greci, e disse […] : « Che diremo delle celebrate sottilissime loro linee ? Debbiam pure credere, che come Apelle tirò la prima per far vedere a Protogene un portento di sottigliezza, ch’ella fosse sottilissima ? E pure divisa fu con altra più sottile, e di diverso colore da Protogene. E pure vinse Apelle la contesa, perché la divise colla terza più sottile, e d’altro colore della seconda, e della prima. Successe il fatto in casa di Protogene, quando mosso Apelle dalla fama del suo pennello, andò a Rodi per vederlo. Ebbe tanto applauso, e tanta stima questo quadro, che per venerazion delle linee niente altro vi fu da Protogene, che ne era padrone dipinto ; e portato poi in Roma, abbruciò nel primo incendio del palazzo Cesareo, ed in cotal guisa per commune sciagura con universal cordoglio, andò male questa opera portentosa. » Inquieto per quello mi si suppose, era già Salvator divenuto, e non potendo più a lungo soffrire il favellare dell’Abati, astener non si potè dall’interromperlo, e dal rispondergli, e fu detto, che del seguente tenor rispondesse : « Nè voi, nè io dolcissimo signor Abati vedute abbiam queste linee, nè sò, come veder le potessero i Greci, che non avevano l’uso de’ microscropi, se ell’erano così sottili, e minute. E perciò com’io dal vostro soverchio esagerare, e dalla vostra femminea credulità, mi son sentito muovere la compassione, la noia, ed il riso, potreste voi a tempo più proprio riservare la meraviglia, il dolore, e le lagrime ; giacchè mi pare di vedervele spuntare dagli occhi, e che siate in proccinto di prendere il bruno, per dar segni più certi di vostra tristizia. Altre opere, che le linee di questi celebri professori si son perdute : perdessi l’Elena, si perdè il Megabizo, si perdè l’Anadiomene, si perdè il Gialiso, che costarono loro non i momenti, e l’ora, ma gli anni, ed i lustri, e nel mondo si è quasi in ogni tempo dipinto, ed in alcuno, non meno eccellentemente, che nel loro. Andò male il più bel fiore della storia di Crispo : andaron male tutte l’opere di Lucejo, che tanto esalta in alcune di sue lettere Tullio : andaron male moltissime deche di Tito : andaron male con parte della storia alcuni libri degli annali di Tacito ; e tuttochè di più importanza, e di prezzo maggior delle linee, niuno ha mostrato mai di cotal perdita quel dispiacere immenso, che mostrate voi di questa. Ed il leggiadro, e faceto poeta Perugino, che con troppe affettate lagrime mostrar lo volle delle penultime, voi saprete come dall’autor de’ ragguagli di Parnaso fosse messo in ridicolo. Parlan pure in più d’un luogo l’istorie del famoso perfetto circolo fatto in un tratto di matitatojo da Giotto : e parlano similmente del dintorno dell’ignudo, che in altro simil tratto fatto fu da Michelangelo ; ed i Toscani, ed i Latini, e tutti gli altri assennati moderni, quantunque l’una, e l’altra operazione sia più maravigliosa, e che ambedue si sien perdute, non ne fan conto. Ed io che non pretendo d’entrar nel numero de’ professori più sublimi vi farò vedere signor Abati di cominciare dal piede d’una figura, e ricorrere senza staccar mai la mano per tutti i contorni del corpo » ; e preso il matitatojo gliele delineò di botto in sua presenza : « E se io, soggiunse, non sapessi far altro, povero Salvatore, esclamar vorrei, povero Rosa ! Di questa razza di bravura, non mi pregio, e non mi vanto ! Certo che ho letto, che Protogene dipigneva assai bene i volatili ; ma quando leggo, considero nel tempo stesso, e rifletto, se è credibile, e verisimile quel che leggo. Nè corro, come voi senza guida alla cieca, nè come voi guidar mi lascio dall’autorità degli scrittori alla balorda. Parvi egli credibile, che le pernici tra i volatili per natura i più rustichi, e più selvaggi, voglian cantare per vezzo, e per diletto alla palese, allorché ristrette sono o tra lacci, o nelle gabbie ? Se voi foste cacciator come poeta, non credereste tali frottole, e tali baje.

Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)

, « Vita di Salvator Rosa », p. 74

 [[4:suit Zeuxis et Parrhasios]] [[8: voir aussi Apelle et Protogène]] E mentrecchè era un giorno in casa sua tutta la brigata, che secon anche pranzato aveva, prese esarruto l’Abati ad amplificare le maraviglie de’ pittori greci, e disse […] : « Che diremo delle celebrate sottilissime loro linee ? Deggiam pure credere, che come Apelle tirò la prima per far vedere a Protogene un portento di sottigliezza, ch’ella fosse sottilissima ? E pure divisa fu con altra più sottile, e di diverso colore da Protogene. E pure vinse Apelle la contesa, perché la divise colla terza più sottile, e d’altro colore della seconda, e della prima. Successe il fatto in casa di Protogene, quando mosso Apelle dalla fama del suo pennello, andò a Rodi per vederlo. Ebbe tanto applauso, e tanta stima questo quadro, che per venerazion delle linee niente altro vi fu da Protogene, che ne era padrone dipinto ; e portato poi in Roma, abbruciò nel primo incendio del palazzo Cesareo, ed in cotal guisa per commune sciagura con universal cordoglio, andò male questa opera portentosa. » Inquieto per quello mi si suppose, era già Salvator divenuto, e non potendo più a lungo soffrire il favellare dell’Abati, asterner non si potè dall’interromperlo, e dal rispondergli, e fu detto, che del seguente tenor rispondesse : « Nè voi, nè io dolcissimo signor Abati vedute abbiam queste linee, nè sò, come veder le potessero i Greci, che non avevano l’uso de’ microscropi, se ell’erano così sottili, e minute. E perciò com’io dal vostro soverchio esagerare, e dalla vostra femminea credulità, mi son sentito muovere la compassione, la noia, ed il riso, potreste voi a tempo più proprio riservare la meraviglia, il dolore, e le lagrime ; giacchè mi pare di vedervele spuntare dagli occhi, e che siate in proccinto di prendere il bruno, per dar segni più certi di vostra tristizia. Altre opere, che le linee di quetsi celebri professori si son perdute : perdessi l’Elena, si perdè il Megabizo, si perdè l’Anadiomene, si perdè il Gialiso, che costarono loro non i momenti, e l’ora, ma gli anni, ed i lustri, e nel mondo si è quasi in ogni tempo dipinto, ed in alcuno, non meno eccellentemente, che nel loro. […] Parlan pure in più d’un luogo l’istorie del famoso perfetto circolo fatto in un tratto di matitatojo da Giotto : e parlano similmente del dintorno dell’ignudo, che in altro simil tratto fatto fu da Michelangelo ; ed i Toscani, ed i Latini, e tutti gli altri assennati moderni, quantunque l’una, e l’altra operazione sia più maravigliosa, e che ambedue si sien perdute, non ne fan conto. Ed io che non pretendo d’entrar nel numero de’ professori più sublimi vi farò vedere signor Abati di cominciare dal piede d’una figura, e ricorrere senza staccar mai la mano per tutti i contorni del corpo » ; e preso il matitatojo gliele delineò di botto in sua presenza : « E se io, soggiunse, non sapessi far altro, povero Salvatore, esclamar vorrei, povero Rosa ! Di questa razza di bravura, non mi pregio, e non mi vanto ! Certo che ho letto, che Protogene dipigneva assai bene i volatili ; ma quando leggo, considero nel tempo stesso, e rifletto, se è credibile, e verisimile quel che leggo. Nè corro, come voi senza guida alla cieca, nè come voi guidar mi lascio dall’autorità degli scrittori alla balorda. Parvi egli credibile, che le pernici tra i volatili per natura i più rustichi, e più selvaggi, voglian cantare per vezzo, e per diletto alla palese, allorché ristrette sono o tra lacci, o nelle gabbie ? Se voi foste cacciator come poeta, non credereste tali frottole, e tali baje.

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, "Vita di Salvator Rosa", p. 77-79

[[8: voir aussi Zeuxis et Parrhasios]] Emmi anche noto il fatto dell’uva dipinta da Zeusi, e del velo dipinto da Parrasio ; e fin dal primo momento, che mi giunse a notizia, lo conobbi per falso, e me ne risi. Nè mi dolse, che tali favolette soffero inventate da’ Greci ; perchè come essi furono maestri sublimi in ogni facoltà, vollero eziandio essere eccellenti autori di saporite, e d’ingegnose menzogne in ogni occasione. Dolsemi bensì, e ancor mi duole, che da voi, e da varii scrittori italiani, e latini sieno state credute ; e mi maraviglio, che diciate di non aver letti tai prodigii negli scrittori moderni, quando modernatamente non è mancato, chi ne sia andato di simiglianti inventando ; e mi maraviglio ancora, che non sappiate, che i volatili, come tutti quasi gli altri animali tratti sono per l’avidità del cibo, e degli altri appetiti dall’odorato, e non dalla vista. Gira la passera d’intorno al granajo ; e non vede il grano, che sta serrato. Cerca la colomba ne’ seminati, e non vede la veccia, che ricoperta fù dal bifolco. Razzola il pollo a lato al pagliaio, e non vede la pula che vi sta dentro. Gettasi ne’ querceti il germano, e non vede la ghianda, che v’è caduta ; perchè vi si getta ordinatamente di notte. Ma quando anche tirati fossero dalla vista, e non dall’odorato, dovuto avrebbero veder prima il putto maggiore dell’uva, e di quello aver paura, e non appressarvisi. E se me si dirà, che il putto dipinto non era con quella perfezione, con che dipinta era l’uva ; e non aver perciò potuto farlo comparire sì naturale, e sì vivo, che gl’ingannasse, che fu, come ho letto il dispiacere di Zeusi, risponderò subito, che avrebbero in simil caso dovuto aver timore della pittura, e del quadro ; perchè temono di qualunque cosa, che veggiono insolita. Non s’accosta il calderino al canapeto, ove dall’ortolano fu messa alcuna parruccaccia. Fugge il rigogolo dal fico, cui appeso fu dal vignajuolo un qualche straccio. Resta preservato il ciliegio da’ furti del merlo uscito dal nido, per riportare a’ figli l’imbeccata, se vi vede i rami neri, od in altro modo coloriti. Ora se non poterono gli uccelli privi dell’essenziale delle potenze per distinguere, e ben conoscere essere all’uva ingannati, molto meno ingannar si potè Zeusi ottimo conoscitore al velo, tanto maggiormente, che l’inganno seguir dovea non da lontano, ma di vicino sopra la stessa tavola, che si fingeva coperta dal velo. Oltre di che è anche naturale in casi tali d’andare per la curiosità prima di parlare al tatto, che fa tosto conoscere quella verità, che può occultare la vista. Son pittore ancor io, e sono il Rosa, e non ignoro ciocchè far si può col pennello ! Ma quando anche veri fossero i menzionati inganni, non mi pare, che recar possano a’ detti professori troppo gran loda ; dacchè questa deve nascere dalla perfetta imitazione delle cose animate d’anima ragionevole, e non delle materiali, e sensitive, per la differenza, che v’è tra un eccellente pittore di fiori, di frutti, e d’animali, da altro eccellente d’immagini umane, che merita tanto maggiore stima, quanto è più stimato del corpo lo spirito. Per altro so ancor io signor Abati, che tra le glorie del fortunato secolo dell’invitto domatore dell’oriente fa numero molto grande quella d’esservi abbondantemente fiorite le belle arti. Ma so ancora quanti a’ fatti veri di quel secolo abbiano gl’incredibili, e falsi pregiudicato. Tantocchè, se io non vedessi cogli occhi miei le loro statue, niente crederei delle pitture. E’ egli forse credibile, che dipigner si possano e’ tuoni, come è stato scritto, che si dipignevan da Apelle ? Che possa rappresentarsi un oggetto fiero, e pietoso, allegro, e mesto, altiero, ed umile in un medesimo tempo, come è stato scritto, che dipignesse il genio degli Ateniesi Parrasio ? Queste son cose signor Abati impossibili ! E se voi tralasciato avete di rammentarle, o perchè io non v’ho dato tempo, o perchè a voi non son note, ho voluto in ogni modo suggerirvele ; acciò possiate unirle all’altre, che testè rammentaste, per indurre in miglior occasione gli ascoltanti a uniformarsi al vostro giudizio ; giacchè, nè io, nè alcuno di questi insigni letterati che l’an sentite, vi concorrono, anzi lo disapprovano, e lo mettono in un con me, come ben vedete, in ridicolo.

Dans :Fortune de Pline(Lien)

, t. I, p. 74-77

Avrete letto, che Protogene era così esperto nel ritrarre dal naturale i volatili, che in essi infondendo quasi l’anima, giravan loro i vivi cantando d’intorno. E ciò fu veduto in Rodi nella pittura d’una pernice, in tempo, che alcune portatevi a posta di vicino la videro. [...] Parvi egli credibile, che le pernici tra i volatili per natura i più rustichi, e più selvaggi, voglian cantare per vezzo, e per diletto alla palese, allorché ristrette sono o tra lacci, o nelle gabbie ? Se voi foste cacciator come poeta, non credereste tali frottole, e tali baje. [...] Or pensate se voglia col canto dar segni di gioia nelle gabbie a vista del pubblico a una dipinta ? In due soli modi signor Abati cantano, quando non sono in libertà le pernici : cantano alle volte in pubblico per ispavento, e per ansietà di scappare a qualunque cosa, che loro si mostri, e s’appressi, e questo si chiama anzi starnazzare, e garrire, che cantare, nella stessa guisa, che schiamazzar si fanno i tordi ne’ boschetti, e sfringuellare i filunguelli ne’ paretai ; e così cantar dovettero quelle, che si misero a rimpetto della dipinta, se pure è vero, che cantassero: cantano alle volte in privato mosse, o da natural desio di cantare, o dal canto dell’altre ; cantano per disio, allorchè se ne stan sole sole senza esser da alcuno vedute ; cantano per canto dell’altre, allorchè portate sono dagli uccellaroti in campagna; e così cantano nelle tese tra le ragne le quaglie, e nelle stoppie tra le cortinelle le starne. E come niuno di questi motivi, siccome ognun ben vede, potea far cantar quelle di cui si favella, chi creder dovrà, che cantassero ? Ho letto ancora, che Apelle fosse assai esperto nel colorire, e ritrarre dal naturale i bruti ; ma non posso credere, che alla vista de’ cavalli vivi di lui dipinti anitrissero i vivi ; perché o i cavalli vivi eran molti, od era un solo : se erano molti, io per me dirò sempre che anitrissero tra loro ; se era un solo non dirò mai, che anitrisse per i dipinti ; perché ho sempre veduto, che non anitrendo, o a caso, o per brio, per tre sole cagioni anitriscono : anitriscono alle volte a que’, che stan fermi, o per voglia di battersi se sono machi, o per brama di congiugnersi, se sono femine ; e per niuna delle tre ; perchè niuna delle tre concorre ne’ dipinti, si deve credere che anitrissero i vivi. Non concorre la prima, perchè i cavalli dipinti non potevano correre ; non vi concorre la seconda, perchè i cavalli dipinti erano privi di quel moto, e di quel fuoco, che accende i vivi alla battaglia ; non vi concorre la terza ; perchè così i dipinti, come i vivi, ci dicon gli scrittori, che eran maschi. Senzacché chi non vede, che quegl’istinti di natura, che muovono ad operare i brutti, non possono esser mossi da una tela, che quantunque maravigliosamente dipinta, e priva di tutti que’ sensi, per la cui vera, e non finta scambievolezza, naturalmente operano i bruti ; e spezialmente, come or or dirò dell’odorato.

Dans :Protogène, Satyre et parergia(Lien)

, “Vita di Salvator Rosa”, t. I, p. 73-74

E mentrecchè era un giorno in casa sua tutta la brigata, che secon anche pranzato aveva, prese esarruto l’Abati ad amplificare le maraviglie de’ pittori greci, e disse, che certe, che egli ne leggeva essere state fatte da que’ gran professori, che fiorirono nel fortunato secolo del grande Alessandro, non l’aveva mai ne lette, ne per tradizione sentite, che si facessero negli altri secoli, e che perciò li giudicava superiori a’ moderni, e riscaldato nel dire così si disse, che dicesse : “Devevi senza dubbio signor Salvadore esser noto, perché pienamente ne favellan l’istorie, che Zeusi dipinse tanto naturale, e vera l’uva con un putto in un quadro, che tentaron d’ingozzarla gli augelli ; e che Parrasio dipinse così esatamente un velo in una tavola, che Zeusi in vedendolo dovè dire, che lo scoprisse. Dovreste saper parimente, che Apelle coloriva così maestrevolmente, e con tanta naturalezza gli animali, e particolarmente i cavalli, che esposti alla pubblica vista, gli altri cavalli in passando nel vederli anitrivano. E questo seguì in Efeso, quando dipinse l’immagine equestre del mentovato Alessandro. Ed altrove adivenne, quando a concorrenza d’altri pittori ne dipinse un altro, e perché accorto s’era, che gli emuli avevano il favore de’giudici, s’appellò dal giudizio degli uomini a quello de’ brutti. Avrete letto, che Protogene era così esperto nel ritrarre dal naturale i volatili, che in essi infondendo quasi l’anima, giravan loro i vivi cantando d’intorno. E ciò fu veduto in Rodi nella pittura d’una pernice, in tempo, che alcune portatevi a posta di vicino la videro. Che diremo delle celebrate sottilissime loro linee ?” [[4:suite: Apelle et Protogène ; Satyre de Protogène ; cheval d’Apelle]]

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, t. I, p. 77-79

[[8: voir aussi fortune de Pline]] Emmi anche noto il fatto dell’uva dipinta da Zeusi, e del velo dipinto da Parrasio ; e fin dal primo momento, che mi giunse a notizia, lo conobbi per falso, e me ne risi. Nè mi dolse, che tali favolette fossero inventate da’ Greci ; perchè come essi furono maestri sublimi in ogni facoltà, vollero eziandio essere eccellenti autori di saporite, e d’ingegnose menzogne in ogni occasione. Dolsemi bensì, e ancor mi duole, che da voi, e da varii scrittori italiani, e latini sieno state credute ; e mi maraviglio, che diciate di non aver letti tai prodigi negli scrittori moderni, quando modernatmente non è mancato, chi ne sia andato di simiglianti inventando ; e mi maraviglio ancora, che non sappiate, che i volatili, come tutti quasi gli altri animali tratti sono per l’avidità del cibo, e degli altri appetiti dall’odorato, e non dalla vista. Gira la passera d’intorno al granajo ; e non vede il grano, che sta serrato. Cerca la colomba ne’ seminati, e non vede la veccia, che ricoperta fù dal bifolco. Razzola il pollo a lato al pagliaio, e non vede la pula che vi sta dentro. Gettasi ne’ querceti il germano, e non vede la ghianda, che v’è caduta ; perchè vi si getta ordinatamente di notte. Ma quando anche tirati fossero dalla vista, e non dall’odorato, dovuto avrebbero veder prima il putto maggiore dell’uva, e di quello aver paura, e non appressarvisi. E se me si dirà, che il putto dipinto non era con quella perfezione, con che dipinta era l’uva ; e non aver perciò potuto farlo comparire sì naturale, e sì vivo, che gl’ingannasse, che fu, come ho letto il dispiacere di Zeusi, risponderò subito, che avrebbero in simil caso dovuto aver timore della pittura, e del quadro ; perchè temono di qualunque cosa, che veggiono insolita. Non s’accosta il calderino al canapeto, ove dall’ortolano fu messa alcuna parruccaccia. Fugge il rigogolo dal fico, cui appeso fu dal vignajuolo un qualche straccio. Resta preservato il ciliegio da’ furti del merlo uscito dal nido, per riportare a’ figli l’imbeccata, se vi vede i rami neri, od in altro modo coloriti. Ora se non poterono gli uccelli privi dell’essenziale delle potenze per distinguere, e ben conoscere essere all’uva ingannati, molto meno ingannar si potè Zeusi ottimo conoscitore al velo, tanto maggiormente, che l’inganno seguir dovea non da lontano, ma di vicino sopra la stessa tavola, che si fingeva coperta dal velo. Oltre di che è anche naturale in casi tali d’andare per la curiosità prima di parlare al tatto, che fa tosto conoscere quella verità, che può occultare la vista. Son pittore ancor io, e sono il Rosa, e non ignoro ciocchè far si può col pennello ! Ma quando anche veri fossero i menzionati inganni, non mi pare, che recar possano a’ detti professori troppo gran loda ; dacchè questa deve nascere dalla perfetta imitazione delle cose animate d’anima ragionevole, e non delle materiali, e sensitive, per la differenza, che v’è tra un eccellente pittore di fiori, di frutti, e d’animali, da altro eccellente d’immagini umane, che merita tanto maggiore stima, quanto è più stimato del corpo lo spirito. Per altro so ancor io signor Abati, che tra le glorie del fortunato secolo dell’invitto domatore dell’oriente fa numero molto grande quella d’esservi abbondantemente fiorite le belle arti. Ma so ancora quanto a’ fatti veri di quel secolo abbiano gl’incredibili, e falsi pregiudicato. Tantocchè, se io non vedessi cogli occhi miei le loro statue, niente crederei delle pitture. E’ egli forse credibile, che dipigner si possano e’ tuoni, come è stato scritto, che si dipignevan da Apelle ? Che possa rappresentarsi un oggetto fiero, e pietoso, allegro, e mesto, altiero, ed umile in un medesimo tempo, come è stato scritto, che dipignesse il genio degli Ateniesi Parrasio ? Queste son cose signor Abati impossibili ! E se voi tralasciato avete di rammentarle, o perchè io non v’ho dato tempo, o perchè a voi non son note, ho voluto in ogni modo suggerirvele ; acciò possiate unirle all’altre, che testè rammentaste, per indurre in miglior occasione gli ascoltanti a uniformarsi al vostro giudizio ; giacchè, nè io, nè alcuno di questi insigni letterati che l’an sentite, vi concorrono, anzi lo disapprovano, e lo mettono in un con me, come ben vedete, in ridicolo.

Signor Abati mio non parlo in gioco,

Questo che dato avete è un gran giudizio,

Ma del giudizio voi n’avete poco.

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