Type de texte | source |
---|---|
Titre | Dialogo di pittura intitolato l’Aretino, nel quale si raggiona della dignità di essa pittura e di tutte le parti necessarie che a perfetto pittore si acconvengono |
Auteurs | Dolce, Lodovico |
Date de rédaction | |
Date de publication originale | 1557 |
Titre traduit | |
Auteurs de la traduction | |
Date de traduction | |
Date d'édition moderne ou de réédition | |
Editeur moderne | |
Date de reprint |
(vol. 1), p. 181
Di qui leggiamo in Plinio che Apelle dipinse Alessandro Magno nel tempio di Diana Efesia con un folgore in mano, ove pareva che le dita fossero rilevate e che’l folgore uscisse della tavola ; il che non poteva Apelle aver finto, se non per via di scorti.
Dans :Apelle, Alexandre au foudre(Lien)
, p. 183-184
Il bruno si legge essere stato frequentato da Apelle ; onde Properzio, riprendendo la sua Cinzia, che adoperava i lisci, dice che egli disiderava che ella dimostrasse una tale schiettezza e purità di colore, qual si vedeva nelle tavole di Apelle.
Dans :Apelle, atramentum(Lien)
, p. 158
Come, essendo condotto Apelle, da uno che gli portava invidia, al convito di certo re suo nimico, il re, conosciutolo, con fiero sguardo gli dimandò perché egli fosse stato cotanto audace, che avesse avuto ardimento di venire alla sua presenza. Apelle, non vi si trovando colui che quivi l’aveva menato, prese un carbone in mano e disegnò prestamente nel muro la faccia di quel suo nimico, tanto simile alla vera che, dicendo egli al re: “Costui è quello che mi vi ha condotto”, il re, conosciutolo da quel poco di macchia fatta da Apelle, gli perdonò, mosso solamente da maraviglia della sua virtù.
Dans :Apelle au banquet de Ptolémée(Lien)
, p. 182
[[4:suit Zeuxis et Parrhasios]] Et Apelle avendo dimostri alcuni dipinti cavalli di diversi pittori a certi cavalli veri, essi stettero cheti, senza che apparisse in loro segno che essi gli conoscessero per cavalli ; ma poi che egli appresentò loro un suo quadro, ove era un cavallo di sua mano dipinto, quei cavalli subito al veder di questo annitrirono.
Dans :Apelle, le Cheval(Lien)
, p. 157
ARETINO — La pittura fu sempre in tutte l’età avuta in sommo pregio da re, da imperatori e da uomini prudentissimi. Ella adunque è nobilissima. Questo si prova agevolmente con gli esempi che si leggono in Plinio et in diversi autori, i quali scrivono che Alessandro Magno prezzò si fattamente la mirabile ecellenza di Apelle, ch’ei gli fece dono non pur di gioie e di tesori, ma della sua cara amica Campaspe, solo per aver conosciuto che Apelle, il quale l’aveva rittrata ignuda, se n’era di lei innamorato : liberalità incomparabile e maggiore, che se egli donato gli avesse un regno, essendo che più importa donar le affezzioni degli animi, che i regni e le corone. FABRIANO — Oggidì non si trovano degli Alessandri. ARETINO — Appresso ordinò che a niuno, fuor che ad Apelle, fosse lecito di dipingerlo dal naturale. E prendeva tanto diletto della pittura, che spesso lo andava a trovare alla sua stanza e spendeva dimolte ore in ragionar seco domesticamente et in vederlo dipingere.
Dans :Apelle et Campaspe(Lien)
, p. 156
Si trovano molti che, senza lettere, giudicano rettamente sopra i poemi e le altre cose scritte ; anzi, la moltitudine è quella che dà communemente il grido e la reputazione a poeti, ad oratori, a comici, a musici et anco, e molto più, a pittori. Onde fu detto da Cicerone che, essendo così gran differenza dai dotti agl’ignoranti, era pochissima nel giudicare. Et Apelle soleva metter le sue figure al giudicio comune. [...] Ma io non intendo in generale della moltitudine, ma in particolare di alcuni belli ingegni, i quali, avendo affinato il giudicio con le lettere e con la pratica, possono sicuramente giudicar di varie cose, e massimamente della pittura, che appartiene all’occhio.
Dans :Apelle et le cordonnier(Lien)
, p. 185
LAURO — Bisogna sopra tutto fuggire la troppa diligenza, che in tutte le cose nuoce. Onde Apelle soleva dire che Protogene (se io non prendo errore) in ciascuna parte del dipingere gli era eguale e forse superiore; ma egli in una cosa il vinceva, e questa era ch’ei non sapeva levar la mano dalla pittura. FABRIANO — Oh quanto la soverchia diligenza è anco dannosa negli scrittori! Perché, ove si conosce fatica, ivi necessariamente è durezza et affettazione, la quale è sempre aborrita da chi legge.
Dans :Apelle et la nimia diligentia(Lien)
, p. 176
Devesi adunque elegger la forma più perfetta, imitando parte la natura. Il che faceva Apelle, il quale ritrasse la sua tanto celebrata Venere che usciva dal mare (di cui disse Ovidio che, se Apelle non l’avesse dipinta, ella sarebbe sempre stata sommersa fra le onde) da Frine, famosissima cortigiana della sua età ; et ancora Prasitele cavò la statua della sua Venere Gnidia dalla medesima giovane. E parte si debbono imitar le belle figure di marmo e di bronzo dei maestri antichi; la mirabile perfezzion delle quali chi gusterà e possederà a pieno, potrà sicuramente corregger molti difetti di essa natura e far le sue pitture riguardevoli e grate a ciascuno, percioché le cose antiche contengono tutta la perfezion dell’arte e possono essere esemplari di tutto il bello.
Dans :
Apelle, Praxitèle et Phryné(Lien)
, p. 161
Meritamente furono sempre stimati i pittori, perché e’ pare che essi d’ingegno e di animo avanzino gli altri uomini, poi che le cose, che Dio fatte ha, ardiscono con l’arte loro d’imitare e le ci apprensentano in modo che paiano vere. Onde non mi fo maraviglia che i Greci, conoscendo la grandezza della pittura, proibissero a’ servi di dipingere, e che Aristotele separi quest’arte dalle meccaniche, dicendo che si dovrebbe per le città instituir publiche scuole, ove i fanciulli l’apparassero.
Dans :Pamphile et la peinture comme art libéral(Lien)
, p. 185-186
ARETINO. Finalmente ricerca al pittore un altra parte, della quale la pittura ch’è priva, riman, come si dice, fredda, et è a guisa di corpo morto, che non opera cosa veruna. Questo è, che bisogna che le figure movano gli animi de’ riguardanti, alcune turbandogli, altre rallegrandogli, altre sospingendogli a pietà et altre a sdegno, secondo la qualità della istoria. Altrimenti reputi il pittore di non aver fatto nulla, perché questo è il condimento di tutte le sue virtù, come aviene parimente al poeta, all’istorico et all’oratore ; ché se le cose scritte o recitate mancano di questa forza, mancano elle ancora di spirito e di vita. Né può movere il pittore, se prima nel far delle figure non sente nel suo animo quelle passioni, o diciamo affetti, che vuole imprimere in quello d’altrui. Onde dice il tante volte allegato Orazio : « Se vuoi ch’io pianga, è mestiero che tu avanti ti dolga teco ».
Dans :Polos, si vis me flere(Lien)
, p. 158
Leggesi ancora che, trovandosi il re Demetrio con un grande esercito accampato a Rodi e potendo con molta facilità prender questa città, se vi faceva accendere il fuoco in certa parte, dove era posta una tavola dipinta da Protogene ; come che egli ardesse di disiderio d’impadronirsi di così nobile città, elesse di perderla, perché l’opera di Protogene non si abbrucciasse : facendo maggiore istima d’una pittura che d’una città.
Dans :Protogène et Démétrios(Lien)
, p. 183
[[4:suit Zeuxis et Parrhasios]] Protogene, volendo ancora egli dimostrar con la similitudine de’ colori certa schiuma che uscisse di bocca a un cavallo tutto stanco et affannato da lui dipinto ; avendo ricerco più volte, mutando colori, d’imitare il vero, non si contentando, nel fine, disperato, trasse la spugna, nella quale forbiva i pennelli, alla bocca del cavallo ; e trovò che’ l caso fece quello effetto, che egli non aveva saputo far con l’arte. FABRIANO — Non fu adunque la lode del pittore, ma del caso.
Dans :Protogène, L’Ialysos (la bave du chien faite par hasard)(Lien)
, p. 167
Ecco Timante, uno de’ lodati pittori antichi, il quale dipinse Ifigenia figliuola di Agamemnone, di cui Euripide compose quella bella tragedia che fu tradotta dal Dolce e ricitata qui in Vinegia alcuni anni sono. La dipinse, dico, innanzi all’altare, ove essa aspettava di essere uccisa in sacrificio a Diana ; et avendo il pittore nelle faccie de’ circostanti espressa diversamente ogni imagine di dolore, non si assicurando di poterla dimostrar maggiore nel volto del dolente padre, fece, che egli se lo copriva con un panno di lino, overo col lembo della vesta. Senzaché Timante ancora serbò in ciò molto bene la convenevolezza, perché, essendo Agamennone padre, pareva, ch’e’ non dovesse poter sofferire di veder con gli occhi propri amazzar la figliuola.
Dans :Timanthe, Le Sacrifice d’Iphigénie et Le Cyclope (Lien)
, p. 182-183
È noto insino a’ fanciulli che Zeusi dipinse alcune uve tanto simili al vero, che gli uccelli a quelle volavano, credendole vere uve. […][[4:voir Apelle cheval]] Potete ancora aver letto che Parrasio, contendendo con Zeusi, mise in publico una tavola, nella quale altro non era dipinto fuor che un panno di lino, che pareva che occultasse alcuna pittura, si fattamente simile al naturale, che Zeusi più volte ebbe a dire che lo levasse e lasciasse vedere la sua pittura, credendolo vero. Ma nel fine, conosciuto il suo errore, si chiamò da lui vinto, essendo che esso aveva ingannato gli uccelli, e Parrasio lui, che ne era stato il maestro, che gli aveva dipinti.
Dans :Zeuxis et Parrhasios : les raisins et le rideau(Lien)
, p. 172
Deve adunque il pittore procacciar non solo d’imitar, ma di superar la natura. Dico superar la natura in una parte ; ché nel resto è miracoloso, non pur se vi arriva, ma quando vi si avicina. Questo è in dimostrar col mezzo dell’arte in un corpo solo tutta quella perfezzion di bellezza che la natura non suol dimostrare a pena in mille; perché non si trova un corpo umano così perfettamente bello, che non gli manchi alcuna parte. Onde abbiamo lo esempio di Zeusi, che, avendo a dipingere Elena nel tempio de’ Crotoniati, elesse di vedere ignude cinque fanciulle e, togliendo quelle parti di bello dall’una, che mancavano all’altra, ridusse la sua Elena a tanta perfezzione, che ancora ne resta viva la fama. Il che può anco servire per ammonizione alla temerità di coloro che fanno tutte le lor cose di pratica. Ma se vogliono i pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella donna, leggano quelle stanze dell’Ariosto, nelle quali egli descrive mirabilmente quanto i buoni poeti siano ancora essi pittori[[6:Comparaison Arioste/Titien.]].
Dans :Zeuxis, Hélène et les cinq vierges de Crotone(Lien)
, p. 160
ARETINO — E se vogliamo riguardare a’ prezzi con che furono comperate diverse pitture, gli troveremo quasi infiniti : percioché si legge che Tiberio ne pagò una sessanta serterzii, che fanno cento cinquanta libbre d’argento romane, et il re Attalo comperò una tavola d’Aristide Tebano per cento talenti, che vagliono, riducendogli alla nostra moneta, sessanta mila scudi. FABRIANO — So che si trovarono similmente alcuni pittori, tra’ quali fu Zeusi, i quali, stimando che né l’argento né l’oro bastassero a pagar compiutamente le loro opere, le donavano. ARETINO — E ben vero ch’a’nostri dì comunemente i prencipi sono molto più ristretti, ne’ premi di tali gloriose fatiche, che gli antichi a que’ buoni tempi non erano.
Dans :Zeuxis et la richesse(Lien)