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TitreTrattato della pittura et scultura, uso et abuso loro
AuteursOttonelli, Giovanni Domenigo
Berettini, Pietro
Date de rédaction
Date de publication originale1652
Titre traduit
Auteurs de la traduction
Date de traduction
Date d'édition moderne ou de réédition
Editeur moderne
Date de reprintReprint par Vittorio Casale, Florence, Canova, 1973.

, « Se sia vana l’immagine con la quale una persona fa far il suo ritratto, e se la può procurare » (numéro II, 17 ) , p. 99

Altre ragioni non mancano da proporre, per moderar il desiderio di voler la propria immagine : e alle volte quella è buona, che si fonda in qualche nostra corporale deformità (se ben ciascun si persuade esser tale, che possa comparire, che però Varrone disse : Omnes videmur nobis esse belluli). Ho letto di certo antico Greco, che conoscendosi deforme nel corpo, non permise mai d’essere dipinto, o scolpito. Che se uno brutto di viso, o di persona, si facesse dipingere gratioso, e bello, procurerebbe a se stesso una menzogna in fatti ; perché Tersite non si rappresenta con l’immagine di Narciso. E chi al naturale dipinge, s’accomoda all’esemplare nell’espressione, figurando anche i difetti ; quando però non trovasse maniera di nasconderli con l’arte, senza pregiudizio del vero, come nel formare l’immagine d’Antigono operò Apelle ; excogitata ratione vitia condendi, scrive Plinio. E Plutarco, riferito da Leon Battista Alberti, racconta, che i pittori antichi erano usati dipingendo i Re, s’alcun difetto era in loro, non voler mostrare di lasciarlo, ma quanto più si poteva, servata la sembianza, l’emendavano.

Dans :Apelle, le portrait d’Antigone(Lien)

, « Se può il pittore esprimere l’interno affetto d’uno. E se, essendo quegli diffettuoso nell’esterno, può rappresentarlo senza diffetto » (numéro III, 20) , p. 219-220

Passo alla risoluzione del secondo dubbio proposto nel quesito, e avviso col Varchi [[1:let. 2 pa. 114]], che saper dobbiamo, che i pittori, se ben nel ritrarre dal naturale deono imitar la natura, e esprimere il vero, quanto più sanno, possono con tutto ciò, anzi debbono usar alcuna discrezione ; onde fu lodata la prudenza d’Apelle, che dovendo ritrarre Antigono, cieco d’un’occhio, diede, come nota Plinio [[1:l. 35 c. 10]], tal sito alla figura, e nascose in modo quell’occhio, che non si poteva vedere. E quelli, che dipinsero Pericle, che avea il capo aguzzo, lo rappresentarono coll’elmeto in testa. Lodasi ancora [[1:Cicer. 2 de natura deorum]] il Vulcano di Alcamene, il qual mostra sotto la veste l’esser zoppo, mà però in guisa, che gli dà grazia, e pare, che gli convenga. Sò parimente [[1:Annot. in Plin. l. 36 c. 5 lit. e]] che un giudizioso pittor moderno formò un Vulcano, impiegato nel suo lavoro, e dipinse avanti la gamba difettuosa murioni, scudi, petti, e altre armature, per le quali rimaneva nascosto tutto il difetto con artificiosa gentilezza. Dunque può l’artefice rappresentar con decoro un personaggio difettuoso senza il difetto, nel che l’arte provede al mancamento della natura, ma per grazia, e aiuto di quel Signore, che, come primo, e divino Artefice, insegna all’uomo a correggere i naturali difetti ; onde a gloria sua, come di principale Signor della natura, nota S. Chris. [[1:Ho. de Anna et Samuelis educ. to. 1]] Corrigere naturam nulli hominum, sed soli Deo, naturæ Domino, in manu est.

Dans :Apelle, le portrait d’Antigone(Lien)

, « Della forza, che ha la pittura nel rappresentare » (numéro I, 6) , p. 22

[[4:voir Zeuxis et Parrhasios]]

Dans :Apelle, le Cheval(Lien)

, « Dell’onore fatto da’ personaggi grandi ad alcuni segnalati pittori » (numéro III, 24) , p. 248

Plinio con altri historici fanno molto numeroso racconto di que’ pittori eccellenti, che furono sopra modo onorati, e d’ogni lor desiderio compiaciuti da’ principalissimi signori del mondo ; e con ragione, poiché molti di essi furono uomini d’elevato spirito, di nobile intelletto, d’alto giudizio, di gravi costumi, e d’ammirabile natura. [[1:Plin. l. 35. c. 10]]. Apelle fù tenuto in tanto onore da Alessandro, che, essendo così gran principe, non si sdegnava di star soventoe con lui a vederlo lavorare : anzi una volta discorrendo poco bene di cose spettanti alla pittura, Apelle ardi d’avvisarlo con bel modo, che si moderasse, perché i giovani che gli macinavano i colori, udendolo si ridevano del suo discorso.

Dans :Apelle et Alexandre(Lien)

, « Delle ragioni, per le quali il pittore deve mostrarsi alieno dal dipingere l’immagine di donna nuda »,p. 140-141, « La prima ragione » (numéro I, 8) , p. 140-141, « La prima ragione »

E il pericolo di grave tentatione all’animo del medesimo pittore, il quale, per far bene il ritratto d’una persona, deve applicar l’animo, e la consideratione a ciascuna parte, e imprimersela molto bene nell’immaginatione con atti, e riflessioni anche frequentate, e moltiplicate : da che non par possibile, che il candor della mente non riceva qualche macchia ; e che non s’apra la porta all’ingresso di qualche gagliarda tentatione, per vigor di cui si pecchi almeno col pensiero. [[1:Plin. I. 35. c. 10]] Troppo è noto l’antico caso del famosissimo Apelle, che nel dipingere per ordine d’Alessandro quella Campaspe, ne rimase in gran maniera miseramente acceso. E chi puo render sicuro un moderno pittore dalle ferite di tali saette ?

Dans :Apelle et Campaspe(Lien)

, « D’alcuni avvertimenti raccolti da diversi autori per questa materia », « Quinto avvertimento » (numéro III, 10) , p. 164-165

È questo. Avanti di dar compiuta l’opera, vederla, e rivederla. Plutarco scrive degli antichi pittori, che censuravano molto l’opere loro prima di finirle, e d’esporle alla publica censura. [[1:De non irascendo]] Pictores opera sua, interposito spacio, priusquam extremam manum his imponant, inspiciunt : quod, dum avertunt visum suum, frequenti iudicio novum faciant, quo acrius exiguum exploratur discrimen, quod claudit assiduitas, et assuetudo. Così proceda il moderno pittore nell’opera, che conduce ; la vegga, e censuri, avanti di finirla, considerando ogni sua parte, e chiamando altre persone a vederla, e giudicarla. Questo avvertimento è saputo da tutti, ma non sempre da tutti è praticato : e chi lo pratica, menrita lode, massimamente eleggendo persone atte per dar quegli avvisi, che sieno all’opera di giovamento. Felices, nota s. Girolamo, essent artes, si de illis soli artifices iudicarent. Plutarco insegna, che il pittore procederà prudentemente, se rivedrà di quando in quando l’immagini, avanti che le dichiari per finite e perfette. Così praticò già Apelle, e gli altri antichi : e così deve praticare il moderno pittore, proponendo l’opere alla censura di valent’uomini giudiziosi, e lontani dall’adulazione ; al consiglio de’ quali attenendosi egli riporterà e molto onore, e gran consolazione.

Domenico Puligo pittor fiorentino fù molto amico d’Andrea del Sarto, e si compiaceva di mostrargli le sue cose, per emendar gli errori ; quel, che oggi, come scrive un moderno [[1:Borghini nel Riposo l. 3 pag. 395]], con poca lodo loro non costumano i pittori, presumendosi ciascuno d’esser da più dell’altro. Io noto, che questo scrittore usa censura troppo universale contro i pittori del suo tempo, nel quale non dovevano mancar altri giudiziosi, che facevano veder l’opere prima d’esporle alla publica luce ; come non mancano a nostro tempo. È vero, che non approvo la strana maniera che già usò un pittore, mostrando l’opera sua ad altri, accioché la giudicasse. Narra Tasso scultore, scrivendo a Benedetto Varchi, che Antonio del Giansi mostrò ad Andrea del Sarto un suo quadro, pregandolo strettamente, che gli dicesse l’opinion sua, ed avvertisse gli errori, se v’erano. Andrea, che era non manco cortese, che valente, gli mostrò amorevolmente assai cose, che non gli sodisfacevano, dandogliene le ragioni, alle quali Antonio non sapendo rispondere, né volendo a patto alcuno aver fatto male, vinto dalla colera, e mosso dall’ignoranza disse : « Andrea io son uomo per mostrarvi con l’armi in mano, che questo è un bel quadro. » Alle quali parole dispose Andrea, che era ito quivi, per dirgli gli errori del quadro, come da lui ne era stato pregato ; e che del menar le mani un’altra volta lo rivedrebbe. Rispose Andrea prudentemente, e schifò con cristiana destrezza l’occasione di battersi con quell’imprudente. Ne respondeas stulto iuxta stultitiam suam. [[1:Prov. c. 26. 4]] Ecco un’ altro caso per gli scultori.

Filippo Brunelleschi, quel valent’uomo fiorentino, col disegno, ed opera di cui fù fatta la maravigliosa e gran cupola della Metropolitana di Fiorenza, era amico di Donatello, il quale avendo finito un Crocifisso di legno, glie lo mostrò, pregandolo a dire il suo parere. Filippo dopo averlo considerato, rispose, che aveva messo in croce un contadino. A Donatello parve strana la risposta, e disse : « Se così facile fusse il fare, come il giudicare, il mio Cristo ti parebbe Cristo, e non contadino ; però piglia del legno ancor tu, e prova di farne uno. » Filippo sopportò la mordacità del detto, e stette chetto molti mesi, tanto che fece un Crocifisso di legno della grandezza simile a quello di Donatello, e poi glie lo fece vedere ; e la vista fù tale, che egli restò maravigliato, si confessò per vinto, e predicò quest’opera, come un bellissimo, e gran miracolo dell’arte. Cosi una picca d’onore alle volte eccita ad operar straordinarie maraviglie un valent’uomo ; onde quell’antico [[1:Catone]] ebbe ragion di scrivere. Honor est artium magister.

Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)

, « Se puo il pittore esprimere l’interno affetto d’uno. E se, essendo quegli diffettoso nell’esterno, puo rappresentarlo senza diffetto », « Quarto caso antico » (numéro III, 20) , p. 216

[[1:Plin. 35. c. 10]] Per onore del famoso Aristide narrasi, che figurò una Madre, la quale, vedendo presa la patria, se stessa ferita, moribonda, e piena di sangue, teneva un suo tenero figliuolino al petto, il qual bramava prendere il capo della mamella, per succhiare il latte, ed essa mostrava nel viso pallido, ed esangue l’interno affetto di timore, che’l bambino, in vece di latte, non lambisse il sangue. Tavola tanto artificiosa, e stimata, che Alessandro Magno la portò a Pella, sua Patria; ed alcuni spiegano di lei quelle parole pliniane. Aristides in arte tantum valuit, ut Attalus rex unam tabulam eius centum talentis emisse tradatur.

Dans :Aristide de Thèbes : la mère mourante, le malade(Lien)

, « Degli avvertimenti, e modi, co’ quali può il pittore far opere di probabile, e forse universale sodisfazione », « Quarto avvertimento » (numéro III, 12 ) , p. 177-178

E quello, il quale può normarsi compendio di molti avvertimenti : ed io spiegerollo, come fù già spiegato da un valente professore in un famigliar discorso con un amico, « Non porta, disse, il pregio dell’opera, che un artifice dipingendo facci grandissimo conto di tirar una linea, con istraordinaria sottigliezza, o condurre un circolo con squisita rodondità. » L’antica, e famosa linea (se pur fù linea, e non contorno, come crede qualche giudizioso) di quel valente Apelle non era argomento tale, che senza lei mancasse nell’artefice il valore : perché se il polso gli fusse tremato nel tratto del pennello, la linea non riusciva di perfezione, e pure Apelle rimaneva Apelle, cioè pittor di maravigliosa eccellenza : dunque l’operante facci grande stima, ed usi gran diligenza, per saper ben formare le figure delle cose movibili, tutte le parti d’un corpo, i panni, e l’altre cose attenenti alle medesime figure, le quali rimangono guaste ed imperfette per ogni leggier difettuccio : il che non suole avvenire nel dipingere o fiori, o frutti, o simiglianti cose.

Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)

, « Se sia buono, o abuso, che l’artefice si chiuda nel luogo del lavoro » (numéro III, 19) , p. 211

Si fonda in questo, che tra gli spettatori delle pitture pochi sono quasi nuovi Protogeni, cioè buoni conoscitori delle linee de’ nuovi Apelli ; e molti sono simili a quel cortigiano del Papa, che dimandando un poco di disegno al famoso pittor Giotto, e questo facendogli quel tondo tanto pari di profilo, che ne venne il proverbio : « Tu sei più tondo che l’O di Giotto », egli non lo stimò, e si tenne quasi beffato. Voglio dire, molti non conoscono l’eccellenza dell’artificio, che sta espresso in una sola parte, anche piccola d’un intiera pittura ; e però i pittori si chiudono al lavoro, ne vogliono, che l’opera si veda, se non compiuta, e perfetta, in cui comparisca, nobilmente campeggiando, una gran moltitudine di bellezze, ed una bellissima varietà d’artificii, co’ quali uniti insieme si fà dolce incanto al giudizio, ed agli occhi di molti spettatori, e si guadagna facilmente l’affetto, l’applauso, e la lode loro.

Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)

, « Del diletto sensitivo, e ragionevole, e spirituale, che si riceve dalle sacre Immagini » (numéro II, 9) , p. 57-59

San Tomaso insegna conforme al Filosofo, quod secundum omnem sensum est delectatio [[1:I. 2. q. 31 a. 4 al 1.]],che si dà un diletto, che si chiama sensitivo, cagionato dalla cognitione del senso, e che stà nell’appetito inferiore : e questo nasce dalle sacre immagini, quando il senso dell’occhio conosce in quelle la gratiosa varietà de’ colori, la vaghezza de’ lumi, l’artificio del disegno, la gentilezza degli ornamenti, & il resto, che veduto empie di dolce maraviglia l’animo dello spettatore. Questo diletto ricevono in gran maniera que’ giuditiosi intelligenti, che, havendo occhio buono, si lasciano rapire à mirare con somma attentione ciacun’opera di valent’huomo. Eliano racconta [[1:L. xiv var. hist.]], che l’antico Pittor Nicostrato, mirando una volta l’Helena dipinta da Zeusi, rimase stupefatto in guisa, che quei che lo viddero come rapito, s’accorsero, ch’egli era tutto pieno d’altissima maraviglia ; onde uno se gli accostò chiedendo. E perche ammirasse tanto quell’opera di pittura ? A cui rispose. Non id me rogares si meos oculos haberes. E volle dire. Se tu havessi buono occhio, come ho io, per mirar questa bellissima pittura, non mi faresti una tal dimanda intendendo molto bene, che io meritamente son rapito da diletto grandissimo nel rimirare l’esquisitezza del suo artificio. Cosi aviene à molti pratici del nostro tempo nel mirare qualche opera eccellente. E’ vero con tutto ciò, che alle volte per goder cotal diletto, basta lasciarsi consigliar dal senso, senza consultar con la ragione. Quandoq[ue] aliquis, dice S. Tomaso, sensit aliquam delectationem secundum corpus, de qua tamen non gaudet secundum rationem [[1:I. 2. q. 31.a. 3. c.]]. Dichiarasi questo col seguente caso.

Cosimo Roselli Fiorentino, e buon Pittore, non però eccellente, andò à Roma chiamato con altri Pittori per far l’opera, che Sisto IV, comandò si facesse nella Cappella di Palazzo. Egli vi dipinse tre historie, dipinger dovene altre Sandro Botticello, Domenico Ghirlandaio, l’Abbate di San Clemente, Luca da Cortona, e Pietro Perugino [[1:Vasari, p. 2 nella vita di Cosimo.]]. Il Papa haveva ordinato un premio, oltre il pagamento, a chi meglio havesse lavorato, secondo il giuditio, e gusto del medesimo Papa il quale, finite l’opere, venne per giudicarle. Ciascuno di que’ valent’huomini haveva procurato lavorar in modo, che l’honore, & il premio fusse suo. Cosimo sentendosi debole d’inventione, e di disegno, occultò il suo difetto con astutia. Condusse tutta l’opera con finissimi azzurri oltramarini, e con vivacissimi colori, & illuminò con molto oro tutte tre l’historie, credendo che il Papa, come poco intendente di quell’Arte, lo dovesse dichiarar vincitore, e premiare. Venne il giorno assegnato ; ciascun di que’ Maestri scoprì l’opera sua, e Cosimo anche la sua ; mà fu da quelli schernito non poco, come che conoscevano la sua debolezza, e s’avvidero dell’astutia. Non così il Papa, il quale entrato nella Cappella, e girato l’occhio intorno, restò preso dallo splendore dell’oro, dalla finezza dell’azzuro, e dalla vaga apparenza di quei bellissimi colori : e pero l’opera di Cosimo più, che tutte l’altre approvò, e dichiarò, haver lui meglio lavorato, e l’honorò col premio ; anzi volle di più, che ciascun’altro Artefice arricchisse con oro le dipinte historie, e che l’acconciasse con miglori azzurri ; accioche fussero simili nella ricchezza, e nel colorito à quelle, che da Cosimo erano state dipinte, & ornate. E que’ valent’huomini furono costretti ad accomodarsi al genio, e volontà del Pontefice. 

Hora dirà qualche saggio Lettore, e saggiamente, che il diletto preso dal Papa col senso dell’occhio fu tale, e tanto grande, che gli abbagliò il lume della ragione, e lo mosse à dare una sentenza pregiuditiale al giusto. Poteva egli per verità, e per giustitia, se fusse stato intelligente di pittura, dar una sentenza simile à quella, che diede l’antico Apelle, vedendo una figura d’Helena fatta da un giovane suo discepolo, che non potendo dipingerla molto bella, per la debolezza del suo sapere, la dipinse molto ricca, & ornata d’oro, al qual caso alluse Clemente Alessandrino [[1:II Paed. c. 12.]] scrivendo. Apelles Pictor, cum vidisset quendam ex suis discipulis pinxisse Helenam muleo auro ornatam. O adulescens, inquit, cum non posses pingere pulchram, pinxisti divitem.

Dans :Apelle : Hélène belle et Hélène riche(Lien)

(III, 18), p. 206

[[1:Vasa. pa. 370 par. 1]] Fra Giovanni dianzi mentovato poneva tanta diligenza nelle sacre, che non stimava poi necessario di ritornarvi sopra ad affaticare ; e le lasciava in quel modo, che erano venute la prima volta e con ragione; peroché non prendeva i pennelli, se prima non aveva fatta orazione ; né fece mai Crocifisso alcuno, che prima non si bagnasse le gote con dolce pioggia di lacrime divote ; onde l’opere sue a mio parere si perfezionavano avanti nell’officina del cuore con la divozione, e poi nella tavola con l’espressione. Felice, chi sforzerassi d’imitar maestro di tal’ eccellenza ; certo non avrà bisogno di farsi imitator dell’antico Protogene, che per troppa diligenza troppo tardava a levar dall’opera la mano ; e potrà sperar gloriosi premii da Dio in questa, e nell’altra vita.

Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)

(III, 21), p. 226

Chiunque per natura, e per industria giunge a termine d’eccellenza nella pittura, par, che prescriva a se stesso una legge di condurre ogni opera a termine di gran perfezione. Quindi l’eccellente pittore alle volte stimasi fantastico, e bizzarro, ove stimar dovrebbesi prudente, e riflessivo : conciosia che vive ansioso, e carico di gravi sospetti, che l’opera presa non riesca corrispondente al suo desiderio, ed al grido universale della sua fama ; senza che non mancano spesso emuli grandi, che fanno, e voliono scoprire ogni minimo diffettuccio. Per questa ragione forse l’antico Protogene tardava tanto a dar un’ opera per finita, usandovi una certa straordinaria, e troppa diligenza, quod manum, scrivesi di lui [[1:Plin. l. 35 c. 10]], de tabula nesciret tollere: nocere saepe nimiam diligentiam : temeva egli le censure de’ valentuomini suoi pari ; ed in fatti così gli avvenne in quella sua bellissima opera detta Ialiso, la quale Apello considerò, e lodo con ammirazione ; e poi aggiunse, come nota Plutarco [[1:in Demetrio apud Plin. in Annot. l. 35 c. 10 lit. S]], inclytum quidem id opus ese, sed deesse gratias, che era veramente un’ opera bellissima, ma le mancava una certa grazia, la quale se avesse avuta, sarebbe stata una pittura del Cielo. A questa ragione poco, credo, pensava il Vasari, la cui penna alle volte pare ad alcuni più secondo il di lui gusto temprata, che secondo il dovere.

Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)

, « Se il prezzo delle pitture può far lecito il dipingere impurità » (numéro III, 4) , p. 128

Ora non corrono prezzi grandissimi, come anticamente ; o pur qualche volta corrono, saranno per opere di famosissimi professori. I prudenti Romani, ad imitazion de’ savi Greci, stimavano molto la pittura. Et i Greci per niuna spesa lasciavano di comprar ciò, che d’essa trovavano d’eccellente. Del Re Attalo si legge [[1:P. in lib. 35 c. 4 id. c. 8]], che comprò una tavola d’Aristide Tebano per cento talenti, e del Re Candaule, che pagò con altrettanto oro un’opera di Bularco, ove dipinta si vedeva la destruzione de’ Magnesi. Lascio altre pitture di grandissimo prezzo note agli eruditi ; e noto, che quelle somme d’argento, e d’oro non si pagavano per rispetto delle figurate impurità, né da persone, che adorassero il vero Iddio. [[4:suite: Zeuxis richesse]]

Dans :Bularcos vend ses tableaux leur poids d’or(Lien)

, p. 59-60

La pittura è una di quelle arti, che si dicono per eccelenza imitatrici. E S. Tommaso insegna, che sono dilettevoli repræsentationes verum etiam quæ in se non sunt delectabiles ; gaudet enim anima in collatione unius ad alterum ; quia conferre unam alterius est proprius, et connaturalis actus rationis. [[1:I.2.q.32. a. 8. c.]] E questo avviene anche nelle cose per se stesse vili, le quali miriamo con diletto nelle loro immagini, quando vi conosciamo la similitudine espressa con l’imitazione : e però dicono Aristotele [[1:In Poet. c. II]], e Plutarco [[1:De aud. Poetis]] Delectat picta lacerta, aut simia, aut Thersitæ facies, non pulchritudinis, sed similitudinis causa ; nam quod turpe est suapte natura, non potest fieri pulchrum ; imitatio tamen exprimans similitudinem, sive pulchræ, sive turpis rei, laudatur. E da questo racorre possiamo, che nell’immagini, che più vivamente esprimono il naturale d’una cosa imitata, sono ragievolmente con maggior laude celebrate ; e cagionano a chi le mira diletto ragionevole ancor maggiore.

Dans :Cadavres et bêtes sauvages, ou le plaisir de la représentation(Lien)

, « Delle immagini vane, e delle ragione di non amarle », « la seconda ragione » (numéro II, 15) , p. 95

Si è la perdita di tempo : onde chi si trattenesse in mirare vane pitture, come sarebbero grottesche disordinate, e condotte poco giudiziosamente, forse meriterebbe la censura di un moderno theologo, che avvisa [[1:P. Arias nel Profitto tr. della mortif. c. 16]] “Si fa danno all’anima, perché il tempo, che una persona aveva da spendere in guardar l’immagine d’un santo, e considerare la sua vita, ed adorarlo, e raccomandarsi a lui per mezzo dell’immagine sua, lo consuma in cosa inutile ; come si è lo star guardando una figura, dalla cui vista non ne segue frutto veruno.” Narra Plutarco [[1:in Marc.]], che Marcello, avendo espugnate le famose, e siciliane Siracuse, portò a Roma, come preda di grande stima e valore, molte immagini, le quali con l’artificio e gentilezza rapivano dolcemente gli occhi de’ Romani : ma quel diletto era vano in tutto, ed un otiosa perdita di tempo ; il perché Marcello riportò plauso alla plebe, ma da’ savi n’ebbe una buona riprensione. Quod populum otio, nugisque referisset, qui dum circa artis, artificumque oblectamenta versabatur, diei plurimum mirando conteneret.

Dans :Grotesques(Lien)

, « Delle immagini vane, e delle ragione di non amarle » (numéro II, 15) , p. 94

E non vale per iscusa l’esempio di molti antichi, da’ quali furono amate le vane figure per puro diletto, senza pensiero d’alcuna utilità : come si vede negli avanzi di quelle miserande rovine dell’antica Roma ; e come l’accenna Plinio [[1:l. 35. c. 10]], spiegando l’opere fatte da Ludio pittor famoso, e che fù il primo a dipingere in muro. Qui primus instituit amantissimam parietum picturam. Perché rispondesi, che ancor a tempo degli antichi le figure vane erano da’ savii riprese, come cose, che non recavano alcun giovamento a gli spettatori.

Dans :Ludius peintre de paysages et la rhopographia(Lien)

, « Della forza, che ha la pittura nel rappresentare » (numéro I, 6) , p. 22

Pictores, avverte S. Crisostomo, imitantur arte naturam, et colores coloribus permiscentes, visibiles corporum depingunt imagines, et faciunt homines, et animalia, et arbores, et campos variis floribus adornatos, et omnia quae videntur, per artem imitantes mirabilem historiam videntibus praestant. Pare, che voglia dire il Santo : l’occhio è testimonio all’intelletto, che l’arte del dipingere a tanto forza nel rappresentare, che può nomarsi emulatrice della natura. Et invero una cosa ben formata con disegno, e ben colorita con decoro dall’arte, rende quasi il medesimo aspetto, che rende la stessa cosa dalla natura prodotta, e perfezionata nell’essere naturale: e però sono seguiti, e seguono alle volte inganni graziosi. I cavali vivi abbaiarono già a’ dipinti cani ; al cavallo figurato da Apelle nitrirono i veri cavalli ; le vive pernici volarono alla pernice dipinta da Parrasio sopra la colonna di Rodi ; i corvi con riso da’ riguardanti presero il volo alla finte finestre, e tegole del teatro di Claudio ; e le fragole effigiate dal Barnazzano tirarono a se i pavoni, che le stimarono naturali. [[7: voir le reste dans Zeuxis et Parrhasios]]

Dans :Les oiseaux picorent les tuiles du théâtre de Claudius Pulcher(Lien)

, « Delle ragioni, per le quali alcuni hanno atteso alla pittura » (numéro I, 5) , p. 18

Et io stimo, che chi attende alla pittura per ragione tanto sublime d’ammaestrare altrui alla virtù, doverebbe arrichirsi col tesoro della cognizione di molte discipline, anzi di tutte le cose, almeno conoscendole leggiermente. Pictorem oporteret, dice il Cardinale[[1:lib. de imag. in Proem. pag. 2]], si minus omnia perfecte comprehensa habeat, leuiore saltem cognitione illa attigisse. E Patrizio. Pictura eruditionem maximam praesefert. E tale fù l’antico Panfilio, di cui dice Plinio [[1:l. 35 c. 10]], che fù maestro d’Apelle, et uomo eruditissimo. Primus in pictura omnibus litteris eruditus.

Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)

, « Se puo il pittore esprimere l’interno affetto d’uno. E se, essendo quegli diffettoso nell’esterno, puo rappresentarlo senza diffetto », « Primo caso antico » (numéro III, 20) , p. 215

Plinio discorrendo dell’opere di Parrasio dice. Pinxit Demon Atheniensium, argumento ingenioso. Volle dichiarare il genio, e la natura varia, et i varii affetti del popolo atheniese, et espresse una figura, che si mostrava collerica, ingiusta, incostante, placabile, clemente, misericordiosa, eccelsa, gloriosa, humile, feroce, fugace, et omnia pariter ostendere, e nello stesso tempo scopriva una varietà di tutti gli affetti. E credo sarebbersi potuto dire : ecco un compendio d’affettuose maraviglie.

Dans :Parrhasios, Le Peuple d’Athènes(Lien)

, « Se puo il pittore esprimere l’interno affetto d’uno. E se, essendo quegli diffettoso nell’esterno, puo rappresentarlo senza diffetto », « Secondo caso antico » (numéro III, 20) , p. 216

Seneca [[1:l. 10 Declam. 5]] scrive del medesimo Parrasio, che per dipingere vivamente l’affetto di Prometeo legato al monte, e ferito dall’Aquila nel cuore, comprò un vechio Olinthio, tra’ prigioni venduti d’ordine del rè Filippo : lo condusse in Athene, et in casa sua usò contro di lui una certa crudeltà, indegna d’essere ricordata, e raccolse coll’occhio, e col pennello diligentemente gli affetti espressi da quel misero, e ne formò l’immagine di Prometeo, opera perfettissima, quanto all’espressione degli interni sentimenti, mà ingiustissima, quanto alla pratica dell’usata fierezza.

Dans :Parrhasios, Prométhée(Lien)

, « Aggiunta intorno alle pitture ridicole », p. 244

E quindi fassi luogo al savio operatore di poter secondo il natural lume di ragione cercar diletto in questa vita con varii e honorati modi, de’ quali uno si è mirare le ridicole pitture. E queste sono di due modi : le prime son fatte con imperitia dell’operante, e cagionano più tosto derisione, che riso, conforme al detto di Quintiliano. Anceps ridiculi est, quod a derisu non procul abest risus. (VI, 3). E perciò nota Eliano, che quell’imperito Pittor antico esprimeva tanto imperitamente le cose dipinte, che poi finita l’opera, costretto egli era d’aggiungervi sotto l’esplication scrivendo. Questo è un palazzo. Questo è un cavallo, o altra cosa di simil fatta. Credo, che a tal imperitia ridicolosa alludesse Michel Angelo, quando compertamente, e con gratia disse ad un pittore, che una pietà havea dipinta : « Voi vi sete portato bene, perché è proprio una pietà a vederla. »

Dans :Peintres archaïques : « ceci est un bœuf »(Lien)

, « D’altre ragioni con le quali il pittore, oltre il mostrarsi alineo, può ritirarsi dal voler dipingere donne ignude, ed altre immagine impure e scandalose » (numéro III, 9 ) , p. 154

Sono alcuni di niuno, o poco genio a formar le immagini, o le statue sacre ; e però le fanno imperfette […] Altri esempi dunque vi vogliono alla prova : ed io dirò, che tra gli antichi tale fù Pireico, posto da Plinio tra’ celebri in penicillo, e di cui attesta [[1:l. 35. c. 10]] Tonstrinas, sutrinasque pinxit, et asellos, et obsonia, ac similia, ob hoc cognominatus rhyparographos, in iis consumatae uoluptatis. E tale anche fù Serapione, peroché il medesimo scrive. His scenas optime pinxit sed hominem pingere non potuit. E tra’ moderni artefici di gran nome può riporsi il Cavalier d’Arpino poiché egli poco genio aveva a condurre l’historie sacre, ma molto le profane, e massimamente le militari.

Dans :Piraicos et la rhyparographie(Lien)

, « Dell’onore fatto da’ personaggi grandi ad alcuni segnalati pittori » (numéro III, 24) , p. 248

Protogene stava lavorando fuori della città di Rodi in un suo podere, mentre il Re Demetrio teneva assediata la medesima città, guerreggiando contro i Rodiani: intesa la sicurezza, con che quell’artefice attendeva al suo lavoro, comandò, che venisse al suo cospetto: e venuto gli dimandò : perché dimori tu tanto sicuramente fuori della città ? Perché sò, rispose, che la potenza del Re Demetrio fa guerra a’ suoi nemici di Rodi, e non all’eccellenza dell’arti. La qual riposta piacque tanto al Re, che comandò, non fusse punto inquietato nel suo lavoro, e spesse volte l’onorò con la sua presenza, andando a vederlo lavorare. [[4:suite : Protogène satyre]]

Dans :Protogène et Démétrios(Lien)

, « Dell’onore fatto da’ personaggi grandi ad alcuni segnalati pittori » (numéro III, 24) , p. 248

[[4:suit Protogène et Démétrios]]  Ed in quel tempo condusse la famosa opera detta Anapauomene, cioè il Satiro, che riposando s’appoggia ad una colonna, sopra la quale, dicesi che dipingesse un’ uccello tanto di naturale, che i veri uccelli della sua specie, veggendolo, e subito cantando, l’invitavano a cantare. [[1:Borghini l. 3 p. 380]]

Dans :Protogène, Satyre et parergia(Lien)

, “Della forza, che ha la pittura nel rappresentare” (numéro I, 6) , p. 22

[[7:voir le reste dans Zeuxis et Parrhasios]] le vive pernici volarono alla pernice dipinta da Parrasio sopra la colonna di Rodi

Dans :Protogène, Satyre et parergia(Lien)

, "Se sia uso buono, o abuso, che l'artifice si chiuda nel luogo del lavoro", "la terza ragione" (numéro III, 19) , p. 210

Trovasi, dice [[5:Vasari.]], che Lionardo per l’intelligenza dell’arte cominciò molte cose, e non le finì, parendogli, che la mano giungere non potesse alla perfezione dell’arteficio, che egli s’imaginava : consiosia che formavasi nell’idea alcune difficoltà tanto maravigliose, che con le mani, ancorche elle fussero eccellentissime, non si sarebbero mai espresse. Egli fece in Milano a’ Religiosi di S. Domenico un Cenacolo, cosa bellissima, e maravigliosa, che con le mani, ma non lo perfezionò : peroché diede alle teste degli apostoli tanta maestà, e bellezza, che poì parve costretto a lasciar quella di Christo imperfetta, non pensando poterle dare quella divinità, che si richiede all’immagine di tal Signore.

Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)

, « Della forza, che ha la pittura nel rappresentare » (numéro I, 6) , p. 22-23

Pictores, avverte S. Crisostomo, imitantur arte naturam, et colores coloribus permiscentes, visibiles corporum depingunt imagines, et faciunt homines, et animalia, et arbores, et campos variis floribus adornatos, et omnia quae videntur, per artem imitantes mirabilem historiam videntibus praestant. Pare, che voglia dire il Santo : l’occhio è testimonio all’intelletto, che l’arte del dipingere a tanto forza nel rappresentare, che può nomarsi emulatrice della natura. Et invero una cosa ben formata con disegno, e ben colorita condecoro dall’arte, rende quasi il medesimo aspetto, che rende la stessa cosa dalla natura prodotta, e perfezionata nell’essere naturale: e però sono seguiti, e seguono alle volte inganni graziosi. I cavali vivi abbaiarono già a’ dipinti cani ; al cavallo figurato da Apelle nitrirono i veri cavalli ; le vive pernici volarono alla pernice dipinta da Parrasio sopra la colonna di Rodi ; i corvi con riso da’ riguardanti presero il volo alla finte finestre, e tegole del teatro di Claudio ; e le fragole effigiate dal Barnazzano tirarono a se i pavoni, che le stimarono naturali. Taccio molti altri inganni seguiti negli animali, e negli uccelli ; e ne ricordo alcuni successi negli uomini. Parrasio disegnò si bene il suo velo, che vero da Zeusi fu stimato. Baldasar da Siena dipinse nella città di Roma alcune cornici tanto bene, e con gl’intagli, e lavori tanto aggiustati, che gli stessi pittori alle volte l’hanno stimate di stucco, rimanendo graziosamente ingannati: tanto può l’arte esercitata col talento di un valente professore. E maestro di tal’eccellenza fù Giotto, benché per altro tanto umile, che sempre rifiutò d’esser chiamato Maestro. Egli ebbe un’ingegno cosi eccellente, che, come scrive un’ antico autore (Boccac. giorn. 6 n. 5) niuna cosa dalla natura è fatta, che egli con lo stile, e con la penna, o col pennello non dipingesse simile a quella, che non simile, anzi più tosto dessa paresse: intanto che molte volte nelle cose da lui fatte si trova, che il visivo senso degli uomini vi prese errore, quello credendo esser vero, che era dipinto. Inferiore a questo grande artefice io non stimo il famoso Coreggio, uomo d’impareggiabile valore nel dipingere. Da lui fu fatta quella maraviglia, che è principalissima tra tutte le maraviglie di oggidi ; e si vede nella Cupola della Catedrale della città di Parma : ove egli figurò una cornice intorno con tale, e tanto squisito artificio, che chi, da basso alzando gli occhi, la rimira, non può credere, che sia cosa dipinta ; tutto che, esser tale, detto gli venga, e confermato da molti : e quindi segue, che essendo veramente pittura, porge ad ognuno occasione di volersene chiarire presenzialmente con la solita esperienza di toccarla con un’asta, per vedere evidentemente, e provare se sia lavoro di rilievo, e di stucco, o pure d’opera dipinta. Cosi nell’altrui inganno trionfa la forza dell’artificiosa rappresentazione. Ma non passiamo con silenzio la gloria di Tiziano. Scrive di lui il Vasari , che fece un’ immagine di Papa Paolo 3 e che avendola posta sopra un terrazzo al sole per vernicarsi, cagionò, che fù da molti, mentre passavano, veduta, e stimata essere il vero, e vivo Papa ; che però facendoli umilissimamente di berretta, lo riverivano. Ed invero da niuno mai meglio fù quel gran pontefice espresso, che da Tiziano ; il quale parimente fece la di lui figura, che ora si vede nel Palazzo Farnesiano di Roma, e sta in attitudine di parlare a Pier Luigi ; e sembra piuttosto vivo, e spirante, che dipinto, e rappresentato.

Da gli addotti casi, e da altri, che addur potrei, voglio inferire, che la pittura ha gran forza nel rappresentare. Questa forza considerò Francesco Patrizio ne’ danari fatti da Policleto, mentre scrisse, che non mancava loro altro, che la gravezza ed il suono. E quell’altro la riconobbe ne’ pesci scolpiti da Fidia, quando avviso :

Pisces aspicis, adde aquam, natabunt.

E nella cagnuola dipinta, e paragonata ad una viva, quando disse :

Ipsam denique pone cum catella,

Aut viramque pitabis esse veram,

Aut utramque pitabis esse pictam.

Perché erassi ben formata al naturale, che niente le mancava se non lo spirito ed il moto. La pittura ha gran forza nel rappresentare ; e ciò le conviene per due ragioni : ho detto della prima, perché ella è emulatrice della natura ; dirò brevemente della seconda.

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, « D’alcuni motivi, per li quali molti artefici non eleggono il far solamente opere sacre » (numéro III, 17) , p. 201-202

E chi non avesse, ne potesse avere, pronte l’opere migliori tra le sacre condotte da’ valentuomini, si sforzi d’imitar le sacre, che può avere; imperoché essendo state fatte da eccellenti artefici, serviranno di buona, e eccellente scuola a’ diligenti imitatori; ovvero imiti le profane, et indifferenti, ma nell’espressione dell’artificio, e bellezza delle figure: e facci di modo comparire nell’opera sua sacra le perfezioni imitate nell’altrui opere trapiantati nel giardino di Dio. E noto l’antico modo tenuto dal famoso Zeusi, quando, come dice Plinio [[1:l. 35 c. 9]], per far un’opera sacra da porsi nel tempio Iunonis Laciniae, prese per via d’imitazione il meglio, che trovò sparso in cinque vergini bellissime, e lo espresse raccolto nella sua pittura. Così può virtuosamente procedere il pittore; notare, quod est laudatissimum, ciò, che di lodevole et eccellente egli ammira nell’opere profane de’ moderni, et esprimerlo nella sua opera sacra per via d’imitazione; per quanto però, e come, il suo sacro soggetto richiede, o comporta. Con questo modo le gioie trovate nell’arene s’incastrano nell’oro.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, “Dell’officio del pittore, e come lo deve esercitare” (numéro III, 22) , p. 238

E come l’ufficio dell’oratore fu distinto in tre parti da S. Agostino [[1:l. 4 de doctr. chris. c. 12]], Delectare est suavitatis, docere necessitatis, flectere victoria: così l’officio del pittore da noi si distingue in maniera, che gli conduca l’opere a segno, che consolino col diletto, che illuminino coll’ammaestramento, e che eccitino col moto i riguardanti a vivere secondo il dettame della virtù, e del voler divino. [[1:Armenino l. 2 c. 10]] E questo officio egli deve esercitare per giudizio di molti con diligenza, non ostinata, ma almeno bastevole, specialmente per quell’opere, che star deono molti anni al bersaglio de’ riguardanti. Et avverta, che circa il modo di ritrarre al naturale, non s’approva per buono ogni naturale, quasi che la natura non erri mai nel fare le sue bellezze: et in caso, che le facci, o abbia fatte men perfette, può il pittore, e deve con la sua diligenza, e modo aiutarla. Zeusi usò accortezza in raccorre le naturali bellezze sparse in molte vergini, come ho detto, per formarne la bellissima figura a’ Crotoniati, secondo Tullio [[1:l. 2 de invent.]], o a gli Agrigentini, secondo Plinio [[1:l. 35 c. 9]]: ma se non avesse adoperata singolar diligenza, et artificioso modo, non averrebbe accordato insieme, e tanto bene quelle divise bellezze; ne l’immagine sua saria stata di quella perfezione. Anche del Tintoretto scrivessi [[1:Carlo Ridolfi nella vita p. 7]], il che molto più conviene al maraviglioso Raffaello, ad Annibale Carracci, et ad altri eccellentissimi professori, che egli conosceva con la perspicacia dell’ingegno, che per divenir gran pittore, faceva di mestieri assuefar lo stile del disegno sopra scelti rilievi, partendosi dall’imitazione di natura; poiché questa produce per lo più cose imperfette, ne accoppia, che difficilmente insieme tutte le parti d’una compiuta, e perfetta bellezza. Saggiamente osservava, che gli eccellenti artefici ebbero intento di cavar un’estratto del bello dalla natura, et aiutandola nelle parti manchevoli, renderla nell’opere loro per ogni parte perfetta: volle egli mostrar il modo da praticarsi nel ritrarre le cose dal vivo: ma non avrebbe già mai ridotti que’ corpi ad una tanta esquisitezza, se non v’avesse acconcio quello, che vide manchevole nel naturale, facendo espressamente conoscere, che fa di mestieri al buon pittore l’accrescere bellezza alla natura con l’arte.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, « Del diletto sensitivo, e spirituale, che si riceve dalle sacre immagini » (numéro II, 9) , p. 57

[[8:voir aussi Hélène belle et Hélène riche]] San Tommaso insegna conforme al Filosofo [[1:l.2. q. 31 a.4. al 1.]], quod secundum omnem sensum est delectatio, che si da un diletto, che si chiama sensitivo, cagionato dalla cognizione del senso, e che sta nell’appetito inferiore : e questo nasce dalle sacre immagini, quando il senso dell’occhio conosce in quelle la graziosa varietà de’ colori, la vaghezza de’ lumi, l’artificio del disegno, la gentilezza degli ornamenti, ed il resto, che veduto empie di dolce maraviglia l’animo dello spettatore. Questo diletto ricevono in gran maniera que’ giudiziosi intelligenti, che, avendo occhio buono, si lasciano rapire a mirare con somma attenzione ciascun’opera di valentuomo. Eliano racconta [[1:l. 14 var. hist.]] che l’antico pittor Nicostrato, mirando una volta l’Elena dipinta da Zeusi, rimase stupefatto in guisa, che quei che lo viddero come rapito, s’accorsero, ch’egli era tutto pieno d’altissima maraviglia ; onde uno se gli accostò chiedendo : « E perché ammirasse tanto quell’opera di pittura ? » A cui rispose : « Non id me rogares si meos oculos haberes ». E volle dire : se tu avessi buono occhio, come ho io, per mirar questa bellissima pittura, non mi faresti una tal domanda intendendo molto bene, che io meritamente son rapito da diletto grandissimo nel rimirare l’esquisitezza del suo artificio. Così avviene a molti pratici del nostro tempo nel mirare qualche opera eccellente. E vero con tutto ciò, che alle volte per godere cotal diletto, basta lasciarsi consigliar dal senso, senza consultar con la ragione.

Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)

, « Aggiunta attorno alle pitture ridicole » (numéro III, 23) , p. 246-247

Procuri l’artefice nell’esprimere le ridicole deformità moderar in modo che non cagioni riso troppo dannoso : se bene io credo, che a tempo nostro niuno farà morire alcuno spettatore come in altro tempo alle volte è avvenuto. Ho letto [[1:Armenini l. 1. c. 3]], che un francese pittore eccellentissimo aveva per suo capriccio dipinto in certa villa poco lunghi da Parigi una femina d’apparenza vecchia, ridicola, e brutissima : lo disse ad un’amico, il qual desideroso di vederla, vi si trasferì, e cominciò con tanto insolita attenzione a riguardar fisso quelle ridicole e straordinarie deformità, che ne divenne immobile per lo soverchio piacer dell’animo ; et alla fine chiudendo gl’occhi, e perdendo ogni sentimento, e vigore, l’infelice se ne morì : morte degna di poca compassione, per essere comprata col prezzo di troppo riso. Un altro caso simile, ed anche più maraviglioso avvenimento leggesi dell’antico e famoso Apelle [[1:Plin. 35. c. 10 Annot. Lit. a.p. 740]]. Dipinse una vecchiarella co’ suoi colori tanto proprii, e naturali, che potè consolarsi dicendo : “Ho fatto un opera espressiva in tutto del concetto ed idea dell’animo mio.” Effigliola in modo, che se ne stava sul canto d’un camino vicina ad un picciol fuoco, quasi covando le ceneri, per riscaldar le membra della senile e raffreddata persona. Occorse poi un giorno, che Apelle, stando tutto malinconico, cominciò, per ricrearsi alquanto, a mirare attentamente la dipinta e ridicola vecchiarella, e sentissi muovere a ridere con tanto affetto, che, non solo subito cacciò la malinconia, ma, non potendo moderare il riso, forzato fù di spirare l’anima, e di morire : nel che si verificò la sentenza di Tullio [[1:l. 2 de orat.]] Ita repente risus erumpit, ut eum cupientes tenere nequeamus. Anche l’antico Crasso, benché nominato fusse Agelastos, per essere giunto all’età senile senza mai ridere, quando vidde, che un giumento mangiava cardi spinosi, non potè ritenere il riso, onde nacque il proverbio. Similes habent labra lactucas.

Dans :Zeuxis mort de rire(Lien)

, "Della pittura" (numéro I, 1) , p. 3

Sant’Ambrogio scrive per comune ammaestramento. [[1:c. 5 ser in Dom. 23 ser. 67]]. Aurum non pretiosum natura instituit, sed hominum voluntas effecit. Non l’institutione della natura, ma la volontà degli huomini ha cagionato, che l’oro si giudichi metallo pretioso : egli è tenuto, sto per dire, il primo sensale delle pretiose vendite, poiche dalla sua quantità si prende la grandezza di quel prezzo, con che avvalorasi il credito delle merci. Quindi nasce per noi un nobilissimo concetto della pittura, mentre ci ricordiamo, che le sue opere furono tal’hora vendute a peso d’oro. Troppo è traboccante di stima quella merce a cui serve di contrapeso a titolo di prezzo il pretiosissimo tra’ metalli. Strabone attesta, che alcune immagini si prezzarono tanto, che la narratione è un parto di maraviglia. [[1:Lib. 14 ubi de Augusto]]. Dello, pittor fiorentino, ebbe, credo, questo pretioso concetto, mentre servi il re di Spagna lavorando col grembiule di broccato d’oro, quasi che l’oro solamente esser dovesse il meritato prezzo del suo lavoro. Plinio scrive, che l’antico Zeusi divenuto ricchissimo con l’opere di pittura, cominciò a donarle, quasi accenando, che erano di prezzo inestimabile. Noi meglio, che dall’oro, e dal prezzo, conosceremo il merito di questa professione, rispondendo a’ dubbii de’ seguenti quesiti; e le risposte non saranno oracoli di sapienza, ma dogmi di utilità, per servire all’honeste attioni de’ virtuosi pittori secondo quel morale avviso, Actiones honestas ex decretis fieri.[[1:Seneca ep. 95]]

Dans :Zeuxis et la richesse(Lien)

, “Se il prezzo delle pitture può far lecito il dipingere impurità” (numéro III, 4) , p. 129 [[4:suit Bularcus]]

So, che Zeusi, come dice Eliano [[1:l. 4 Var. c. 12]], voleva essere molto ben pagato, per mostrar solamente la sua bellissima Elena, onde nacque, che i Greci di quel tempo Helenam illam scortum vocabant, quoniam lucrum ex ea pictura faceret Zeuxis Heracleotes. Ma egli non era artefice, professor di legge tanto pura, che non vuole, si dipingano con immodestia l’immagini delle donne anche bellissime. Se bene io credo, che quella pittura non meritava d’essere posta tra le figure disoneste ; poiché l’addotto autore dice Cum pinxisset Helenam, onde il suo guadagno non era preso da cosa impura. Aggiungo : il prezzo grande, con che comprasi, o sono state comprate tal’hora alcune pitture disoneste, non prova come lecita la disonestà, ne che lecito sia l’esprimerla dipingendo ; ma dimostra la perfezione contenuta nell’opera dipinta con eccellenza di finissimo artificio.

Dans :Zeuxis et la richesse(Lien)

, “Dell’onore fatto fa’ personnaggi grandi ad alcuni segnalati pittori” (numéro III, 25) , p. 252

Concludo avvisando, che l’eccellente pittore può sperar d’essere onorato; non solo da personnaggi, e principi particolari, ma anche dalle città, e da’ popoli intieri. E forse da tal speranza lusingato l’antico Zeusi, andando in Olimpia, ove gran parte della Grecia concorreva alle pubbliche feste, portò scritto a lettere d’oro sul mantello il proprio nome, come persuaso, che conosciuto da que’ popoli, sarebbe stato con sua molta riputazione veduto, e onorato. E questa popolare dimostranza d’onore possono sperar, e conseguir i nostri virtuosi pittori, e in vita, e in morte: e con effetto la conseguì dal popolo fiorentino il lodato Filippo Lippi; conciosia che nella sua morte s’aggiunse agli onori avuti in vita, che l’officine tutte si serrarono, perché fusse onorato con numeroso popolo alla sepoltura.

Dans :Zeuxis et la richesse(Lien)