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TitreDicerie sacre
AuteursMarino, Giovanni Battista
Date de rédaction
Date de publication originale1614
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Date de reprint

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 6v-7r

[[4:suit Timanthe]] Giudicio poi, e prudenza non meno ch’ingegno si difidera nel Pittore, perche discretamente fugga gli atti sconci, e dalle sconvenevolezze con sommo avertimento si guardi. Così raccontasi, ch’Apelle ritrahendo il Rè Antigono, il qual d’un occhio era scemo, lo ritrasse in fianco, accioche il difetto del corpo fusse a mancamento della Pittura attribuito.

Dans :Apelle, le portrait d’Antigone(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 4r

[[8:voir aussi: Praxitèle Vénus; Myron Vache; Apelle Cheval]] Et che che se le mancano i lumi, e l’ombre che può dar l’Artefice, ella hà nondimeno quelli, e quelle che fà la Natura istessa, e che si vanno naturalmente variando; et che se dal canto di lei s’adducono l’uve di Zeusi, il cavallo d’Apelle, e i cani di Nicia, dove corsero gli animali; per sé non mancano la giumenta di Mirone, la Verene di Prassitele, e quella di Pigmalione, di cui s’innamorarono gli huomini.

Dans :Apelle, le Cheval(Lien)

, « La pittura, parte seconda » (numéro Diceria I) , fol. 55r

.[[1:Plat. in Phædr.]] Pictura opera tanquam viventia extant, si quid vero regaveris, verecunda admodum silent. Et non hà dubbio, che tutte le cose ben disegnate, e ben colorite da chi sappia a tempo e luogo compartir gli splendori, e i reverberi, et osservar giudiciosamente in esse i reflessi de’ lumi, e i recessi dell’ombre, non rendano nel gesto che rappresentano, il medesimo aspetto, che rende la Natura istessa. Scrivesi, [[1:Stab. Liv. 14]] ch’alla pernice dipinta da Protogene nell’isola di Rodi volarono le pernici. Leggesi, [[1:Plin. L. 35]] che il drago dipinto nel Triumvirato fece cessare gli uccelli dal cato, che interrompenano il sonno a Lepido. Narrasi, [[1:Ibid.]] che i corvi ingannati dalle tegole dipinte nel theatro di Claudio il bello, per uscir delle finte finestre gli volarono negli occhi. Raccontasi, [[1:Ibid.]] ch’Apelle l’imagini altrui dipigneva tanto simili al vivo, che molti indovini, e metoscopi dalla faccia de’ritratti pronosticarono la vita, e la morte de gli huomini. Il medesimo Apelle dipinse una volta un cavallo, il quale non così tosto le cavalle vive hebbero veduto, che co’nitriti, e col calpestio la naturalezza dell’opera approvarono. Tale, e tanta è la forza del colorito, e di sì minuto magistero è capace, che non è cosa alcuna corporea da Dio creata, la qual non si possa con colori rappresentare, come se vera fusse.

Dans :Apelle, le Cheval(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 40r

Quinci si legge, ch’Apelle publicando le sue pitture, l’esponeva all’altrui sindicatura, e dopo le tavole s’appiattava per ascoltar le censure de’ riguardanti, onde biasimato una volta da semplice contadino, sottogiacque volentieri all’accusa, e cedette alla correttione. In fine è verissimo, che non è cosa dall’intelletto, e dalla mano dell’huomo tanto studiata e sudata, che non sia corrigibile et emendabile.

Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 44rv

Laonde Christo nella maniera istessa tenuta dal buono Apelle soleva in publico esporlo all’altrui parere, chiedendo se pur alcuno qualche difetto vi conoscesse. [[1:Ioan. 8]] Quis vestrum arguet me de peccato? Pur le dipinture d’Apelle furono conosciute manchevoli. Ma in questa irriprensibile imagine come poteva giammai trovarsi imperfettione, ò macchia alcuna? 

Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)

, « La pittura, parte seconda » (numéro Diceria I) , fol. 59v

Ma passando dalla favola alla historia, e continovando l’intrapresa metafora della Pittura, non è fors’ella questa medesima tenzone nel contrasto di due Pittori famosi adombrata ? Apelle tira una sottilissima linea nella tavola di Protogene. Protogene riconosciuto il maestro, divide quella d’Apelle con altra più sottile. Apelle finalmente senza lasciar più luogo alla sottigliezza con un’altra invisibile sega per mezo quella di Protogene. O con quanta gentilezza tirò il Pittor celeste l’invisibile lineamento dell’anima humana creandola innocente. [[1:Eccl. 17]] Secundum imaginem suam fecit illum. Ma con quanta sottilità il Pittore infernale interruppe il corso di questa belle linea facendole violare il divino precetto. [[1:Ezech. 7]] Imagines abominationum, dice Ezechiello. [[1:Abac. 2]] Conflatibile, et imaginem falsam, dice Abacucco. Et ecco che’l sapere dell’uno abbassa l’audacia dell’altro con l’incomparabile lineatura di questo lino, e rivolgendo in desperatione l’emulatione, finisce il giuoco, e spezza del suo competitore il disegno. [[1:Ose. 2]] Et confringet simulacra eorum, dice Osea. [[1:Psal. 73]] Et imagines ipsorum ad nihilum rediges, dice David. [[4:suite : Zeuxis et Parrhasios]]

Dans :Apelle et Protogène : le concours de la ligne(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 35v

[[7:voir le reste dans Tableaux inachevés]] Quinci la Venere dipinta da Apelle in Coo, quantunque nella parte inferiore alquanto rotta fusse, non hebbe giamai chi la riconciasse.

Dans :Apelle, Vénus inachevée(Lien)

, « La pittura, parte seconda » (numéro Diceria I) , fol. 56v-57r

[[1:Plin. ibid.]] Se tanto commosse i riguardanti quella tavola di mano d’Aristide, trasportata da Alessandro in Pella, dove nel conflitto d’una città vedevasi una madre svenata, e moribonda porger la poppa al suo pargoletto bambino; e con tenero sentimento d’amore, di dolore, e di rimore stringendolo, pareva in quell’ultimo singhiozzo guardarsi, che l’infante suggendo il latte dalla mammella non lambisse il sangue della ferita; che dee fare questa Pittura colorita dal gran fattor del mondo in cui si scorge così bene effigiato l’amore, e la pietà di colui, che mortalmente trafitto, e vicino all’estremo fiato, ci donò il latte nella sua carne, et il sangue ne’ sacramenti? Amore senza comparatione maggiore, e più sviscerato, che’l materno.

Dans :Aristide de Thèbes : la mère mourante, le malade(Lien)

, « La pittura, parte terza » (numéro Diceria I) , fol. 78r-78v

Pitture hebbe l’antica Grecia tanto pregiate, [[1:Plin. l. 35]] che del Rè Attalo, e del Rè Candaule si legge, l’uno haver compra una tavola d’Aristide cento talenti, e l’altro con altrettanto oro haverne pagata una di Bularco. Taccio la Medea di Timomaco, apprezzata da Cesare dittatore ottanta talenti, e gli Argonauti di Ciclia pagati da Hortensio oratore poco men che due volte tanto. Ma che hanno da far quelle prezzolate e venali d’artifici mercenari con questa del Pittor divino, il cui pregio tutti i thesori eccede? [[1:Coloss. 2]] In quo sunt omnes thesauri scientia, et sapientia Dei. 

Dans :Bularcos vend ses tableaux leur poids d’or(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 5v

Bella certo (se [[1:Hect. Falic. trac. I. de societ.]] debbo credere a chi ne scrive) fù la prima origine della Pittura, di cui sovviemmi haver letto, che l’inventore fù Amore; percioche licentiandosi dalla sua donna un’amante nell’ultima notte de’suoi trastulli per andar lontano, e volendo di sé lasciarle qualche ricordo, disegnò la sua effigie rozamente nel muro, contornata su l’ombra del proprio corpo al reflesso della candela. Et così fece il nostro celeste Vago, che in quell’estremo, e doloroso commiato non volse da noi allontanarsi senza lasciare in pittura alla nostra memoria una dolce rimembranza da se stesso. Pittura non rozza, ma perfetta; fatta all’ombra notturna d’una morte horribile, e tenebrosa, ma formata al lume ardente della sua infinita sapienza, e della sua sviscerata carità, là dove gli strali d’Amore fecero ufficio di pennelli, poich’altro ch’amorose saette non furono già que’ santissimi chiodi, che lo trafissero in croce.

Dans :Dibutade et la jeune fille de Corinthe(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 4r

[[8:voir aussi Apelle Cheval; Praxitèle Vénus; Zeuxis et Parrhasios]] Et che se le mancano i lumi, e l’ombre che può dar l’Artefice, ella hà nondimeno quelli, e quelle che fà la Natura istessa, e che si vanno naturalmente variando; et che se dal canto di lei s’adducono l’uve di Zeusi, il cavallo d’Apelle, e i cani di Nicia, dove corsero gli animali; per sé non mancano la giumenta di Mirone, la Verene di Prassitele, e quella di Pigmalione, di cui s’innamorarono gli huomini.

Dans :Myron, la Vache(Lien)

, « La pittura, parte seconda » (numéro Diceria I) , fol. 55r

[[8: Voir aussi Protogène Satyre]] [[1:Plat. in Phædr.]] Pictura opera tanquam viuentia extant, si quid vero regaueris, verecunda admodum silent. Et non hà dubbio, che tutte le cose ben disegnate, e ben colorite da chi sappia a tempo e luogo compartir gli splendori, e i reverberi, et osservar giudiciosamente in esse i reflessi de’ lumi, e i recessi dell’ombre, non rendano nel gesto che rappresentano, il medesimo aspetto, che rende la Natura istessa. Scrivesi, [[1:Stab. Liv. 14]] ch’alla pernice dipinta da Protogene nell’isola di Rodi volarono le pernici. Leggesi, [[1:Plin. L. 35]] che il drago dipinto nel Triumvirato fece cessare gli uccelli dal cato, che interrompenano il sonno a Lepido. Narrasi, [[1:Ibid.]] che i corvi ingannati dalle tegole dipinte nel theatro di Claudio il bello, per uscir delle finte finestre gli volarono negli occhi. Raccontasi, [[1:Ibid.]] ch’Apelle l’imagini altrui dipigneva tanto simili al vivo, che molti indovini, e metoscopi dalla faccia de’ritratti pronosticarono la vita, e la morte de gli huomini. Il medesimo Apelle dipinse una volta un cavallo, il quale non così tosto le cavalle vive hebbero veduto, che co’nitriti, e col calpestio la naturalezza dell’opera approvarono. Tale, e tanta è la forza del colorito, e di sì minuto magistero è capace, che non è cosa alcuna corporea da Dio creata, la qual non si possa con colori rappresentare, come se vera fusse.

Dans :Les oiseaux picorent les tuiles du théâtre de Claudius Pulcher(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 8v

[[4:suit Pamphile]] La seconda parte, cioè la sperienza, ne’Pittori terreni è difettosa, percioche la Pittura non in un tempo solo, né da una sola persona hebbe perfettione, ma da molti, et appoco appoco ricevette accrescimento. [[1:Plin. l. 35. Ælian. Var. hist. L. 4. Petr. Vic. Var. lec. ca 76. et 82. Pet, Crin. de hon. discip. L. I. c. 11. Cœl. Rhodig. antiq. lect. L. 16. cap. 23.]] I Corinthii dall’ombra dell’huomo (come si disse) trassero i suoi principii. Gli Egittii furono i primi, che con linee il corpo humano circoscrivessero. Ardice Corinthio, e Telefane Sicionio la essercitarono senza colori. Venne poi pian piano l’arte a distinguer se stessa, e con le differenze de’colori, e de’lumi, e dell’ombre a formar le commessure.

Dans :Les origines de la peinture(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 1v

Io son più degna[[5:della scultura]] (dice la Pittura) per cagione della stima del mio essercitio. Chiedine Athene, se tutti i fanciulli nobili ne’ lor primi anni a disegnare imparavano, e se perciò nel primo grado dell’arti liberali fui accettata. Dimandane Roma, se lecito era adoperarmi, senon solo al cittadino, che per lunga serie provata havesse la libertà del suo sangue. Dicanlo i Greci, e i Latini, se le famiglie illustrissime non si vergognarono di prender da me il nome istesso, nonche l’ufficio.

Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)

, fol. 8r

Et se vogliamo regolarci secondo il detto di Panfilo Macedonico maestro d’Apelle, come potrà egli trattegiar con fondamento le linee senza la Geometria? Come divisare perfettamente le fabriche senza l’Architettura? Come rappresentare i luoghi del mondo senza la Cosmografia? Come dimostrare l’imagini del Cielo senza l’Astrologia? Come disegnare i siti de’paesi, e le piante delle fortezze senza la Militia? E come allumar le figure, far gli scorci, et atteggiare i moti senza la prospettiva? Ma come è possibile, che Pittore vivesse giamai tanto scientiato, che in sé raccogliesse essattamente tutte queste dottrine, se non solo Iddio, di cui si dice [[1:Ps. 142]] Magnus dominus noster, et magna virtus eius, et sapientia eius non est numerus ? [[4:suite: origines de la peinture]]

Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 9r

Parrasio insegnò a dipignere con simmetria, espresse la venustà del viso, l’eleganza de’capelli, et al giudicio di tutti gli artefici di quel secolo conseguì la palma nel finimento delle linee estreme.

Dans :Parrhasios et les contours(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 4r

Et che che se le mancano i lumi, e l’ombre che può dar l’Artefice, ella hà nondimeno quelli, e quelle che fà la Natura istessa, e che si vanno naturalmente variando; et che se dal canto di lei s’adducono l’uve di Zeusi, il cavallo d’Apelle, e i cani di Nicia, dove corsero gli animali; per sé non mancano la giumenta di Mirone, la Verene di Prassitele, e quella di Pigmalione, di cui s’innamorarono gli huomini.

Dans :Praxitèle, Vénus de Cnide(Lien)

, « La pittura, parte terza » (numéro Diceria I) , fol. 74v-75r

Sò che Alchida Rhodico s’innamorò libidinosamente della statua di Venere, opera di Prassitele. Hò letto, che Pigmalione della sua s’invaghì sì follemente, che con esso lei ragionava, l’abbracciava, e con affettuosi gemiti sospirava. Sovviemmi, che Giunio havendo veduto un simulacro delle Muse ignude, si accese per esso di strano ardore. Mi ricordo, che Pontio si compiacque in guisa d’Atalanta, e d’Helena fatte già per mano di Cleofanto, che sene struggeva di disiderio. Trovo scritto finalmente amante esserci ritrovato tanto focoso, che morì baciando della sua cara amata il ritratto. Ma perche quell’affetto, e quell’amore, che vanamente altri spese in imagini morte et insensate, non impieghiamo noi un questa imagine viva e vitale, di essa santamente innamorandoci, stringendola con le braccia del cuore, riscaldandola co’baci dell’anima, e lavandola col bagno delle lagrime nostre ?

Dans :Praxitèle, Vénus de Cnide(Lien)

, « La pittura, parte seconda » (numéro Diceria I) , fol. 68r-68v

Se Demetrio [[1:Plin. L. 35. cap. 10. Gel. lib. 15. c. 31]] non volse Rhodo mandare a fuoco, potendo distruggerla, e conquistarla, per non ardere il Bacco di Protogene; nè gli rincrebbe condonando la perdita alla pittura di perdere l’occasione della vittoria, perche la spada della divina giustizia non perdonarà a Torino per haver riguardo a questa gloriosa Pittura, fatta non da mano humana, ma dalla propria mano di Dio, vivi adunque sicuro ò Torino, nè temere mentre ricovrerai sotto la protettione di sì fatto scudo, che contro te l’ingiurie della Fortuna prevagliano, o che gli assalti de’nemici ti offendano. Imperoche, non dico l’armi degli esserciti mondani, non dico gl’incontri delle forze infernali, ma anche le saete istesse vendicatrici del braccio di Dio adirato ti porteranno rispetto, anzi torneranno indietro intuzzate et ottuse.

Dans :Protogène et Démétrios(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 45v-46r

[[1:Plin. et Val. Max.]] Formava Nealce Pittore illustre un corsiero feroce in atto di maneggio, et havendogli tutte quelle parti compiutamente date, che renderlo potevano riguardevole; cervice alta, testa breve, collo elevato, orecchie aguzze, occhi vivaci, nari gonfie, petto colmo, fianchi larghi, ventre picciolo, groppa spianata, cosce polpute, gambe nervose, ginocchia ritonde, crine raro, coda lunga, fronte stellata, piede balzano; volendo già sodisfatto di tutto il resto, finger la bocca spumante per l’anhelito della fatica, dopo l’haverla più volte schizzata, e guasta, fatta, disfatta, e rifatta, cangiati pennelli, raddoppiati colori, non bastandogli finalmente l’animo di piacere a se stesso, e diffidando d’esprimerla a suo talento, montato in corruccio trasse per annular la pitttura quella spugna, in cui sogliono i dipintori gli stromenti nettare; et o maraviglia, dove giugner non potè l’arte, arrivò il caso, la sorte nella pittura adempì l’ufficio della naturalezza, e quelche la quiete della diligenza non seppe, fece l’impero della stizza; percioche la spugna bruttata di que’ colori, ch’egli pur dianzi haveva in essa forbiti, insù la faccia del cavallo avventata, venne a fargli mirabilmente la bocca, morso angusto, ringhi sbarrati, forge sbuffanti, freno d’oro, spuma d’argento, e per fine a darle tutte quelle qualità, che l’arte richiedeva, et il desiderio procurava. Il simile (s’Iddio mi guardi) si può dire essere alla Sinagoga Hebrea adivenuto, il cui pessimo disegno era di deturpare e del tutto distruggere questo divino ritratto. Né ad altro fine (per quanto io mi stimi) racconta l’evangelica historia, ch’ella contro lui adoperasse appunto la spugna intinta nel fiele, e nell’aceto, senon per dispietatamente imbrattarlo, e renderlo oscuro e difforme. Ma ecco che le macchie l’illustrano, gli scherni l’abbelliscono, gli stratii l’essaltano, onde viene ella a conseguire fine intutto contrario al suo protervo et iniquo pernsiero, poiche per mezo di quetsa amara passione ottenne Christo la grandezza della sua Chiesa.

Dans :Protogène, L’Ialysos (la bave du chien faite par hasard)(Lien)

, « La pittura, parte seconda » (numéro Diceria I) , fol. 55r

[[1:Plat. in Phædr.]] Pictura opera tanquam viventia extant, si quid vero regaveris, verecunda admodum silent. Et non hà dubbio, che tutte le cose ben disegnate, e ben colorite da chi sappia a tempo e luogo compartir gli splendori, e i reverberi, et osservar giudiciosamente in esse i reflessi de’ lumi, e i recessi dell’ombre, non rendano nel gesto che rappresentano, il medesimo aspetto, che rende la Natura istessa. Scrivesi, [[1:Strab. Liv. 14]] ch’alla pernice dipinta da Protogene nell’isola di Rodi volarono le pernici. Leggesi, [[1:Plin. L. 35]] che il drago dipinto nel Triumvirato fece cessare gli uccelli dal canto, che interrompenano il sonno a Lepido. Narrasi, [[1:Ibid.]] che i corvi ingannati dalle tegole dipinte nel theatro di Claudio il bello, per uscir delle finte finestre gli volarono negli occhi. Raccontasi, [[1:Ibid.]] ch’Apelle l’imagini altrui dipigneva tanto simili al vivo, che molti indovini, e metoscopi dalla faccia de’ritratti pronosticarono la vita, e la morte de gli huomini. Il medesimo Apelle dipinse una volta un cavallo, il quale non così tosto le cavalle vive hebbero veduto, che co’nitriti, e col calpestio la naturalezza dell’opera approvarono. Tale, e tanta è la forza del colorito, e di sì minuto magistero è capace, che non è cosa alcuna corporea da Dio creata, la qual non si possa con colori rappresentare, come se vera fusse.[[8: voir aussi Apelle cheval, Oiseaux de Claudius Pulcher]]

Dans :Protogène, Satyre et parergia(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 35v

Dove si trovò giamai Pittore tanto presuntuoso, ch’osasse di por la mano in una tavola di maestro celebre? [[1:Plin. l. 35]] Anche alle macchie, et alle sgrossature degli huomini grandi si suol portare reverenza e rispetto, anzi l’opere loro non finite maggiormente si ammirano, percioche in esse ogni minuto pensiero degli artefici si vede addentro. Quinci l’Iride d’Aristide, l’Helena di Nicomaco, e la Medea di Timomaco furono in maggiore stima e veneratione imperfette, che s’elle fussero terminate. Quinci la Venere dipinta da Apelle in Coo, quantunque nella parte inferiore alquanto rotta fusse, non hebbe giamai chi la riconciasse.

Dans :Tableaux inachevés(Lien)

, « La pittura, parte terza » (numéro Diceria I) , fol. 74v-75r

Dipinse Theone [[1:Aeli. Var. hist. lib. 2]] Pittor famoso un soldato furibondo in gesto d’andare a combattere, così maestrevolmente imitato, che l’atteggiamento del sembiante chiara fede faceva dell’animo suo coraggioso et intrepido. Onde pareva altrui veracemente di vederlo correre all’armi, crollar la testa, stringer lo stocco, imbracciar lo scudo. Avampava il viso, sbuffava la bocca, minacciava lo sguardo, rosseggiavano gli occhi, e tutto ripieno di feroce bravura accennava di far’impato per assalire i nemici. Dato ch’egli hebbe compimento a sì bel quadro, non prima volse alla ragunanza del popolo publicarlo, ch’el trombetta vicino desse fiato al suo sonoro metallo. Perlaqualcosa avvenne, ch’udito da’circostanti il bellicoso rimbombo essortatore della battaglia, e veduto in un medesimo punto il giovane armato, eccitò l’uno, e l’altro più efficacemente nell’animo di tutti spirito d’ardimento, e disiderio di guerreggiare. Se fù giamai al mondo guerriero animoso et ardito, certamente è da dire che fusse Christo, figurato in Davide contro Goliatte, in Sansone contro i Filistei, in Gedeone contro i Madianiti, un Giuda Macabeo contro gl’Idumei; inteso per quel cavalier valoroso apparso al solitario di Pathmos, [[1:Apoc. 6]] ch’assiso sopra un candido destriero con trè saette in mano exiuit vincens ut vinceret.

Dans :Théon de Samos, l’Hoplite(Lien)

, « La pittura, parte prima » (numéro Diceria I) , fol. 6v

Nella parte che conviene alla scienza, et al sapere dee il buon Pittore abbondar non solo d’ingeno nel ritrovare, ma di giudicio nel rappresentare, e d’eruditione nel comporre. Ingegno, conciosiacosache quelle sien le dipinture degne di loda, e di maraviglia, nelle quali si sottointende più che non si dimostra, e tuttoche l’arte per sestessa sia grande, l’argutia nondimeno l’eccede; e cotali è fama che fussero l’opere particolarmente di Timante. [[4:suite: Apelle Antigone]]

Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)

, « La pittura, parte terza » (numéro Diceria I) , fol. 88r-v

Ma perché la varietà di tante cose non si può in così picciol fascio ristrignere, mi atterrò all’industria di Timante, ilqual rappresentando di scorcio in picciolissima tavoletta Polifemo smisurato Ciclopo, nè sapendo come meglio in così angusto campo dar la prodigiosa statura di quel gran busto ad intendere, finselo addormentato, e dipinsegli a piedi un satiro, che col thirso gli prendeva la misura d’un dito, lasciando a’giudiciosi riguardanti dalla proportione considerare, se tanta era una menoma particella della mano, quanta esser dovesse la mano istessa, quanto il braccio, e quanto il rimanente dell’altre membra. Così havendo io di materia vasta in breve spatio preso a ragionare, laqual più cresce e si dilata, quanto più moltiplicano i concetti, et essendo dell’ampia mole di tal Pittura[[5:la santa Sindone.]] l’angustia del mio ingegno, e del mio stile incapace, tanto solo basterammi haverne accenato, quanto detto se n’è.

Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)

, « La pittura, parte seconda » (numéro Diceria I) , fol. 59v-60v

[[4:suit Apelle et Protogène]] Ma meglio, e forse più vivamente porremo questo singolar certame raffigurare nel certame di Parrasio, e di Zeusi. L’uno appella l’altro a dipignere, la pugna è dubbiosa, il premio proposto è la gloria. Viensi al paragone, comparono in duello, scendono nello steccato; la lizza è l’officina, la scherma lo studio; i pennelli son l’armi, i colori gli assalti, i trati le ferite. Et havendo l’uno in un canestro d’uve dipinte rappresentata in guisa la verità, che delusi à beccarle vi volarono gli uccelletti, uscì della mano dell’altro, quasi colpo di gran maestro, un velo così ben fatto, che Zeusi già gonfio del giudicio degli uccelli, per veder qual pittura sotto il velo di Parrasio si nascondesse, volse levarlo, et inteso l’errore cedete arrossito la palma. Vincesi (gli disse) percioche io hò gli uccellini ingannati, ma tu l’artefice istesso. Prende somigliantemente à cozzare Satanasso con Christo, osa d’entrar seco in agone, presume di concorrere, e di dipingere a gara. Il meglio però ch’e’ sappia fare si è il dipingere delle frutta per adescar gli uccelletti. [[1:Isai. 46]] Vocans ab Oriente avem. Et s’egli non rappresenta l’uva, rappresenta almeno un pomo con la cui vana bellezza tira all’inganno la semplicità de’ nostri primi padri. [[1:Ose. 9]] Quasi uvas in deserto inveni Israel, quasi prima poma ficulneæ. Ephraim quasi avis avolavit.  Ma ceda al nostro divino Pittore, il quale hà un velo formato di tanta maraviglia (ecco la Sindone) e gli hà dato co’ suoi stupendi colori tanto di forma, che il pregio della disfida guadagna, e nè ottiene gloriosamente la vittoria. E tanto basti quanto alla vivacità della naturalezza.

Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)

, « La pittura, parte terza » (numéro Diceria I) , fol. 78v-79r

Quanti cumuli di marche ibere, quanti mucchi di stampe ongare chiudono le gravide arche de’ thesoreggianti; forano nulla a lato ad un sol filo di sì pregiata tela. [[1:I. Pet. I.]] Non corruptibilibus auro, vel argento redempti estis, sed pretioso sanguine agni immaculati Christi. Giudicando Zeusi [[1:Plin. ibid. cap. 9]] non essere oro bastevole a pagar l’opere sue, usava più di donarle, che di riceverne prezzo. Ma Christo sebene a tutti universalmente hà offerta in dono la sua, a voi nondimeno, sapendo potere esserne in qualche parte con ricca ricompensa contracambiato, hà voluto più tosto venderla, che donarla; venderla però in quel modo, e con quelle conditioni, che poteva sosterner la valuta della sua Pittura.

Dans :Zeuxis et la richesse(Lien)