Type de texte | source |
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Titre | Trattato di architettura |
Auteurs | Filarete, Antonio di Pietro Averlino, dit |
Date de rédaction | (1465) |
Date de publication originale | |
Titre traduit | |
Auteurs de la traduction | |
Date de traduction | |
Date d'édition moderne ou de réédition | 1972 |
Editeur moderne | Finoli, Anna-Maria; Grassi, Liliana |
Date de reprint |
(l. XIX), vol. 2, p. 584
Eragli ancora quello pittore dipinto, cioè Parrisio, il quale dice Zenofonte a Socrate costui essere stato molto perito in linie; pareva ci fusse ancora quello che sentendo la gran fama d’Apelle andò alla sua terra per conoscerlo, e non trovandolo in casa, solo una tavola vidde da lui cominciata e giù per una linea sottilissima da lui fatta, in quella medesima d’un altro colore ne fe’ con uno pennello un’altra.
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(l. XXI ), p. 642-543
Ma per volere queste cose fare in disegno senza altre misure di sesto, o di quadra, che benché così di punto non si possa come co’detti strumenti fare; se già non facessi come dice fu Apelle, e anche Zeusis[[6:Filarète remplace Protogène par Zeuxis.]], el quale dice che tirava le sue linee diritte col pennello, come fatto avesse proprio con la riga e più : che in su una sua sottilissima linea che lui aveva fatta el sopradetto ne tirò un’altra. O vero, come che dice quegli ancora, l’uno girò uno tondo perfetto senza sesto, e l’altro al primo posto punto nel mezzo misse, el sesto l’avesse proprio fatto. Se così fu, grazie date dalla natura, e non per pratica, anzi per accidente fare si potrebbe, se già a ventura o caso non venisse fatto.
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(l. XIX, vol. 2 ), p. 582
Eragli ancora Aristide tebano, il quale ancora pareva che dipignesse quella tavola la quale dice che cento talenti la vende’. [[4:suite dans Protogène et Démétrios]]
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(l. XIX), vol. 2, p. 585-586
Eragli Dionisio, che non faceva altro che uomini.
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, p. 583
[[4:suit Pamphile]] E anche appresso a’Greci fu tenuto ottimo costume il dipignere e degna e ottima scienza. Anche volevano loro ch’ e’ figliuoli a presso all’altre scienze di geumetria e di pittura fussono per costume studiosi, nonché alli uomini ma alle femmine fu lecito a ’mparare la pittura, e che sia vero Martia, figliuola del grande Varrone, specchio della lingua nostra latina.
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(l. XXIII), vol. 2, p. 664-665
E nonché gli uomini, ma li animali essere stati ingannati da questa forza di colori, ché si legge che anticamente fu dipinto in uno certo luogo in Grecia, credo che fusse in Atene, che uno tetto, che tanto era bene contrafatto al naturale e sì bene asomigliato, che molte volte gli corbi andavano per posarsi su esso tetto; e così ancora una pergola dove che erano uve, che uccegli dice che c’erano molte volte ingannati, e andavano per beccarle credendo che fussino vere; ancora di non so che cani, che sì bene erano asomigliati al naturale, che quando altri cani vivi gli vedevano, abbaiavano loro, credendo che fussino vivi; e così ancora di non so che cavallo o cavalla, sì bene asomigliato al naturale, che quando altri cavalli fussino passati, ringhiavano a quello come se stato fusse vivo proprio. Io ancora, trovandomi a Vinegia a casa d’uno dipintore bolognese, invitandomi a collezione, mi pose innanzi certi frutti dipinti, fui tutto tentato di toglierne, ché senonché mi ritenni il tempo che non era, ma sanza fallo tanto parevano proprii, che se stato ci fusse delle naturali, non è dubbio che l’uomo sarebbe stato ingannato. E anche di Giotto si legge che ne’ principii suoi lui dipinse mosche, e che ’l suo maestro Cimabue ci fu ingannato, che credette che fussono vive, con uno panno le volse cacciare via. Donde questo, se non dalla forza del sapere dare e’ colori a’ suoi luoghi?
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(t. II), p. 581
Eragli ancora quello che Quintiliano dice che ritraeva da l’ombra del sole delle figure, e poi si venne assottigliando a poco a poco l’arte. Eragli quello Filo egizziaco, el quale dice che lui fu de’ primi inventori d’essa pittura, la quale, come è detto, dice loro averla in uso ben se’ milia anni inanzi che’ Greci, in Italia essere venuta dopo le vittorie di Marcello avute in Sicilia.
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(l. XIX), vol. 2, p. 583
Molto fu degna la pittura in quelli tempi e la scoltura, quando tanta quantità di maestri si trovava e in grande onore e pregio, considerando che sì nobili e sì degni uomini la facevano ed esercitavano, che dice che Paulo Emilio, che fu sì grande uomo, e d’altri degnissimi cittadini romani a’ loro figliuoli facevano imparare a dipignere. E anche appresso a’ Greci fu tenuto ottimo costume il dipignere e degna e ottima scienza. Anche volevano loro ch’ e’ figliuoli a presso all’altre scienze di geumetria e di pittura fussono per costume studiosi, nonché alli uomini ma alle femmine fu lecito a ’mparare la pittura, e che sia vero Martia, figliuola del grande Varrone, specchio della lingua nostra latina. E’ Greci per la degnità d’essa scienza feciono legge che i servi non fusse loro lecito d’imparare questa scienzia e questa arte di pittura.
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, p. 584
Eragli dipinto Panfilo, antichissimo dipintore, il quale diceva che non bene si poteva essere in dipignere perfetto chi non intende l’arte geometrica.
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(l. XIX, vol. 2), p. 575-577
Tutti, come è detto, tenevano a presso di sé e tutti tenevano in mano quella opera la quale avevano fatta. Intra gli altri Phidia teneva a presso di sé come eccellente di più cose e massime nell’arte grafichimata, cioè appartenente al disegno delle figure, prima gli era appresso a questo Phidia, il quale dice che era d’Atene e dice che fu trecento anni dopo la edificazione di Roma, molte statue che parevano di bronzo a vederle. Eragli ancora appresso la statua di Giove, la quale pareva come d’avorio messa a oro, la quale una degna cosa pare a vederla così dipinta: pensate che cosa quella che lui fece doveva essere. Ancora gli era appresso a lui dipinto la statua di Minerva, la quale fece in Atene e dice che fu tanto bella questa statua di Minerva, che da essa prese il cognome e fu chiamata la bella Minerva. Un’altra era appresso di questa dipinta, la quale dice che P. Emilio la fece torre d’Atene e portolla a Roma e collocolla nel tempio della Fortuna. Un’altra molto maravigliosa se ne vede, la quale lui pure in Atene fabricò di somma altitudine, l’altezza d’essa dice che era ventisei gomiti, era questa come dire quasi d’avorio e d’oro fatta, teneva in mano questa Minerva uno scudo nella estremità della quale, cioè nell’orlo, la battaglia delle donne [[1:amazzoni]] contra a Ercole e Teseo, e nel mezzo era la battaglia degli Centauri e delli Lafiti. Eragli ancora la guerra degli dii e degli giganti, sì che essendo questa immagine tanto maravigliosa e degnamente fatta e anche a lui come alli altri pareva. E perché a ’Tene era questa legge che nella statua della dea Minerva non era lecito, anzi era proibito che nessuno li scrivessi suo nome, lui per questo nello estremo orlo dello scudo iscolpì la sua testa, in modo che era conosciuto lui avere fabbricata la detta idea. Vogliono dire ancora che questo Fidia fusse in Atene il primo che dipingesse. Dicano che ancora fu il primo che in Atene scolpisse e fondasse di bronzo. Eragli ancora dipinta una figura da lui fatta in Atene, di marmo, la quale era fatta per la dea Venere, tanto maravigliosa e degnamente fatta, che rendea grande ammirazione e piacere a chi questa vedeva, per questo nel tempo di Ottaviano fu portata a Roma e collocata nel suo palazzo, la quale sopra a tutte l’altre ebbe fama. Ancora gli era appresso il cavallo e l’uomo di marmo che oggi dì si vede in Roma, a presso a questo era quello di Presitele, e ancora è oggi dì a Roma, i quali sono tanto simili, che non è uomo, per intendente che sia, che possa giudicare essere meglio fatto l’uno che l’altro. Ma tutti e due nonché d’una mano d’uno maestro, ma se stati fussono come a improntare uno suggello medesimo in cera, così questi parevano fatti, e così degni quanto natura mai facessi.
Dans :Phidias, Zeus et Athéna(Lien)
, p. 581
Erano in questa casa dipinti tutti questi nobili maestri e inventori antedetti. Ancora gli era dipinti maestri di pittura con alcuna dell’opere sue, tra i quali furono questi: Phidia principale era posto dinanzi alli scultori, così ancora dinanzi alli dipintori, il quale mostrava che dipingesse la statua di Giove, la quale dice che era tanto bella che era cagione d’una confermata religione in Atene a chi la vedeva.
Dans :Phidias, Zeus et Athéna(Lien)
(l. XIX), vol. 2, p. 582
Eragli ancora Prothogenes, che dipingeva quella tavola, la quale dice che Dimitrio re si ritenne di non mettere fuoco in Rodi, per paura di non abruciare quella tavola del sopradetto Protogenes.
Dans :Protogène et Démétrios(Lien)
(l. XIX), p. 584
Eragli ancora Limates, il quale dipignea Calcante mesto, cioè malinconoso, quando Effigenia dal padre fu imolata e sacrificata a Eolo, re di venti, per partirsi de l’isola de Aulide, il quale ci dipinse ancora el padre di Effigenia con uno panno inanzi a li occhi, per dimostrare lui esserne afflitto.
Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)
(l. XIX), vol. 2, p. 581
[[4:suit Phidias, Zeus et Athéna]] Era secondo Zeusis, il quale tanto stimava le sua figure, che se solo di cera fussino state, non essere pregio da dovere soddisfare sue opere, le quali cose da lui dipinte non per mano d’uomo parevano, ma divina si stimava.
Dans :Zeuxis et la richesse(Lien)