[FRONTISPICE] §
Della Christiana
Moderatione
del Theatro
Libro secondo,
Detto
La solutione de' nodi
Per sciogliere molte difficoltà, e per risolvere molti Casi
di coscienza intorno alle Commedie poco modeste;
per mostrare, che non è mai lecita la loro
Permissione, secondo la dottrina di San
Tommaso, e d’altri Theologi, e per
sicurezza de’ buoni Cristiani.
opera
Di un Teologo Religioso, stampata ad instanza del Sig. Odomenigico
Lelonotti da Fanano.
Si aggiunge al fine una Censura d’Autori antichi, e moderni intorno a’ Composi-
tori, Lettione, e Recitamento di poca honestà.
E di più Giuditio, che si può fare di quelle Commedie, che si rappresentano tal’hora
con titolo di onesta Ricreatione da persone ascritte in una osservante
Congregatione.
In Firenze, Appresso Gio. Antonio Bonardi. MDCXXXXIX.
Con licenza de’ SS. Superiori.
A SANTO PORFIRIO COMMEDIANTE §
[n.p.]Umilissima Invocazione.
Tuo, ò glorioso Porfirio gloriosamente trionfi nel Divinissimo Teatro del Cielo : e noi combattiamo pericolosamente nello Steccato della Terra. Tu lieto godi il premio, e cingi le beate chiome con l’aurea Corona : e noi, bramosi di riposo, sospiriamo alla celeste mercede. Tu miri chiaramente, e sicuro della tua felicità, il bellissimo Oggetto, che ti rende felicissimo: e noi per «speculum, et in ænigmate
» veggiamoI tra il chiaro oscuro, e tra l’ombre di Fede, e con timore, e incertezza della salute, l’Autore del vero bene, da cui speriamo il tesoro d’ogni nostro bene. Deh dunque volgi tu sereno il ciglio alla nostra umilissima bassezza ; e porgi pronto l’orecchio alla nostra supplicante Invocazione ; accioché, come già tu per efficace, e subito favore della Divina Virtù ti trovasti mutato, e di Comico burlesco, gentile, e vano, diventasti Attore serio, cristiano, e santo ; onde tosto cangiasti la sacrilega, e derisoria Commedia in sacra, e gloriosa Tragedia, confermando con lo spargimento del sangue, e con la concepita, e pubblicata, e professata [n.p.]Fede di Cristo, e la vera Religione de’ Cristiani ; così tutti noi ci mutiamo ; e tutti per mezzo tuo impetriamo una scintilla del celeste fuoco, d’onde gli affetti nostri siano accesi, e arsi in modo, che, né Comico verunoII, né veruno Spettatore, gusti più rappresentare, né di mirare nel moderno, e cristiano Teatro alcuna brutta apparenza di viziosa Oscenità.
Fa con la tua santa, e potente impetrazione, che la moderna Scena sia sempre un giardinetto di onestissimi fiori di lecita Ricreazione, e da lei niuno si parta, se non consolato nella Virtù, e confortato all’acquisto della salute : acciocché, come tu confondesti con il tuo martirio l’Apostata Giuliano, indegnissimo Imperatore ; così noi, da te avvalorati, confondiamo l’Αροstata del Cielo Satanasso, superbissimo Tiranno dell’Inferno. Tu sei un Protettor molto potente, essendo in Paradiso ; e noi, essendo in terra, siamo bisognossimi della tua protezione: e però al fine di ottenerla, ora, e di continuo, con affetto umilissimo ti adoriamo, e invochiamo. [n.p.]
Indice de’ capi, e de’ punti. §
Proemio. Pag. 1
Capo primo.
Delle difficoltà prese dalle Azioni. 5
Punto primo. Se le azioni Oscene, per essere Giochi, siano tollerabili 7.
Nota Unica. Si continua la risposta. 10
P. 2. Se le immodeste Rappresentazioni si possono permettere, già che si permettono altre cose simili. 12
P. 3. Se l’Uso antico basta per tollerare queste Oscenità. 15
Nota Unica. Si continua questa materia. 17.
P. 4. Se la Divina Scrittura condanni le Teatrali Oscenità. 21
P. 5. Se le Oscenità, già che si permettono nelle sacre Azioni, si possono permettere ancora nelle profane. 25
P. 7. Se la poca materia oscena renda tollerabili l’Azioni III Oscene. 28
P. 8. Del male, che possono fare le immodeste Azioni. 30
Nota Prima. 32. Seconda. 32. Terza. 34.
P. 9. Se le correnti Commedie Italiane, per essere simili alle spagnole, siano lecite. 36
P. 10. Se per la tolleranza delle Commedie Oscene, basta, che siano da tutto il Mondo abbracciate. 41
P. 11. Se basta, per rendere lecita l’Oscena Rappresentazione, il sapersi, che piace molto col suo diletto. 44
Nota Prima, della Novità. 44. Seconda, della Verità. 45. Terza, della Sicurezza del pericolo. 47. Quarta, del Soggetto lascivo. 48. Quinta, del guadagno diabolico 48. Sesta, dell’Interesse Economico. 49
P. 12. Se con ragione si biasimano le Commedie Mercenarie, già che né le Accademiche, né le altre fatte gratis sono biasimate. 51
P. 13. Se la Commedia Oscena è tollerabile, perché corregge dal male, e insegna il bene. 56
P. 14. Si continua l’istessa IV materia. 59
P. 15. Si conferma il medesimo. 63
P. 16. Se quando la Commedia ha l’Argomento spirituale, ovvero historiale V ; e si propone nel Cartello d’invito, come una Opera bella, e grave, sia tollerabile. 69
P. 17. Se, come si permette la pubblica, e privata mostra delle Pitture, e Statue Oscene, si può anche permettere la Commedia Oscena. 72
Capo secondo.
Delle difficoltà prese dagli Spettatori. 74
P. 1. Se sia lecito l’andare alle Commedie Oscene, già molti Confessori assolvono quelli, che vi vanno, o le premettono. 74
P. 2. Si risponde ad una Obiezione. 79
P. 3. Se l’imparare il bene è Ragione sufficiente, perché si permettano le Commedie oscene. 81
P. 4. Se è buona Ragione, per tollerare le Commedie Oscene, il dire, che le Città, ove non si fanno, non hanno migliori i Cittadini. 88
P. 5. Se uno, che dicesse. Le Città principali si avvilirebbero senza le Commedie Oscene, recherebbe buona Ragione per tollelarle. 89
P. 4. Se è buona Ragione, per tollerare le commedie Oscene, il dire, che le Città, ove non si fanno, non hanno migliori i Cittadini. 88
P. 5. Se uno, che dicesse. Le Città principali si avvilirebbero senza le Commedie Oscene. P. 6.Se sarebbe buona Ragione, per tollerare le Commedie Oscene in una Città, il dire, ch’ella mai le avesse proibite. 91
P. 7. Se l’essere invitato ad andar alla Commedia Oscena, sia Ragione, per andarvi lecitamente. 93.
P. 8. Se l’andare alle Commedie Oscene, per impedire, che non succeda inconveniente, sia buona Ragione. 98.
P. 10. Se si giustifica bene, chi dice. Io non vado solo alle Commedie Oscene. 99.
P. 11. Se l’andare alla Commedia Oscena,quando i Comici già sono in punto di farla, o l’hanno cominciata, sia buona Ragione per non peccare, andandovi. 103.
P. 12. Si continua la Risposta al Dubbio. 108.
P. 13. Se si può credere. A chi dice per giustificarsi. Io non so, se le correnti Commedie siano Oscene; e però vi vado. 110.
P. 14. Se sia lecito l’andare all’Osceno teatro, già che il pericolo delle Oscenità si trova in altri luoghi. 111.
P. 15. Se il dire. Io non vo per far peccato, né per mal fine alle Commedie Oscene; e pochi vi vanno con tal’animo, basti, per andarvi lecitamente. 113.
P. 16. Se si giustifica, chi dice. Vado alle Commedie Oscene, perché altrimenti farei cosa peggiore. 115.
P. 17. Se la Commedia Oscena si può permettere, essendo la natura del vizioso Spettatore la cagione del peccato. 119.
P. 18. Se la buona Fede, e l’Ignoranza scusi dal peccato, chi con quelle va alla Commedia Oscena. 120.
P. 19. Se l’andare alle Commedie per un poco di ricreazione, e per sollievo della sua malinconia, sia lecito. 126.
P. 20. Si continua questa materia. 130.
P. 21. Se è buona la Ragione di chi dice. Io vado per passatempo, e per ridere un poco; e so, che non acconsento al peccato delle Oscenità. 134.
P. 22. Si continua il Discorso. 135.
P. 23. Perché in molti Popoli molte Persone Nobili, e molte Popolari restano con l’animo irresoluto: se si possa andare lecitamente alle correnti e Mercenarie Commedie del nostro tempo? 141.
P. 24. Si spiegano alcuni Casi, e si dichiara un Rimedio al proposto Dubbio. 142.
Capo Terzo.
Delle difficoltà prese da’ Commedianti. 150.
P. 1. Se si possono permettere i Commedianti Osceni;poiché vivono con quell’Arte. 151.
P. 2. Si aggiungono alcuni Casi. 154.
P. 3. Se si permettono le Meretrici, non si possono anche permettere i Mercenarij Commedianti? 158.
P. 4. Se sia buona Ragione di tollerare i Comici, il sapere, che da taluno si prova, che devono essere amati. 162.
P. 5. Si risolve una Difficoltà intorno ad un Recitante Modesto. 164.
P. 6. Se la Donna porge occasione maggiore di peccare all’Uomo, stando alla finestra, o recitando in Teatro. 170.
P. 7. Se i Maestri salariati dichiarano a’ Giovanetti le Amatorie Commedie di Terenzio, di Plauto, e d’altri; i Comici Moderni non potranno rappresentare al Popolo le loro Amatorie Azioni? 172.
P. 8. Si permette a molti il comporre e lo stampare Commedie, e altre Composizioni oscene, e si leggono: perché non si può permettere a Commedianti il recitarle? 179.
Capo quarto.
Delle difficoltà prese da’ superiori.
P. 1. Perché il Papa non proibisce le Commedie oscene nella Cristianità? Ovvero i Vescovi nelle loro Diocesi? 182.
P. 2. Che si può dire di que’ Principi, che tollerano, o che sostengono i Commedianti Osceni. 185.
P. 3. Se l’esempio d’un Principe, o d’un Superiore, che permette le Commedie Oscene, perché il popolo ne gusta, sia buona Ragione per tollerarle. 188.
P. 4. Se le Commedie Oscene non sono lecite, perché i Principi, e i Superiori le approvano, e danno licenza di Recitare? 192.
P. 5. Se. Già che la Moderazione, o la Proibizione de’ Superiori non giova a lungo tempo, si può tollerare l’abuso delle Commedie Oscene. 194.
P. 6. Se i Superiori cavando dalla Commedia Oscena guadagno per qualche Opera pia, possono lecitamente permettere. 197.
Capo quinto. 202.
P. 1. Se i Padri, e i Dottori antichi, che scrivessero contro gli antichi Spettacoli, si devono allegare contro le Commedie moderne, e Oscene. 203.
P. 2. Se, come Navarro permette la Commedia Satirica, si possa permettere anche la Oscena. 205.
P. 3. Se molti scrivendo, o parlando contro le Commedie, s’ingannino; poiché non ne hanno piena cognizione. 201.
P. 4.Se. perché molti senza ottenere il loro fine hanno scritto, e parlato contro le Commedie Oscene, occorra più scriverne, o parlarne. 214.
P. 5. Si narra un Successo di moto spavento. 218.
P. 6. Se sia zelo indiscreto il riprendere tanto acremente i Commedianti Osceni. 220.
P. 7. Di quello, che si può rispondere a chi dice. Alcuni per Interesse parlano contro i Comici Osceni. 224.
P. 8. Se sia Ingiustizia lo scrivere, o il parlare contro i moderni Commedianti. 227.
P. 10. Segue l’Autore raccontando un Caso del nostro tempo. 229.
P. 11. Se i Commedianti vogliono ammaestrare i Semplici al bene con le Commedie, perché tanti Autori li riprendono. 231.
P. 12. Se gli Scrittori non condannano molte Arti più infruttuose, che l’Arte Comica, perché scrivono tanto contro questa? 235.
P. 13. Se la Commedia, anche Oscena, non è pericolosa a’ Secolari, perché tanti al riprovano? 236.
P. 14. Di quello, che possiamo giudicare di certi Casi spiegati da gli Autori contro i Commedianti Osceni. 240.
Primo Caso 241. Secondo 242. Terzo 243. Quarto 244. Quinto 245. Sesto 246.
P. 15. Di molti Casi accennati brevemente da D. Francesco Maria del Monaco nella sua Parenesi. Clas. 7. 248.
P. 16. Di altri Casi più moderni, e sentiti da persone degnissime di piena fede. 250.
P. 17. Del frutto, che si può sperare da chi vuole scrivere, ò parlare contro i Comici Osceni, con la debita distinzione da’ Comici Modesti. 253
L’Autore a chi ha letto. 258
Censura intorno a Compositori, e Composizioni, e c. di poca onestà. Vedi dopo il num. 258.
Giudizio intorno a Recitamenti di qualche osservante Congregazione. Vedi all’ultimo di questa Operetta.
Il fine.
AL BENIGNO LETTORE,
Affezionato al Teatro Cristiano, e a’ Commedianti moderati, e virtuosi. §
Lo stampatore.
Tutta la materia giocosa Teatrale si è distinta dall’Autore in cinque Libri, co’ quali s’espongono le sentenze de’ Teologi anche le più benigne, ma sicure per le coscienze de’ virtuosi Fedeli. Il Primo Libro, il Secondo, e il Terzo sono stampati: il Quarto, e il Quinto, che s’aspettano, sono finiti; e si spera, che stamperanossiVI, uno con Titolo di Ammonizioni a’ Recitanti; acciocchéVII si moderino recitando senza peccati. E l’altro con Titolo d’Istanza a’ Signori Superiori; acciocché supplicati si compiacciano di dare la necessaria e cristiana Moderazione del Teatro, con la quale rimangano godibili cristianamente tutte le Ricreazioni Comiche, Tragiche, Drammatiche, e Teatrali. E lo scopo dell’Autore ne’ detti Libri si è, prima istruire que’ Giusti, che non sanno, o non curano saper raccogliere fiore di merito celeste nel campo del nostro Teatro: e poi proporre a’ Peccatori la giovevole sentenza di S. Bernardo. «Deus obltos sui de se adomonuit, aversos a servocavuit, venientes ad se suscepit, pænintibus indulsit.
» de inter. Domo. C. 9. Il Sig. Iddio per sua infinita misericordia operi efficacemente, che niuna di queste Operette riesca priva di quel frutto, che l’Autore, come ardentemente ha desiderato, e desidera, così ha sperato, e spera, che ora, o almeno in altro tempo, sia per seguire con non poca utilità dei Cristianesimo. Concludasi dunque con le parole di S. Agostino Ser. 39. ver. Dom., come con un buono avviso a tutti i Comici moderati e non moderati, e a tutti i Lettori, e Spettatori delle Rappresentazioni Teatrali. «Audistis modo, quid monuerit nos, cunctos faciens, et volens esse expeditos, et paratos ad
expectandum novissima.
» L’aspettazioneVIII di una buona morte è buon Maestro di virtuosa vita nel Teatro e in ogni luogo.
Indice delle materie. §
[n.p.]A
L’Abate Thalleleo pianse per 60 anni. pag. 148.
Accademiche Commedie fatte con gran spesa 52. fatte oscene da’ Giovani si riprendono. 54
Accademici vanno alle Commedie oscene per imperare da Comici osceni 84. poco possono imparare da quelli 86. Ma molto da altri 86.
Accompagnare un Amico, o Parente, o Patrone alla Commedia oscena, come sia peccato 96. 97.
Agata Santa rappresentata senza oscenità 26.
Agelisao giocava col suo Figliuolo 2.
Alcibiade fece sommergere in mare un Comico Satirico 206.
Amico vero qual sia 96.
Aristide, che disse intorno al custodire i Figliuoli, e le sostanze 192. 193.
Aristofane perché fu bandito 210.
Arte sufficiente ad uno per vivere lo ritenga da far il Comico osceno 155. 156. Molte Arti sono lodate, o biasimate secondo il ragionevole 235. 236.
Asino d’Ammonio gustava delle Canzoni 131. Un Giovane compariva in apparenza di Asino 245. 246.
Assoluzione si nega a chi vuole stare nell’occasione prossima si peccato 76.
Auditore se pecchi di cooperazione andando alla Commedia oscena cominciata, o che sta per cominciare 104. due sentenze probabili 109. Pare pazzo 139. Pecca venialmente 134. Può non peccare eziandoIX venialmente 134. Può, e deve informarsi della qualità della Commedia 11. Va con fine di peccato implicite all’oscena 114. Alle volte vi va per mal fine 114. 115. I vizioso cagiona il peccato 19. Non ha Ignoranza invincibile delle commedie oscene 123. Auditori imparano il male dalle oscene 83. Pochi vi vanno per imparare 87. Se tutti pecchino 106. 107. Non gli ultimi 108.
B
Ballarini della notte di Carnevale uccisi per la caduta di un solaro 249. [n.p.]
S. Basilio di che cosa avverta i Maestri di Scuola 178.
Beltrame non conobbe la Commedia Oscena 211. faceva la correzione al Comico troppo osceno 255. suppone le sue Commedie essere modeste 32. 55. 57.
Bonciario fu avvertito di non esplicare Terenzio a’ Giovani, e che cosa fece 176. 177.
S. Bonifacio Vescovo predisse la morte di un Giocolatore 248.
Buffone arricchito prima, e poi impoverito 155.
Buono che sia 133.
C
Sig. Cardinal RicheliùX moderò i Comici in Francia 92.
Carlo V perché proibì le Maschere 13.
Carlo VI Re di Francia in gran pericolo 47.
P. Carminata predicò contro le Commedie oscene 143.
Carnevalesche Ricreazioni come permesse 13. sono moderate 13. molti si comunicano 14.
Casa affittasi lecitamente a Meretrici 161.
Casi vari variamente giudicati 240. spaventosi occorsi a’ Comici 240. 248.
Cattivo che sia 133.
Cesare Sonator onorato si fece Buffone infame 155.
Città non sono peggiori a’ tempo delle Commedie oscene 88. Le principali in che sondino la gloria 90. Non si avviliscono senza le Commedie turpi 90. Anzi si fanno con quelle 91.
P. Claudio Acquaviva, che rispose circa il purgar Terenzio 175.
Commedia è Cronica 62. sia onesta, e recitata da persone oneste 82. È di quattro sorti 52. Le Accademiche, o le Cantate si fanno con gran spesa 52. Le fatte da’ Giovani cittadini oscene si riprendono 53. Alcune fatte per rigiri 55. Le mercenarie perché biasimansi più, che l’altre 51. 52. nuocono 59. La modesta è lecita 183. Corregge dal male 68. 69. 85. É lodevole 69. 236. alle volte è modesta nel titolo, o argomento. E poi immodesta in altro 70. l’oscena è proibita in più modi 183. da Filippo II 37. poi quel Re concesse la modesta 38. le oscene non si possono permettere 209. insegnano il male 58. 67. sono difese 5. 6. sono giochi perniciosi 7. non leciti 10. 11. da pazzi 12. condannate da molti 18. sanno molti, e gran mali 38. quale è la oscena 6. mille oscene composte da uno 86. Le Commedie sono abbracciate quasi da tutto il Mondo 41. Non vero 42. 43. La Mercenaria [n.p.]diletta per più ragioni 44. Da poca spesa 49. Piace troppo ad alcuni 50. Insegna il bene 56. 57. 58. 63. La Spagnola dicesi non essere oscena 37. Si dichiara il detto 37. 38. 39. Stimata in Spagna 42. Come oscena riprendesi da Spagnuoli 38. 39. Alcune Spagnuole fatte in Città d’Italia erano oscene 40. L’oscena si ode per imparar il bene 81. 82. La Modesta è rimedio contro l’ozio 150. Non è un male minore 158. 159. L’oscene sono fuggite da alcuni per le ragioni lette ne’ Libri 217. 218. Perché si biasimano 221. Non sono riformate, quanto basti 232. Nuocono alla Gioventù, e anche alle Meretrici 233. Alle volte insegnano il bene 234. Sono illecite 240. Si riveggono in Francia, né si permettono oscene 93.
Comici modesti insegnano la virtù a’ semplici 68. Come possono recitar molte Azioni 72. Possono vivere del guadagno 151. Ne impedire 152. Non sempre vivono comodamente 152. Vogliono a tutti il bene 162. Dubbio intorno ad un modesto 164. Se non si può ritirar dalla Commedia oscena, che deve fare 165. 168. 169. tutti faticano per dilettare 46. Recitano al vivo 46. Gli osceni non servano la moderazione nelle Azioni sacre 26. Cagionano mali 32. Non sono Maestri buoni 83. Né di bene, ma di male 64. 65. 67. 83. 84. Fanno peggio che le Meretrici 159. Gustano le oneste Azioni 86. 87. Perché rappresentino Opere ne’ giorni festivi, e di Venerdì 71. uno recitando acconsentiva al pensiero di peccare con la Comica 29. Vanno alle città principali, e ad altri luoghi 89. 90. Non possono dar occasione di peccato a’ Viziosi 119. 120. Alcuni portarono in Scena un libretto a difesa delle loro Commedie 123. Non mancano tali Comici 163. Non si possono permettere 153. Etiandio che vivano con tal arte 153. Hanno difficoltà a lasciarla 153. Uno ebbe molti anni gran rimorso 154. Perché alcuni non la lasciano 154. Non trovano da vivere 155. Sono Buffoni, non Comici 158. Non sono scusati dal peccato per la tolleranza de’ Superiori, o Principi 186. Sempre sono stati ripresi 237. Alcuni difesero con S. Tommaso le loro Commedie oscene 229. Ma confusi partirono 230. Usano mezzo cattivo per buon fine 232. Fanno qualche Commedia modesta 213. Danno alle volte informazioni vere delle Comiche oscenità 212. Alcuni non peccarono recitando una Commedia Satirica 206. Non sono corretti da altri Comici, e perché 255. 256. Non s’emendano. Se si fa loro la correzione 256.
Compagnia di Comici alle volte per necessità piglia un osceno 256. Compagno aver nel male non scusa dal male 101. Anzi aggrava 102. 0103.
Concili contro i Maestri, che dichiarano Libri impuri agli Scolari 173. 174.
Confessore levi l’ignoranza al Penitente 126. Alcuni Confessori assolvono gli Spettatori delle Commedie oscene 75. 76. Molti non assolvono 75. 80. Fanno rimorso 76. Essi non insegnino a’ Penitenti certe precisioni 80. Buon consiglio dato loro da un Dotto 81. Quando debba seguir l’opinione del Penitente 79.
Consuetudine sia ragionevole 16. Quale sia tale 16. 19. S’induce con due atti 16. Non toglie il ius divinum 16. 17. Con che si corregge la cattiva 20.
Conversazione umana ha bisogno di ricreazione 1. 2.
Convertite come sono aiutate dalle Meretrici 199.
Cooperator al male come pecchi senza obbligo di restituzione 106. 207.
Correzione sia con piacevolezza 5. Con che mezzi si può fare a’ Comici osceni 256.
Cosimo Medici giocò per ricreazione 3.
Cratone vituperava gli spettacoli 210.
D
Decreto fatto in Palermo contro le Commedie oscene 145.
Demonio si nasconde sotto il bene 59. Prese la forma di un Recitante morto all’improvviso 48. 242. Recitò, e perché 48. 49. Che guadagno pretende dalle Comedie oscene 242. Portò via un Recitante, che scherniva il sacro rito della Messa 244. Saltava vicino ad un servitore osceno 249.
Diletto sia senza oscenità 3. Ha gran forza nella Commedia 67. L’osceno è cattivo 132.
Distinzione tra Comici osceni, e modesti si usa prudentemente 254. Fa buoni effetti 255.
F. Domenico Gori Domenicano restò di confessare un Signore, perché era itoXI alla Commedia oscena 75.
Donna spiritata nel Teatro 97. 241. Concepisce un figlio simile al Demonio 244. Una in Purgatorio per udir una canzone 248. Levar le Donne dal Teatro sarebbe grato ad alcuni Comici 217. Piangono nell’Inferno 248. E consigliata non star in finestra 170. La modesta non s’esclude dalla scena 170. L’immodesta più nuoce recitando, che stando in finestra 170. 171. Condizioni di una trista 171. Nuoce a tutta la Città 171. 172.
Dubbio in molti, se pecca, o no, chi va alla Commedia oscena 141. E perché 141. 142.
Duca Serenissimo come rimediò con grazia ad un inconveniente del Teatro 99.
E
Esempio non è regola di giudicare 188. Il cattivo si corregga 188. È buona prova 243.
Eva fece peccare Adamo pensando consolarsene 102.
Euripide fu chiamato in giudizio per un verso 29.
F
S. Fabio Albergati come approvi le Commedie 60. 61.
Fanciulla ballarina portata all’Inferno, e arrostita 249.
Favole furono trovate per insegnare il bene 57. Devono contenere due cose 58.
Fede buona non sempre scusa 120. 121.
Figliuolo riaccettato dal Padre per cagione di una Commedia 234.
Filippo 2. Re di Spagna proibì le commedie 37. Poi come le concesse 38.
Fini vari, per li quali si va alla Commedia 113. Fine buono non giustifica i Comici osceni 113. 114.
Monsignor Francesco Diotallevi come scusi da peccato uno invitato d’andar alla Commedia oscena 94.
S. Francesco Saverio perseguitava i Comici, e Ciarlatani nelle piazze 11.
Frutto di un Libro stampato contro le commedie oscene 217. 218. Quello, che si può sperare scrivendo, o predicando contro i Comici osceni, e salvando i modesti 253. 254.
G
Gaiano Mimo corretto dalla Beata Vergine 246.
Ganassa Comico ridicolo, e modesto 37. 157. Guadagnò in Spagna 37. Insegnò a’ Spagnuoli far Commedie all’Italiana, e modeste 37.
Sig. Genovesi proibirono a’ Comici osceni le Commedie 91.
Gentildonna riprese alcuni Giovani Recitanti 53.
Gentiluomo virtuoso temendo il pericolo non volle andar alle Commedie oscene 87. Un gran Protettore delle Commedie tali morì all’improvviso senza Sacramenti 253.
Padre Pio Giovanni Battista Carminata. Vedi Carminata.
Giovane va alle Commedie oscene con intenzione cattiva 11. Vestito con teletta colorita sì, che pareva nudo 24. Parte dal Teatro con pensieri di peccato 35. Non è degno d’assoluzione volendo andar alla Commedia oscena 76. Mutato in apparenza d’Asino 245. Morto all’improvviso recitando 251. Un altro Ecclesiastico 251.
Giovanetti invece di Donne meglio è non introdurre in Scena 27. Giovani Recitanti ripresi 53.
D. Giovanni Ventimiglia V Re di Sicilia 143.
Giocatore convertito alla Commedia 84. 85.
Gioco per ricreazione è lecito 2. Usato dagli antichi 2. 2. 3. Quale deve essere 7. Pernicioso è quello della Commedia 7. 9. È del Diavolo 8. 11. S’usa anche nelle cose serie 8. L’osceno non è permissibile 10. Giochi de’ Pazzi 12. Sia onesto 130. Come è necessario 131. Il moderato è lecito 138. 139. Alle volte è impedito dalle Commedie oscene 233. 234.
Giudice, sentenziando male, quando non sia obbligato alla restituzione, e quando sia 107.
Grazia di Dio vi vuole grande per liberare un Comico osceno da quella vita 153.
Guadagno diabolico dalla Commedia oscena è grosso 48. 49. Causato dalla Commedia oscena per dar a luogo pio, non è lecito 198. 200. 201. Il Comico si congiunge col Meretricio 155.
Gusto non è buona ragione di permettere le Commedie oscene 189. Molti non l’hanno 189.
H
Hercole giocò per ricreazione 2.
S. Hermanno non leggeva le Favole de’ Poeti volentieri, e ammoniva i Maestri per rispetto de’ falsi Dei 173.
Hipocrita è nome preso da’ Comici 229.
Horologio col suono dell’hore eccitava uno a fruttuosa riflessione 149.
Hospedali per li Comici vecchi 167.
Huomo ben composto mira la Donna senza peccare 170.
Uomini antichi segnalati giuocavano 2. 3.
I
S. Ignazio Fondatore non volle, che I Maestri dichiarassero Libri impuri 175.
Ignoranza non scusa sempre 11. 120. 121. 122. 125. Quale sensi 122. 123. Quale giusta invincibile 124. Quale non facciXII la buona fede 125. Alle volte argomenta 12. Alcuni dicono d’averla intorno alle Commedie se siano oscene, o no 110.
Imitazione del male è male 9. L’imitar molti cattivi non scusa 99.
Invito alla Commedia oscena quando sia o non sia buona ragione d’andarvi 94. 95. Niuno deve far tale invito 94. 95.
L
Laconi non ammisero le Commedie 9.
Legge Civile proibisce le oscenità teatrali 195.
Legislatori mirino tre cose 182.
Leschen era un luogo da ragionare di cose allegre, e serie 154.
Lettera cieca ad un Religioso, acciochéXIII impedisce le Commedie oscene 189.
Libretti di Confessione, o impuri si leggano con cautela 63.
Libri lascivi letti per la buona latinità si biasimano 172. 173. 175. Buoni non mancano 227.
Luthero biasia dichiarare a’ Giovani Libri impuri 178.
Lupanari non si permettono secondo Navarro 161.
M
Maestri non leggano a’ Giovani Terenzio, né simili Libri 173. 174. 175. 177. 178. Ma i buoni 178.
Magistrato buono quale sia 197.
Male minore si elegga, come s’intende 117. Quando si possa consigliare 117. Mali cagionati dal Comico osceno 32. 33. 34. Il suo correttivo non giova 34. Chi sia malo 133.
Malinconia ne’ Grandi 126. Si leva con la Commedia 127. O con altro 128.
Materia leggera in Venereis scusante dal peccato mortale non si concede dqll’autore 28. Come si neghi nella Commedia oscena 29.
Medici biasimano i Ciarlatani 225.
Meretrici al Cocchio di Temistocle 161. Perché si permettano 158. 160. Molti l’hanno cacciate 160. 161. Si paragonano col Comico osceno 158. Il viver con quell’Arte non è ragione di permetterle 153. Come aiutino le Convertite 199. Moltiplicano i peccatori con le Commedie oscene 233.
Mescolino Comico modesto tacciato di freddezza 157.
Mimo corretto dalla Beata Vergine 246.
Moltitudine di cattivi non si segua 99. 100. Non scusa 100. 101.
Monaci non tutti sono, ma tutti sono obbligati al bene 237. 238.
Mondo quasi tutto abbraccia i peccati 41.
Moralità nella Commedia è come il pane nella mensa 67. Da pochi è conosciuta 67.
Moribondo senza segni di penitenza non si assolva 77. 78.
Morti all’improvviso recitando 251.
N
Nodo difficile 5.
Nome mutato alle volte nuoce 7. 8.
Novità diletta 44.
O
Occasione di peccare non si può dare a pochi 115. Né ad un solo 115.
Opere Comiche sono udite volentieri 71.
Opinione non vi è probabile di poter assolvere, chi va alle Commedie oscene, essendo debole di spirito 77. Né l’Autore la seguirebbe, se vi fosse 77. 78. Opinione d’assolvere un Moribondo, che non da segni di penitenza 77. Opinioni stravaganti difese 5.
Oscenità di parole non sia nella Scena 25. Come non nuoca proposta nelle Azioni 25. 26. 27. È usata da’ Comici per piacere agli Ignoranti, e per più guadagnare 156. 157. e per esser tacciato di freddezza 157.
Ozio è rimediato dalla Commedia 150.
P
Pambo Abate pianse vedendo una Donna trista 248.
Papa si nomina con gran lode 182. 183.
Parole oscene infiammano 56. Si levino dalla Scena 25. Pudiche non spieghino cose impudiche 26.
Parto spaventoso, e per cui morì la Madre 244.
Pazzo, che stimava di star sempre alla Commedia 50.
Peccato nemmeno veniale è lecito 116. Puniti i veniali con gravi pene dell’altra vita 219. Maggiori peccati nelle Città, quando vi sono i Comici osceni 66. Peccatore dice. Non sarò solo nell’Inferno 103. Vuole piacere in comparazione di peggiore 115. Peggio, dice, farei, se non andassi alla Commedia oscena 116.
Pericolo di peccato è per tutto 112.
Permissione del male quando è lecita 186. 188. 208.
Pesci detti Ruffiani 207.
Piacere non si deve biasimare 126. 127. È di due sorti 131. Alcuno nuoce 128. 130. 133. Sia moderato 129. 132. Onesto 130. Il molto non basta per andare alla Commedia oscena lecitamente 51.
Pittore fa paesi per riempire i vacui dell’Opera 127. Non fa cose indecenti per piacer agli Ignoranti 156.
Pitture oscene se si permettano 72.
Platone cacciò i Poeti 83.
Ponte della Carraia caduto con danno di molti, e con morte di altri 250.
Pompeo con che preservò il suo Teatro 70.
Predicatore non dica in modo, che paia insegnar le malizie 62. 63. Alcuni predicarono, che lo Spettatore delle Commedie oscene non pecca mortalmente 143. 144. 145. Sprezzati da’ Recitanti 223. Non danno cagione di stupore predicando contro le Commedie oscene 226. Né fanno ingiustizia 227. 228. Uno invece di disdirsi per avere predicato contro le Commedia oscene più le biasimò 251. 252. Aiutato da Dio fa frutto 216.
Primi Auditori della Commedia oscena peccano 104.
Principe è obbligato levar le consuetudini cattive 19. 20. Non approva le Commedie oscene 192. Può facilmente proibirle 195. Perché tollera i Comici osceni 185. Che si può far con lui, quando vuole le Commedie oscene 186. Pecca sostentando i Comici osceni 187. Perché fa loro donativi 187. Può concedere Spettacoli modesti al Popolo 190.
Proibizione si deve fare delle Commedie oscene 92. È fatta in più modi 183. Non giova a lungo tempo 194.
Protettori de’ Comici osceni 142. 144. 146. Un nobilissimo morì malamente 253.
Purgatorio a due Religiosi per la perdita del tempo 219.
R
Radunanza d’Uomini, e Donne alle Commedie cagiona peccati 53. 54.
Ragioni, per le quali si riprendono i Comici osceni e le loro Commedie 221.
Rappresentazione onesta diletta 2. 3. Non deve riprendere 4. Non si può far lecitamente di ciò, che è scritto 62.
Re ripreso in una Commedia Satirica 207.
Recitamento è più efficace, che la Lezione 179. Più diletta 180.
Recitante morto subito nel principio di una commedia oscena 48.
Recitanti morti all’improvviso in Scena 215.
Recitante portato via dal Diavolo per burlar la Messa 244.
Richeliù. Vedi Cardinale.
Ricreazione Teatrale perché si concede 1. Si può usare 15. La Carnevalesca come si permette 13. Sia onesta 3. 191. Moderata 129. Si cerchi senza peccato 127. È necessaria 190. Non troppa 128. L’immoderata è ripresa 138.
Ridicolo osceno è condannato 35.
Riso è cosa indifferente 135. Cristo non rise, né Catone, o Crasso 135. Uno morì col riso 135. 139. Riso cattivo 136. 137. 139. 140.
S
Sacramento esposto di Carnevale quando, e dove cominciò 13.
Saltatrice morta subito 248.
Satirica Commedia non s’approva a nostro tempo 205. 206. Né a tempo antico 209. Si può permettere alle volte 206. 208. 210.
Scrivere della Commedia con distinzione 4. Gli Scrittori Santi l’approvano 4.
Scrittori molti contro le Commedie oscene 124. Sempre l’hanno biasimata 202. Anche gli antichi hanno scritte contro le oscenità 203. I moderni non scrivono invano 215. Hanno cognizione dell’Arte Comica, e della Commedia 214. E anche dell’oscena 211. 212. E scrivendole contro non danno ragione di stupire 226. Né d’ingiustizia 227. 228.
Scrittura sacra usata per gioco è grave errore 10. Condanna le Commedie oscene21. 22. Contiene qualche impurità 23.
Fr. Sebastiano Predicatore Cappuccino perseguitava i Comici, e Ciarlatani osceni nelle piazze 11.
Secolare non si scusa bene con dire d’esser avvezzo a mirar Donne, e udirle liberamente 238. 239.
Servitore che deve fare, per non accompagnare, o accompagnando il Padrone alla Commedia oscena 97.
Servitore osceno faceva saltare un Demonio, e morì presto 249.
Sicurezza dal pericolo diletta 47.
Sinodo Fiorentino vietò le Azioni sacre, e perché 27.
Spagna ha molti Comici 36. Stima le Commedie 42. Spagnuoli Comici lodati per recitar modestamente 39.
Socrate piccato da’ Comici satirici, che disse 205. 206.
Spettacoli vana consolazione 129. Cosa del Demonio 88. Gli osceni sono un male difficile a curarsi 194. Ma si può curare 195. Sono stati gustosi a molti Popoli 190. Ma siano onesti, e piacevoli 191. Non dissoluti 192. Spettacolo dell’Inferno rappresentato 250.
Spettatore. Vedi Auditore. Va al Teatro per diletto, non per utile 185.
Statue oscene se si permettono, o no 72.
Streghe mutavano l’apparenza degli Uomini 245.
Superiore modera il popolo 98. Rimedia a’ disordini del Teatro 99. Senza star presente 99. Non può permettere la Commedia oscena 118. Quando possa permettere il male minore 118. Come diiXIV licenza di recitare 193. Non permetta le oscene 196. 197. SiiXV giusto 197.
T
Tempo per passarlo non scusa bene lo Spettatore della Commedia oscena 134. 135. 147. Se ne deve render conto 147. 148. È dato per cavarne bene 148. Perso fu cagione di grave Purgatorio 219.
Thalleleo Abate pianse per 60. Anni 148.
Teatro scuola di male 66. 84. Luogo del Demonio 97. Casa di lui 242. Nuoce a’ suoi seguaci 57.
Toccamenti de’ Comici come siano mortali 29.
Tolleranza non sempre dice il consenso del tollerante 184. Quando sia lecita di un male 200. 201.
Trattamenti vari si raccontano pericolosi 47.
U
Ultimi Auditori della Commedia oscena peccano 105. Non peccano 108.
Urbanità moderna la troppa serietà con Giochi onesti 10.
Uso non fa lecite le Commedia oscene 15. 16. 17.
V
Varietà diletta 45. Signori. Veneziani cacciarono I Comici osceni 90. 91. Come diedero licenza di far Commedie modeste 193.
Vizio non sempre si può rappresentare 61. Come si corregga 60. Quando non è lecito rappresentarlo, e quando sì 60. 61. Vizi difesi E. Vizi crescono 129.
Z
Zelo dell’Anime è una sete 220. Il vero riprende ogni peccato 221. Non è indiscreto riprendendo le Commedie, e Comici osceni 221. 222. 223.
DELLA CRISTIANA MODERAZIONE DEL TEATRO
Libro secondo §
Detto la Soluzione de’ Nodi, per sciogliere molte difficoltà, e per risolvere molti casi di coscienza intorno alla lecita, o illecita Permissione delle Commedie oscene, secondo la dottrina di S. Tommaso, e d’altri Teologi, e per sicurezza de’ buoni Cristiani.
Opera Di un Teologo Religioso da Fanano.
Proemio §
La moderata ricreazione del Cristiano Teatro si concede, quasi gioconda, e salutevole aura di rinfresco, da chiunque conosce, che i focosi travagli dell’umana conservazione sono bisognosi di qualche refrigerante ristoro, e consolativo trattenimento. « Volo tandem tibi parcas, avvisa S. Agostino, labor est in cartis sapientem remittere interdum aciem rebus agendis decet intentam.
» l. 2. Music. C. ult. Voglio, che tu ti ricrei alquanto: lo studio è cosa faticosa: conviene al Savio, che alle volte si moderi dalle fatiche, e si riposi con quiete. « Et hoc est, scrive S. Tommaso, quod Philosophus dicit in 4. Eth. quod in hujus vitae conversatio {p. 2} quædam requies cum ludo habetur : et ideo operates interdum aliquibus uti.
» 2. 2. lq. 168. a. 2. c. E questo è quello, che come dice il Filosofo, si ha nella conversazione di questa vita per mezzo della quiete, e del gioco; onde bisogna tal volta, servirsene per ristoro. Segue la dottrina di S. Tommaso quell’altro Tommaso, e Teologo moderno, il Buoninsegni, dicendo. « Perspicum tr. ad justas negot. de ludo c. 2. sane, atque indubitatum esse potest, illud ludendi genus, quod voluptatis capiendæ gratia inter nomine, ut plurimum consuerit nihil rationi pugnare; dummodo in eo neque finis constituatur; neque omnem curam, cogitatinem,operamque collocemus. Unde Aristoteles virtutem ludo perfectam, quam Græci Eutrapeliam vocant, constituit duros, atque agrestes eos exstimans qui ludum omnem, quamuvis moderatum abiciunt. Seneca quoque monebat, in communs hominum consuetudine iucundum se quemlibet genere, et urbanitate, fostivitateve uti oportere; ne rudis, aut asper videretur Pulchra nimirum fuit Μ. Tulli monitio, ubi ait ludo et ioco, uti quidem licet, sed sicut somno, et quietibus cæteris tunc cum
gravibus, seriisque rebus satisfecerimus. Et quem ad modum corpus labore defessum refocillatione indiget; sic et animus gravibus detentus cogitationibus, aut in altissimis contemplationibus diu assuetus, ioco, et ludo aliquo honestione recreatur.
»
Del medesimo parere si è Lelio Peregrino, ove scrive. « Ludere, utres serias agas, et animum ad maiora confirmes, laudandum, ut sensti Anacharsis : requieti enim ludus est similis; requiete autem, et laxamento indigemus; quoniam perpetuum laborem ferre, et saxum Sisyphi continu voluere non possumus. Quare Herculem ferunt cum pueris pila ludere solitum, ut animum a molestia, et labore ricreare seque ad preclara facinora obuenda redderet paratiorem
de morib. L. 10. c. 6. pag. 365. »
Il Cassaneo scrive, che uomini segnalatissimi dell’antica stagione ricrearono l’animo con il sollazzevole trattenimento del gioco « Non ne ex veterum monumentis proditorum In Catal. Gl. Mu. Pa. 11. consid. 52. p. 280., summos viros, et multa laude prœinsignes lusum non abstinuisse? Nam ab Alcibiade quandoque deprehensus est Socrates cum Lamprocle infantulo colludens. Agesilaus cum filio arundinem {p. 3} equitabat, qui puerilis mos ut, alludente Horatio.
Ludere par impar, equitare in arundine longa.
Tarentinuso Architas cum pueris de famulitio lusu agitabat; hisque oblect abatur plurimum, dum agitaret convivia.Volaterranus ait, Cosmum Medicemiam iam senem, et patriæ Principem nepotibus parvis collusisse.
»
Seneca Sig. Gio: Tomaso Griglioli in un’epistola disc., dice un moderno dottissimo, e eruditissimo, fu uomo più severo, che beffatore: nondimeno nel caso della morte di Claudio Imperatore non si poté ritenere di non scherzare, e dar fuori il libretto de Divinitate per fungos parta : perché alle volte è necessario secondo l’istesso Seneca pigliarsi qualche onesta ricreazione, e trastullo di animo, dicendo anche Platone del suo custode della Città. « Quando ad aliquem indignum se venerit, nolet dedita opera similem se deteriori prabere, nisi sorte ioci, et oblectamenti causa, id fecerit.
»
Lasciamo ciò, che altri Autori hanno scritto in prova, che l’uomo, collocato in mezzo de’ travagli terreni, ha bisogno di qualche diletto; né lo deve fuggire, per non parere rustico, e selvaggio. « Si quis vellet, nota un valent’uomo, omnes deleclationes fugere, diceretur agrestis.
» summa summar. V. Adulatio §. 3. Man non perciò si concede, che tal diletto sia una ricreazione infetta col miscuglio di qualche oscenità: deve essere a modo di rosa soavemente odorosa, e non di spina acutamente pungente; deve consolare il corpo, e non sconsolare l’anima; aiutare alla virtù, non fomentare il vizio. E in vero misero si è colui, il quale come dice S. Bernardo, « de remedio comparat exitium
l. meditat. C. 26. » : si serve della medicina per aggravare il morbo, e per morire. « Inde acquirit mortem, scrive S. Agostino, unde poterat obtinere salutem.
ser. 204. de temp. » All’incontro è felice, chi usa il medicamento con buon successo di compiuto ristoro.
Non si deve già negare, avvisa un Comico, che l’uomo non facesse bene a spendere tutto il suo tempo in servizio di Dio : ma seppur è concedutoXVI ; o se gli è lecito in qualche ora della sua vita, sottrarsi dalle contemplazioni, o da’ negoziiXVII, e dar riposo alla mente non veggo, né conosco, ove meglio {p. 4} lo possa fare, che nello stare presente ad una graziosa Rappresentazione, la quale da oneste persone sia onestamente rappresentata: e che il riso in essa derivi da qualche grato artificio; e non da parola, o da atto, che tengano dell’impuro, o del disonesto.
Io concedo, che tal’avviso è da onorato Cristiano, e da virtuoso Comico; e inferisco. Dunque non è ragionevole scorrere con la penna, o con la lingua confusamente al riprendere le teatrali Rappresentazioni: ma si deve scrivere, e favellare distintamente, condannando quelle Azioni, che sono infette col veleno di oscene, e illegittime qualità; e ritenendosi dal condannare quelle che sono virtuosamente composte, e recitate con la cristiana moderazione. Ed io in questo sempre voglio tener fisso il pensiero ; e lo stesso ricordo a chiunque vuole riprovare fruttuosamente le Rappresentazioni de’ moderni Mercenari Commedianti, o Ciarlatani; cioè lo deve riprendere con la debita distinzione delle moderate, e virtuose, da quelle, che peccaminose sono, e smoderate. Che pag.11. però l’allegato Comico ha ragione di notare, che la santità della vita, conosciuta dagli uomini, e approvata dalla Chiesa, è un testimonio così forte della sana dottrina, che non si può di meno di non credere, che santo zelo, e non mondana ambizione muovi la penna di questi tali a scrivere per lo appunto quanto comprendono, esser necessario intorno all’estirpazione de’ vizi, e introduzione de’ buoni costumi: onde non solo con puro affetto, ma con dovuta riserva scrivono sempre condizionatamente, e parlano. I quali, esclusi gli illeciti modi di rappresentare, hanno poscia mostrato, come si possa, e debba fare, per non incorrere recitando in qualche errore: e a fine che non rimanga reliquia di dubbio in alcuno, hanno mostrato, che si può, non solo recitare, ma vivere dell’esercizio della Commedia.
Ora io ricordo, e replico per me, e per ogni altro, che noi, imitando i Santi, e i sacri Dottori, così dobbiamo procedere nello scrivere contro le Commedie cattive con la debita riserva, e distinzione delle buone. E quando occorre di confutare {p. 5} qualche cosa, lo faremo con moderazione, con piacevolezza, e con amore senza ingiuria di alcuno, e senza sdegno; acciochèXVIII facendo altrimenti non restiamo convinti, « corrosores esse, non correctores, dice S. Bernardo, qui mordere, quam emendare maluimus
» Ep. 78. Ricordo ancora, che dobbiamo sforzarci di rispondere fondatamente a molte difficoltà, le quali, se bene non sono troppo avviluppati nodi, simili al Giordano, ovvero a quello, di cui scrive Seneca. « Unus tibi nodus, sed herculaneus restat
» Ep. 88. ; con tutto ciò ricercano la soluzione; perché sogliono essere proposte da molti a difesa delle mercenarie, e consuete Commedie, e Azioni del nostro tempo, le quali per l’ordinario sono oscene; e nondimeno trovano protettori. Io risponderò ad un buon numero di tali difficoltà in questo Libro, il quale divido in cinque Capi, e ciascun Capo in vari Punti. Spero, che resteranno dissipate molte nuvolette, che fanno oltraggio alla bella luce della verità. Concludo con S. Cirillo. « Cum autem multæ sint ciuscemodi contradctiones, age per Dei gratiam singulas dissolvemus.
» Catech. 12. p. mihi 248..
Capo Primo.
Delle difficoltà prese dalle Azioni. §
Troppo grande accidente non è mai parutoXIX a’ Savi, che, tra professori dell’antica Filosofia, molte opinioni di stravagante, e poco meno, che impossibile apparenza abbiano ritrovato difesa, e protezione: perché l’umano ingegno gode alle volte di avventurarsi ne’ precipizi, e la volontà non cura bene spesso le cadute vergognose, e rovinose. Ma che ora tra gli splendori della luminosa Cristianità non pochi si ritrovino, che vivano come ciechi difensori, e protettori delle teatrali immodestie; questo certo è argomento di non poca meraviglia a molti.
Chi crederebbe mai, dice un moderno Teologo, che si trovassero uomini, che fanno professione d’essere Cristiani Nell’Antid. P. 3. 6. 4. , i quali, non solamente veggono i mali, e danni grandi, che secoXX recano queste Commedie, e Rappresentazioni brutte; ma le {p. 6} difendono, le proteggono pubblicamente, e tengono per bene, che siano tollerate? Eppur è vero. « Non desunt, si può dire con S. Cipriano, vitiorum assertores blandi,et indulgentes patroni, qui præstant vitiis autoritatem.
».Questo Santo si lamentò già, che fossero tra’ Cristiani cosi amorevoli difensori de’ vizi, e che dicessero, potersi esercitare, e vedere gli spettacoli per onesta ricreazione; e che era tanto indebolito il vigore della disciplina, che ogni dì si andava di male in peggio; e che non si cercava più, come si dovessero fuggire i vizi i ma come si dovesse dar loro autorità. Ma ora un lamento simile può farsi contro i difensori delle correnti Commedie, che hanno delle immodestie: onde con ragione scrive in breve il P. Luigi Albritio Pred. 30. p. 483.. V’è, chi argomenta in favore delle Commedie sporche. Anzi, dico io, questi argomentanti, e difensori portano tante difficoltà in campo, che stimano poter cantare il Peana, e trionfare prima di aver finito di battagliare.
Ora noi ponderiamo queste difficoltà ordinatamente: e acciocché non paiano penetranti saette, rintuzzandole gagliardamente per via di risposte, che si possono dare a vari Dubbi. Ma prima ricordiamo in breve ciò, che alla lunga abbiamo dichiarato nel primo libro, cioè, che la Commedia oscena è quella, la quale notabilmente, e efficacemente eccita per ordinario alla disonestà. E questo eccitamento ella può fare in molti modi. 1. o per natura sua, essendo tale, cioè eccitativa efficacemente alla disonestà. 2. o per accidente, essendo udita da persone deboli di spirito. 3. o con l’argomento impuro. 4. o con un’impura parte dell’Azione. 5. o con l’Intermedio turpe. 6. o con alcune parole, ovvero con alcuni fatti, ovvero con modo d’impurità mortale. 7. o con la comparsa di Donna vera Comica di professione, ornata lascivamente, e parlante d’amore in pubblico Auditorio, ove sa, che sono molti deboli di virtù, e ne conosce alcuni in particolare.
{p. 7}Punto primo.
Se le Azioni oscene, per essere giochi, siano tollerabili.
Tullio saviamente scrisse del gioco, che doveva essere un lume di buono ingegno e una cosa degna dell’eccellenza umana. « In ipso joco aliquod probis ingeni lumen eluceat: ludusque tempore, ac homine dignus sit.
l. 1. offic. » Alle quali parole aggiunge, quasi interpretando con spirito Cristiano, e religioso l’ingegnissimo Teologo e Eminentissimo Sig. Cardinale Giovanni de Lugo, nella Dedicatoria all’Eminentissimo Sig. Cardinale Francesco Barberino. « Ita sit Cristiano ac religioso dignus homine ut ab ipso ioco, et ludo insolitus ad pietatem ardor in spectatorum animis accendatur.
Tomo de Sacram in genere. » Il gioco teatrale degno dell’uomo cristiano deve cagionar scintille e ardere di pietà negli animi degli Spettatori. E tali per verità non sono i giochi degli osceni Recitanti.
Il Comico Cecchino scrive. « Chi ha intelletto abbastanza per capire, ha anco ingegno a sufficienza per saper che sono scherzi, e non leggi.
» E poteva aggiungere per le Commedie il detto usato da Ausonio per i libri. « Cui hic ludus noster non placet ne legerit
», ovvero « ne audierit, aut cum legerit, obliviscatur: aut non oblitus ignoscat
». Ma si risponde, che sono scherzi, e giochi pericolosi, e perniciosi alle anime; poiché secondo l’avviso di Giovanni Mariana, « facilis a jocis ad seria transitus, quasi per risum stultus operatur scelus
l. 3 de Rege, et Regis. » ; è facile il passaggio dagli scherzi, e da’ giochi alle cose serie, e peccaminose, poiché lo stolto, quasi scherzando, giocando e ridendo opera il peccato. Anche di quegli Israeliti adoratori del Vitello, dice la sacra Scrittura, « surrexerunt ludere
» non solo con giochi di salti, di canti, e di balli, « saltando, canendo, choros agendo hos enim descendens e monte vidit Moses
c. 32. 6. », come nota il P. Cornelio; ma di più con impurità fornicarie onde alcuni Rabbini espongono la voce « ludere, idest fornicari
». E Tertulliano avvisa, « surrexerunt ludere; intellige sacra Scriptura verecundiam lusu nisi impudicum non denotasse
lib. De Ieiunio. ». Et io considero che la mutazione de’ nomi spesse volte cagiona {p. 8} grave nocumentoXXI ; e chi troppo credulo procede senza la necessaria diligenza, si trova ingannato, e rovinato. Un riso ridente di falso adulatore si chiama lieta, e festosa dimostranza di buono amico; ma in realtà nuoce all’anima dell’adulato; e come nimico lo fa tracollare in molti vizi. Le Teatrali ricreazioni oscene si chiamano giochi, scherzi, sollazzi,
trattenimenti, e cose finte per burla; ma sono da senno, e con reale successo una vera miseria, e un verissimo avvenimento di moltiplicata morte spirituale a molte anime: imperochéXXII da quelle, come da velenose piante nascono molti germogli di peccati; onde non si devono chiamare giochi degli uomini, ma giochi de’ Diavoli, co’quali fanno tirare il carro della vanità, pieno, e colmo di gravissime offese di Dio: che però si può dire con Crisostomo: « Non dat Deus ludere, sed Diabolus.
ho.6. in Mat. » E S. Tommaso commenta. « Intelligendum est de illis, qui in ordinate ludis utuntur.
2. 2. q. 168. a. 2. ad 2. » Non Iddio, ma il Demonio è autore del gioco a coloro, che se ne servono disordinatamente; e tali sono i mercenari Commedianti osceni; le Azioni de’ quali, per essere giochi, non sono tollerabili; anzi non meritano il nome di giochi; perché, come avvisa Giustiniano Imperatore. « Quis ludos appellet eos ex quibus crimina oriuntur?
in Proem. Digest. » Chi vorrà, o potrà chiamar giochi quelle Azioni, dalle quali nascono i peccati? Disse ben colui. « In veros sensus sæpe abiere joci.
Pontanus l. 1. de amore. » Bene spesso il detto per gioco si eseguisce con i fatti non fatti per gioco. Io so che Platone alle cose gravi, e serie congiunse tal volta il gioco, ma il modesto. « Opus est, dice, ut differentes de legibus, senili quodam, modestoque ioco iter hoc molestia conficiamus.
lib.3. de leg. » So ancora, che Innocenzo Ringhieri nell’Opera sua detta Cento Giochi Liberali, pone al c. 90 del lib. 9. questo titolo Gioco della Commedia : e la chiama
bellissimo ritrovamento, atto a correggere la vita umana da’ vizi corrotta. Ma io rispondo, che l’allegato Autore parla della Commedia onesta, usata per frenare i viziosi dall’iniquità, e non di quelle, che con disonesto trattenimento aggiungono esca al fuoco della libidine, per far maggiore l’incendio della disonestà. E però egli dice chiaro nel principio {p. 9} dell’opera, che i suoi cento Giochi si sono posti in luce per onesto trattenimento: dunque di poco rilievo per la difesa dell’oscenità si è il dire. Le Commedie oscene sono in sostanza giochi; perché il gioco non deve essere osceno, per poter servire di lecita ricreazione al virtuoso.
Scrive Plutarco. « Lacones Comœdias, et Tragedias non audiebant; ut neco serio nec joco quicquam audirent repugnans legibus. Leges enim prohibent stupra, incestum et adulteria: prohibent dolos, iniurias, furta, ceteraque flagitia. At in fabulis talia Poeta Diis affingunt.
In Lacon. » Ma se i Gentili ebbero tal sentimento de’ giochi teatrali osceni, quale devono avere di loro i fedeli Cristiani? S. Tommaso, citato ancora dal Casani Appresso il Franc. Par. 3. del Giov. Chr., condanna gli Istrioni, che usano fatti, e detti osceni; benché ciò facciano per puro gioco, e per fine di dar piacere ad altri per cagione del gioco, il quale si ordina « ad solatium hominibus exhibendum
». E Clemente Alessandrino scrive. « Si dexerint pro ludo assumi Spectacula ad recreandos animos, dicemus, non sapere Civitates, quibus ludus prore seria habetur
Pedag. L. 3. c. 11. ». E Crisostomo avvisa. « Neque mihi opponas, quod quicquid, ibi sit imitatio sit iocorum, non veritas rerum: etenim simulatio ista plurimos adulteras facit, et multas domos subvertit; proptereaque maxime gemo, quod tam grande malum hoc malum esse non creditur: sed, quod est multo deterrimum, et favor, et clamor, et plausus adhibetur, et risus: propterea mille illi mortibus digni sunt: quoniam, quæ fugere cuncte imperant leges, ea isti non verentur imitari: si enim adulterium malum est, malum est sine dubio eius imitatio.
Ho. 6. in. 2. Matt. » Vuol dire in breve. Non vale per scusa l’opporre, che sono giochi; perché l’imitazione del male è parimenti male. Così dico io: se un invito alla fornicazione è male, male sarà ancora l’imitazione di lui, e la Rappresentazione fatta nella pubblica scena per dilettare con il
gioco del teatro. Né alcuno, usi per l’auditore il detto usato da Ausonio a difesa del lettore. « Cui hic ludus noster non placet, ne legerit, aut cum legerit, obliviscatur, aut non oblitus ignoscat
Prefat. Cent. » ; perché il gioco osceno Comico ancorché non fosse letto, né udito, né ricordato da altri, è cattivo in se stesso, e però non è tollerabile.
Nota unica {p. 10}
Si continua la risposta.
Il P. Cornelio a Lapide secondo il comun parere de’ dotti, e massimamente di Aristotile, S. Agostino, e S. Tommaso, insegna In c. 5. Ep. Ad Ephes. V. 4. nu. 178., che la virtù, da noi nomataXXIII Urbanità, e da’ Greci Eutrapelia, modera la troppa serietà, e il rigore dell’animo, « per jocos et ludos
», per mezzo delle burle, e de’ giochi. Ma tali giochi devono essere onesti, convenienti alla persona, luogo, e tempo; e non immoderati. Onde Aristotile all’Urbanità oppone per eccesso il vizio della Scurrilità, quando il gioco « est nimius vel intempestius, vel indecens, scilicet quia est ineptus, aut mordax, aut maledicus, aut spurcus, aut cachinnos et dissolutiones excitans
». Et aggiunge di più, che il gioco è « indecorus
», contro il decoro, e per conseguenza vizioso, quando per scherzi, e per baie si serve delle parole della Divina Scrittura: e questo è grandissimo, e gravissimo errore di buffoneria, e porta seco la irriverenza verso Iddio: onde il sacro ConcilioSess. 4. di Trento con gravissime parole lo proibisce.
Ora io noto quella prima condizione recata dal P. Cornelio intorno a’ giochi, che devono essere onesti, « sint honesti
». E quindi inserisco: dunque gli osceni non sono leciti, né permissibili; perché sono effetto del vizio, e non germogli della pianta della virtù. Onde non è tollerabile la Commedia oscena per ragione di essere un mero gioco; perché ella è un gioco brutto, e disonesto. E di questo gioco scrive D. Francesco In Paren. P. 31. Maria del Monaco. « Nefas ludi causa, qui ad animi remissionem conceditur, turpia advocare. Vide expresse D. T. ho. id asserentem. Ratio a priori est, quia turpibus, lascivisque non remittitur animus, sed illigatur, sed opprimitur, sed vulneratur, et sæpe occiditur: atque ut quidam ait, obsceni hi ludi civitatem vitiorum, ac turpitudinum servam faciunt, stuprum, adulterium, incestum, sacrilegiorum ancillam.
» Cioè. Non è lecito il gioco osceno per la ricreazione dell’animo; perché l’animo con le cose brutte, e lascive non resta ricreato, ma legato, {p. 11} ma oppresso, ma ferito, e spesse volte ancora ucciso. Questi giochi osceni fanno la Città serva de’ vizi, e schiava degli stupri, degli adulteri degli incesti, e de’ sacrilegi. E come dunque si possono permettere, massimamente per i Giovani? È pur vero, che gli stessi Giovani, e lo nota il Casano, e lo sanno i pratici, affermando di propria bocca, che non si va mai per ordinario alle Commedie appresso il Franc. Nel Giovane Christ. C. 15., che non si abbia intenzione di sentire qualche ragionamento lascivo, di vedere qualche oggetto libidinoso, di smoderatamente dilettarsi di qualche atto lussurioso: e che non se n’esca aggravato da molti, e da gravi peccati mortali. Queste Azioni dunque non sono tollerabili, né si devono chiamar giochi per gli uomini, ma, come ho detto giochi per i Diavoli; poiché da essi furono inventati, e principiati in onore
degli Idoli, per mezzo di persone rustiche, e villane; e per guadagnare all’Inferno, e rubare al Cielo grandissimo numero di anime Cristiane. E però io ricordo con Chrisotomo a’ Signori Superiori. « Teatralibus ludis eversis, iniquitatem evertetis; omnem pestem extinguetis.
hom. 38. in Mat. » Con levare gli osceni giochi Teatrali, leverete l’iniquità, e estinguerete tutta la peste. E la ragione è del medesimo S. Dottore; perché « quicquid illic geritur, non est oblectatio sed pernicies
ho. De David, et Saul. ». Ciò, che ivi gli Attori fanno giocando, e dilettando, è in sostanza una perniciosa oscenità, è una ricreazione infetta mortalmente; e un presto, e efficace destruggimento della cristiana virtù. Questa verità intendeva quel zelante Predicator Cappuccino, di cui scrive Zaccaria Bovezio. « Fr. Sebastianus Argyrensis conscionator Circulatres, ac Præstigiatores maxime oderat; ut pote qui popuols histrionicis ludis, ac falsis vanissimarum rerum spectris deludunt: atque adeo insectabatur, ut cum primum eos in plates mensam conscedisse audiret, mox eo festinis pergeret, ac sacra ibi verbi prædicatione instituta, scenicos eorum ludos exturbaret.
t. 2. Am. Capuc. An. Relig. 59. n. 17. pag. 57. » Questa verità parimente intendeva quel servoroso Predicatore S. Francesco Saverio della Compagnia di Gesù, di cui con titolo di Apostolo delleXXIV Indie ha rappresentata la vita in un’Opera bella, eloquente, ingegnosa, erudita, e distinta in 12. libri l’Abate {p. 12} D. Giacomo Ceretani Canonico Regolare Lateranense l. p. 38., e di cui, mentre dimorava in Italia, faticando a salute dell’Anime nella Città di Vicenza ha scritto: « Quegl’infami Mimi,che femminando per le pubbliche piazze la
contagiosa messa del vizio, corrompono i più lodevoli costumi, non ardivano più di infettar le piazze di Vicenza
» ; però che Francesco, occupando i loro palchi, e profondendo dalla bocca torrenti di divina facondiaXXV, screditava affatto le sozzure del vizio, che uscivano da quelle mal nate bocche, che altro per appunto non sono, se non infernali Cloache. Cura dovrebbe essere di tutti i Principi, Magistrati, e Governatori, che la moderna gioconditàXXVI de’ Cittadini fosse emula di quell’antica de’ fedeli a gloria di cui si legge. « Erat populos jucundus secundum faciem Sanctorum.
Iudith c. 16. l. 1. off. c. 23. » Era giocondo il popolo con festa e allegrezza propria de’ Santi. E tutti i Cittadini dovrebbero praticare l’avviso di S. Ambrogio « Non solum populus profusos sed omnes etiam iocos declinandos arbitror.
» Il virtuoso Cristiano santamente farebbe, fuggendo tutti i giochi mondani, e vani, poiché sono giochi bugiardi, e degni d’essere disprezzati, e fuggiti da ciascuno, come si fugge la peste. Et io dico a ciascuno con le parole di un Savio. « Fuge, fuge pestem: sperne mendaces iocos: risum propinant? perpetes fletus time.
» Dopo il dolce riso segue l’amaro pianto. Prego il Lettore a considerare, se di questi osceni giochi si può dire almeno in parte cio, che ’l Cancellier Gersone scrive de’ giochi degli stolti. « Asserere, aut sustinere: quod per longum usum, vel sub umbra iocorum, aut aliter, sit res permissibilis, aut appropriata fieri hujusmodi ludos stultorum cum istis ordinationibus, quibus fieri cernuntur in sancta Ecclesia, error est in fide nostra.
Par. 4. de ludo stultorum pa. 936. »
Punto secondo.
Se le immodeste Rappresentazioni si possono permettere, già che si permettono altre cose simili.
La somiglianza de vari morbi non spaventa il buon Medico dalla cura; anzi egli si sforza di sovvenire al bisogno di {p. 13} tutti con i suoi medicamenti. Si sente proclamare bene spesso da molti a difesa delle Teatrali oscenità in questa forma. E perché si permettono cose simili, o almeno equivalenti? E non sono simili, o equivalenti le carnevalesche dissoluzioni? E da loro come da pestilente morbo, non restano infette ogn’anno moltissime anime nelle Città, anche principalissime del Cristianesimo? Ma si risponde, che non mancano buoni Medici i quali, come snervano la forza della teatrale pestilenza, cosi felicemente si oppongano alla malignità del carnevalesco malore. Sebbene possiamo dire, che giustamente si permettono le ricreazioni del Carnevale, in quanto sono lecite, e si possono fate senza peccato: né i Superiori approvano le dissoluzioni peccaminose; anzi le castigano, come perniciose, e fanno invigilare diligentemente gli Ufficiali, acciocchéXXVII non seguano scandali con danno del pubblico, e virtuoso governo.
Il saggio, e glorioso Imperatore Carlo V. « in quadam pragmatica prohibuit, quod nemo personatus incederet, nec ignotus
» ; perché succedevano inconvenienti: come scrive Sanchiez To. 1. po. L. 1. c. 8. d. 35. n. 3. . E così proibire si devono le oscenità del Teatro; perché sono illecite, e da esse, come da fonte, scaturiscono torbidi riviXXVIII di lascivie, e di molti altri sconvenevoli, e brutti accidenti.
Aggiungo: le carnevalesche ricreazioni sono da molti luoghi quasi levate, o almeno in gran parte moderate; e se erano già per tutto il Cristianesimo « Bacchanalia, vel reliquia Bacchanaliorum
» ; ora si sono fatte, come nota un Savio Cornelio a Lapide., « Christianalia
» con molti esercizi di pietà, e particolarmente con quella santa invenzione di esporre con solennissima pompa, e con nobilissimo apparato il Santissimo Sacramento: la quale cominciò l’anno 1556 in Macerata, Città molto pia, e tra le principali della Marca d’Ancona, con occasione di alcuni Padri della Compagnia di Gesù, che con Apostolico zelo tentarono d’impedire il recitamento di una Commedia non in tutto santa. Narra il caso il virtuosissimo P. Niccolò Orlandini, nobile Fiorentino, con il tenor seguente.
« Principes juventutis (ut est Maceratensis juventus liberalbus {p. 14} studis apprime dedita) Comœdiam silentio comparant, non usquequaque sanctam, celebritate magna per geniales ante Quadragesimam dies habendam. Ubi fuere cuncta in promptu, vulgatur fama, et incenditur omnium expectatio. Tum Patrum quod; ad aures pervenires, qui cognito quid fabula esset, Diaboli lenocinia disturbare aggrediuntur. Cæterum Prætor ipse propter impensans in choragium factas, rem atebat progressam longius, quam ut reprehendi pietatis cum lucro posset. Hic Patres, ne Diabolus quasi victor triumphet, suum et ipsi spectaculum parant. Pulchre exornato loculo in eundem diem, quo danda erat fabula, quadraginta horarum supplicationem ad sanctissimum Christi Corpus palam propositum edicunt. Admirationem fecit omnibus rei novitas, et multorum animos religio pupugit. Itaque distracta urbs est, aliis ad templum, alis ad scenam currentibus: et quidem (uti decebat, quanquam non sæpe fit) plures, ac potiores habuit Christus.
» Seguita lo Storico a dire, che tante persone concorsero, non solo all’orazione, ma anche alla confessione, che quei nostri Padri dalla mattina sino a gran parte della notte quasi sempre furono occupati aXXIX udire la moltitudine de’ penitenti. E da quel tempo si cominciò a praticare altrove questa invenzione; e tutt’ora si continua in tanti luoghi, come tutti sanno, con grande accrescimento della divina gloria, e con notabile moderazione della carnevalesca ricreazione; la quale non deve paragonarsi alla teatrale oscenità, perché l’Azione oscena è illecita, in quanto oscena; ma la ricreazione di Carnevale non è illecita, in quanto ricreazione, e come tale si permette, e non come peccato, e dissoluzione.
Aggiungo: nel tempo di Carnevale moltissimi fedeli si accomodano al sentimento, e affetto di penitenza, che allora si professa da Santa Chiesa, e frequentano le mortificazioni, e i Sacramenti con maggiore spirito: che però in molte Città si fanno Comunioni generali, e i Predicatori ad alta voce, e con ardente zelo avvisano i popoli, che si guardino con diligente sollecitudine da’ moltiplicati, e pericolosi lacci, che Satanasso pone loro nel trattenimento carnevalesco, con fine di tirarli {p. 15} seco legati nell’eterno tormento. Conviene dunque nello stesso modo per la comune utilità, che i virtuosi Fedeli e i Cristiani Scrittori, e i zelanti Predicatori, scoprano i manifesti pericoli, a quali moltissimi corrono per cagione delle oscenità del banco, o della scena; acciocché siano conosciuti, e fuggiti da tutti e da tutti sia fuggita la dannazione. A morbi simili si deve applicare una simigliante medicina di spirito, e di dottrina con speranza di giovamento
Punto terzo.
Se l’uso antico basta per tollerare queste oscenità.
Mentre l’acqua di una graziosaXXX fonte scorre limpida e chiara, se ne può bere con utile, e con diletto: ma se per sinistro accidente s’intorbida con bruttezza, non se ne può usare con speranza di frutto, né con sapore di giovevole diletto. Dilettoso, e giovevole fonte si è il Teatro Cristiano, e moderato; quando le sue acque cristalline non ricevono torbidamento alcuno dalle oscenità; le quali non sono tollerabili per l’uso antico; perché la regola de’ nostri costumi non è l’opinione, né il costume del volgo, ma la legge di Cristo, il quale, come dice Tertulliano, « veritatem se, non consuetudinem nominavit
l. de vel. Virg. C. 1. » ; onde qui non vale il detto di S. Agostino. « Quando mos erat, crimen non erat.
l. 22. cont. Faust. C. 47. » Può essere, che quando tra’ Cristiani si cominciò a permettere l’Arte Comica per qualche tempo ad onesto sollazzo, fosse tanto modestamente esercitata, che l’uso di lei potesse chiamarsi tollerabile, e anche virtuoso: ma poi intorbidato, e macchiato con detti, e gesti osceni per colpa degli immodesti Comici, è diventato intollerabile, e vituperoso. « Crimen non est in rebus, sed in usu agentis
», dice S. Bernardo. E forse gli Istrioni, come nota il Casanide introd. Domo c. 50., usavano onestà nel principio, quando s’introdusse per poca parte dell’anno l’uso loro, e così era lecito allora. Ma ora, dico io, non è uso lecito; è vero abuso. « Non est usus, sed abusus ludi
», scrive Caietano. E chi non confesserà per vero, che « consuetudo est optima legis interpres. l. Si de interpretatione {p. 16} ff. de legibus
in 2. 2. q. 168. a. 4. ». Ma chi non confesserà parimente che la consuetudine deve essere ragionevole?
E così intendo l’Angelica, ove dice. La consuetudine può fare una cosa lecitaVerb. Fest. N. 21. l. 5. Instit. Mor. C. 1. q. 5. da una illecita. E ragionevole si è quella, che è senza peccato, secondo Azor, è irragionevole quella, la quale induce il peccato secondo la Glosa legale, che afferma, « consuetudo irrationabilis est inductiva peccati. tit. de lure naturali § sine scripto v. consensu
». E come la consuetudine del Duello non è permissibile, perché inviterebbe a’ peccati, « quia invitaret ad delista, et alia pleraque mala, dice Flavio Cherubino, et ideo præscriptibils non est teste Oldrad
in Comp. Bullarij p. 101. ». Così quella delle Commedie oscene, « quia invitant ad delicta
In cons. 192. n. 2. ho. 62. ». Et a quanti peccati invitano, e con quanti peccati si commettono le oscenità teatrali? con moltissimi. « In Teatro scrive S. Crisostomo, fastus Diabolicus, male cupiditatis inductio adulterii meditatio fornicationis gymnasium.
» Dunque l’uso, e consuetudine loro benché antichissima è affatto irragionevole, e intollerabile. Serve per acconcioXXXI a questa verità, oltre il molto scritto dagli Antichi Scolastici, quel poco, che ultimamente ha notato il P. Baldelli dicendo. « Ut consuetudo vim habeat, requiritur, ut sit ratinabilis: et ratinabilis tunc dicitur, quando habet iustam causam, et bonum finem; sicut haberet lex iudicio prudentis viri.
l. 5. d. 46. n. 11. » E questa giusta cagione, e questo buon fine non si trova nel caso delle Commedie oscene, almeno per quanto è necessario alla cristiana moderazione.
So che Angelo cita Ricardo, e dice, « secundum Juristas binus actus consuetudinem inducitVer. Hora n. 10. d. cit: n. 4.
» ; ma noto col medesimo Baldelli. « Certum est, quod consuetudo non potest vim habere contra legem divinam et naturalem. Cap. finali de consuetudine. Sicut enim ius divinum non potest tolli per legem humanam; ita neque per consuetudinem cum hæc non possit habere vim majorem, quam lex; jus vero naturale, cum sit solum deis, qua sunt per se bona, aut mala, est omnino immutabile; et ideo contra ipsum nihil potest consuetudo.
. » Aggiungo queste due parole di un modernoFranc. Labata v. Comœdia. « Contra mandatum Dei nulla traditio, nulla opinio nulla consuetudo, liceto totius vulgi sit, admitti {p. 17} debet nec potest
». E quelle di Reginaldo. « Consuetudo contra ius divinum nullam vim habet. ex capit. finali de consuetudine. quæ est expressa D. Thome sententia
Franc. Labata v. Comædia. In Prax. L. 13. nu. 251. » E quelle di Filliucci. « Contra legem naturalem, vel divinamo non habet locum consuetudo.
» E qui dico con la comune, che la legge Divina, e naturale obbliga tutti a non intervenire agliXXXII SpettacoliI. 2. q. 97. a. 3. ad I. tr. 21. c. 4. n. 140. et n. 428. di peccato, e concede il ricrearsi con onesto trattenimento. Dunque non ha valevole forza la consuetudine; o, per dir più vero, l’invecchiato abuso, e corruttelaXXXIII delle oscenità. Divinamente n’avvisa il Boccadoro. « Ubitantumho. 56. in Gen. animæ damnum, qua de causa mihi consuetudinem pratexere audes? Ecce et ego tibi consuetudinem meliorem obicio, quam veteres habuerunt; quando nondum tanta pietatis erat agnitio. Si bonum, et utile fuerit consilium, etiam si non sit consuetudo, fiat; sin damnosum, et perniciosum est, quod asserimus, etiamsi consuetudo sit reiciatur.
». Legga chi vuole il resto, io qui concludo con l’Ostiense. « Ubicunque consuetudine servata periclitaretur anima, non valet.
in sum. Tit. de condu. » E con Gio. Francesco Pico. « Consuetudo tandiu tolleranda, quandiu in vitia lapsus non fiat.
l. 2. Ep. » O uso, o abuso, che sia in queste oscene Rappresentazioni, si devono fuggire, per essere una mensa di dolci sì, ma velenose vivande alle misere anime di molti Cristiani: sono dolcezze omicide, e veleni inzuccherati.
Nota unica
Si continua questa materia.
Molto bene discorre per acconcio di questo punto Don Francesco Maria del Monaco, dicendo. «Aiunt, licere id, neque inhonestum quia tot seculis factum, receptum a populis; permissum a MagistratibusIn Paran. P. 29. ». Le correnti Commedie sono lecite, né sono disoneste; perché sono secondo quello, che si è fatto nello spazio di tanti secoli, che è stato ricevuto dai popoli, e che si è permesso dai Magistrati. « At permittuntur Lupanaria, eaque adire: ergo ea onesta? Ad onesta jubemur, hortamur: ad mala permittimur. Fateris permissa Spectacula? Fateris permissa Spectacula ? {p. 18}Fateris mala.
» Si permettono gli impuri postriboli, e che vi vadano i lascivi: dunque per questo sono luoghi di purità? Noi riceviamo il precetto, e l’esortazione per le cose buone, ma per le cattive la permissione. Voi confessate, si permettono gli Spettacoli? Dunque confessate, che sono cosa mala. « Fatta tot seculos? ita: verum in malis nulla præscriptio: mala adulteria periuria: et tamen plurima sub Sole. Repete seculorum myriades; et peierantes reperies, et adulteros.
» Cioè. Gli Spettacoli non si sono fatti già tanti anni? Sì: ma non si concede alcuna prescrizione ai mali. Gli adulteri e gli spergiuri sono cosa rea, e nondimeno ve ne sono stati sempre assaissimiXXXIV : numerate la moltitudine dei secoli andati, e troverete; persone infette col peccato dello spergiuro, e dell’adulterio. « Recepta a populis; imo erecta Theatra: sed corruperat quod universa caro viam suam Noemi diebus, communeque peccatum communibus aquis omnium naufragio exipiatum est minime condonatum.
» Cioè. Le Azioni teatrali furono ricevute dai popoli; anzi fabbricarono i Teatri per recitarle pomposamente: ma il Mondo era guasto, e contaminato, come al tempo di Noè, quando il peccato comune con le acque comuni del diluvio restò purgato, e non
perdonato nell’universale naufragio del genere umano. « Denique ut semel finiamo cur inquis perpetuo receptum, quod perpetuo a summis viris infectatum est? Has omnino fabulas, quas in Teatris saltant aut loquuntur nostri temporis Comici, has, inquam, prohibent, in has inuehuntur tot sacrarum Scripturarum, tot Summorum Pontificum et Conciliorum, et Legum, et Patrum, et Scholasticorum et Gentilium responsa, oracula, monita sanctiones; ut intime inspicienti perspicuum fit.
» Cioè. Finalmente, venendo alla conclusione, perché si dice, che sempre è stato ricevuto quello, che sempre è stato perseguitato da personaggi di sommo valore? Voglio dire queste favole teatrali, che i Comici del nostro tempo rappresentano; queste, dico, sono quelle, contro le quali si adducono tante scritture sacre, tanti Sommi Pontefici, tanti Concili, tante leggi, tanti Padri, tanti Scolastici, e tanti Savi della gentilità, come chiaramente conosce, {p. 19} chi mirar vuole, e penetrare intimamente la luce di questa verità.
L’Eminentissimo Cardinal Paleotto ci apre la strada di più breve risposta intorno a questo antico uso. « Novitas, aut antiquitas, dice, per se nihil agunt, aut ad vituperationem, aut ad laudem: cum praestantia, et dignitas non ab annorum numero, sed a ipsis rebus proficiscatur: qua si eo maijorem ab ipsa diuturnitate commendationem assiquuntur: sin autem mala, abusus illarum eo vituperandus magis est, quo diutunior et periculiosor fuit.
l. 2. de saec. et prop. Imag. C. 32. p. 281. » E altrove dice. « Res metiendas vi sua, et rationis norma astimandas, non abusu, aut conditione temporis, qua sola non potest in reliqua fidem facere, maxime si ratio adversetur. Illa enim vitia, quæ capitalia a summa turpitudine dicuntur cum Mundo cæperunt, neco tamen ob id minus reprehendenda sunt, sed eo magis vituperanda, quo antiquis culta a bonis damnata fuerunt. Hoc igitur in genere ipsa temporis diuturnitas nihil aliud, nisi huius viti penitus insitam, et vetustam luem probat, dignam quidem, quam omnes perpetuo exilio damnatam velint.
l. 2. c. 42. p. 327. » E io col senso delle parole di questo dotto, e gran Cardinale dico, che l’abuso delle Commedie oscene, quanto più antico si è, tanto maggiormente si deve abominare, e estirpare, per essere tanto dannoso.
Battista Fragoso avvisa per acconcio di questo l’obbligo del Principe dicendo. « Princeps secularis tenetur omnino a suo regno exterminare consuetudines subditorum, quæ inducunt ad mortale; si id sine graviori malo, et Repubblica incommodo possit; aliter peccabit graviter, quasi consentiens peccatis illorum.
de Regim. Reip. P. 1. l. 1. d. 2. §. » Cioè. Il Principe secolare è obbligato ad esterminar dal suo Regno4. n. 172. le consuetudini, che inducono a commettere il peccato mortale se ciò egli può fare senza grave scomodo: altrimenti peccherà di grave colpa, quasi, che presti il consenso al peccato altrui. Così tiene Ricardo, Soto, Navarro, e altri; e la ragione lo prova. « Quia Princeps tenetur populum suum ita gubernare et dirigere, et ne deviet ab observando, quod Deus præcipit.
» Perché il Principe è tenuto a governare il popolo suo, e {p. 20} di dirizzarlo in modo, che non travii dall’osservanza de’ Divini precettin. 176.. E aggiunge questo Autore contro ogni consuetudine perniciosa alla coscienza, ancorché sia immemorabile. « Nulla consuetudo perniciosa conscientia erit permittenda a Principe seculari. Quin addo, quamvis sit immemorialis, non valere, si præbet occasionem delinquendi. Auth. Ut nulli iudicum §. 1.
» Ma il tutto intende, quando la permissione non si stinge « ad evitanda majora mala
», per evitare mali maggiori: il che non avviene nella consuetudine scandalosa delle Commedie; perché non si permette a fine di schivare più grave male; poiché o tal male non si schiva, ovvero si può schivare con altro mezzo, che con l’uso permesso delle Comiche oscenità.
Rimane dunque a noi la risoluzione di praticare l’avviso di Agostino. « Solet recta opinio pravam corrigere consuetudinem
de doctr. Christ. », la buona opinione suol correggere l’uso cattivo. Ovvero il detto d’Isodoro. « Consuetudo authoritati cedat; pravum usum lex et ratio, vincat.
» La consuetudine ceda all’autorità; e l’uso cattivo resti vinto dalla legge, e dalla ragione. Ovvero la sentenza di Cipriano. « Consuetudo sine veritate vetustas erronis est: propter quod relicto errore sequamur veritatem
». La consuetudine senza verità di bene è un vecchio errore: e però noi lasciamolo, e seguitiamo la verità. Cerchiamo, come dico, non solo la numerosa schiera de’ Padri, ma anche Seneca il morale; cerchiamo, dico, l’ottimo, non l’usato; cerchiamo quello, che ci renda felici, non quello, che dall’ignorante volgo è approvato. « Queramus, quod optime factum sit; non quod visitatissimum: et quod nos in possesione felicitatis constituat: non quod vulgo, pessimo veritatis interpreti, probatum sit.
Senec. C. 2. de beat. vit. » Onde se alcuno usasse le parole dei Barbieri dicendo. L’uso ha fatta la legge alle Commedie, e pare, che si stabiliscano su l’eternità de’ tempi: però il far contro ad esse è un voler disseccar un fiume col fango, con la polveXXXV ; poiché tal materia ancorché intorbidi l’acqua, non però giammai la disecca. Io risponderei, che quel Comico non professa difender l’uso delle Commedie oscene, ma delle modeste: e io professo oppugnar solo le oscene, acciocché si rimedi, da chi può a’ gravi danni, che nati {p. 21} dalle oscenità infettano il Cristianesimo; e desidero non intorbidare l’onde cristalline, né annegrire il liquido argento dell’onesto, e dilettoso fonte teatrale; ma rimuoverne il nero, e puzzolente fango del peccato, che lo rende
contaminato, ammorbato, e degnissimo di essere da’ puri, e casti Spettatori abominato. L’Alicorno leva la velenosa qualità dell’onda infetta; onde ella pio cagiona, a chi la beve, diletto, e giovamento.
Punto quarto.
Se la divina Scrittura condanni le Teatrali oscenità.
Per conoscere la bruttezza del vizio, basta il lume della ragione: questa è fiaccola sufficiente per scoprire la mostruosa apparenza di quel viso deforme, e contraffatto. Non occorre dunque per condannar le oscenità del Teatro, ricorrere alle divine Scritture, basta il ragionevole intendimento di uomo, per vedere chiaramente, che si deve abominare dal virtuoso ciò, che egli vede, ovvero ondeXXXVI viziosamente infetto di oscena bruttezza, e iniquità. Nondimeno per rispondere direttamente al Punto, possiamo dire fondatamente co’ Dottori che anche dalla sacra autorità scritturale sono censurate, e riprovate le vanità degli Spettacoli impuri, e osceni. S. Cipr. avvisa « Scriptura omnia Spectaculorum genera damnavit, quando Idolatram sustulit ludorum omnium matrem, unde hæc vanitatis, et levitatis monstra venerunt.
de spect. » S. AmbrogioIn Ps. 118. spiega, come scrittura condannatoria delle sceniche vanità, il passo del Salmo 118. 37. « Averte oculos meos, ne videant vanitatem.
» E quell’altro del Salmo 39. 5. « Beatus vir, qui non respexit in vanitates et insanias falsas.
» S. Girolamo spiega quello di Ezech. « Unus quisque offensiones oculorum suorum abiciat.
c. 20. 7. » E dice. « A spectaculis removeamus oculos, et ab omnibus, qua anima contaminant puritatem, et per sensus ingrediuntur ad mentem.
» S. Agostino spiega quello. « Concupiscentia oculorum. 1. 10. 2. 15
.l. 3. de Symb. C. 1. » e dice, che a lei appartiene « nugacitas Spectaculorum
». S. Crisostomo usa in prova di questo le parole {p. 22} di S. Paolo. « Fornicatio, et omnis immunditia, nec nominetur in vobis, sicut decet Sanctos: aut turpitudo, aut
stultiloquium, aut scurrilitas.
Ephes. 5. 3. » E nell’ho. 38. usa quell’altre parole. « Gaudete in Domino semper.
Math. Philip. 4. 4. » Quasi, che il rallegrarsi negli spettacoli sia un rallegrarsi nel Diavolo, e non in Dio. II medesimo Crisostomo a parere di D. Francesco Maria del Monaco, vuole, che la proibizione si contenga nel 6. precetto. « Non concupisces
», poiché dice, che le disonestà teatrali fanno adulteri gli Spettatori. Tertulliano ancora si servì anticamente, e noi ora ce ne possiamo servire, del primo Salmo di David. « Beatus vir, qui non abit in consilio impiorum, et in via peccatorum non stetit, et in cathedra pestilentia non sedit.
ho. De David, et Saul. » Ecco le parole di Tertulliano. « Nusquam invenimus, quem ad modum aperte positum est. Non occides. Non idolum coles. Non adulterium: non fraudem admittes: ita exacte definitum. Non in circum ibis; non in Theatrum, agonem, munus non spectabis. Sed invenimus ad hanc quoc, speciem pertinere illam primam vocem David. Felix qui non abit in concilio impiorum.
» Il medesimo Tertulliano ricorda, che nel battesimo si rinuncia alla pompa del Diavolo e per nome di pompa intende anche la Teatrale oscenità. Tra i moderni Scrittori non manca, chi altre Scritture interpreta contro le oscene Azioni. Mazarino nel Rag. 11. adduce contro le Commedie impure il luogo di Tob. al c. 3. 17. « Nunquam cum ludentibus miscui me
» ; e quello di Gerem. c. 15.17. « Non sedi in concilio ludentium.
» Giovanni Buseo nella Somma degli Antidoti spirituali al tit. Spectacula illicita 1. remed. scrive. « Quamus expresse in divinis litteris nihil sit de spectaculis; ea tamen Spiritus Sancti oracula pugnant cum spectaculis illeciti, quibus impi hominum cætus, vanitates huius
Mundi scurrilitate, et fedæ voluptates passim improbantur, et damnantur: et quibus prædicatur felices, qui abis abstinuerint.
» D. Francesco Maria del Monaco nel principio della sua Parenesi pone il luogo di S. Paolo 2. Timoth. 4. come contrario alle Commedie correnti. « Erito tempus, cum sanam doctrinam non sustinebunt: sed ad sua desideria coacervabunt sibi magistos prurientes auribus {p. 23} et a veritate quidem auditum avertent: ad fabulas autem, convertentur. Tu vero vigila: in omnibus labora: opus fac Evangelistæ: ministerium tuum impie.
» Aggiunge poi questo Teologo nel §. Clasiss. Prima, alcune Scritture prese dal cap. 9. dell’Ecclesiastico, dal cap. 7. dell’Ecclesiaste, dal 14. di S. Mat. e dal 6. di S. Marco, e per ultimo dal cap. 16. di Giudit. Quali scritture tutte sono particolarmente contrarie alle Donne poco modeste, e tali sono le Comiche del nostro tempo.
A dunque è certo, che la Divina Scrittura con moltiplicate sentenze condannatorie, come con moltiplicati colpi tronca, e recide i capi di questa oscena, e infernale Hidra: e per tanto si accheti l’umano ardire, ove fa forza l’Oracolo divino.
Punto quinto.
Se qualche impurità non deroga alla Sacra Scrittura; perché deroga all'AttioniXXXVII del Teatro
I Sublimi, e altissimi segreti, dipendenti da principi superiori al nostro umano intendimento, devono da noi riverirsi con umile ammirazione, e non stimarsi manchevoli per difetto di verunaXXXVIII osservazione. È vero, che nella sacra Scrittura si narrano gli amori della Cantica; e si riferiscono alcune cose, che in un tratto appariscono oscene: ma noi saggiamente le ammiriamo, e santamente le riveriamo; perché ci consta per fede, che sono scritte per impero del sapientissimo Sig. Iddio, e con lo Spirito Santo; benché non sappiamo precisamente la ragione: onde a noi lecito non è il condannarle; perché sarebbe un voler condannare le cose di Dio: che è una troppo ardimentosa impietà, e empia sfacciataggine. Ma le impure bruttezze del Teatro ogn’uno sa, che sono scritte non col dito di Dio, né con inspirazione divina, ma con umano spirito, o di vanissimo plauso, o di vilissimo lucro; per non dire con impurissima suggestione di Satanasso, il quale poi fa colorire il tutto con una falsa apparenza di utilissimo diletto.
Dico inoltre, che molte cose nella sacra Scrittura sono narrate senza scandalo de’ Fedeli, le quali senza esso non si potrebbero {p. 24} rappresentare nella presenza di numeroso popolo spettatore: come sarebbe la comparsa di un Adamo, e Eva quasi ignudi; poiché anche il Comico Barbieri concede, che ora non è lecito far comparire in scena donne con parte della vita denudata. E questo è sentimento comune di ogni animo ben regolato dalla virtù Cristiana: onde mi ricordo, che recitandosi una volta un’Azione da persone, non mercenarie, ma onoratissime, comparve un Giovane vestito di certa teletta colorita a modo di viva carne si bene, che egli in realtà era vestito, ma pareva ignudo a chi non lo mirava con molta accuratezza: quindi seguì, che un principal Signore, e molto virtuoso, non s’accorgendo forse del tiro, si parti scandalizzato, e chiaramente biasimò, che in luogo tale si facessero tali oscenità. Né mancarono altri savi, e virtuosi, che furono dello stesso parere. Dunque non vale l’argomento preso dalla narrazione scritturale alla Rappresentazione Teatrale.
Dico ancora, che molte cose della Cantica s’intendono in senso spirituale dai Dottori. E in altri luoghi della Scrittura il narrato con apparenza illecita alle volte è figura, ovvero profezia, secondo S. Agostino, come l’incerto di Lot, di cui dice il Santo, « illud factum, cum in sancta Scriptura narratur, prophetia est
l. 22. contra Faustum c. 43. ».
Concludo la risposta a questo Punto con la riflessione, che mecoXXXIX ragionando fece un Dotto, dicendo. « Qualche oscenità narrata non deroga alla sacra Scrittura per degnissimi rispetti; e però non si permette il leggerla trasferita nell’Idioma Italiano
» ; acciocché le persone semplici non errino leggendo alcune cose, che hanno qualche apparenza d’imperfezione: ad un stomaco di debole calore non reca giovamento il cibo molto difficile per digerirsi; né un pigmeo può lanciare un palo di ferro, che è graveXL ad un robusto Gigante.
Punto sesto. {p. 25}
Se le oscenità già che permettono nelle sacre Azioni, si possano permettere ancora nelle profane.
Non voglio rispondere, apportando una ragione d’Economia, e d’interesse ai Comici, della quale si serve il Comico Beltrame a provare, che dalla scena si devono allontanare le laidezzeXLI delle brutte parole, e delle altre oscenità. Chi usa, dice egli, voci laidecap. 48. in Commedia, non ha Economia, né per se, né per altri, atteso che mai niunoXLII rimarrà di andar alla Commedia, perché si parla troppo onesto; ma ben, molti non vi andranno per le parole inoneste, o per i mali usati gesti; a tal che il recitar onesto è dovuto per lo giusto, per lo civile, e per la ragione di stato Commediantesco. Lascio il resto, che aggiunge questo Comico, e rispondendo al Dubbio dico, che il modo, per giudizio comune, ha gran forza, nelle cose per restringerle tra i confini di una lecita moderazione: l’uomo non riceve nocumento, ma giovamento dal cibo, anche di natura velenoso, quando prima vien preparato con il modo buono, e con la debita correzione. Le oscenità sono di loro natura velenose, è vero ; ma dai modesti, e virtuosi Attori sono con tal modo corrette, e temperate nelle sacre Azioni, che per ordinario non risulta spirituale nocumento agli Spettatori; ove nelle profane, recitate dai moderni, e mercenari Commedianti osceni, le oscenità si propongono senza il modo necessario alla Cristiana moderazione; e però si sperimentano molto perniciose.
Ma domanderà unoXLIII. E quale deve esser questo modo ? Rispondo con un giudizioso, e erudito Moderno, il quale avvisa, che chi narra cose poco modeste, usi poche parole, e tali, che ritirino gli animi delle oscenità; e si persuada, che meglio è il riferire l’impurità, che il rappresentarle: e non lasci d’aggiungereP. Fam. Stradal. 1. Prelus. 4. pag. 141. alle cose indegne qualche giusta censura. Questi avvisi ben praticati formano un modo buono di proporre senza nocumento le impurità. Buono è anche quello, che accenna Sanchiez quando si usa cautela tale, che cessa il pericolo di peccare {p. 26}. « Ita mutata sint res, aut ea cautio adhibeatur, ut cesset periculum.
s. 1. in Decal. C. 8. n. 2. » Dichiaro con questo caso. Io m’immagino di trovarmi, come infatti mi trovai una volta alla solennissima, e non mai abbastanza celebrata Festa di S. Agata, nella Clarissima Catania, Città tra le principali del fiorito Regno di Sicilia, e Città divotissima di quella gloriosa Eroina. M’immagino di vedere, che da nobilissimi, e virtuosi Attori si rappresenta in pubblico Teatro l’Azione intitolata, Agata Vittoriosa, veggo, che da essi non si fa sentire a parlare in scena il lascivo Quintiano con ardente amore del suo brutto e focoso desiderio: né meno da essi è indotta a pubblica vista la scellerata vecchia Anfrodisia, che con un interessato, e brutto negozio tenti, e inviti la castissima donzella a contentare il disonesto Amante: ma il tutto, per essere osceno, o vien significato con brevissima relazione d’altri, o pure vien supposto fatto altrove fuori della scena, e lungi da gli occhi, e dall’orecchie degli Spettatori. Ora non credo, che con questo modo tanto corretto, e moderato procederebbero gli osceni Comici del nostro tempo; imperocheXLIV si vede, che sdrucciolano molte volte in molte oscenità, quando rappresentano anche le Azioni di argomento spirituale, come il Figliol Prodigo, la Conversione di una Peccatrice, e altre di simil fatta: nelle quali non si devono usare parole impudiche, e oscene, né gesti brutti, e disonesti: anzi né meno con parole pudiche si devono spiegare intenzioni, e cose impudiche: onde con ragione Agostinol. 2. de Civit. C. 8. condanna quelle Commedie Romane, le quali erano composte, « rerum turpitudine sed nulla verborum obscenitate
», col manto di parole pure coprivano l’impura sostanza delle cose. Dice acutamente, e brevemente Girolamo Fiorentino. « Venus onesto libitu est Venus: adulteria non fiunt licita
», perché si trattano con onestissime parole. E io dico, che non è nuovo inzuccherare il veleno, e coprire una illecitissima disonestà col grazioso vello di moderato, e pudico parlare. Ma non lasciamo altre risposte al Dubbio, e diciamo, che nelle Azioni sacre non è per ordinario probabile pericolo di scandalo; perché gli Spettatori hanno abominazione contro quelle viziose persone {p. 27} introdotte, e hanno devozione verso le sante persone rappresentate: ove nelle Azioni profane, e oscene succede il contrario; perché all’udire un Giovane innamorato, e parlante d’amore in scena, lo Spettatore si muove al desiderio d’imitazione: al vedere una Comica, e udirla, si eccita, non a venerarla, come Santa; ma desiderarla, come compagna d’impudico Amore.
Aggiungo: i mercenari Comici, Attori di profane Azioni, sono per lo più di vita infame, e scandalosa, e fanno quell’Arte per guadagno con mille sorti di allettamento al peccare, almeno col pensiero: e però hanno bisogno di una buona, e ben regolata moderazione dei Superiori. Ma gli Attori di cose sacre sogliono essere o Gentiluomini, o Cittadini, o popolari onorati di buona vita, e senza interesse di lucro teatrale; onde non vi è tanto sospetto, che frappongano le oscenità nelle loro Rappresentazioni; nondimeno se ve le frapponessero, meriterebbero senza dubbio la censura, e la correzione. E forse per lo pericolo d’introdurvi cose non decenti al sacro decoro, nel Sinodo Provinciale Fiorentino fatto l’anno 1573. con la presenza dell’Arcivescovo D. Antonio Altovito si dice nella Rubrica v. c. iii. che si proibiscono « Representationes Dominica passionis, et historiarum, et gestorum Sanctorum
», le Rappresentazioni della Passione del Signore, e delle storie, e dei fatti dei Santi: e ne reca la ragione seguente. « Multa in istis Actinibus contra Sanctorum Patrum, et antiquam Ecclesia consuetudinem introducta sunt.
»
Noto di più, che nelle Azioni sacre, fatte da persone onorate, e non mercenarie, non si vede il pericoloso, scandaloso, e abominevole miscuglio di uomini, e vere donne recitanti: ma al più si fanno comparire Giovanetti vestiti da donna, e conosciuti da tutti per maschi; né io condanno quelli, che usano la comparsa di tali Giovanetti; solo ricordo, che ella porta seco qualche pericolo, e lodo sommamente quelli, che affatto se n’astengono; o facendo, che delle donne si facci solamente menzione in scena, o usando altro modo convenevole, e accennato da me altrove. Ora passiamo ad altro concludendo {p. 28}, che il sacro Recitamento moderato non autentica la profana, e smoderata liberta della mercenaria Rappresentazione.
Punto settimo.
Se la poca materia oscena renda tollerabili le Azioni oscene.
Un piccolissimo neo non toglie la grazia di un viso modesto, pudico, e grazioso: né una piccolissima spina deroga punto alle porpore, e agli ostri di un ben coltivato cespuglio di belle rose. E come dunque potrà mai essere, che una teatrale Rappresentazione, per altro onestissima, resti occhiata di oscenità, e meriti il vituperoso titolo di oscena; perché si fanno in lei pochissimi gesti, o si dicono pochissime parole d’impurità? Non si concede in questa lubrica, oscena, e lasciva materia il « levitas materia
», come in tante altre? Io rispondo, che alcuni concedono « in venereis levitatem materia excusantem a mortali
» : ma tengo, che quell’opinione sia « in praxi omnino falsa, maxime periculosa, ac puritati valde contraria
». Non solo per conformarmi al decreto del P. Claudio Acquavivapar. 5. tr. 5. res. 5. pag. 119. Generale della Compagnia di Gesù, e riferito nei libri di alcuni Teologi, e anche dal P. Diana tra le sue Risoluzioni: ma di più per stimare verissima l’opinione contraria, la quale ultimamente è stata confirmata con gagliardissime ragioni dal P. Baldellito. 1. l. 3. disp. 14. n. 3., il quale anche nota, che Clemente VIII nell’officio della santa Inquisizione condannò la prima sentenza, che afferma darsi leggerezza di materia nelle cose Lascive, la quale scusi da peccato mortale. Onde il P. Diana conclude, che a suo parere sostenere non si debba, né in pratica, né speculativamente. « Unde puto, illam neque speculative, neque in praxi sustinendam esse.
»Resol. Cit. Né alcuno mi opponga ciò, che scrisse Sanchiez nella sua grande, e stimatissima opera dei Matrimonio; perché egli prudentissimamente si ritrattò, tuttoche prevenuto dalla morte non pubblicasse con la stampa la sua Retrattazionel. 9. de matr. D.
46. n. 10., pubblicata poi dal P. Baldelli con queste parole. « Imo, et Sanchiez in quodam manuscripto, quem morte præventus non potuit {p. 29} edere dicitur retractasse priorem sententim; quod in delectationibus venereis posset dari parvitas materiæ: et absolute docuisse oppositum, tanquam conformius veritati, et motui proprio Clementis VIII. quod simile quid severe damnavit Roma in officio sancta Inquisitionis.
» Aggiungo: se i toccamentiXLV sono « omnino turpes
», anche fatti per gioco « causa vanitatis, vel levitatis absque delectatione venerea, et repressa, si consurgat
», sono mortali secondo il Sanchez. E se tali ne faccino i modernide matr. L. 9. d. 46. n. 11. Commedianti, e Ciarlatani, lo possono dire con verità i loro Spettatori. E lo possono anche confessare i Comici; come lo confessò uno candidamente, pochi anni sono, dicendo. Molte volte in quelli scherzi, e giochi della scena io applico l’animo, e acconsento all’impudico pensiero di quella Femmina, con la quale recito in Commedia, e le tocco le mani, o il viso, come per burla.
» I tatti poi leggieri, come stringere la mano ad una donna, premerle il piede, e simili, fatti per diletto disonesto « ad captandam delectationem veneream
», sono mortali per sentenza di Caietano appresso Sanchezn. 17..
Ma rispondendo al Dubbio direttamente dico, che qui si deve considerare, « non quantitas molis sed virtutis
», e mi servo della similitudine della pillola, di cui scrive Cesario. « Quantum ad massam multum modica est pillula, sed quantum ad efficaciam virtus illius est maxima, omnes corporis venas percurrit, humores soluit, et eicit.
l. c. 21. » Così dico io, che una, o due oscenità mortali non sono, in quanto all’efficacia, un piccolissimo neo, ovvero una sottilissima, e debolissima punta di spina da non stimarsi molto; ma sono un pestifero, e micidiale cibo dell’anima; onde come in un banchetto basta un solo piatto velenoso, per nomarlo mortifero, e abominevole: e una sola eresia per far un libro degno di proibizione; così bastano poche oscenità mortali, per rendere illecite le teatrali ricreazioni. Aristotile riferisce, che Euripide fu chiamato in giudizio capitale per rispetto di un solo verso posto in una sua favola teatrale; e fu questo. « Iurata lingua est, animus iniuratus est
in Hippol apud Fam. L. 1. Prol. 3. p. 102. ». Non vaglino in questo caso quei detti tanto volgati. « Parum pro nihilo reputatur. Res levis. Non res notabilis
» ; perchè {p. 30} non si considera, se le parole, o azioni siano poche, o molte ma se siano atte a cagionare poco, o molto danno all’anima Cassuno : altrimenti, come dice un dotto, e saputo da tutti i dotti, l’atto interno di desiderio deliberato, e volontario, quando è breve e momentaneo in materia notabile contro la carità di Dio, o del prossimo, non sarebbe peccato mortale: il che è contro ogni buona Teologia. Concludo adunque ricordando, che il cuore umano è principio delicato di vita: basta a puntura di sottilissima spina, per far, che esali lo spirito vitale, e divenga prigioniero infelice della morte. Chi legge, molto bene
intende il mio senso, né vi è bisogno di altra applicazione. Solo ricordo, che le mercenarie Commedie d’oggi dì per ordinario non sono macchiate leggermente con oscenità, ma riescono tanto immodeste, che in esse avverasi ciò, che Tertulliano scrisse degli Spettacoli. « Quorum summa gratia de spurcitia plurimum concinnata est.
c. 7.
Punto ottavo.
Del male, che possono fare le immodeste Azioni.
Piccolo si è il nocumento, che possono arrecare le Commedie poco modeste; e noi non dobbiamo stimare altissime montagne le minute arene; né ci diamo a credere d’incontrare smisurati Elefanti, ove saltano solo debolissimi grilletti. Il male, che cagionar si può dalle teatrali oscenità nel nostro tempo, non è un Monte Pelio, non è un altro Olimpo, né meno è male smisurato, e molto grande a modo di orribile, e spaventoso mostro: ma in realtà è cosa piccola, di poco rilievo, e di poco nocumento: onde pare, che si possa dire. Ora l’Azione, e la Commedia oscena è un passatempo, che può passare; è tollerabile, né fa di mestieri gridar ad alta voce: all’arme, all’arme. Discorre, e scherza; ma scherzando si spiega con accortezza per acconcio di questo, il Comico Barbieri nel c. 49. della sua Supplica, dicendo.
« Poiché io mi trovo imbracciato lo scudo per la difesa dell’onesta {p. 31} Commedia; vediamo ancora per scherzo di far una girata sopra della rea, e proponiamo, che la Commedia fosse recitata con ogni rilassazioneXLVI, anzi con ogni libertà e vediamo un poco, che male può mai fare un Comico, recitando in questi nostri tempi, ne’ quali sopra di noi sta oculata la giustizia spirituale, e temporale; e che si recita ai Cristiani, e non ai Gentili, che male può egli mai fare? Forse, che ti porrà Massime in capo da turbarti la mente, o che ti confonderà la coscienza? II Comico non naviga per tal mare, e non s’ingolfa tant’oltre. Forse ti glosseràXLVII Testi da porre i Regni, e le Provincie sottopra? Il Comico non pesca tanto a fondo, o forse, che ti leverà le facoltà, o che le torcerà da’ legittimi eredi a forza d’argomenti? La rete del Comico non è fabbricata per tale affare; è rete da pescar solamente quattro pesciolini da poter vivere. Quanto male possa fare un mal Comico recitando, farà col suo dire osceno, o con i suoi gesti lascivi commuovere un inesperto Giovane a libidinosi, e impudichi pensieri; cosa in vero mal fatta, e da noi in comune detestata. Ma ti lascia però Cristiano, né ti pone lite in capo, e non ti leva le facoltà: e poi poni cura, che la Commedia non ti lascia con questo incentivo, che avanti che finisca, ti fa mutare il lascivo, o infame avviluppamento in lodevole matrimonio.
»
Io non voglio aggiungere qui altro di quello, che segue a dire ivi quel Comico più lungamente; perché basta ponderare il detto, e darvi la risposta; acciocché s’intenda, che il resto, che non è di maggior forza, non prova essere poco il male, che, a guisa di velenosa erbaccia, germoglia nell’orticello, o pure orticaio della teatrale oscenità: ove i Comici tristi, dirò le parole di S. Gregoriot. 1. par. 3. Past. Admo. 24.. « In uno malo innumera peragunt.
» Ma ora facciano queste tre Note sul detto dei Barbieri. {p. 32}
Dice quel Comico d’avere imbracciato lo scudo per la difesa della modesta Commedia: e merita lode in risguardo di tal difesa; ma io non vorrei, che egli avesse imbracciato il medesimo scudo per difendere anche la immodesta: e pure la difende, difendendo con moltiplicate guise, e con raddoppiati argomenti la Comparsa delle vere donne, Comiche ordinarie, e parlanti d’amore lascivamente in presenza di molti deboli di virtù, e de’ quali almeno alcuni sono da loro conosciuti. E ammette, come lecita la introduzione di un pubblico trattato disonesto, lascivo, e scandaloso. Cose, che sono contro la Dottrina de’ Santi Dottori, e degli Scolastici, anche da lui citati. Chi professa ragionare, o scrivere a rigore di scuola, e secondo le circostanze necessarie alla Cristiana moderazione prescritta da S. Tommaso, e da’ Dottori, non deve supporre per vero, e accettato comunemente quello, che è privo di verità; e come tale è riprovato comunemente. Una falsa supposizione serve di porta per entrare nel giardino di molt’inganni, e di gravi errori.
Nota seconda
Il Barbieri per scherzo si raggira, numerando vari mali, e, mostrando, che cagionati non sono dal Comico nella Commedia anche rilassata. Ma noi vediamo un poco, se così avvenga, o pure succeda il contrario nella pratica giornaleXLVIII. Io dico, che il primo male si è, porre in capo Massime di nocumento grave; e che il naviglio del Comico si spalma per navigar in questo mare; e vi si spinge, e vi si fa ingolfare in modo tanto pericoloso, che chi segue la traccia, o il fanale del suo cammino, dà prestamente nelle secche, o negli scogli di molti, e gravi peccati. Non sono Massime turbatrici della mente, e confonditrici della coscienza queste? Volere porsi in una scuola, ove, come scrive Girolamo Fiorentino nella Commedioc. s’insegnano per via di rappresentazione tanti mali, quali {p. 33} sono, « Clandestina matrimonia, Virgines decept a Lenonibus, vel Amasis, Adulteria, latrocinia ab Adolescentibus facta Patribus, exemplar solicitandi mulierem, et insidiandi aliena onestati
», e cose altre tanto indegne, che possiamo dire con San Bernard. « Velato semper nomine appellanda
». Non volersi curare di fuggire una prossima occasione, e un manifesto pericolo di rovina spirituale. Stimare, che si possa senza pericolo o pure senza rimorso di coscienza fomentare in stato di dannazione i mercenari Comici, pubblici, e infami peccatori. Queste, e altre massime di simil fatta, non sono massime ree, e perniciose? Sì per certo. E d’onde vengono cagionate, o almeno confirmate in capo, se non dal Comico nelle Commedie rimirate?
Il secondo male è questo. Porre sossopraXLIX i Regni, e le Province. Io dico, che non con Glosse testuali, ma con bruttezze Teatrali, il Comico di rilassata Azione pesca in questo fondo, e tanto in fondo, che egli misero si sprofonda nel reato di pena infernale, traendo seco molte anime al grano periglio dell’eterna dannazione. E se non pone sossopra i Regni, e le Province, almeno gravemente nuoce alla pace delle famiglie, alla tranquillità de’ virtuosi, e zelanti, e alla comune quiete de’ Cittadini: come spiegherò distintamente altrove, e mostrerò anche, che si pongono sottopra, e si rovinano le Province, e i Regni per cagione delle teatrali rilassazioni.
Il terzo male è questo. Levare le facoltà; e ricordo, che Crisostomo scrisse ottimamente per l’abuso del suo tempo; ma vale anche a proporzione per l’eccesso del nostro. « Multi consumunt pecunias.
ho. 38. in Mat. » Molti per rispetto delle Comiche Azioni rilassate spendono il loro danaro. E la rete del Comico non si getta per allacciar, e pescar solo quattro pesciolini, da potere mantenersi in vita secondo il grado di povero galantuomo; ma si stende in mare, e si slarga molto bene, e con molto artificio a fine di fare una tratta buona, e abbondante, come è necessario al Comico, che vuole nell’osteria, o nella Camera, locanda, mangiar bene, e bere meglio, e anche tal’ora, banchettar con la sua brigata oltre al vestire sempre in modo e fare {p. 34} i viaggi con tale comodità, che chi non conoscesse la sua Compagna, la stimerebbe una comitiva di persone molto onorate, e facoltose: insomma lo stomaco di gran calore è bisognoso di molto cibo, né si contenta di quattro pesciolini, né di quattro uccelletti di poco prezzo.
Nota terza.
Il Barbieri continua la numerazione di altri mali, e poi ingenuamente concede, che sono cagionati dal Comico: non dimeno aggiunge, che sono anche rimediati con qualche correttivo. Ma noi ponderiamo i detti mali, e i correttivi loro. I mali sono questi. Col dire osceno o con gesti lascivi commuovere un inesperto Giovane a libidinosi pensieri; contro quali mali dice bene, ma poco il medesimo Barbieri, dicendo che sono cosa mal fatta, e in comune detestata. Egli poteva aggiungere, che il Comico rilassato, oltre ai commuovere, fa acconsentire, non solo un Giovane, ma molti Giovani, e molti Vecchi di poco spirito, a molti, e gravi peccati; perché questo è detto comune de’ pratici, e de’ Dottori. Onde io inferisco: adunque l’oscenità del dire, e la lascivia del gestire, quale si è un discorso amoroso, un trattato brutto rappresentato, e turpitudini di simil fatta, devono sbandeggiarsi dalla modesta scena per sentenza de’ pratici, de’ Dottori, e dello stesso Barbieri: il quale aggiunge per correttivo, che il Comico reo lascia Cristiano il Giovane commosso; e che la Commedia non lo lascia con quell’incentivo libidinoso; perché avanti, che finisca muta il lascivo o tristo avviluppamento in lodevole matrimonio. Ma io rispondo, che tal correttivo non basta; perché non « sunt facienda mala, etiam a fine, ut eveniant bona
». E non si purgherebbe abbastanza appresso un Gentiluomo quel Ciarlatano, che gli dicesse. Signore datevi una, o più ferite mortali nel petto, che io vedròL di sanarvi col mio segreto. Degno di riso è chi se lo crede. Il Comico osceno lascia Cristiano il Giovane, ma lo lascia ferito di peccato mortale per illo consenso libidinoso, del quale se non fa penitenza, se n’andrà, ancorché {p. 35} sia Cristiano, all’infernal prigione del sempiterno pianto. Né la Commedia, benché alla fine rappresenti il Matrimonio, ha forza valevole a sollevar
uno dal peccato; perché questo sollevamento è effetto della divina grazia, e non di una comica finzione.
Aggiungo: la conclusione di un matrimonio può esser buona ragione di credere, che gli affetti degli Sposi, se erano prima illeciti, e peccaminosi, diventino poi leciti, e virtuosi: ma che il lascivo pensiero, commosso in un inesperto Giovane, si muti in virtuoso al vedere, e sentire, che un altro giunga al fine de’ suoi disegni, non è per certo buona ragione; non è correttivo efficace, anzi si può temer, che sia nuovo incentivo a disonesto compiacimento; che sia olio per accrescere l’impudica fiamma, e vento, per ingrandire il lascivo ondeggiamento dell’affetto. Così praticamente dirà uno di quel Giovane, che dal Comico prima è mosso a disonesto amore, e poi vede la maritale conclusione di due Amanti; vede, e vedendo beve con gli occhi nuovo ardore onde si può accomodare a lui lo scritto del paziente Profeta, « implebit ardore stomacum suum
». Quindi è, che egli parte dal Teatro col viso ridente, e sollazzante, ma col cuore impiagato da saetta di sozzo pensiero: e partendo pensa, e ripensa, e con moltiplicati pensieri moltiplica i peccati: onde poi a tempo della necessaria confessione sacramentale resta confuso, trovandosi circondato da un esercito innumerabile di mortalissime colpe commesse dal libidinoso pensiero mosso nel Teatro per malvagità di un Comico rilassato.
L’altro correttivo, accennato dal Barbieri si è, che il Comico direbbe in Commedia le oscenità per far ridere qualche mal costumato. Ma egli stesso non approva per buono tal correttivo, anzi lo riprova aggiungendo, che un inconveniente non rimedia l’altro; il male è male in ogni luogo. Io aggiungo, che l’osceno parlare burlesco, e il ridicolo osceno è dannato da Tullio, da’ Savi Gentili, da S. Tommaso, e da dotti Scolastici; e però la scusa fondata sopra di lui si fonda sopra debolissimo, e rovinoso fondamento. Concludo adunque, e rispondo al dubbio {p. 36}, dicendo così. Il male, che possono fare, e che fanno le oscene Azioni, non è piccolo, e non è uno solo; ma sono molti, e tutti grandi; anzi tanto grandi, che, come scrive CrisostomoDella tribolazione l. 1. c. 11. citato dal Ribadaniera, non si può sapere, quanto siano grandi. Dica chi vuole, e dirà bene: vincono con la grandezza loro la stimazione nostra; e erra, chi li stima piccole farfalle, essendo smisurate Arpie teatrali, e infernali. Onde possiamo dire de’ seguaci di Beltrame, e che difendono ciò, che non merita difesa. « Confundantur, ut ex eo, quod defendere nequeunt, cognoscant, se tenere improbe, quod defendunt.
Greg. T. 1. pa. 3. Past. Ad m. 9. »
Punto nono.
Se le correnti Commedie Italiane, per esser simili alle Spagnole siano lecite.
La pietà HispanaLI veste nobilmente il nobilissimo manto della spiritualità: e può, e vuole e sa rintracciare anche in mezzo delle teatrali boscaglie il sentiero diritto alla virtù, senza declinare a’ sozzi pantani delle sceniche oscenità. Quindi scrive un Francese, e Religioso Autore, per commendazioneLII della gente Cattolica, e Spagnola. « Invideo vobis Hispani quibus etiam in ludo, feris et granibus esse licet; cum apud vos religiose modesteque scena haberi dicatur; mulcta etiam indicta, propositaque pæna, si quod verbum temere Histrio effutierit, quod non ante a Magistratu expensum, probatumque sit.
Ludovic. Cellotius Orat. Tit. Philologus. »
Anche Niccolò Barbieri Comico scrive nel suo Discorso, che la Spagna prima si serviva delle nostre Commedie Italiane: e i Comici vi facevano assai bene. Arlicchino, Ganassa, e altri hanno servito la felice memoria di Filippo II e si fecero ricchi: ma dopo quel Regno ne ha partorito tante, che ne riempie que’ gran paesi, e né manda anche molte Compagnie in Italia.
Io aggiungo al detto del Barbieri, che l’anno 1644 in Fiorenza intesi da un Fiorentino, uomo di molto spirito, e pratico della Spagna, che egli circa l’anno 1610 stando in Siviglia, seppe {p. 37} da certi suoi amici uomini vecchi, e testimoni di vista che Ganassa, Comico Italiano, e molto facetoLIII ne’ detti, andò la con una Compagnia di Comici Italiani, e cominciò a recitare all’uso nostro: e se bene egli come anche ogni altro suo compagno, non era bene, e perfettamente inteso, nondimeno con quel poco, che s’intendeva, faceva ridere consolatamente la brigata; onde guadagnò molto in quelle Città, e dalla pratica sua impararono poi gli Spagnoli a fare le Commedie all’uso Hispano, che prima non facevano. Tutto questo io accetto per vero, e credo che, come Ganassa cercava di apportar utile, e diletto co’ suoi graziosi motti, e recitamenti privi di oscenità, cosi gli Spagnuoli impararono a fare Commedie modeste, e non oscene. Quindi si è, che insino a tempo nostro si dice, come voce di molti, e molto comune ; e io in Palermo l’anno 1638 la sentii per bocca di un Signore, Grande di Spagna. La Commedia Spagnola non è oscena: non macchia il viso con il colore di turpitudine, e non ha il difetto dell’impudicizia. Nondimeno chi legge i libri, e chi s’informa da’ pratici di Spagna, ovvero intende, o vede il modo tenuto da alcuni Comici Spagnoli venuti in Italia, non può negare, che quella voce comune ha bisogno di qualche interpretazione per avverarsi, e si può interpretare con questi detti.
Dico prima. A tempo del prudentissimo Re Filippo II la licenziosa immodestia di molti Comici Spagnuoli passò tanto i confini della debita moderazione, che per comando di quel gran Monarca uscì un Real divieto contro le Commedie, e cessarono tutte in tutto. Così dice Pietro de Gusmandist. 6. §. 8., il detto di cui riferito da me ad un gran Signore pratico di Spagna a fine, che non tollerare le oscenità del teatro, gli diede occasione di rispondermi. È vero, che Filippo II le proibì, ma di poi di nuovo le concesse: onde l’Autore citato dice quello che fa per sé, e lascia il resto. Io confesso, che quella risposta, uscita da Personaggio di tanta autorità mi diede da pensare non poco: nondimeno non fu difficoltà di Sfinge, e se fosse stata, io trovai nella Città di Trapani in Sicilia il vero suo Edipo, cioè un grave, dotto e vecchio Religioso Domenicano uomo di gran {p. 38} virtù,e di molti carichi nella sua Religione, il quale mi disse, che dimorava in Spagna, quando Filippo II concesse, che di nuovo si facessero l’Azioni teatrali, ma senza veruna oscenità; e così gli Attori, e Comici cominciarono a fare solamente Rappresentazioni Spirituali con modestissima ricreazione degli Spettatori. Ora io qui avviso il Lettore: ecco la ragione; perché Pietro de Gusman non scrisse il resto, cioè quella nuova concessione, o permissione del Re Filippo; poiché ella non pregiudicava, anzi era conforme alla Cristiana Moderazione, essendo ordinata non all’oscenità, ma alla spiritualità. E ecco ancora, come la risposta di quel gran Signore è verissima nel senso, che io ora ammetto con umile, e profonda riverenza.
Dico secondo. La cominciata moderazione spirituale de’ virtuosi Comici Spagnuoli non durò continuatamenteLIV : successero altri, de’ quali i detti impuri, e i gesti osceni turbarono di nuovo, a guisa d’oscuri nuvoloni, la bella faccia del serenissimo cielo teatrale. Spinsero di nuovo il piede, e col piede il passo per lo sdruccioloso sentiero dell’oscenità. Tornarono a comporre i mazzetti dello scenico diletto co’ fiori ammorbati, e puzzolenti. Insomma « canis ad vomitum, sus ad volutabrum
» ; e il Comico dallo stato modesto, e virtuoso si dilungò, comparendo a gestir di nuovo, non come pudico Roscio, ma come Mimo impudico: e la Commedia restò esposta alle nuove censure de’ zelanti Scrittori Spagnoli. Io non m’oppongo al vero; poiché il lodato Pietro de Gusman, e molto più efficacemente, e a tutto rigore scolastico Pietro Hurrado hanno scritto modernamentede 3. Virtut. Theolog. Vol. 2. dist. 173. sect. 28. contro le moderne Commedie Spagnole oscene: e ambedue sono Spagnoli, e pratici del buono, e reo costume, con che procedono i moderni Comici de’ regni Hispani. Aggiungo, che il P. Bernardino de Vigliegas della Compagnia di Gesù nel suo Esercizio Spirituale dedicato alla Regina di Spagna nel cap. 44. chiama le Commedie moderne profanità, che mandano in rovina i buoni costumi: dove sono tanti Demoni, che stanno instigando con male suggestioni, quante sono lo persone, che ivi dimorano. Dunque ha bisogno di qualche distinzione {p. 39}, per avverarsi, quella proposizione detta con voce comune. La Commedia Spagnola non è oscena.
Non voglio tacere, che l’anno 1629 morì in Toledo il P. Giovanni Gondino della Compagnia di Gesù, di cui, come di qualificatissimo, Filosofo, Teologo, e Predicatore, sopra tutto di uomo virtuosissimo, e zelantissimo, nota brevemente molte cose il P. Filippo Alegambe nella Biblioteca degli Scrittori della Compagnia: e aggiunge per acconcio nostro, che questo eminente Predicatore faceva guerra implacabile contro le Commedie impudiche. Dunque il dire. La Commedia Spagnuola non è oscena. Bisogna, che si accetti con la debita distinzione.
Scrive il medesimo P. Alegambe del. P. Didaco Ruiz de Montoya Teologo Hispano, e stimatissimo per l’eccellenza della dottrina insegnata moltissimi anni nelle pubbliche scuole, e spiegata con molti volumi stampati; e con altri, che egli prevenuto dalla morte non ha mandato in luce: e tra quali vi è un Trattato copioso, e dotto intorno al levare della cristiana Repubblica le Commedie volgari non modeste.
Di più nota pur il P. Alegambe, che Giacomo Alberti Spagnolo ha stampato una Predica contro i Commedianti, come che siano la peste, e la rovina de’ Regni, e chiamò tal Predica Circoncisione della Commedia : eccennando, credo io, che bisogna levare molte cose dalle correnti Commedie, e circonciderle massimamente dalle oscenità; acciocché si possa godere consolatamente il diletto, che onesto può derivarsi dal loro trattenimento. Inoltre l’anno 1644 ho inteso da un nobile, dotto, e grave Religioso venuto da Spagna, ove era dimorato 4 anni, che i Predicatori di quando in quando riprendevano le oscenità delle moderne, e correnti Commedie.
E io ancora aggiungo, che il celebre, zelante, e dotto Commentator Spagnolo P. Francesco Ribera ha stampato ne’ suoi libri una gagliarda riprensione contro le Commedie oscene Spagnole; e esorta, e prega tutti i Superiori a discacciare da’ loro paesi tutte le moderne Compagnie de’ Comici poco modesti.
Ora stante il sentimento di questi gravi Dottori Hispani, {p. 40}LV ben si vede, che merita di essere negata quella proposizione. La Commedia Spagnola non è oscena.
Dico terzo. In questi nostri ultimi anni correnti i Comici Spagnoli in Italia non tutti sono modesti a sufficienza nelle loro Rappresentazioni: di quelli io parlo, che introducono nella pubblica scena le vere Donne, Comiche ordinarie, e parlanti di lascivo amore in Auditorio, ove sanno essere molti deboli di virtù, e ne conoscono alcuni, il che basta a rendere la Commedia oscena per sentenza de’ moderni, e antichi Teologi; questi discorsi amorosi sono l’ariete per battere, e abbattere, o almeno far malamente crollare ogni più salda, e ben fondata Rocca di un pudico cuore. L’anno 1638 in Palermo, bellissima città di Sicilia, ove io allora abitavo, certi Comici Spagnoli con le Comiche loro facevano le Azioni, intrecciando al solito ragionamenti con tale espressiva del caldo affetto di Cupido, e con tale eccitamento delle sue fiamme, che più persone spettatrici, tutto che vi stessero quasi per forza, e fossero sentite di segnalata virtù, e armate con la frequenza de’ Santi Sacramenti, nondimeno confessarono il pericolo dicendo. Non si può negare, che l’udire que’ discorsi non ecciti gli affetti, e la persona non si senta affezionare a quelle cose. Io in altro tempo, stando a predicare in un’altra principal Città dello stesso Regno di Sicilia, intesi da un grave personaggio, che certi Commedianti Spagnoli andarono colàLVI ; e mentre vi fecero le Azioni, proponevano argomenti buoni, e spirituali; ma poi nel recitamento dichiaravano i peccati brutti con tanti particolari, e con tanta vivezza, che la disonestà compariva smascherata, e indecente più di quello, che si scorge nelle oscene Azioni ordinarie. E erano accettati in casa, e accarezzati da Signori grandi, e Cavalieri molto principali; e essi, per dar loro gusto, e trattenimento, facevano le Commedie ora nel palazzo di uno, e ora nel palazzo di un altro, e sempre con Auditorio pieno, e gran concorso; e con molta offesa di Dio, e grave rovina spirituale di molti, che, udendo, e vedendo quelle oscenità, dichiarate con la maniera, e efficacia comica, non si ritenevano di moltiplicare i peccati. {p. 41}
Ora che dobbiamo dire di tali Azioni, massimamente in risguardo degli Spettatori deboli di virtù, e inclinati al male? Credo, che dir dobbiamo: sono Commedie Spagnole oscene, e scandalose: sono artificiose reti di Satanasso: sono smoderate licenze ripugnanti alla Teatrale modestia della Cristiana Moderazione; adunque le Italiane Rappresentazioni, simili a quelle Spagnole, meritano simile censura, e sono illecite a virtuosi Comici, professori di ricreare i popoli con un onesto trattenimento. Ove si vede maturato il malore della stessa postema, ivi si ferisca con lo stesso ferro; e si applichi il medesimo corrosivo.
Punto decimo.
Se per la tolleranza delle Commedie oscene basta, che siano quasi da tutto il mondo abbracciate.
L’erbe fornite di nociva qualità, non migliorano per ordinari la loro condizione, né diventano giovevoli, e salutari alla generazione umana; perché serpeggino per un largo, e spazioso campo: il male della radice non si leva con l’ampiezza del nativo suolo: per tutto il radical difetto è difettoso: né la vaghezza, o grandezza di un bel giardino è bastevole antidoto contro la forza del veleno, che contiene in sè un velenoso germoglio. Dico dunque al Dubbio, che le Commedie oscene, tutto che fossero abbracciate da quasi tutto il mondo, non sarebbero tollerabili « absolute, et simpliciter
» ; perché non cesserebbero di essere oscene.· poiché la circostanza del luogo « est quid extrinsecum
», è cosa estrinseca ; né serve di efficace correttivo al morbo della peccaminosa oscenità. Anche quasi da tutto il mondo (e lo sappiamo, e lo piangiamo) sono abbracciate le turpitudini fornicarie, le crudeltà omicide, le ingiustissime ruberie, e mille altre sorti di gravissime scelleragini: e nondimeno elle sono manifeste trasgressioni contro il grande impero del Divino Legislatore: sono abominevoli peccati; sono oggetti da fuggirsi da ogni fedele soggetto, e virtuoso Cristiano; sono cose illecite, e indegne. Cosi parimente io {p. 42} dico; che con la tinta dell’indegnità merita di essere fregiata, e sfregiata la brutta faccia della oscena Rappresentazione.
Aggiungo. Si può negare fondatamente, che le Commedie oscene, in quanto oscene ovvero conosciute per oscene, siano abbracciate quasi da tutto il mondo; perché moltissime persone le condannano, e detestano, né stimano in modo alcun il loro recitamento lecito tra’ Cristiani. È vero, che il Barbieri al capo 25. della Supplica sua pone queste titolo: Che le Commedie sono abbracciate da tutta Europa. E dice nella spiegatura di quel capo, che il volere annientarle, sarebbe un voler pugnare contro tutti gli abitanti, e far scioglier la lingua sino allo stesso Arpocrate: e se la facezia non mortificasse un poco la Commedia, sarebbe forse da connumerarsi tra le cose contingenti al ben pubblico; ma perché non può esigere le sue entrate senza questo poco di dolce amaro; quindi è, che s’arretra un passo alle cose convenevoli al retto udire. Tuttavia col suo misto d’utilità, e di dilettazione comparisce ancora ella tra’ galantuomini; e pochi paesi sono che non le abbiano dato ricettoLVII. In Spagna, scrive il Comico Cecchino p. 12. sono tenute le Commedie in tanta considerazione, e conosciute di tanta conseguenza, che per comodo loro e pubblico beneficio vi sono stati in ogni luogo di que’ Cattolici Regni eretti Teatri, e fatte Scene, che mostrano chiaramente, che con la vita del mondo devono conservarsi in que’ paesi. Dice poi Beltrame in breve circa l’ultimo dello stesso capo. Le Commedie sono quali da tutto il mondo abbracciate. Ma questo Comico, come anche il Cecchino, parla delle Commedie modeste, ovvero stimate da lui modeste; e non delle oscene: il che si vede chiaro nella conclusione, ove paragona la Commedia ad un fiume non intorbidato, e dice con piacevole querela. « Con tutto ciò vi è, chi ha più diletto d’intorbidar tal’onda, che non ebbero i villani di Latona per levar il comodo d’un bramato sorso di ricreazione ad un povero afflitto, e
arso dal calor mordace delle noiose cure.
»
Dopo le quali parole io interferisco: dunque si può negare fondatamente {p. 43},e io qui nego che le Commedie oscene, in quanto sono oscene; o si stimano oscene, siano abbracciate quasi da tutto il mondo.
Non posso anche tacere ciò, che Cellottio avvisa in una orazione, nella quale introduce il suo Filologo, che armato di giustissimo sdegno contro gli osceni Istrioni, e loro spettacoli tuona, e fulmina dicendo molte cose, e tutte grandi: io qui ne tocco alcune. « Populi pene omnes scenica spectacula ignorarunt; Egypti, Assyri, Amazones, Phanices, Tyri, Caldæi, Persa, Medi, Armens, Pontici, Britanni, Arabes, Æthiopi, Palestini, Amonita, Hebræ, anzi di più Galli veteres despexerunt. Massilienses nullum aditum in Scenam Mimis dederunt, quorum argumenta maiore ex parte stuprorum continent actus; ne talia spectandi consuetudo etiam imitandi licenzia sumeret.
» E molto tardi « Romam invecti sunt Ludi Scenici corruptis iam moribus
» ; più di quattro cento anni vi sparse i suoi odori la soavissima Rosa della virtù ; dopo i quali gli uomini tristi riceverono quelle teatrali vanità; ma i virtuosi le disprezzarono: e con fondata ragione; poiché secondo il giudizioso avvenimento di Seneca. « Nihil est tam damnosum bonis moribus, quam in spectaculo aliquo desidere, tunc enim per voluptatem facilius vitia subrepunt.
»Ep. 7.
Lascio il resto addotto da Filologo, e concludo asserendo che le Commedie oscene non sono abbracciate quasi da tutto il mondo: anzi quasi da tutto il mondo sono aborrite, detestate, e fuggite: quando però sono conosciute per oscene, e stimate tali. Ma il rovinoso crollo, che molti patonoLVIII, vien cagionato dal non sapere, o dal non volere, smascherare le correnti, e mercenarie Commedie, e mirarle con diligente accuratezza al vivace lume della vera dottrina teologale: un grosso velo ricopre ogni gran macchia: e una maschera bella apparenza nasconde la deformità di una vera, e schifosa bruttezza.
{p. 44}Punto undecimo.
Se basta, per rendere lecita l'oscena Rappresentazione, il sapersi, che piace molto col suo diletto.
Assai volgare si è quel detto. Non convengono bene insieme il chiaro della luce, e l’oscuro delle tenebre; la bellezza della virtù, e la bruttezza del vizio; la ragione del Cielo, e l’interesse dell’Inferno. E pure vediamo, e sperimentiamo, che nella comica, e oscena Rappresentazione si ritrova qualche chiaror di luce, e qualche orror di tenebre; qualche grazia di virtuosa azione, e qualche disgrazia di viziosa trasgressione; qualche guadagno Celestiale, e qualche danno Infernale; insomma qualche ragione di buono diletto, e anche qualche ragione di cattivo piacere, secondo la diversa considerazione di vari rispetti, e diversi argomenti. Non sia chi neghi il dilettoC. 54., scrive Beltrame; poiché ogn’uno mira al gusto degli Ascoltanti, o compiacimento de’ Superiori. Gli addobbamenti, le musiche, gl’Intermedi, e le macchine sono spese, e fatiche, fatte più per dilettare, che per giovare. Io so la sentenza di Nazianzeno. « Facile imposturam facit, quod delectat.
»2. contr. Julian. E per dichiararmi bene formo due Proposizioni; e la prima è questa.
La Comica Rappresentazione ha gran forza per piacere a tutti. E la seconda è questa.
Non è sempre lecito l’andarvi, quando contiene oscenità. In quanto alla prima non mancano ragioni le quali io spiego con le seguenti, e brevi Note.
Nota prima
Della Novità.
Suole la novità delle cose essere per lo più feconda genitrice di gratissimo piacere; onde quella saggia penna Imperiale ci lascio scritto. « Omnia nova placent.
»In Proem Digest. Le Comiche Rappresentazioni sogliono farsi in grano parte da persone forestiere, e nuove, che per interesse di necessario lucro vagando sen vanno per varie Provincie, e Regni; e giungono nuove alle Città, e Castelli {p. 45}, ove con Azioni parimente nuove, ovvero rinnovate, recano diletto a’ popoli con la novità; alla quale si aggiunge di più la rarità perché gli Spettacoli della Scena non si veggono tutto dì, e quotidianamente in ogni popolazione; ma solo in ciascuna per qualche parte dell’anno, cioè per poche settimane, o pochi mesi; e però come cose nuove, e rare servono di gustoso beveraggio a’ sitibondiLIX, che più felici dell’infelice Tantalo veggono e assaporano l’oggetto consolativo della loro sete.
Nota seconda
Della varietà.
In molti la varietà cagiona molta dolcezza; onde quando l’udito non è ricreato con varietà, presto si rende sazio, e infastidito. Nelle pubbliche scuole, dice Beltrame i Signori Scolaric. 44., passata l’ora deputata, gridano, strepitano, e alle volte pongono sossopra la scuole; e questo avviene, perché si sente sempre una stessa voce, il medesimo stile, e quali sempre una somigliante materia. (E io dico, che forse per simile rispetto molte belle prediche di uomini per altro celebri, e addottrinati passata l’ora cagionano rincrescimento, e tedio.) Ma nella Commedia intervengono tanti personaggi diversi, si veggono tanti gesti vari, si odono tante voci differenti, e si sentono tante forme dissimili di parlare, che non resta sia così facilmente saziato il gusto nostro. Le altre letture, dice Beltrame, per belle, che siano (come non sono di particolar necessità) fanno languire la voglia a lungo andare. Le Matematiche, chi le studia come scolare, sbalordiscono. La Musica troppo in lungo stalenta il gusto. L’Astrologia ti confonde la mente. La Poesia, quantunque bella, se il Poeta legge le sue Opere, e che il Demonio ti tenti a mostrarne gran gusto, o meschino te, apparecchiati pur di sentir tanto, che abbi da perder o il gusto, o la pazienza; e così tutte le letture seguono questa sorte. Ma la Commedia per la suddetta varietà di grave, e di ridicolo, d’astuto e di spropositato, reca dolce trattenimento: onde come la Natura per variar è bella,cosi la comica Rappresentazione {p. 46} riesce bellissima, e piacevolissima per la varietà. A questa parimente servono, secondo le loro forze, tutti i Comici Personaggi, e ciascun s’ingegna di render grata, e gustosa la Commedia. Gli Autori, che fanno soggetti, o scenari cercano, scrive Beltrame di trovar favole col verisimile, e le dispongono alla meraviglia, e alla facezia, come la Poesia Drammatica instituisce. E tali favole, come ingegnosamente prova il P.
Pallavicinol. 3. pag. 2. c. 49. n. 6. e 7. del Bene., tuttoche da’ Savi siano conosciute per cose false, recano tanto gusto, che ogni età, ogni sesso, condizione di Mortali si lascia con diletto incantar dalla favola. I Recitanti poi ogn’uno studia, segue Beltrame, conforme alla necessità del suo Personaggio. Quelli, che rappresentano gli Amanti, e le Donne, studiano storie, favole, rime, prose e le facoltà della lingua. Le parti che mirano al faceto, si lambiccano il cervello per trovar cose nuove ; non per desiderio di peccare, né per dar occasione ad altri, che pecchino, ma per far il loro esercizio: e se fanno ridere, non fanno ridere per laudare il vizio, né col descrivere gli errori con voci scene; ma per l’artificio degli equivoci, o per le fantastiche invenzioni, che trovano. Il Capitano cava il riso dalle sue stravaganti iperboli: il Graziano da’ suoi spropositi: il primo Servitore dalle sottilissime astuzie, e pronte risposte; il secondo dalle sciocche balordarie: gli Arlecchini dalle cascate; i Covielli dalle smorfie, e latinacci macaronici: le parti de’ Vecchi dal grossolano parlare de’ loro antichi Idiomi: e così tutte l’altre Parti. Onde si conclude, che la varietà di tante cose rende la Commedia molto piacevole, e gustosa. E certo, che nella varietà delle cose la Commedia campeggia bene, come lo prova pure Beltrame nel cap. 27. del suo Discorso. A cui io aggiungo, che i valenti Recitanti per più dilettare, eccitano di maniera in se gli affetti, che paiono mostrar cose vere, non rappresentarle finte; onde Quintiliano confessa. « Vidi ego saepe Histriones, atque Comoedos, cum ex aliquo graviore actu personam deposuissent, flentes ad huc egredi.
»l. 6. c. 2.
Nota terza
{p. 47}Della sicurezza del pericolo.
Una buona ragione di piacere nasce dall’essere la Drammatica Azione un trattenimento, che si gode senza pericolo d’incontrare qualche sinistro accidente della persona. Molti gusti confinano con i disgusti; e da molti spassi tal volta si passa agl’inconvenienti: anzi spesso tal’uno gustando di qualche passatempo grazioso, si avventura nella disgrazia.
Basta per prova un caso narrato da Paolo Emilio, citato da Angelo Grossi ne’ suoi TrattenimentiLX, ove dice. Carlo l. 10. de Reb. Frac. Tratt. 7. p. 187. VI. Re di Francia, facendosi un solenne ballo di principalissime Dame, si vestì, e fece vestire altri, da Leone, imitando la spoglia leonina con tele impegolate, coperte di lana composta in velli. Mentre danzavano questi Leoni, un Cavaliere mosso da curiosità, avvicinò un lume, per mirarli meglio, e ecco la fiamma si apprese tosto nella vicina, e facile materia, e si compartì velocemente tra tutti i mascherati. Uno subito morì. Due altri poco dopo rimasero privi di vita per quell’arsione. Un altro fu portato in luogo, ove con molta quantità di acqua si estinse il fuoco, e egli non vi morì. Il Re fu involto nel lungo strascico della veste di Madama di Burges, e col molto stropicciarlo ripressa fu la cocente fiamma.
Per ragione di questo caso io replico, che spesso tal’uno trova una disgrazia, ove stimò godere un grazioso passatempo. Beltrame nel c. 43. discorre alla larga per acconcio di questo mio senso, e dice. « La Commedia è meno pericolosa degli altri trattenimenti; poiché ogn’altro passatempo è vicino alle disgrazie. Nelle cacce molti hanno pericolato per le cadute de’ Cavalli, e molti sono stati offesi dalle Fiere. Nelle Giostre, ne’ Tornei, e ne’campi aperti, è meraviglia, se non succede qualche disgrazia. Ne’ corsi de’ Barbari, o d’altri animali, molti sono stati calpestati da Cavalli, e molti dalla turba del popolo spaventato, e scompigliato hanno passato sinistri accidenti. Nel piantar de’ Maggi, nella guerra de’ ponti, e in altri simili, la folla alle volte ne ha soffocato più d’uno. I fuochi artificiati a tal’uno {p. 48} lasciano brutti segnali. Il rinfrescarsi ne’ fiumi l’Estate, e il nuotare a molti ha tolto la sanità, e ad altri la vita. lo schermire, il danzare, e fino il giocosa da burla, è più pericoloso dell’udir Commedie.
» Così discorre Beltrame, e replica le stesse cose nel c. 60. con più recise forme di parole; come può vedere, se vuole il Lettore, e inserirne la verità della nostro ragione, anche per sentenza di questo mercenario, e Comico Scrittore.
Nota quarta.
Del soggetto lascivo.
L’oggetto delle moderne, e mercenarie Commedie suol essere per ordinario, se non in tutto, almeno in gran parte, di materia amorosa, e lasciva; e colà corre il Mondo con gusto maggiore, e con maggior diletto, ove il lusinghier Teatro versa con maggior abbondanza simili dolcezze; massimamente perché la pubblica, e lasciva Azione è un tacito ammaestramento a poco virtuosi, per addottorarsi nell’arte di Amore senza fatica, e con piacere; onde nella pratica compariscono Maestri della disonestà per quello, che nella Scena imparino di carnalità.
Nota quinta.
Del guadagno Diabolico.
L’astuzia si collega con lo sforzo del Demonio, e fa, che egli renda, quanto più può, gradita, gustosa, e dilettevole la mercanzia, e moderna Commedia; perché ne pretende l’interesse della sua crudeltà, e il grosso guadagno de’ peccati, che fa commettere all’occasione di molte oscenità. Non voglio tacere ciò che narrano alcuni, e lo racconta anche Beltramec. 52., che nel principiar una Commedia un Recitante morì repentinamente, e che subito un Demonio prese la forma di quel Recitante morto, e seguitò egli la Commedia; e che essendo interrogato da chi lo conobbe, perché facesse tal’Azione, rispose {p. 49}, per non perder il guadagno che egli pretendeva, facendosi quella Commedia.
Sopra questo racconto fa il suo commento Beltrame, e scrive con tal forma. Io non so pensar qual fosse il guadagno, che potesse far costui con una favola scenica, se non era a caso un concetto d’Eresia, un atto d’Idolatria, o veramente un dispregio de’ buoni costumi: in tal caso il Demonio avrebbe fatto usura, non che guadagno: ma ai nostri tempi il perverso potrebbe fare il buffone, quanto volesse, che non farebbe altro guadagno, se non quello, che cavasse da qualche parla laida, o da qualche gesto mal’ordinato all’onestà, qual suol avere per guiderdoneLXI un isgridamentoLXII dietro da gli uditori galantuomini. Io al commento di questo Comico aggiungo. Il Demonio ai nostri tempi causa grosso guadagno da’ mercenari Recitamenti, non solo perché molti Comici osceni, e Comiche poco modeste, peccano mortalmente, vituperando il cristiano Teatro con molte parole sconce, e con molti gesti libidinosi: ma anche perché molti spettatori deboli di virtù commettono gravi peccati di oscenità, almeno col pensiero nel Teatro, e poi altrove con più gravi maniere per la ricordanza: questo altro non è, che ingrossare il capital peccaminoso per maggior guadagno di Satanasso; che però addolcisce molto l’esca della Commedia, per allettar infino gli svogliati.
Nota sesta
Dell'Interesse Economico.
Piace molto la mercenaria Commedia per ragion’ Economica: cioè con piccola spesa si compra un gusto grande. L’udir Commedie, avvisa Beltrame nel c. 43. è quasi ragion di stato Economico; poiché ogni passatempo costa più della Commedia. L’inverno con quella poca moneta risparmi i lumi, e il fuoco di tre ore: l’estate consumi meno le scarpe, e i vestiti rispetto alla polvere; e ti sparagnaLXIII qualche bevuta,che ti potriaLXIV offendere. In oltre la Commedia è uno spasso, che ti serve per studio, senza che tu perda la vista sopra de’ libri: e forse, che {p. 50} ella non è una lezione di due ore per lo meno, ove senti discorsi, concetti, sentenze, e facezie, da consolarti l’animo, e i sensi.
Bastano queste poche ragioni a prova della prima Proposizione fatta di sopra; cioè che la Comica Rappresentazione ha gran forza per piacere a tutti. Aggiungo, che ad alcuni piace troppo; e io ho sentito una volta dirmi da un Gentiluomo. Io non posto stare senza le Commedie, volendo dire. La sola morte mi leverà d’andare a godere il gusto delle correnti Commedie. E un’altra volta seppi di certo umanaccio mondano, che disse. «Fa, che io vegga l’Inferno aperto per ricevere, chi va alla Commedia corrente, e io con tutto ciò vi vorrò andare». O stoltezza veramente grande, ma stoltezza falsa, della quale si avvera quella Davidica parola. « Respexit in vanitates, et insaniat falsas.
»ps. 35. 9. E la quale consiste in questo al sentire di un Moderno. « Cum quis rationis compos et cum iudicio desipit, sine insanire gaudet.
» Velazque in ep. Ad Philip. C. 3. v. 8. Annot. 11. v. 4. Quando un uomo, godendo l’uso della ragione, e del giudizio, si rallegra di comparire un pazzo, quasi che sia simile a colui, che fu notato appresso il Lirico d’essere caduto in questo vizio di mente mal’affetta, e sconturbata. Egli si vantava di trovarsi presente alla Commedia del continuo, e di udire con suo grandissimo gusto i Recitanti. Onde pi risanato da quella pazzia per la diligenza de’ Medici, e degli amici, si querelava pazzamente d’avere ricuperata la sanità, e diceva.
« Pol me occidistis amici,Non servastis, ait, cui sic extorta voluta,Et demptus per vimmenti gratissimus error ».Horat.
In vero è cosa degna di pianto, quando tra’ Fedeli si trova persona tanto affezionata alle Commedie oscene, che da in simile insania, e mostra di aver posto uno de’ suoi più principali gusti e trattenimenti nell’udire le Teatrali oscenità de’ moderni Commedianti. Ora per finire, aggiungo a conferma della seconda Proposizione posta di sopra due parole sole, e dico.
Non basta, che, molto piaccia la Rappresentazione, per rendere lecito l’andarvi ad un spettatore, tutto che non corra pericolo di consenso né di scandalo; perché se ella sarà oscena, {p. 51} renderà molte volte, se non sempre, illecito, e peccaminoso l’andarvi, o per la cooperazione all’oscenità; o per la fomentazione de’ Comici osceni nel peccato, o per altre ragioni, che si potrebbero allegare. Anche a molti piace molto la domestica conversazione con una pubblica meretrice; e nondimeno sempre non è lecito l’andarvi ad uno; tutto che non incontri pericolo di consentire alle disonesta, né di scandalizzare il prossimo; perché altri onde può cagionarsi la sua rovina spirituale. Lo zuccaro piace a molti; ma l’avvelenato uccide, chi non usa per tempo il contravveleno. La morte si maschera tal volta col velo del diletto, e dilettando uccide. « Aperiat Deus oculos cordis vobis, ci avvisa S. Agostino, ut videatis illud, quod putatur dulce modo, quam amarum eit in ignem æternum: quam gravi, et perpetua pæna punienda erit brevitas delectationis : delectatio vulneravit, et transuit; miserum fecit, et abiit.
»Ser. 7. de tempore t. 10.
Punto duodecimo
Se con ragioni si biasimano le Commedie Mercenarie, già che né le Accademie, né le altre fatte gratis sono biasimate.
Beltrame impugna la spada per difesa della sua professione, e schermendosi con grazia dice graziosamente così nel c. 54. « Chi non ha stanza per Astrea, men’avrà luogo per la Pietà: chi porge la mano alla Parzialità, da de’ piedi alla Giustizia: lo aver riguardo a’ Comici, che recitano gratis, e non a quelli, che per necessità professano tal’Arte, è una carità da me non intesa, o una giustizia da me non conosciuta. Le Commedie de’ Signori Accademici sono fatte con grande spesa: quelle di certi Giovani della Città con men riguardo all’onestà delle nostre: e molte se ne fanno per alcuni rigiri. Ora se le nostre con minor interesse più riguardo, e senza altro fine, che di procacciarsi il vitto, sono fatte; perché biasimar le nostre, e non le altre? »
Così discorre questo Comico, e di più propone contro di sé alcune risposte, e si sforza di soddisfarvi, e impugnarle con vivezza. Ma io nel presente Dubbio discorro con questa forma.
{p. 52} E’ vero, che gli Scrittori, i Predicatori, e le persone zelanti, e dotte per ordinario biasimano le Commedie mercenarie, e tacciono di quelle, che sono fatte gratis da gli Accademici, o da altri; forse perché quelle si fanno quasi quotidianamente tutto l’anno, o almeno molto spesso: ove queste sono fatte molto di rado, e quasi per accidente; e però non v’è bisogno di tanto rimedi. Con tutto ciò confesso, che una Commedia, o mercenaria sia, o fatta gratis, si deve biasimare, e è biasimata da Dottori, quando è viziosa per l’oscenità, o per altra imperfezione repugnante a’ termini prescritti da S. Tommaso, e da Teologi secondo la debita moderazione del cristiano Teatro.
Ora consideriamo un poco le quattro sorti di Commedie, che propone Beltrame, quasi che accenni le tre prime essere degne di maggior biasimo, che non sono le sue mercenarie. Le Commedie della prima sorte, dice egli, sono de’ Signori Accademici fatte con grande spesa. E io aggiungo. Veramente il fare troppo grande spesa in una Rappresentazione può essere tal volta eccesso per la prodigalità; e per questo meriteranno censura i Signori Accademici, come prodighi, non come osceni, quando nello spendere eccederanno i termini dei convenevole; tutto che non mancassero in altro particolare, ovvero in altra circostanza contro il decoro dell’Arte Comica, e dell’onestà. È ben vero, che alle volte si fanno in alcune Città da Signori Accademici certe Rappresentazioni, molto stimate per le musiche dolcissime, per le macchine artificiosissime, e per le bellissime apparenze di grande ammirazione, nelle quali se bene la spesa non è piccola, nondimeno si ristringe tra’ confini della necessità; e però non sono stimate oggetto degno della teologica censura, né della predicatoria ammonizione. E di questa sorte, intendo, che alle volte si fanno bellissime Rappresentazioni nella Serenissima Città di Venezia, alle quali chi va, paga, per l’ingresso non poche gazzette, come alle Mercenarie, ma prezzo assai maggiore, e corrispondente alla nobiltà, e magnificenza dell’Azione, e del pomposissimo apparato.
E di questa fatta sono parimente quelle Azioni, che tal volta {p. 53} i Principi, e gran Signori per occasione, o di nozze, o di altra congiuntura, comandano, che siano fatte, e si fanno con quella spesa grande, che richiede la maestà, e la liberalità de’ Padroni: né può Beltrame né deve con l’esempio di quelle Azioni far schermaglia per difesa delle sue Commedie. Ad un Rosignolo non si confanno le piume di un real Falcone. Ma consideriamo le Commedie della 2. sorte, che sono fatte da certi Giovani della Città, e delle quali, dice Beltrame, che si fanno con minor riguardo all’onesta delle sue. E io dico, che quando quello avviene, que’ Giovani meritano riprensione maggiore, che i Comici Mercenari.
Sono pochi anni, che una Gentildonna molto principale fu caldamente pregata da certi giovani; acciocché ella facesse l’invito delle altre Gentildonne ad una Commedia, che essi avevano in ordine per recitare con titolo di onesto trattenimento carnevalesco. Si compiacque di assecondar le loro preghiere; fece l’invito, e il concorso fu numeroso: ma l’Azione poi riuscì molto spiacevole per le oscenità; e per qualche picco satirico: onde quella Gentildonna finito il Recitamento, fece chiamare a suoi principali di que’ Giovani, e con una gagliardissima riprensione rimproverò loro l’indecenza. E invero che le Commedie fatte da simili Cittadini posso riuscir, non solo cattive, ma anche peggiori, e più perniciose, e scandalose, che le oscene de’ Mercenari Commedianti. E questo per due ragioni oltre le altre, che faccio.
La prima è per la liberta, e impunità del dire: atteso che non temono castigo, benché dicano delle sboccatagini; e le dicano a loro modo, e capriccio, e con quegli equivoci, che più gli garbeggiano; e ciò segue, perché dicono molte cose in pronto, e senza essere prima rivedute, e approvate da’ Superiori.
La seconda ragione è per la radunanza di Donne onestissime, e virtuosissime; le quali, essendo invitate, vanno condotte da’ mariti, o da’ parenti a quelle Commedie; che per altro si vergognerebbero d’andare alle Mercenarie. Ora che scandali, e che peccati possono seguitare, e seguitano le più volte, con l’occasione di quella moltitudine di tante Donne o maritate {p. 54}, o fanciulle, o di altra condizione, e tutte ornate molto bene, e forse non sdegnose d’essere vedute, e inchinate? E quali pensieri possono sentirsi nascere nel cuore in tempo di sentire una Commedia, non affatto modesta, ma impudica?
L’anno 1641. in Firenze un personaggio di ottimo giudizio, di molta pratica nel mondo, e di buono spirito, trattando meco di queste Azioni, mi disse, che era cosa pericolosissima l’andare ad udirle, non solo per le parole, e gesti indecenti de’ Recitanti; ma per la varietà, e qualità degli Spettatori, e Spettatrici, che vi concorrono: onde forza è, che ne seguano molti inconvenienti, e gravi peccati; a’ quali aveva il pensiero quel moderno, e nobile Personaggio, che satiriggando contro il Carnevale scrisse.
« Le Verginelle poi gli uomini pazziMandan palese, e senza veli, e bende,A festini, a Commedie, e a sollazzi.Né san, come i Teatri, agoni, e tendeSono i mercati, in cui senza denari.L’altrui vana beltà si compra, e vende. »Monsig. Azolini.
Ma lo spiegato racconto, e queste ragioni non giustificano i Commedianti Mercenari osceni: anzi chi li facesse rei maggiormente per questo io non mi curerei di repugnare: imperoché, se que’ Giovani usano delle oscenità di gesti, o di parole, o d’altra fatta, forse o tutte, o parte n’hanno imparato da’ Comici disonesti; onde poi sono divenuti di maestri malvagi discepoli peggiori; e però i detti Comici sono meritevoli di più acre vitupero, come Attori di Commedie più perniciose.
Io però non giustifico l’errore de Giovani; e mi ricordo, che in una Città molto principale d’Italia un servo di Dio, Religioso, e Teologo, non poco versato nelle dottrine della Moderazione del Teatro, udendo, che certi Giovani facevano Commedie poco modeste, disse più volte a più persone, che quelle erano più perniciose, che le mercenarie. E contro tali molte volte i zelanti Oratori di Dio si fanno sentire tuonando, e fulminando ardentemente dal Cielo predicatorio a distruzione dell’oscenità, e a total rovina dell’indecenze Teatrali.
{p. 55} Come anche i medesimi, se non sono tenuti da qualche degno rispetto, gridano pubblicamente contro le Commedie della terza sorte, cioè, che si fanno al parere di Beltrame per alcuni rigiri; e temo, che egli voglia significare (accetto la riprensione, se non indovino) le molte bruttezze, e le gravi scelleragini, che si conducono a fine molte volte con la scusa, e con la coperta di una Commedia. O scellerata ipocrisia dell’onestà, o vergognosa maschera dell’impudicizia, o vituperoso velo di una moltiplicata iniquità. Qualche lascivo Amante si gira, e si rigira a modo di uccellaccio grifagno per far preda di semplici Colombe, e per dar cibo, e pastura alle sue sfrenate, e affamate concupiscenze: con la Scena tratta quel brutto negozio, e con la Commedia conclude quel negoziato, che poi gli bisogna cangiar in Tragedia, o penitenziale, o Infernale.
Orsù dunque non crediamo noi a Beltrame, quando scrive, che non si biasimano le dette tre sorti di Commedie; perché si riprendono per lo più, quando sono degne di riprensione: e se tal volta non sono riprese, l’esenzione non è giustificazione; la loro malizia precisa e per se stessa è una sonora tromba di vitupero a loro pubblica, e eterna condannazione.
Credo in oltre, che il giudizioso Lettore non accetti per vera quella particella, con che Beltrame dice, che le sue Commedie Mercenarie siano fatte con più riguardo all’onestà, che quelle di certi Giovani; perché nelle Commedie di Beltrame non mancano pubblici, e brutti trattati, disonesti ragionamenti, atti impudichi, e altre oscenità molto ripugnanti, e offuscanti il bel candore della Pudicizia.
Concludo, e rispondo al Dubbio direttamente, affermando che si biasimano le Commedie Mercenarie, e le Accademiche, e le altre fatte gratis, quando sono degne di essere biasimate; perché chi scioglie la lingua del biasimo, o tempra la penna, della riprensione in questa comica materia, ciò fa contro tutte le Commedie poco oneste, o siano fatte da Comici Mercenari, o da’ Sig. Accademici, o da altri,troppo licenziosi nel Teatro, i quali certo meritano di essere moderati per onore del grande Iddio, e per spirituale giovamento di molte anime poco {p. 56} fondate nella virtù, le quali sdrucciolano facilmente nel peccato mortale, e concepiscono nel Teatro osceno quelle fiamme di oscenità, con le quali si fanno degne di ardere nell’Inferno per tutta l’eternità, essendo vera la sentenzaHo. 2. in 1. Mat. di Crisostomo. « Ad concupiscentiam sermo Animam obscanus inflammat.
»
Punto decimo terzo
Se la Commedia oscena è tollerabile, perché corregge dal male, e insegna il bene
Bel fregio di gran lode convien si doni a chi nell’ufficio di Precettore soddisfa tanto felicemente al suo debito, che correggendo dal male, e insegnando il bene, non deturpa la sua correzionecon grave errore, né vitupera la sua dottrina con alcun inconveniente. E piacesse alla Divina bontà, che il Comico osceno fosse un buon Maestro, e che l’oscena Commedia fosse un ammaestramento fincero di pura correzione dal male, e di pura instruzione al bene; certo che sarebbe tollerabile, anzi desiderabile, almeno per accidente, a fine di spuntar un chiodo con un altro chiodo, e di cavar una spina con un’altra spina: ma la pratica del negozio riesce molto diverfa dalla supposta intenzione: e si avvera la sentenza di S. Buonaventura. « Virtus cum vitio non docetur.
»de insor. novit. E se i Comici vogliono insegnare il bene; perché non trattano spesso del bene, e non dei male? Perché non lasciano le materie lascive, e la loro lunga spiegatura; trattando le oneste materie della Pudicizia, e dell’altre Virtù Cristiane? Sono scuse vane, e indegne di esser sentite. È vero, che Beltrame nel c. 20. scrive, che la Commedia non è inventata per sviar le persone dal ben’operare; ma per distorle dal vizio. Quando il Cirugico cava sangue all’uomo, l’intenzione non è di levarli il vitale, ma il putrefatto: se poi mescolato col putrido qualche poco di buono ve n’esce, pazienza: l’Arte mira alla purga, non al danno. E nel c. 22. pone per titolo. Che la Commedia divertisce le persone da molti errori. E poi nel discorso dice, che il frequentar le Scene distoglie il popolo dalle mormorazioni, dall’intemperanze, da’ ridotti, e da’ postriboli. E che ha sentito alcuna volta dire a tal persona. Ieri {p. 57} non potei venir alla Commedia; perché la tale mi trattenne tutto il giorno. Altri maledire il non essere stato alla Commedia, per aver perduto al gioco gran somma di zecchini. E Beltrame finalmente conclude quel capo
dicendo. Insomma a me pare, che la Commedia sia più tosto spada contro il male, che scudo contro il bene. Di più egli nel c. 16. mostra diffusamente, che le Commedie insegnano i buoni costumi. E nel c. 40. spiega, che levano le persone dalle male pratiche; e fanno, che si correggano da vizi.
Ma io rispondo, che questo Comico non discorre a favore della Commedia oscena, quasi che sia tollerabile; anzi nella Supplica sua la condanna, e fieramente riprende i Commedianti osceni; ma egli ragiona della Commedia assolutamente: è però vero, che si persuade, che le sue siano Commedie tollerabili, e senza riprensibili oscenità: mai io tengo con la comune opinione de’ Teologi, che molte, fatte alla Beltramesca, siano veramente oscene, e intollerabili; perché se bene in qualche parte paiono correggere alle volte qualcuno, e per un poco, dall’atto vizioso del gioco; o dalla rea conversazione con una trista Femminella, o da altro inconveniente: nondimeno con le loro bruttezze rappresentate, e con i Vizi pubblicamente, e smoderatamente proposti nella Scena sono lezioni, e istruzioni di molti, e gravi peccati per effettuarli. Onde Eusebio Cesarl. 7. de pra par. C. 3. scrive. « Si Theatra aliquis sequitur, in ipso malignitatis profundo mergitur
» : e l’Apostolo Santo avvisa a Timoteo. « Ineptas, et aniles fabulas devita
»Ep. 1. c. 4.. Guardati dall’uso di quelle Favole, che sono vane, e non recano alcuna utilità: e noi possiamo aggiungere, che molto più conviene guardarsi da quelle, che sono poco modeste, e perniciose.
S. Tommaso nel commento di questo avviso di S. PaoloLect. 2. in c. insegna, che secondo il parere di Aristotile, le Favole furono ritrovate da’ Savi antichi per ammaestrare i semplici alle Virtù, e per istruirli alla fuga de’Vizi. « Fabula, scrive egli, fuerunt in principio inventæ, ut dicito Philosophus in Poetica, quia intentio hominum erat, ut inducerent ad acquirendum Virtuteso, et vitandum Vitia: simplices autem melius inducuntur reprasentationibus {p. 58} quam rationibus. Unde in vero bene reprasentato videtur delectatio, quiaratio deleclatur in collatione. Et sicut representatio in factis est delectabilis, ita repræsentatio in verbis; et hoc est Fabula scilicet dictum aliquod reprasentans, et reprasentando movens ad aliquid. Antiqui enim habebans aliquas Fabulas accommodatas aliquibus verts, qui veritatem occultabant in Fabulis. Duo ergo sunt in Fabula, quod scilicet contineat verum sensum, et reprasentet aliquid utile.
» Vuol dire il Santo per conclusione, che le Scuole Poetiche devono contenere due cose; cioè un vero sentimento coperto con qualche similitudine, e un saggio di qualche bella, o gradita utilità.
Or qui dicono i Moderni Commedianti. Noi questo pretendiamo con le nostre Favole Teatrali; rappresentiamo, con tratti di similitudini accomodate all’Auditorio, la bellezza delle Virtù, acciocché siano amate, e la bruttezza de’ Vizi, acciocché siano fuggiti: così correggiamo dal male, e insegnando il bene. E io rispondo, che così procedono i Modesti Comici; ma non già gl’immodesti, e osceni; i quali se non con l’intenzione, almeno con l’operazione, e Azione piena, o almeno abbondante, di parole turpi, e di gesti osceni, insegnano il male in vece del bene; e non correggono dal Vizio i semplici, ma ve gli ammaestrano, e addottorano perché la pubblica Rappresentazione del Vizio, fatta senza la debita Moderazione,e su gli occhi di persone deboli di spirito, non è sferza, per farlo prestamente fuggire; ma sprone, per farlo avidamente seguire: e la Scena troppo oscena non influisce generose risoluzioni contro le oscenità, ma focose brame contro le purissime bellezze dell’Onestà: onde poco fondato si è il detto di chi dice. La Commedia Moderna oscena corregge dal male, e insegna il bene, perché si deve dire, che ella insegna il male, e divertisce dal bene: poiché cosi dicono concordemente i Sacri Teologi, e i Santi Padri: la dottrina de’quali meglio, che la spada di Alcide, tronca i rinascenti capi all’Hidra della Teatrale Oscenità. Adunque i Comici pensino bene questa sentenza di S. GregorioHom. 8. in psal. 100.. « Hostis noster tanta se arte palliat, ut culpas nostras {p. 59} Virtutes singat, ut inde quisque quasi expectet præmia unde dignus est æterna subire tormenta.
»
Punto decimo quarto
Si continua l'istessa materia
S. Basilio scrive. « AbsconditHo. Quod non simus affixi. se Dæmon,volut Latro: nec enim . quis aliter illi consentiret; nemo enim respiciens ad malum operatur: sed hoc aliqua circumvestum bonitate semper proponitur.
» Io fondato su questa sentenza, dico, che l’intenzione del giovare non è sempre genitrice del giovamento. Alcuni dicono di voler recar utilità, e poi partoriscono grave danno: tali sono i Compositori, e gli Attori delle Commedie oscene: sono ingannati dal Diavolo nascosto sotto il bene. Vogliono, che il diletto sia animato dall’utile; acciocché il riso non resti deriso; ma danno nel troppo indecente, e nello scandaloso. Propongono cose viziose, e brutte bruttamente, e con diletto; e poi dicono per l’utile, che così la Commedia corregge dal male: ma io dico, che riesce una vana correzione, e una vera scorrezione: onde non è temerità il dichiarar quell’utile essere una cosa perniciosa, e degna detta nota di mal fine, e molto nocivo: perché la Commedia oscena è il morbo, e la peste de’ buoni costumi, la fiera della carne, e la sentina di tutte le scelleragini.
E così dicono con buona ragione alcuni, secondo la relazione di Beltrame, a quali non risponde bastevolmente aggiungendocap. 14.. Quando si esamina la Commedia, non vi è questa peste, questa fiera, né queste viziose Azioni, che tal’uno descrive. E quando vi è il Vizio, viene castigato; le Ruffianarie punite; gli Amori conditi con buone sentenze, e poi onestati col Matrimonio. A questa aggiunta di Beltrame rispondo io co’ Dottori, che non è lecito rappresentare i Vizi, e le oscenità senza molta cautela, e senza la debita Moderazione: come ho dichiarato, e appresso dichiarerò più diffusamente. Ora torniamo a lui. Vi è, chi dice, scrive egli, che la Commedia è viziosa; poiché in essa si veggono Vecchi avari, Giovani sfrenati {p. 60}, Donne poco oneste, Servitori ladri, Fantesche ruffiane, e altri simili. E io confesso, che il dette è vero delle Mercenarie Commedie di oggidì e questo è illecito. Ma Beltrame nega, ciò essere illecito, e esclama nello stesso capo dicendo. O Dio immortale, e come si dee fare per correggere le persone viziose senza nominar il Vizio, e non mostrar la bruttezza di quello? Ciò solo si può fare, o in voce, o in iscritto, è veramente con le Rappresentazioni. Molti non vogliono sentire l’ammonizioni: altri non sanno, o non vogliono leggere: ma la Rappresentazione, che ha faccia di letizia, invita l’audienza; e poi la brama del diletto rapisce l’attenzione: e così inaspettatamente l’uomo vede il suo difetto, il quale poi viene biasimato, e deriso con l’ordine della Favola. Vuole questo Comico, che sia lecito rappresentare pubblicamente un Vizio; perché la Rappresentazione partorisce con diletto e con utile la correzione del vizioso. Ma i Dottori avvisano, che lecita non è tale Rappresentazione, quando si fa troppo spesso, troppo lunga, troppo indecentemente, e senza l’efficace modo correttivo; perché tale Rappresentazione è scandalosa. Con giudizio avviso lo Stradal. 1. Prol. 3. pa. 164.. « Ut hæc innocenter audiantur, non incomitata, e absque nota referenda sunt.
»
Io qui propongo una domanda popolare, etc. I Comici dicono. Si rappresenta il male, per insegnar il modo di fuggirlo. I Dottori concordemente dicono. Con la Rappresentazione del male, usata da’ Comici, non s’insegna il modo di fuggire il male, ma, la maniera di commetterlo. Noi a chi dobbiamo credere? Ogni semplice può rispondere. A Dottori. Io però non nego, che non si possa rappresentare qualche Vizio, massimamente col suo meritato castigo, per recar luce di accorgimento a’ trascurati: ma stimo, che si deve osservare il modo necessario alla cristiana Moderazione; come di sopra ho dichiarato intorno al proporre le oscenità; e qui aggiungo il sentimento del Sig. Fabio Albergati, ove dice.
« Perché la Repubblical. 7. della Rep. Reg. c. 10. Regia ha per fine la bontà de’ sudditi, le Rappresentazioni non saranno di cose brutte. E avvenga, che possano essere imitazione di gente ordinaria, e per le cose ridicole {p. 61} porger diletto ancora, nondimeno il riso si caverà da bruttezza non bruttamente palesata, ma con onestà: e così dove si vedranno costumi popolari, e imitazioni di atti biasimevoli in ciascuna professione, quivi anche dovrà apparire la correzione. Tal che se la persona prodiga, avara, o lasciva sarà imitata, vi si troverà insieme altra persona, che Vizi cotali, biasimando e la bruttezza loro dimostrando, preserverà le genti da’ Vizi, e nelle proprie professioni le disporrà maggiormente alla Virtù. Di ciò si potrebbe avere esempi nella Tragedia Ottavia, nella quale Nerone insolentemente le azioni tiranniche esalta; all’incontro da Seneca cotali opinioni nel medesimo modo sono riprese, e ributtate. Dovranno dunque le Commedie, e le Rappresentazioni e imitazioni delle genti ordinarie essere in maniera composte, che con artificio squisito porgano loro diletto, e insieme le dispongano, come è detto, a farsi migliori nelle loro professioni
».
Or qui ripiglio il discorso intorno allo scritto da Beltrame, e avviso, che le sue Commedie non osservano queste moderazioni nel modo necessario, onde non fanno migliori, ma peggiori gli Ascoltanti.
Di più dico, che non si deve, né si può rappresentar ogni Vizio; perché la Rappresentazione di alcuni Vizi; è scandalosa; e però essa nuoce più veduta, che non giova il castigo rappresentato. E tali sono, per l’umana fragilità di molti, i Vizi lascivi massimamente rappresentati troppo vivamente, e in più parole, gl’innamoramenti disonesti, i pubblici ruffianesimi, e altre solite oscenità del Teatro; nel quale chi segue per sua guida l’esperienza, non cammina da imprudente, né a capriccio: e noi possiamo dire, che sperimentiamo alla giornata, e in verità troviamo, che niuno, o pochissimi, e per una felicissima, e rara ventura, si emendano da’ Vizi, vedendoli rappresentare, e castigare nella Commedia: all’incontro sappiamo, che molti buoni si rovinano, e molti rovinati diventano peggiori, aggiungendo i triboli, e le spine all’erbacce, e all’ortiche già nate nel campetto del lor malvagio cuore. Adunque non riesce la correzione del male, né l’insegnamento del bene col mezzo {p. 62} della Commedia oscena; che però è scandalosa, e intollerabile.
Altre pure aggiunge Beltrame in quel capo 16. ma io credo, che non si accettino per buone da gli uomini dotti in riguardo delle comiche oscenità; perché egli discorre delle Commedie in genere, e io ne ragiono in specie, in quanto oscene contro le quali piego l’arco, e avvento le saette. Mi consento, che passi quel suo detto. La Commedia è Cronaca popolare; e come si può rappresentar Croniche senza dir la verità ? Si raccontano nelle Croniche le tirannie de’ Principi, i buoni, e tristi governi, il male, e il bene. E così si rappresentano i casi in Commedia. Ma io rispondo, che come la Cronica dice la verità secondo i termini prescritti da’ buoni Politici, e da’ savi Moderatori; così la Commedia, per essere tollerabile, deve rappresentare i casi con la debita Moderazione prescritta da’ Dottori, i quali vogliono, che sia purgata da ogni scandalosa oscenità.
È notisi, che non tutto quello, che si scrive in una Cronaca, si può lecitamente rappresentar in una pubblica Scena; perché ad altre leggi soggiace la pubblica, e moderata Rappresentazione della Scena; e ad altre l’autentica scrittura della Cronica. Se l’atto carnale si può scrivere, non si deve pubblicamente rappresentare. Non nego che chi descrive con arte una cosa, la può mostrare col suo contrario, per farla meglio spiccare ; ma non deve far ciò in modo, che ne segua scandaloso inconveniente: e però se un modesto Comico vuole insegnare i precetti della Pudicizia, non s’accinga all’impresa con rappresentare in pubblica Scena cose viziose, e impudiche senza la debita Moderazione; perché cagiona scandalosa tentazione a molti Spettatori, che non sono forti Guerrieri nella battaglia contro le disoneste impurità. Quindi avviene, che ancor i Sacri Dicitori sono ripresi gravemente da’ Savi, quando nelle prediche popolari nominano alcuni Vizi; o si servono di parole troppo significanti; o spiegano certi artifici usati da tristi nel peccare; perché insegnano il malvagio operare, e pongono in vizio le semplici persone; tutto che essi non vogliano questo, e abbiano {p. 63} un fine per altro eccellentissimo. Io abitai una volta in una Città, ove un Religioso predicava con gran concorso: ma che? Senti un giorno dirmi da un prudente, e grave uomo. Io non torno più ad udirlo: predica in modo, che insegna le malizie: addottrina nella maniera di far l’amore: no no, non vi torno più.
Aggiungo, che li Scrittori stessi de’ casi di coscienza intorno al 6. Precetto, e i libretti di Confessione, si devono leggere con molta cautela, e per giusta cagione: perché alle volte con l’espressione di certe cose eccitano specie turpi, e efficaci motivi al peccato. E molto più cautelatamente si deve procedere nel leggere i libri poco modesti della mondana Vanità, Cavalleria, e Amore; i quali piacciono tanto, e tanto nuocono alla misera Gioventù del nostro tempo. Ora chi potrà credere, che la Commedia oscena insegni il bene, se la sua viva Rappresentazione è più efficace ad insegnar il male, che non è l’imprudente parola di un Dicitore, e la disonesta lettura di un libro osceno? Chi non è cieco, giudichi di questo colore.
Punto decimo quinto.
Si conferma il medesimo.
Al Primo comparire di una Compagnia di Mercenari Commedianti in una Città, chi dicesse al popolo. Allegrezze o Cittadini, allegrezze. Già li sformati costumi della nostra Patria si correggeranno; perché sono venuti i Commedianti, che con le Comiche loro faranno le Commedie; e così correggeranno i viziosi dal male, e insegneranno a gl’ignoranti il bene; onde la Città tosto si vedrà fiorire con le bellezze delle Cristiane Virtù. Chi ciò, dico, dicesse, farebbe, credo la parte di falsa Cassandra, e meritamente non sarebbe creduto. E pure alcuni Protettori de’ Mercenari Commedianti vogliono, che le Commedie correnti d’oggidì, e ordinarie, cioè le oscene, siano tollerabili; perché correggono dal male, e insegnano il bene: ma io dico con l’autorità de’ Dottori, e con le ragioni, che non sanno tal correzione, né insegnano tal dottrina {p. 64} : e per una bastevole prova del detto basta il fare alla sfuggita un poco di riflessione a’ Comici stessi, e alle Comiche loro: perché comunemente non sono persone piene di tanta santità, né abbondanti di tanto zelo di anime, che si curino molto, o molto pensino alla riforma de’ costumi, alla correzione de’ Vizi, e agli ammaestramenti della perfezione. Non è temerità il dire, che non sono Crisostomi della purità, ma Demosteni della sensualità. E se io dico troppo, mi riporto alla censura, e al sentimento comune de’ più sensati, e virtuosi; e chi segue cotal sentimento, non urta nello scoglio degli errori.
Un grave, e Religioso Teologo moderno dice in latin ad un Comico Professore ciò che io qui riporto in ItalianoD. Franc. Maria del Monaco in Parenesi pag. 47..
« Che maniera di medicare è questa: bere la morte, acciò che tu ti vomiti il veleno? Volere, che altri veggano tra le caligini, mentre tu spargi le tenebre contro tutti? Ma non vedi tu, che fai peggiori i cattivi, mentre fingi i Vizi; e rovini i buoni, mentre rappresenti loro le bruttezze? Ohimè qual magistero è questo, proporre avanti gli occhi i Vizi con gran diletto, acciocché\ tu ammaestri gli Spettatori alla Virtù? Mentre per mezzo degli Adulteri; che tu trami, insegni a’ Mariti, che si guardino da’ Servi, come da’ Ruffiani; non insegni tu parimente a’ Servi il modo,con che possono ingannare i Patroni? Mentre istruisci il Padre, acciocché custodisca la Figliola, non mostri tu insieme a lei la maniera d’ingannare il Padre? Se le persone spettatrici applicano a se le cose da te rappresentate, le Matrone si faranno Meretrici, i Servi Lenoni, i Coniugati infedeli, le Fanciulle impudiche, gli Uomini Adulteri, e i Giovani diventeranno sfrenati. Deh cessa dall’insegnare in cotal modo; noi non abbiamo bisogno del tuo magistero. La Virtù a bastanza s’insegna nelle Chiese; da’ sacri pulpiti bastevolmente sono informati per l’acquisto de’ buoni costumi i Giovani Cristiani; e bastevolmente sono ripresi i Vecchi, sono esortati i buoni, sono avvisati i cattivi, e sono spaventati gli ostinati, sacrileghi, e perversi. Tu stimi di fare, che i Giovani amino l’aspro cammino della Virtù, mentre proponi loro i lenocini, gli amori, e gli allettamenti della carne? Tu credi, che {p. 65} i Fanciulli per mezzo tuo s’innamoreranno dell’onestà, mentre scorgono,che tu la scacci lungi dagli Spettacoli? O Dio vi salvi, o gran Maestri delle Virtù: voi Buffoni, voi Istrioni. Certo che le Città, e le Repubbliche hanno a voi tanto di obbligazione, quanto di pudicizia avete portato loro, e quanto di decoro. O veri Fedeli di Cristo, e chiamati da lui nel suo meraviglioso lume, lasciate a’ Gentili l’approvare questi magisteri nelle loro Commedie, poiché essi non conoscevano
migliori Maestri, e cercavano tra le sporchezze delle turpitudini le false gioie delle apparenti virtù. Voi o Fedeli voi, se avete veramente desiderio di virtù, mirate Cristo, mirate le illustri azioni de’ Santi Martiri, e gl’esempi delle Sacre Vergini: e indi cercate di prendere vigore di Fortezza, senno di Prudenza, splendore di Pudicizia, e d’Onestà. Non ha bisogno di osceno Commediante per Maestro della Virtù, chi ha Cristo, e i suoi Santi per ottimi istruttori.
»
Aggiungo al suddetto quel poco, che il P. Famiano Strada scrive contro chi professa di far vedere i Vizi, acciocché. « Et mihi, dice egli, aliquis rerum imprudens pertinaciter obnitatur, ac Vitia suis ex tenebris extrahenda clamet in lucem, quo facilius tetra, turpisque eorum facieso fugiatur? Quid, si extracta, oculisque obiecta potius amabitur? Quid, si si a te nec turpis, uti decurti, nec, quod inde sequitur, fugienda proponitur? An malo remedium facies, posteaquam in venas, ac viscera virus infuderis?
»
È antica querela delle persone zelanti contro Comici Mercenari; che sono più perfette quelle Città, o terre, ove non vanno i Comici, di quelle, ove i Comici sovente soggiornano. Adunque le Commedie non correggono dal male, né rendono perfetti nel bene gli Auditori. Beltrame nel c. 37. risponde a questa querela, e obiezione, ma tanto fiaccamente, che non punto snerva la sua forza, né il suo vigore; perché il dire, come egli dice. Non vedo e non mi pare, è uno scudo molto debole, il qual non spunta la punta dello strale di una buona obiezione. E se bene scrive prima, che il suo parere si fonda nella quotidiana esperienza, nondimeno manca nel provarlo. Anzi si {p. 66} può dir contro il suo detto che l’esperienza quotidiana prova il contrario; e è spalleggiata dalla ragione: perché ove non vanno i Comici, si pecca per le comuni occasioni, e per li soliti motivi; ma ove soggiornano i Comici osceni, si pecca per que’ rispetti, e di più per li molti, e molto efficaci impulsi nascono dal vedere, dall’udire, e dal gustare le Teatrali oscenità. Onde s’inserisce, che le osceniche Rappresentazioni de’ Moderni, e Mercenari Commedianti non correggono i Vizi ma li fanno nascere, e nati li nutriscono, e fomentano grandemente. O pure diciamo: se a caso correggono qualche Vizio in uno, porgono occasione a molti di moltiplicarne le centinaia. I TeatriLib. 1. de Consensus Evang. C. 33. antichi, dice S. Agostino, e il P. Teologo Rainaldo lo applica a’ Teatri moderni, sono, e erano « Cave e turpitudinum, publicæ professiones flagitiorum
». Pubbliche scuole di scelleratezze; nelle quali purtroppo fa profitto vizioso, con scapito dei virtuoso profitto, la cieca Gioventù del Cristianesimo, e quelle persone anche vecchie, o di mezzana età, che amiche dell’ozio, e dei senso, vivono tra’ cittadini quasi vittime consacrate ad una miserabile, e continua languidezza di spirito, e di virtù: e questi sono molti; e da questi molti si fanno per ordinario in una medesima Città più peccati nel tempo, che vi dimorano i Comici moderni, che in altro tempo. O che sensualità si commettono all’ora, o che mormorazioni, e parolacce si odono; o che discordie nascono; o che scialacquamento si fa di roba; o con quante indecenze, e turpitudini macchia la quotidiana conversazione; o quanto facilmente insomma, e frequentemente si getta dopo il dosso la necessaria osservanza della Divina Legge, e la cristiana perfezione. Adunque le Mercenarie e Moderne Rappresentazioni oscene, benché dilettevoli siano, e gustose, e abbiano qualche giovevole moralità, non correggono i Viziosi, ma li fomentano e li fanno comparire brutti mostri di più sfigurato visaggio, e di più sparuta figura. E la ragione si è, perché il giovamento della Scenica Moralità è poco, e è quasi nascosto: ove il diletto è molto, e è scoperto: e questo si conosce da tutti, e da tutto vi si corre: e quell’altro è conosciuto da pochi, e da pochi è prezzato {p. 67} : e però nello pratica scuopre poca forza per correggere i Viziosi.
« La Moralità nella Commedia, scrive Beltrame, c. 11. è come il pane nella mensa; e il diletto è come rimanente, che adorna la tavola: mai non si moverà alcuno di casa sua, per andar ad un convito a mangiar pane; ma ben muoverassi, o per la conversazione, o per la diversità de’ saporosi cibi: ma però non si fa convito senza pane. Il limite avviene della Commedia: non s’invita mai alcuno alla Moralità, né a documenti, ma alle cose gioconde, nondimeno non si recita senza il buon esempio.
»
Questo Galantuomo discorre per noi, e mostra di voler dire così. In un banchetto niuno attende a satollarsi di pane: niuno vuole soddisfare all’appetito suo col solo pane: tutti attendono gustare le delicate vivande, e i preziosi vini; e se ben tutti mangiano del pane; nondimeno da tutti se ne fa poco capitale, e poco vi si bada. Così nelle Mercenarie Commedie la Moralità vi è, ma chi se n’approfitta? Chi ne gusta? Chi la considera con giovevole riflessione? Niuno, o quasi niuno. La dove il diletto è l’incantesimo efficace per tutti; e a molti è anche la rovina spirituale. Qui vale il detto di S. Ambrogio. « Error in pluribus est in paucis correctio.
» t. 5. conc. In obitu Valenr. Dirò delle Commedie ciò, che dice Dionisio Halicarnasseo l. 2. delle Favole de’ Greci. « Pauca bona insunt ; nec multis prosunt, nisi qui scopum Fabularum intelligunt: qua quidem sapientia paucis contigit. Ceterum vulgaris turba, et rudis Philosophis tales sermones in deteriorem partem accipit, a nulla iniquitate, et turpitudine abstinens.
»
Dice questo Autore brevemente, che le Commedie hanno poco di bene, e giovano solo a que’ pochi, che conoscono tal bene; che del resto la moltitudine ignorante conosce; molto male, che hanno, e a quello attende, e impara molte bruttezze, e iniquità. Dichiara più diffusamente questo punto il P. Famiano Strada L. 1. Prolus. 3. pag. 108. dicendo. « Iam miseret me Platonis qui ex Republica, in qua tam sedulo ad virtutem undique incitamenta querabat, hoc exegerit Poetarum genus, quorum carminibus una eademque opera a viti abosterrere Cives, atque allicere ad onestatem {p. 68} suavissime poterat. Sed nimirum animadvertit Virorum sapientissimus, neutrum ab istorium Poesi expectandum esse: cum ex una parte Virtutes apud illos adeo lenocinis oppressa lateant, adeo ambigue, et quasi dissimulanter exerant se se, ut eas secernere atque internoscere haudin promptu habeant Adolescentes; intentique ad oblectamenta, quibus illa atas facile capitur, meras cum vitis voluptates hauriunt, magno, non Adolescentia modo, sed totius vita mato: quando, qua in ea atate accipuntur altius inharere ac difficillimè eradicari consuenerut. Ex altera vero parte ita Vitiorum species emineant, offeranto; sese blande atque in primaris onestifque Viris collocatæ faciem quasi onestam induant, ut, quos ad illa cognoscenda semel allexerint, eos ceterorum oblitos ad amplectenda quoque et imitanda non raro invitent.
» Questo Autore così discorre de’ Poeti; ma tutto vale anche de’ Mercenari Comici Recitanti; massimamente che molti di loro sono Compositori poetici delle Commedie.
Dunque la Commedia d’oggidì con un poco di Moralità nascosta, incognita, e poco fruttuosa, porta seco molto diletto manifesto, conosciuto, e molto nocivo. Dunque l’oscena Commedia non è tollerabile, ma intollerabile, e perniciosa. Con tutto ciò a nostro tempo meritano lode que’ Comici virtuosi, che procedono a somiglianza degli antichi Filosofi, e de’ savi Precettori di Moralità; e come quelli ammaestravano i semplici con figure, con favole, e con invenzioni facete; che però Platone trattando di cose gravi, aggiunse. « Iocum quendam inte sere his oportet; magnaque parte prolixæ fabulæ uti: nam fabula, quod pueri solent, accipitur arrectis auribus
».de Regno. Così essi ammaestrano i Viziosi alla Virtù con facezie oneste, e con Favole piene di piacevolezze, ma vote in tutto da tutte le scandalose oscenità: da che segue, che la Commedia è lecita a loro per la Moderazione; e a gli Ascoltanti è gradita per lo diletto: e a tutti è giovevole perla Moralità: e così dir si può, che la Moderata Commedia divertisce le persone da molti errori; e che per la Commedia, se non s’inganna Beltrame c. 23., mille se ne correggono: poiché alcuni si tolgono da’ ridotti, e dal gioco altri {p. 69} dalla conversazione con le perdute Femmine e altri da altre occasioni prossime di grave peccato. Onde la modesta Commedia meritamente si può nomar canora tromba all’abbattimento del male, e generoso invito al godimento del bene: o pure arringo di Virtù, e fuga di Vizio, per conquistar una bella corona di Teatrale onore tra’ Commedianti modesti, lodevoli, e virtuosi.
Punto decimo sesto.
Se quando la Commedia ha l'Argomento spirituale, ovvero istoriale; e si propone nel Cartello d'invito, come un'Opera bella, e grave, sia tollerabile.
Un’opera d’ingegno, colorita con la Virtù, e abbellita, con il grazioso cangiante dello spirito Cristiano, merita una Scena d’oro, e un palco d’avorio, per essere con degna, Azione rappresentata a numerosa, e nobile radunanza di virtuosi Spettatori. Onde il presente Dubbio con la sola proposta suggerisce la risposta a suo favore, e si può dire, che la Commedia intitolata, Opera bella, e grave, non solo è tollerabile; ma di più è lodevole molto, e molto amabile. E io godo di aver inteso da un Personaggio savio, e molto pratico di un fioritissimo, e popolatissimo Regno, che ivi si fanno Commedie gravi di belle istorie, le quali riescono Opere nobilissime. Vi è solo un difetto, che pregiudica non poco al tutto; e è, che all’ultimo se ne fa una tutta ridicola, turpe, e oscena. E se questa ombra denigrasse alquanto le Scene di quel Teatro, certo che tutto farebbe lucidissimo.
Ho parimente saputo da un amico, e prudente Vecchio, che in una Sereniss. e principalissima Città d’Italia, circa già cinquant’anni, alcune Compagnie di virtuosi Commedianti Mercenari facevano le loro Azioni rappresentando solamente istorie bellissime, e gravissime; e riuscivano con gran lode, e guadagno degli Attori, e con molto gusto, e plauso degli Spettatori; perché si usava con somma diligenza la purga da ogni minima, e oscena imperfezione. O piacesse a Dio, che l’oro di {p. 70} quell’età nascesse di nuovo nelle miniere de’ moderni Commedianti. Molti di loro, massimamente:i principali, professano d’abitar sotto un Cielo sempre purgato da ogni illecita oscenità; ma la censura de’ Dottori li condanna, e prova con efficacissime ragioni, che il moderno, e Comico Cielo non è in tutto, sereno, « ut oportet
», come bisogna; ma dimostra la faccia ora lucente, e ora annuvolata. Voglio dire. I nostri moderni, e mercenari Comici rappresentano talvolta belle storie con ingegnose Favole, e con orditure graziose, sotto il titolo d’Opere degne di onorato plauso, e di molta lode: e io per questa diligenza, e fatica li stimo con la comune de’ Teologi, degni di mercede, e di comendazione; ma quando poi frappongono nel Recitamento Intermedi osceni, ovvero nelle Scene dell’Opera fanno vedere gesti da vituperosi Mimi, e udire detti da infami Buffoni: e usano altre cose turpi, e scandalose, certo si rendono degnissimi di vitupero, e meritano di esser castigati, o almeno ridotti a termini prescritti da S. Tommaso, e da gli altri Dottori, secondo la Cristiana, e necessaria Moderazione. Questi imitano con qualche proposizione l’astuzia di Pompeo, il quale temendo la distruzione del suo Teatro, vi aggiunse, e dedicò un piccolo Tempio a Venere; onde Tertullianode Spect. C. 10. scrisse. « Opus Templi titulo prætexuit, ac disciplinam superstitione delusit
».E de’ Comici osceni può dirsi. « Comædiam operis pulchri titulo prætexuerunt, ac disciplinam obscænitate deluserut
».
Io ne’ giorni, che Mercenari Comici recitano alla Città, sento alle volte tali cose da molti, che frequentano il moderno Teatro degli Attori anche principali, che credo, non errerebbe, chi senza dubbio, e senza temerità dicesse, che le Azioni loro intitolate Opere, sono affatto illecite di essere rappresentate nel modo, che le rappresentano in presenza di molti Giovani, e di altre persone, che vivono a guisa di deboli, e piccole piante, e non come forti, e grandi Abeti, nel campo della Virtù: e la ragione si è; perché, come piacciono, e forse giovano con l’argomento a molti, così dispiacciono a’ Virtuosi, e nuocono a molti con l’oscenità.
Non {p. 71} so, se si debba credere pienamente ciò,che l’anno 1641 mi fu esposto in voce da un Personaggio dotto in Teologia, e molto pratico del mondo: cioè, che i moderni Commedianti usano arte di fare ne’ giorni Festivi, e ne’ Venerdì Azioni chiamate Opere; acciocché per tutte le Città, e Paesi più facilmente sia loro concessa licenza di recitare anche ne’ detti giorni; poiché alcuni Signori Superiori la negano; e acciocché allettino le persone dotte, e giudiziose ad andare al Teatro per udire, non già una zannata, ovvero una Commedia ridicolosa, e buffonesca; ma un’Azione grave, bella, e degna di saggio, e erudito Popolo spettatore. E riesce l’intento a questi Galantuomini; perché molti Personaggi qualificati dicono liberamente. Io vado alle volte alla Commedia, quando si rappresenta qualche Opera, con la quale godo un poco di modesto passatempo. E così disse anche a me l’anno 1644. un uomo virtuoso, e di sperimentata bontà, significandomi, che quanto aborriva l’indecenza delle parole, e de’ gesti de’ Comici osceni, tanto godeva di sentire una bella istoria bene rappresentata, e la quale udendo con allegria passava il tempo. Ma la verità si è, che si getta, e non si passa il tempo; perché per ordinario l’Azione, e l’Opera non è pura a modo di cristallino fonte; ma s’intorbida, e si deturpa col lezzo delle oscene parole, e de’ gesti osceni. Bisogna confessar alla fine, che l’Opera è molto male operata per l’immodestia; onde ella rende gli Attori operatori di cose indegne, e gli Spettatori colpevoli di viziosa cooperazione; e il tutto un brutto miscuglio, e un’oscena mercanzia di peccati.
Dunque per rispondere in breve, e direttamente al Dubbio dico. Non basta l’argomento spirituale, ovvero istoriale; né che si ponga nel Cartello il titolo di Opera; perché questo manto ricuopre molte volte intollerabili indecenze: e però si rivegga l’Opera tutta con i suoi Intermedi da giudiziosi, dotti, zelanti, e pratici Censori; e si purghi, bisognando, da ogni necessario difetto nocivo a’ buoni costumi; e poi si rappresenti, che sarà, credo, un’Azione degna del Cedro, e non dell’Olivastro.
Non {p. 72} voglio toccare con distinto Dubbio quell’Obiezione, che alcuni semplici fanno, dicendo. Se non si permettessero le Commedie oscene, pochi sarebbero i Comici, e poche le Commedie; né si potrebbe recitar ogni girono Azione nuova, come desidera il popolo; e come è necessario a’ Comici per mantenersi col guadagno quotidiano; perché pochi hanno ingegno, per far ingegnose, e modeste composizioni, e pochi potrebbero mandar a memoria tutta la loro parte ogni giorno, dovendo dire ad verbum modestamente, e cose nuove.
Rispondo. Tra’ Comici non mancano Valent’uomini d’ingegno, che possono comporre di loro talento alcune belle, modeste, e ridicole, o gravi Azioni; ovvero possono accomodare secondo le regole della modestia altre fatte da altri; le quali riuscendo di universale soddisfazione, si potrebbero fare, e rifare due, tre, o quattro volte, rappresentando ciascuna: come si vede avvenire tal volta con l’occasione del Recitamento, che si si di una bella, e modesti Commedia rappresentata, o in Musica, o in altra maniera Teatrale. E così i Comici mercenari reciterebbero ogni giorno senza troppa fatica, e con il solito guadagno.
Punto decimo settimo.
Se si permette la pubblica, e privata mostra delle Pitture, e Statue oscene; si può anche permettere la Commedia Oscena.
Non si fonda sul sodo, chi spinto dal suo posto ferma il piè sopra di un argine arenoso: la debolezza dell’arene malamente si cangia in gagliarda fermezza di stabile fondamento: crolla, e vacilla per tutto, chi per tutto mendica sostegno dalle canne, e non dalle colonne. Così per mio sentire, se non sento male, procedono coloro, che non potendo giustificare la peromissione delle oscene Commedie, ricorrono all’instanza delle Pitture e delle Statue indecenti, e dicono. Se si permette la pubblica, e privata mostra delle Pitture, e delle Statue oscene; si può anche permettere la Commedia oscena.
Io {p. 73} conosco, che la risposta al presente Dubbio mi dilungar ebbe troppo dal mio fine principale, che è di rispondere con questo Libro a molte Obiezioni: però rimetto il benigno Lettore ad un grosso Trattato, che circa questa materia ho già composto: e ove si vedrà presto, piacendo al Signore, la Moderazione necessaria per fare, o per tenere le Pitture, e le Statue oscene. Ora veniamo alla soluzione di altri Nodi, che non mancano per ragione del secondo Capo.
Capo Secondo
Delle Difficoltà prese da gli Spettatori. §
{p. 74}
San BernardoSerm. 28. in Cant. con avviso di zelante accortezza scrive di alcuni. « Plus tribuunt oculo, quam oraculo.
» E vuol dire, che antepongono il piacere della vista di qualche grato oggetto alla forza della voce di Dio, e del suo impero. E invero chi cade in questo errore, deve, da chi può, essere caritativamente soccorso, e aiutato all’emendazione. E molti Spettatori delle Teatrali oscenità, temo io, che a’ giorni nostri non siano da riporsi in cotal numero poiché vanno al Teatro dell’oscena Rappresentazione, e per non essere forti nella Virtù, e per non avere sufficiente ragione d’andare a vedere, e godere quello Spettacolo, vi peccano, e ripeccano in più maniere: e dove stimano trovar il diletto di quattro odorose foglie di rose, trovano il tormento di molte pungenti, e puzzolenti spine che trafiggono con mortali, e giusti rimorsi coscienze loro. Onde il Giardinetto di Diana si converte in Fucina di Vulcano.
So che essi portano molte scuse in luogo di buone Ragioni: ma io qui le voglio ponderare per via di Dubbi; e spero, che da’ Savi saranno conosciute piene di vanità, e meritevoli di essere condannate.
Punto primo.
Se sia lecito l'andare alle Commedie oscene, già che molti Confessori assolvono quelli, che vi vanno, o le permettono.
Gioia del tesoro di Cristo è l’assoluzione da’ peccati; e questa non si nega dal discreto Confessore quando a lui, come {p. 75} a celeste Tesoriere fa ricorso il povero, e ben disposto Peccatore. E però se molti Confessori assolvono quelli, che, vanno ad udirle, e a vedere le oscene Commedie; ovvero quelli, che le permettono senza buona ragione, devono conoscerli ben disposti per ricevere, come bisogna il beneficio dell’assoluzione. Così parimente si assolvono quelli, che vanno alle Femmine impudiche; e quelli, che, commettendo peccati di altra fatta, e conoscendo d’aver errato, se ne pentono, e vanno ben disposti al Confessore.
Ma forse la difficoltà del presente Dubbio vuol significare, che se bene alcuni non hanno volontà d’astenersi dall’andare alle Commedie oscene, nondimeno sono assolti da molti Confessori dotti, pratici, e spirituali, i quali non fanno loro scrupolo in questo particolare, quasi che non sia peccato grave. Rispondo. Se molti ciò fanno, io so che molti altri ciò non fanno; e lasciano di confessare quelli, che vanno alle Commedie oscene; ecco un caso in prova. Il Virtuoso P. Fr. Domenico Gori Domenicano era Confessore in Firenze di un illustrissimo Sig. Abate, che poi fu Eminentissimo, e esemplarissimo Cardinale. Questi fu condotto, non so da chi, né perché, alle Commedie pubbliche dello Stanzone; il santo, e zelante Padre lo seppe, e si ritenne d’andare ad udire la Confessione del nobile Penitente; il quale tosto lo fece cercare, e trovato, e venuto a se gli disse con affetto pietoso: « Padre perché m’abbandonate? » E sentì rispondersi con umile, e riverente libertà: « Signore quando io non vi confessava, non era solito vostro l’andare alle Commedie, ora, che io vi confesso, vi andate; pero dubitando io di essere la cagione di questo, ho lasciato di venire ad udire la vostra Confessione ». Udito quel parlare il Sig. Abate si pose in ginocchioni dicendo. « Padre non m’abbandonate, che io non andrò più alle Commedie ». Così propose, mantenne il proposito, e il savio Religioso seguitò poi di confessarlo con scambievole soddisfazione. Questo caso io seppi l’anno 1646. di Novembre in Fiorenza per scrittura di un Penitente del medesimo P. Gori, a cui egli stesso l’aveva narrato.
Io so poi d’altri Confessori che riprendono gravemente e cagionano {p. 76} grave rimorso a’ Penitenti, e a me piace molto più l’esempio di questi, non però condanno quelli, che assolvono; perché stimo, che rispondano con perfezione al debito loro; e che assolvano, e non facciano scrupolo per qualche opinione a loro probabile, e per qualche buona ragione degna di essere approvata; e quale approverei ancor io; poiché non tengo, che tutti quelli, che vanno alle Commedie oscene,pecchino mortalmente, ma che molti, e questi molti, regolarmente parlando, soni deboli spirito, e i poco fondati nella Virtù, niuno de’ quali io, secondo la regola comune, assolverei, perché chi non vuole lasciar, o schivare l’occasione prossima, non si può assolvere. « Quid ille, dice il Sig Cardinal de Lugo, qui vult manere in periculo morali labendi, non videtur habere propositum efficax non peccandi: ex obligatione enim vitandi peccatotum sequi videtur obligatio vitandiea, que tali necessitate secum trahunt peccatu, saltem quando moraliter possumus eas occasiones vitare.
»de pænit. D. 14. nu. 154. Tale si era quel Giovane scolaro il quale due volte si trovò presente alla Commedia disonesta, e del quale fu domandato a P. D. Uomo buono, se aveva peccato mortalmente se era degno della sacramentale assoluzione, caso che non volesse desistere da questo Spettacolo. E egli rispose affermativamente in quanto al peccato; e per conseguenza non si doveva assolvere, se non desisteva da simile volontà.
Questo parere è approvato da Girolamo Fiorentino nella sua ComediocrisiPa. 6. tit. An interesse Com. Sit mortale. Et quid de Cleric., ove scrive così al n. 29. « D. Homonus de bonis tomo 2. Consul Respons. 187.fol. mihi 450. hæc habet N. iuvenis ac Scholasticus bis interfuit Comedia turpia representanti Quesitum est a me. An peccaverit mortaliter: et si ab hoc Spectaculo desistere nolit, sit sacramentali absolutione dignus. Respondi affirmative. Nam regulariter Comedis turpia, et obscena referentibus interesse cum delectatione rerum narratarum; vel cum periculo morose delectationes, vel alterius gravis peccati, lethalem culpam secum involuit: ut proinde verum sit, quod ait Tertullianus in tract. de Spect. Comædias, et Spectacula, ut hodie fiunt, esse Diabolis retia, et etc.
Secus autem dicendum esse, quando ob solam vanam curiositatem, {p. 77} absque probabili periculo in aliquod peccatum mortale labendi, illis intersuisset, ut Sacra Episcoprum Congregatio S. Carolo rescripsit. Actus enimo, ut Theologi loquuntur, a fine specificantur, qui semper in humanis actionibus est attendendus.
»
Così discorre questo Autore; né il discorso di lui è malamente fondato.
Io ritornando al punto del dare l’assoluzione. Dico che, se alcun Confessore colpevolmente errerà nell’ufficio suo, Dio è quel Giudice, il quale « reddet unicuique secundum opera sua
». Troppo lacrimosi sono i casi di alcuni Confessori, che per assolvere, non dovendo le persone Penitenti, si sono dannati: mi rimetto al racconto delle storie. Ma se tal uno mi richiedesse. Non vi è qualche opinione probabile, secondo la quale un Giovane, o altra persona debole di Virtù, si possa assolvere, tutto che voglia andare alle Commedie oscene?
Rispondo. Io non ho ancor letto tale opinione: e credo, che non vi sia: e se vi fosse, io non la tengo probabile: onde né io, né altri, che sia del mio parere, dovrebbe, né potrebbe senza grave colpa seguir in pratica quella sentenza tenuta probabile da qualcuno. E la ragione si è, perché quando il Confessore pensa, che una sentenza sia improbabile assolutamente, e in ogni modo, non solamente non deve, ma neanche può senza grave colpa seguirla in pratica; perché opererebbe contro tutto il dettame della sua coscienza: vero è, che può lecitamente seguitarla, quando la stima improbabile solamente, « Speculative, et per rationes intrinsecas
», secondo la speculativa, e per vigore di ragioni intrinseche; « non autem practice, et per rationes saltem extrinsecas
», e non secondo la pratica, e per forza di ragioni almeno estrinseche, le quali sono l’autorità di alcuni Dottori. Questa dottrina ho io raccolta dalla risposta data da tre valenti Teologi pubblici professori di Roma al seguente caso.
Trovo un moribondo, che non poté, né può dar segno di penitenza; io so, che egli viveva bene, e frequentava i Sacramenti ogni settimana: non lo voglio assolvere né meno sub condizione; perché stimo improbabile la sentenza, che dice, {p. 78}« Posse in eo casu impendi absolutionem sub conditione. Queritur, utrum ego possim in tali casumeam relinquere sententiam, et sequendo contrariam absolvere sub conditione. Utrum etiam tenear ita facere, alioqui peccem mortaliter, nisi excuser ab ignorantia.
» Cioè, si cerca, se io posso in tal caso lasciar la mia sentenza, e seguitando la contraria assolvere condizionatamente. E di più si cerca, se io sia tenuto a fare così; altrimenti peccherò mortalmente, se non sarò scusato dall’ignoranza.
Nella lettera mandata a Fiorenza a di 7. di Gennaro 1643. per risposta al detto caso, il primo Teologo P. Giovanni de Luogo, promosso di poi all’Eminenza del Cardinalato, così scrisse. « Dixide hoc late ex quibus constat, me sentire, non esse probabile; nec posse absolui.
»Disp.17. de Penit. Sect. 3.
Il secondo Teologo P. Niccolò Baldelli scrisse più diffusamente in questo modo. « Si talis Consessarius absolute, et omni modo putat improbabilem dictam sententiam, non modo non debet sed neque etiam potest sine gravi culpa illam sequi in praxi quia operaretur in re gravi contra omne dictamen sua conserentia. Si vero cam putat improbabilem solum speculative et per rationes intrinsecas, non autem practice per rationes saltem extrinsecas, quæ sunt auctoritas aliquorum Doctorum, licite potest illam sequi: et ex charitate in casu posito etiam debet, ut ponat in tuto, quantum potest salutem proximi, eiusque extremo malo exhibeat medicinam, ut cumque probabilem.
»
Il terzo Teologo F. Ludovico Leto, Lettor pubblico de’ Casi di coscienza nel Collegio Romano, scrisse brevissimamente così. « Sentio in omnibuscum P. Baldello.
»
So, che scrive un Teologo moderno. « Iam Confessari opinionibus pugnant: si concedunt, laudantur, improbantu, si negant: sapientia titulus ab is hoc uno emitur: si quis minime scrupulosior videatur: Sacerdotes qui ea horrent, sape conuicis onerantur: honorantur; aut saltem placent, si ea adeant. Si e Confessaris alter prohibeat ad priorem appellant, qui concesserat. Si prior negaverat, alterum deligunt, qui permittat.
» Ma ora io dico nel caso nostro. Se vi è opinione alcuna tenuta probabile da qualcuno, che si possa assolvere una persona debole {p. 79} di spirito, la quale vuole andare alle Commedie correnti oscene, io la tengo improbabile ogni modo, intrinsecamente, e estrinsecamente; e però non devo, né posso praticata senza gravezza di peccato mortale.
Punto secondo.
Si risponde ad un'Obiezione.
Veggo, che forse tal’uno mi opporrà la Risoluzione 11. presa dalla seconda Parte del P. Diana nel tr. 13. ove cercando. An Confessarius teneatur sequi Pænitenti opinionem. se il Confessore è tenuto di seguitare l’opinione del Penitente, così risolve. Responde affirmativè. Tiene la sentenza affermativa, e cita Montesino Silvio, Basilio Pontio, Salas, Valenza, Azor, Villalobos, Suarez, Coninchio, e altri: del che reca questa sola ragione; « quia quoties Confessarius potest licitè absolutionem impendere, ad illam exigendam habet ius iustitiæ Pænitens» cioè; perché ogni volta che il Confessore può lecitamente dare l’assoluzione, il Penitente ha buona ragion di giustizia per esigerla . E aggiunge. «Hoc etiam procedit, etiamsi Confessarius falsam esse opinionem Penitentis existimaret; si tamen probabilis reputetur inter Doctores probata auctoritatis; ut docet Valentia, Sanchiez, Sancius, et ali: et hæc vera sunt in Confessario proprio, et non proprio ut sunt Regulares.
» Veggasi ciò, che scrive eccellentemente il Sig. Cardinal de Lugode penit. D. 22. nu. 41. 42. 43. circa questa difficoltà, alla quale io rispondo.
Passi tutta la dottrina proposta dal P. Diana, la quale, né in sé, né men nella sua ragione, ripugna al mio parere nel caso nostro di un Giovane, che, essendo debole di virtù, vuole andare alle Commedie oscene; prima perché non so, che vi sia opinione, secondo la quale egli possa essere assoluto. Secondo. Io non lo posso lecitamente assolvere, perché opererei contro ogni dettame della mia coscienza: dunque né egli ha ragione di giustizia per esigere da me l’assoluzione. Che se pure egli, o qualche persona poco fondata dicesse di tenere tale opinione: io dico, che non è probabile né per ragioni intrinseche {p. 80}, né per l’estrinseca autorità sufficiente d’approvati Dottori. (e questo richiede il P. Diana all’ultimo.) Onde resta, che io stimi, non esser vero, che molti Confessori dotti, pratici, e spirituali assolvano, e non facciano scrupolo a quelli, che poco fondati nella Virtù, e senza buona ragione vogliono andare alle Rappresentazioni dell’osceno Teatro; nel quale molti per una, o per molte ragioni possono gravemente peccare.
Un principal Maestro di Teologia mi disse una volta che quando qualche Gentiluomo lo richiedeva. Se poteva senza scrupolo andare alle Mercenarie, e correnti Commedie, rispondeva interrogando così. Che moto, e che affetto cagionano nel vostro cuore? Sono incentivo di mali pensieri, e di peggiori fatti? Sono stimolo di peccato a voi? Si. dunque non vi è lecito l’andarvi, né io vi assolverei, mentre non desistete da tale volontà. Buona regola era quella per la salute delle anime, e degna di essere da molti Confessori praticata: Se bene chi va alla Commedia oscena, può peccare per altre ragioni.
A’ Confessori che insegnano,ovvero approvano certe precisioni, con le quali dicono, che non è peccato mortale intervenire alle Commedie oscene, porge un buon consiglio D. Francesco Maria di Monacoin Param. P. 41., scrivendo. « Id unum consulerem ut Confessari, quique animarum curam gerunt, ne huiusmodi abstractiones aut pracisiones subindicent Pænitentibus: nec eiusmodi viam lascivis, et obscænitatibus aperianto: facile enim in tam brevi interovallo ab acuminum, et verborum ad rerum transitur oblectationem. Cito nos fallimus ipsos, cum lenocinia lur verba, prurit voluptas, ardet concupiscentia furit lascivia. Cito, quod exceptinibus pluribus docemus absolute pronunntiatur; et verba in oracula transeunt, prasertim cum voluptatis et sensui favemus. Cristiano populo Confessari nomen pro Numine est: eius est sepem, aggeremque ædificare, non suffodere. Et vocaberis Aedificator sepium. Isai. 9. At qui sepem ædificat, qui frequentare Theatra, stupraridere, adulteria discere, lasciuis oblectari, minime crimen esse dicit? I Quo anè pacto sepem edificat, qui docet, minime inhonestum ea adire tantum, si scandalum, periculumque caveatur? qui neque id Clericis erubescendum? {p. 81} Caveant ergo Confessari docere id, eamque enuntiare sentenziam, qua ut plurimum, et in pluriuso fallit rarò contingit ac vix. Certum namque est, multitudinem capi, rapi populum ad nugas has, excitari libidines, exardescere fomites inter lasciva, compositaque ad luxuriem colloquia Histrinum, Amantium Meretricularm. Dei o Administri in sententis edissrendis cum, quid docentes, omnibus pronuntiamus, non inspicienda unius vel alterius hominiso natura est sed plurium, communisque hominum conditio. Humana vero conditioni res est plena periculi, audire obscena, et obscenis nullatenus moveri; turpia, nec coinquinari; lasciva, et contineri, ridere ad inonestia, et onestatem servare; intueri in Faminarum vultus, et non conupiscere, e præsertim tempore, cum
plena amoribus aures illecebris pectora, nobilium Puellarum, Mulierumu simulacris oculi aut saltem earundem pro Scena agentium Meretricumlarum. Tot inTeatris discrimina Onestatis: et nos absolutè enuntiabimus. Nil lethale esse, Spectaculis intervenire? Mendaces illas audebimus aperire præcisines Mulieribus, Virisque qui vix bonum a malo norunt? Neque omnibus, uni: nec privatim, nec pubblice id dicendum.
» Lascio quello di più, che l’Autore addotto consiglia a’ Confessori; già che quanto ha detto merita d’essere nel cuore, come in Cedro ricevuto, e conservato.
Punto terzo.
Se l'imparare il bene è Ragione sufficiente, perché si permettano le Commedie oscene.
Alcuni, troppo amici delle oscenità Teatrali, si fanno scudo di questa Ragione; e per renderla più vigorosa, e forte l’appoggiano, quasi ad una salda, e stabile colonna, a quel vero, e comune principio. « Actus humani specificantur a fine
», gli atti umani prendono la loro qualità, specie, e natura in bene, o in male dal fine: e discorrono, a proposito della permissione delle Commedie oscene, e dell’andar a sentirle, in questo modo.
Si va per buon fine, cioè per imparate l’Arte di far belle, e ingegnose {p. 82} Azioni: e di recitarle con grazia, con naturalezza, e con tal modo, che ne segua l’applauso dell’Auditorio, e l’onor de’ Recitanti. Di più si va per imparare la virtuosa maniera di vivere con buona, e onorata civiltà, fuggendo i rappresentati Vizi, e abbracciando le proposte Virtù: il che si fa con molto piacere. Aristotile scrive, « Discere omnibus esse incundum, at cum voluptate, et oblectatione discere esse incundissimum.
»
Rispondo in due maniere: la prima con ricordare a’ Comici un poco di quel molto, che il loro Comico Pier Maria Cecchini ha stampati in Padova l’anno 1628. in alcuni fogli con questo Titolo. Frutti delle Moderne Commedie, e c. e dedicati ad un Serenissimo gran Signore; nel principio de’ quali dice.
« Le buone Commedie, cioè quelle, che sono di oneste materie, e da oneste persone rappresentate, sono di tanta conseguenza nelle popolate Città, che quasi potrebbero ad domandarsi, Anima, della Politica; poiché il gusto, che se ne trae, è tanto congiunto con l’utile, che quello, gareggiando con queste, par quasi, che il discernere, qual di loro sia maggiore, si renda, per cosi dire, impossibile: onde il dar nome alla Commedia di Precettrice, sarà forse il suo proprio.
»
Lascio il resto avvisando i Comici impuri, e Attori d’impure Commedie, che l’addotto loro Comico virtualmente li condanna, mentre professa, che l’utile d’insegnare, e d’imparare il bene deve si prendere dalle buone, cioè oneste Rappresentazioni, e da gli onesti Recitanti, e non dalle disonestà, che senza Moderazione rappresentate sono olio alla fiamma, e non cqua all’incendio; fanno seguire il Vizio, e non amare la Virtù.
Ma vengo alla seconda maniera di rispondere, e dico. A questa scusa mi par, che si convengano le parole di S. Agostino.Serm. 143. de temp. « Nostis prope omnes haec; sed pauci nostes in libris, multis in Teatris.
» E molto meglio quelle di S. CrisostomoSerm. In Isai.. « Ridicula excusatio: tectoria sunt ista. Fuci sunt, et deceptio.
»
Questa è una scusa degna di riso; e questi detti sono pieni d’inganno. I Commedianti osceni per certo non sono Mastri forniti {p. 83} di quell’eccellenza, dalla quale suol nascere il’primo ardore d’imparare secondo il pensier di S. Ambrogiol. de Virg.. « Primus descendi ardor est excellentia Magistri.
» Ma sono Maestri vili, infami, e di vita per ordinaria viziosa, e scandalosa. Come dunque possono insegnar il bene con profittevole giovamento degli Auditori? Temo, che con l’insegnar un poco di bene insegnino ancora molto male e però non sono da tollerarsi. Platone non restò di cacciare i Poeti; forse perché da loro si poteva imparar qualche male: e pure si poteva ancora imparar molto bene: or che dimostrazione avrebbe fatto contro i Comici disonesti? Seneca scrive, che I’Auditore, e Discepolo di tali Maestri non profitta nella Virtù con lo studiare; né torna dallo studio divenuto dotto ne’ buoni costumi, e graduato nella virtuosa MoralitàEp. 2., « sed reddit durior, ambitiosior, luxurio sior
». Ma ritorna più duro più superbo, e più lascivo.
Andò forse tal’uno per imparare il bene, e prendere un poco di piacere, ma in effetto imparò molti mali, e vi restò preso. Onde a lui, e a’ suoi pari si possono accomodare le parole del medesimo Senecal. de beata vita c. 14.. « Mala pro bonis potenti periculosum est assequi: ut Feras cum labore, periculoque venamur, et captarum quoque. Illarum sollecita posset est sape enim laniant Dominos ita etiam habentes magnas voluptates in magnum malum cuasere capræque cepere: qua que plures, maioresque sunt, eo ille minor, ac plurium servus est, quem vulgus felicem appellat.
»
Tacitol. 14. An. nota, « vix Artibus onestis pudor retinetur
». A pena con l’Arti oneste l’Onestà si mantiene: che si farà dunque «inter certamina Vitiorum» in mezzo delle battaglie, de’ Vizi, che da questi osceni, e viziosi Maestri sono rappresentati? Io temo, che si vedrà verificato il detto di quel Savio. « Eo quisquis malus ierit redibit pessimus: et boni, quibus illud iter igntum est, si casu aliquo ignari adeant, contagio non carehunt.
»Petrarca dial. 30. l. 3. Ep. 336.. E Isidoro Pelusiota scrive. Lo studio de’Comici fa, « non ut multi meliores reddantur, sed ut multi in scelus labantur
», non migliora molti, ma rovina molti; perché tutta l’Arte loro è praticamente indirizzata al nocumento; e come le Commedie rappresentano vivamente gli umani costumi; così Comici tristi sono {p. 84} vivacissimi esortatori alle scostumate maniere dell’umana vita.
Ma discorriamo un poco secondo l’esperienza personale, e propria di qualcuno. Confesso d’aver inteso, che tal’ora, Accademici vanno alle Commedie correnti, Mercenarie e oscene, per notare le tracce, già artifici, i motti, le sentenze, i gesti, e l’altre particolarità; per poi servirsene con garbo nelle occasioni de’ loro Drammatici Componimenti. Ma non posso già confessar d’aver inteso, che alcuni vadano alle Commedie disoneste, per diventar più onesti, più temperati, e più virtuosi. E però io prego uno di quelli, che ha frequentato più volte il Teatro osceno, che di grazia faccia tra se un poco di riflessione: che cosa di bene, e di Virtù ha egli finalmente sentito, e imparato: e all’incontro che cosa di male, e di Vizio ha udito, e appreso: questa piccola esperienza, credo, lo convincerà. Iol. 14. An. con le parole di Crisostomo lo posso avvisare, e pregare, dicendo. « Excute te reputans, qualis sias rediens a Spectaculis: si id feceris, nihil opus erit meo sermone.
»
Aggiungo questa altra esperienza universale. Veggasi un poco, se dopo il partir de’ Comici osceni da una Città, o da altro luogo, quelli, che hanno frequentato il Teatro, sono divenuti più casti, e più modesti, che non erano prima; o pure più licenziosi, e più lascivi. Temo, che si troverà con sperimentale dimostrazione, che l’osceno Teatro Mercenario è una pubblica Scuola, ove praticamente s’insegna, e s’impara la Disonestà: e tutto che i Comici professino d’ammaestrar i Cittadini alla vita della Virtù Civile con le dilettevoli, e modeste Rappresentazioni; nondimeno la quotidiana esperienza li convince tutti di manifestissima menzogna.
Non voglio tacere il caso avvenuto in Bologna, e dal Cecchino negli stampati fogli spiegato con questo tenore. Un Figliuolo di un uomo di qualche rilievo aveva per uso disordinato ordinariamente giocare: nella sera di S. Martino, dopo aver perduti i contanti, giocò, e perdè anche il ferraioloLXV ; onde li convenne al partire trovar Amico, che gliene prestasse uno, per non uscir di quel luogo nell’abito più proprio al suo {p. 85} merito, che alla sua nascita. Passo lo sfortunato, e forse,per divino volere, poco lontano dalla stanza ove le Commedie si recitavano, e udendo ridere, salì le scale, e se n’andò a far prova di correggere con il gusto della Scena il disgusto della perdita: onde applicatosi per poco spazio, vide uscir Orazio, il quale rappresentava per l’appunto quella Commedia, tanto sua., favorita del Giocator Disperato, con tanta squisitezza, e con tanti fruttuosi avvenimenti, che la perdita del denaro gli servì per acquisto di lui medesimo: posciachè vedendo Orazio fallito, spogliato, in disgrazia del Padre, aborrito da gli Amici, fuggito da tutti, e in fine vituperato da mille parti, richiamò la Ragione, e rimettendola al suo luogo, lascio, che ella levasse il dominio al depravato senso, il quale mortificato anch’egli da gli accidenti, che in Scena vide comparire, comportò libera l’andata dello sventurato a’ piedi del Padre, il quale conosciuto il pentimento, ad imitazione del Padre di Orazio, con gran copia di lacrime gli restituì la sua grazia. Onde il Sig. Cavalier del Giglio, e il Signor Flaminio Sementa mi ebbero, quasi piangendo, a dire, che la Commedia in mezz’ora aveva fatto quello, che mezza la Città in molto tempo non aveva potuto fare.
Dopo questo Racconto il Cecchino aggiunge. Infiniti sono i beni, che procedono dalle Scene. E io non riprovo, né tal racconto, né tale aggiunta; perché si parla di Commedie modeste, e non d’oscene; però segue a dir bene il medesimo Comico, dicendo. Non si può dimeno di non introdurre i beni nella Scena con giochi, e scherzi, al fine che le Commedie non si rendano schife, e noiose. Credami ogn’uno, che non c’è passatempo di maggior gusto, e manco spesa della Commedia; la quale ben considerata contiene tre fini, esempio, riposo, e risparmio. Levinsi pure alle Commedie le materie inoneste, le parole oscene, e gli atti schifi, che io vi costituisco il Comico in un dato da doversi invidiare da ogni secolare condizione.
Io ora dico. Notino bene i Mercenari Comici impuri quelle parole. Levinsi le materie disoneste, etc. E si vergognino d’insegnar le impurità nella Scena con eterno loro vitupero {p. 86} per sentenza de’ medesimi Comici, professori di Cristiania Onestà.
Ricordo poi agli Accademici, e agli altri desideri d’imparare, che, parlando regolarmente, poco giovano ai loro desideri i Commedianti osceni, perché i Componimenti fatti da quelli sono per ordinario, come dice il P. MazzarinoRag. 110. litt. X., farina di uomini ignorantissimi: la sedacciano d’improvviso col sedaccio, di lingua plebea, stile triviale, artificio giullaresco, e reggimento di corpo da Buffoni.
A chi vuole veramente addottrinarsi nelle Drammatiche Composizioni, non mancano molte buone Azioni approvate, stampate, e migliori assai delle oscene; e le quali possono recar onore, e autorità con la loro imitazione. Vero è, che i Commedianti poco modesti usano spesse volte gli Argomenti, e le tracce delle modeste, e buone Composizioni; ma poi le guastano, e rendono oscene con le loro aggiunte, o mutazioni impure: e forse perché o non sanno fare tante nuove Azioni, o non possono faticare, quanto è necessario, per recitar le altrui nuove, modeste, e graziose. Ho conosciuto in Sicilia nella Città di Palermo un ottimo, e zelante Religioso, che per opporsi al danno cagionato nel Popolo dalle Commedie oscene, si perse alla fatica di comporre modeste, e ottime Commedie: e composte le offrì a Commedianti per recitare. Que’ Galantuomini volentieri ne presero una, e la recitarono con molto concorso, e con grande applauso: ma poco dopo ne recitarono un’ altra delle loro oscene con grave cordoglio, e con giusto sdegno di quel zelante Religioso. Tutto fu, perché in quelle del servo di Dio, benché facete, indifferenti e belle, bisognava faticare più dell’ordinario nel mandare a memoria, e negli altri apparecchi: ove nelle loro dicevano all’improvviso gran parte, e sapendo, che le oscenità dilettano, vi sdrucciolavano senza fatica volontariamente. Così procedono tutt’ora i Comici disonesti: vogliono faticar poco: dicono in prontoDe tribus Vir. In Theolog. d. 173. sec. 28. sibs. 7. : danno nelle oscenità; usano Commedie impudiche: e tali non mancano: poiché molti ne compongono molte. Un solo, scrive, Hurtado, compose mille Commedie triste, e pubblicò venti volumi {p. 87} ; e non fu castigato, meritando mille pene; poiché « plura peccata invenit quam mille Damones
» trovò peccati in numero maggiore, che da mille Demoni non furono mai ritrovai.
Voglio finire la risposta a questo Dubbio con un ricordo, e con un caso: il ricordo è il seguente.
Pochissimi sono quelli che vanno alle Commedie oscene, per imparare l’artificio di comporre poi delle modeste e più che pochissimi quelli, che vi vanno per imparare le Virtù, e la buona, e onorata Civiltà: e niuno, credo io, vi và, benché virtuoso, il quale non possa temere d’incorrere qualche pericolo dell’anima sua, quando non sia da molto buona ragione confortato ad andarvi. ll caso, che ora sono per spiegare, rinforza il proposto ricordo.
L’anno 1642. al 26. di Marzo in Fiorenza un Gentiluomo, personaggi virtuoso e dotato di bella, e erudita letteratura, e molto pratico delle Comiche Azioni, e assai intendente dell’Arte Teatrale, mi disse con sincera serietà. Io più, e più volte ho avuto pensiero d’andar a sentire le Commedia Mercenarie allo Stanzone con fine di udire que’ ridicoli, che non trovo nelle Commedie stampate; e mai ho risoluto d’andarvi; tutto che io senta orrore in udire parole oscene, e in vedere gesti impudichi: e sempre ho detto nell’animo mio. E chi sa che esponendomi a quell’occasione di peccato, non vi cadessi per giusta permissione di Dio? No, no, non vi voglio andar: voglio fuggir il pericolo: « qui amat periculum, peribit
». Una fuga onorata dal luogo del peccato è una buona congettura della salute.
Mi aggiunse di più questo savio, dotto, e virtuoso Fiorentino. Le Tragedie si fanno per umiliare l’altierezza de’ Grandi, e le Commedie, per sollevare, e dar anima alla debolezza’ de’ Bassi. E perché i Comici Mercenari non fanno Azioni istruttive della Virtù, e lontane dalle oscenità? E perché non rappresentano in modi Viziosi, che ne segua ne’ Viziosi l’emendazione, e non il fomento, e la radicazione? Si possono fare Azioni bellissime, e fruttuosissime, ma il difetto si è, che moltissimi Comici sono ignoranti; e però spessissimo tramano un Matrimonio con brutte, e scandalose oscenità.
Punto quarto. {p. 88}
Se è buona la Ragione per tollerare le Commedie oscene, il dire che le Città, ove non si fanno, non hanno migliori i Cittadini.
La scintilla che presto non si estingue, cagiona tal volta un rovinoso incendio: e chi tarda il rimedio alla rovina, merita il titolo di trascurato, e il rimprovero della riprensione. Le Commedie oscene portano seco, non una scintilla, ma molte fiamme, con le quali sono cagionati molti incendi negli animi degli Spettatori deboli di Virtù: e però necessario si è, che non si tardi punto il rimedio a tali rovine e non merita d’essere accettata per buona quella Ragione, con che alcuni discorrono in questo modo.
Le Città, Castelli o Terre, ove non vanno i Comici a ricreare gli Spettatori con le Azioni oscene, non hanno i loro abitanti, e Cittadini più continenti, né più savi, né più perfetti che quelle, ove i Comici recitano per qualche tempo: e questo dimostrato è bastevolmente dall’esperienza: dunque le Commedie, benché oscene, non sono la rovina de’ buoni costumi nelle Città, e non cagionano maggior peccati. Beltrame al c. 34. dice. Se, dove non sono Commedie, gli uomini fossero più continenti, io mi sottoscriverei alla massima di quel Critico: ma tutto il Mondo è paese; e più differenza vi è tra gli uomini, e le donne nel parlare, e nel vestire, che nel procedere. E questo Comico tratta proposito questo punto nel c. 37.
Rispondo. È vero,che tutte le Città, Castelli Terre, e tutto il Mondo ha molti peccati, e molto gravi: e anche gli avrebbe senza le Commedie oscene: come in fatti gli ebbe, avanti che per malvagità del Demonio si usassero tra gli uomini gli Spettacoli, i quali sono chiamati da TertullianoDe Spect.. « Diaboli retia
», reti del Diavolo; e da Salvianol.5. de Provid. sono detti opere del medesimo. « Spectacula opera sunt Diaboli.
» Nondimeno, è anche verissimo per relazione de’ pratici, e per argomento della stessa, e chiara esperienza, che le medesime Città, Cestelli, e Terre nel tempo delle Commedie oscene sono per ordinario più del solito abbondanti di offese di Dio, e di peccati, massimamente di libidine {p. 89}, commessi con l’opere, con le parole, o almeno co’ pensieri. Oltre che quelle oscenità rappresentate, vedute, e udite da gli Spettatori, cagionano loro molti peccati anche dopo la partita de’ Comici e dopo che è cessata l’apparenza dell’osceno Teatro. Dunque « sicettera sint patria
», le Città, Castelli, e Terre, ove non sono queste impudiche vanità, hanno i Cittadini più continenti, più savi, e più perfetti. Né io per questo dico, che non si facciano alle volte per le strade, per le piazze e per l’officine, e botteghe de’ Mercanti, e degli Artisti peccati uguali, e anche maggiori, che non sono quelli delle Scene oscene: ma dico quello, che moltissimi dicono, e ridicono con gran senso, e con gran zelo; cioè, che nelle Mercenarie Scene del nostro tempo si pecca gravemente con molte, e varie oscenità:e questi peccati non hanno bisogno di tolleranza, né di fomento, ma di presta correzione, e di totale proibizione.
Punto quinto.
Se unο, che dicesse. Le Città principali si avvilirebbero senza le Commedie oscene, recherebbe buona Ragione per tollerare.
Nobilissimo fregio di buon Cittadino si è il zelo di conservar’ alla Patria l’onorato pregio, di che ella gode sotto il manto della grandezza, della nobiltà, e della reputazione. Ora chi crederebbe, che alcuni troppo amici delle Commedie oscene, per mostrarle tollerabili, ricorrono al puntiglio di preteso onore della Patria? E della quale, essendo principal Città, dicono liberamente. Chi volesse levare le Mercenarie Azioni impudiche dalle Città principali, farebbe loro un brutto scorno; perché le renderebbe simili alle Città ordinarie; onde elle non poco si avvilirebbero. Eppure gli altissimi Pini, e i grandi, e nobilissimi Cedri, non devono uguagliarsi all’ordinane piante de’ monti, o delle valli.
Rispondo. Piacesse a Dio, che i Commedianti osceni andassero solamente alle Città principali e non si fermassero mai nelle {p. 90} ordinarie: certo il danno da loro cagionato non sarebbe una pestilenza tanto universale, quanto si è. Non sarebbero Meduse perniciose a tanti Spettatori: ma la verità quotidianamente veduta porta seco l’assenso universale, e è, che i Comici nello spazio, di un anno vanno a molte Città principali e a molte ordinarie: e così le principali sono avvilite secondo la proposta ragione perché sono fatte simili alle Città ordinarie nel ricevere le Commedie de’ Recitanti osceni con pochissima loro reputazione, e con moltissimo danno spirituale alle anime de’ propri Cittadini.
Ma che ragne è poi questa. Le Città principali si avvilirebbero ? Dove si fonda? E pure fu una volta a me proposta da un uomo di gran giudizio. Io per mio credere tengo, che le principali Città fondino la gloria loro, non nel dar ricetto guadagno a persone vili, e Teatrali, quali sono gli osceni, e Mercenari; Commedianti; ma nelle perfette Virtù, e nella vera Religione de’ Cittadini, i quali aggiungendo il valore delle armi, e il pregio della letteratura alla buona Politica, e alla scienza de perfetto, e Cristiano governo, illustrano la patria con notabile accrescimento di gloriosa fama.
Scrisse per acconcio di questo con, giudizioso brevità la penna d’oro del Greco, e Ecclesiastico Oratore Crisostomoho. 33. in Gen.. « Civitatis magnitudinem non facit adisiciorum pulchritudo, neque inquilinorum multitudo sed inhabitatium Virtus, propter quam et solitudo Civitatibus dignor est.
» Cioè. Non la bellezza de’ casamenti e de’ palazzi, né la moltitudine de’ Cittadini rende magnifica, grande, e principale una Città, ma la Virtù de gli, abitanti; per cagione della quale la solitudine stessa merita di essere tenuta in dignità maggiore, che le Città. S. Agostino scrive de’ buoni e onesti costumit. 2. Ep. 202., « quibus cum prapollet Civitas, vere florere dicenda est, hi autem mores in Ecclesis tanquam in Sanctis Auditris populorum docentur, atque discuntur; et maxime pietas, qua verus, et verax colatur Deus
». I virtuosi costumi insegnati, e imparati nelle sante predicazioni fanno illustre, e florida una Città; e non le Teatrali, e immodeste Rappresentazioni. I Signori Veneziani cacciarono una volta tutti {p. 91} i Commedianti osceni: e i Signori Genovesi un’altra proibirono loro il far le Commedie: né per tal’atto perderono punto della gloria loro; anzi l’accrebbero grandemente : e ambedue quelle grandi, principali, e gloriose Città si resero degne di eterna lode: e io vorrei poter qui ora intingere la mia penna in oro di eterno per onorarle, e lodarle eternamente.
Dico per fine ad ogni Città principale del Cristianesimo, che sarebbe una sua gloria grande, se col suo esempio animasse ogni Città ordinaria a cacciar da’savio confini i Comici impudichi; già che come peste ogn’ anno rovinano le anime, e danneggiano la roba con molta offesa di Dio; con dolore de’ Virtuosi, e con una disonesta viltà della Città medesima la quale potrebbe veramente dire al Signore Iddio, mentre non discaccia i Comici osceni ma li fomenta, e mantiene, le dolenti parole del ProfetaThr. c. 1. 11.. « Vide Domine, et considera, quoniam facta sum vilis.
» E potrebbe aspettar per rispostaGer. c. 15.19.. « Si separaveris preziosum a vili, quasios meum eris.
» Chi si separa dal vilissimo peccato, si congiunge strettamente a Dio con vera, e altissima nobiltà.
Punto sesto.
Se sarebbe buona Ragione per tollerare le Commedie oscene in una Città, il dire, che elle mai avesse proibite.
Tra Protettori dell’impudico Teatro compaionoLXVI alcuni Spettatori, ardentemente bramosi di quel sozzo diletto, che traggono dal Recitamento delle Commedie oscene: e quando sentono alcuni zelanti, e savi Censori, che giustamente le condannano, e che stimano necessario levar da’ banchi, e dalle piazze, e bandir dalle Scene del Teatro ogni Comica impurità, subito si oppongono fortificati con questa Ragione. La nostra Città è nobilissima: gode, che si goda un’allegra, e festosa libertà popolare: onde non ha mai proibito il salire in banco, o il comparire in Scena alle Donne; né a Ciarlatani, o Commedianti il rappresentare le loro Azioni {p. 92}, benché non siano tal volta in tutto pudiche, e modeste.
Rispondo. Ogn’uno, benché semplice, intende, che il non essersi mai proibita una cosa, non è buona Ragione d’astenersi dal proibirla, quando il superare intende che merita la proibizione. E qui si fonda la formazione e promulgazione di molte Leggi Imperiali, e di molti Canoni sacri, co’ quali per gravi inconvenienti, saputi da’ supremi Principi Secolari, e Ecclesiastici, molte volte vietarono, e oggidì anche vietano alcune di quelle cose, che mai per l’addietro erano state vietate con la proibizione. E questo punto vale nel caso delle oscenità del Banco, o del Teatro: meritano, che il Superiore ben informato de’ molti e molto gravi mali, che cagionano, lo tolga affatto, e saviamente privi di un gusto molto illecito gli Spettatori.
So, che molte Città Cristiane sono libere, ma niuna però, è libera dell’osservanza della Divina Legge; che se in lei mai si è proibito l’eccesso del Banco, o della Scena, forse non v’è stato, bisogno, e se v’è stato, non s’è saputo, né avvertito, e giudicato grave dal Superiore. Ora, che v’è, e che si considera, e si stima molto grave, vi si rimedi con efficace, presto, e perseverante provvedimento. E il non essersi mai proibito così grande inconveniente, può essere, e prego, che sia all’animo del Superiore, stimolo più acuto, e più penetrante; acciocché si risolva di usar maggior sollecitudine nel levarlo perfettamente; onde resti il piacer del Banco, e del Teatro godibile da tutti gli onorati, e cristiani Spettatori. Voglio raccontar un caso, che può servir d’esemplare a molti Superiori Governanti le Città nobilissime, e anche un Regno intero, e popolatissimo.
L’anno 1642. al dì 14. di Ottobre in Fiorenza un Padre della Compagnia di Gesù Procuratore eletto della Provincia di Francia, uomo vecchio, e di molta letteratura, e di gran governo nella Religione, e conosciuto, e stimato assai dall’Eminentissimo Signor Cardinal Richeliù, mi disse quello, che altri Procuratori e gravissimi Padri Francesi poco dopo mi confermarono: cioè che allora nel Regno di Francia si facevano tutte {p. 93} le Commedie senza veruna oscenità; e che i Comici non erano più tenuti infami: anzi potevano godere l’onore de gli offici pubblici con accrescimento di stima, e di reputazione. E la ragione di questa bella, e buona Moderazione era stata: perché circa 4. anni prima il Signor Cardinal Richeliù essendo di natura malenconico, e trovandosi bisognoso di qualche allegro sollievo mostrò di gustar di udir le Commedie; ma le voleva, modeste, e senza alcuna oscenità di gesti, o di parole; e fece intimare nel Regno a tutti i Comici questa sua volontà, e che si emendassero in tutto da ogni fatto, e parola oscena, altrimenti sarebbero stati cacciati dalla Francia; ove all’incontro emendandosi vivrebbero abilitati a pubblici offici, e privi, e liberi da quella brutta macchia d’infamia, che fino allora gli aveva bruttamente vituperati.
Pubblicato quest’ordine, seguì l’effetto d’emendazione: e ora a fine di mantenerla i Magistrati riveggono le Azioni; e se trovano qualche oscenità, la levano diligentemente, e sgridano i Commedianti. È vero, che il riveder de’ Magistrati era cosa usata fino a 20. anni prima, nel qual tempo alcuni erano stati più diligenti, e altri meno; ma ora tutti sono diligentissimi; onde si gode in Francia di presente una perfetta Moderazione del Cristiano Teatro; e si fanno le Commedie con modesta, ricreazione.
Questo bel caso merita lode così grande, che per celebrarlo degnamente a gloria di quell’Eminentissimo vi bisognerebbe la penna, e la lingua anzi le penne, e le lingue di molti Eminentissimi lodatori.
Punto settimo
Se l'essere invitato ad andar alla Commedia oscena, sia Ragione per andarvi lecitamente.
La cristiana, e onorata cortesia non apre l’orecchio ad ogni invito: sa, che senza scapito delle buone creanze può talvolta servirsi della cera d’UIisse, e fingere di non sentire: può anche temere, che qualche falso Amico a modo, di quell’antico {p. 94} Medico, non gl’insonda veleno, in vece di medicamento nell’orecchio invitandolo ad andar a luogo, ove l’anima sua resti infetta, avvelenata, e morta con le ferite del peccato. E però non giustifica bene se stesso quello Spettatore delle Commedie oscene, il qual dice. Io vi vado, perché sono invitato da altri; e il ricusare l’invito pare una scortesia. Alla quale scusa io rispondo con l’autorità del Cardinal Caietano2. 2. q. 167. a. 2. in si ne..
« Licet ad indecentia Spectacula precognita nullus deberet, etiam invitatus, ire, sit tamen futura indecentia nescius se ibi invenerit, nec exire potest, imitetur Alipium, claudendo oculos; ut sic et seipsum servet, et quantum in se est, aliso hoc facto moneat.
» cioè. Se bene niuno, anche invitato, dovrebbe andare agli Spettacoli indecenti, conosciuti prima da lui per tali; nondimeno se, non sapendo la futura indecenza, vi si troverà, né si potrà partire, imiti l’antico Alipio, chiudendo gli occhi; acciocché così mantenga illeso se stesso; e, per quanto può, faccia avvertiti gli altri col suo esempio.
Aggiungo. Se uno fosse invitato di andare a trattenersi per 3. o 4. ore in un posto assai scoperto, e ove si fossero per sperare contro di lui alcune, o molte cannonate, vi andrebbe egli per amor dell’Amico invitante, e per non parere scoperte? No certo secondo il mio sentire. Ma da chi non è saputo, che contro gli Spettatori delle Commedie oscene i diabolici Bombardieri sparano le cannonate infernali di moltissime, e potentissime tentazioni carnali? E come può un debole di spirito, e che conosce per esperienza la sua fragilità, esporsi a così manifesto pericolo senza altra Ragione, che di non voler ricusare l’invito di un Amico ordinario? Confesso bene, che, chi fosse forte nella Virtù, e sicuro probabilmente di non consentire al diletto della disonestà, sentendosi invitare da qualche Personaggio Grande, a cui difficilmente potesse contraddire, e però andasse alla Commedia oscena, io non lo condannerei di grave colpa:e in questo approvo l’opinione di Monsignor Francesco Diotallevi, il quale in un Trattato di questa materia manoscritto, e veduto da me in Fiorenza dice così.
Io mi figuro l’esempio di un Gentiluomo onorato, e di buoni {p. 95} abiti, e costumi cristiani, il quale sia invitato dal suo Principe nell’atto, che egli entra alla Commedia, d’andarla ad udir seco. In tal caso non è dubbio, che difficilmente tal Gentiluomo potrà ricusare, massimamente se fosse favorito, e massimamente, se col ricusare potesse parere, che tacciasse il Principe, come che facesse cosa di peccato mortale. E pure se vi andrà senza pericolo probabile di consentire al diletto della disonestà; e v’andrà con buona intenzione, per servire al suo Principe, e non parere rustico; non peccherà almeno mortalmente. Sin qui quel dotto, e giudizioso Prelato.
Taccio ora di raccontare d’essermi trovato io in una principalissima Città di un Regno, nella quale si facevano in Palazzo del V. Re Commedie veramente oscene, benchè forse non fossero tenute tali da molti poco intelligenti, e per ordine di quel Signore molti Cavalieri virtuosi, e molte Dame spirituali v’erano invitati: se non vi fossero voluti andare, avrebbero dato qualche disgusto. In tal caso io; e meco altri Teologi fummo di parere, che non peccassero gravemente quelle persone assai virtuose, con l’accettare l’invito, e con l’andare a quelle loro poco modeste Rappresentazioni: e credo che ciascuna, già che non poteva senza gravissimo incomodo rifiutar l’invito, si fortificasse molto bene con spirituali, e potenti preservativi; come hanno costumato i Santi per non pericolare.
Voglio finire con ricordare a quelli, che invitano, la proposizione nel seguente di Hurtadode 3. Vir. th. d. 173. s. 28. subs. 10.. « Nullus potest absque scandali peccato alios invitare ad Comedias, vel amatorias, vel quibus inonesta Chorea, et Cantilena insertur: quia cum Spectaculum illud sit valde periculosum, nullus scit, quantum periculi alius subeat.
» Cioè. Niuno può senza peccato di scandalo invitar alle Commedie, nelle quali si tratti d’amore, ovvero s’inseriscano disonesti Balli e Canzoni: perché, essendo quello Spettacolo molto pericoloso, da nessuno è saputo, quanto un altro vi possa pericolare. Serva l’avviso di queste Scolastico per regola di saggia Moderazione, a chi fin ora poco scrupolo si è fatto d’invitar liberamente gli Amici alla frequenza del Teatro poco modesto. {p. 96} È prodigalità di vita il bere il veleno; ma l’invitar altri a tal bevanda di morte, è crudeltà.
Punto ottavo.
Se l'accompagnare altri, basta essere lecitamente Spettatore delle Commedie oscene.
Molti sono gli Amici, e i Compagni; ma l’Amico, e Compagno singolare è quello, il quale più ama, e più giova, che non ama, e non giova il proprio Fratello. Così tal’ uno spiega, a parer del P. Cornelio secondo la forza del testo Siro, quel luogo de’ Proverbi. « Vir Amicabilis ad societatem magis Amicus erit, quam Frater.
»c. 18. 24. E io quindi prendo occasione di proporre quella difficoltà, con la quale alcuno, professando la legge di singolar Amico, e di buon Compagno, dice. Penso di poter senza peccato andar alle Commedie oscene, quando vi voLXVII per accompagnar un Amico; e non per mio capriccio, ovvero elezione. Al che io rispondo solamente quel poco, che per acconcio di questo ho letto in un Ragionamento del P. Giulio Mazzarino. Non si deve, scrive egli, accompagnar l’amico con danno spirituale: e solo « usque ad aras
» ; e non tanto, che .chi accompagna, arrivi all’Inferno.
Che se taluno mi domandasse posso accompagnare, se non l’Amico, almeno il Parente, e Consanguineo? E pare, chiesi; poiché secondo l’ordine della carità, e dottrina, di S. Tommaso, più si devono amar i congiunti nel sangue, che gli altri congiunti d’amicizia o d’altra guisa. Rispondo. È vero, che S. Tommaso2.2. q. 26. a. 8. apud Cor. p. 91. insegna, che l’amicizia de’ consanguinei è più stabile, che l’amicizia de’ compagni: e per essere più naturale, prevale in quelle cose, che appartengono alla Natura. « Amicitia, dice, consanguineorum est stabilior, utpote naturalior existens, et pravalet in his, qua ad Naturam spectant
». Ma non per questo siamo tenuti di accompagnare i Consanguinei in qualche luogo con evidente pericolo dell’anima nostra, e detta perdita della Divina Grazia. « Unde magis eis tenemur in provisione necessarius
», S. Tommaso aggiunge. Siamo obbligati più a Consanguinei, che {p. 97} a’ compagni, nella provisione delle cose necessarie. E in vero necessario non è farsi compagno, per andar in compagnia, di un parente al Teatro disonesto, che è luogo del Diavolo; e che come suo egli professa di possederlo. Quindi l’antico, e grave Tertulliano riferisce quel caso tanto noto, che una donnal. de spect., fedele vi andò, e d’indi se né tornò a casa con il Diavolo addosso; il quale interrogato, e sforzato da chi lo scongiurava, a rendere ragione: perché fosse entrato in quella creatura battezzata, e fedele, rispose arditamente « Iustissime feci: in meo enim eam inveni
». Con giustissimo titolo vi sono entrato; perché l’ho trovata nel Teatro, che è luogo di mia giurisdizione.
Ma quì uno forse farà riflessione a se stesso e dirà. Io non accompagno come Amico, né come Parente; ma come Servitore. Il mio Patrone va alle Commedie disoneste: né vi vuole andare senza essere accompagnate dalla mia servitù. Io vi vado, e l’accompagno; e credo non peccare: perché se non fosse mosso da questo rispetto, non v’anderei.
Rispondo. Supposto, che il Patrone vuole risolutamente, che il Servitore lo accompagni; e non desiste da tal volere, benché ne sia pregato; dico, che il Servitore molto bene farebbe a partirsi da quella servitù, se può senza suo grave danno: ma se non può vi vada con risoluzione di non peccare, e con speranza in Dio, che l’aiuterà; perché così non si giudica, che egli cooperi al peccato; ma che solo per buona ragione lo permette. Leggere si può il P. Diana, ove secondo la dottrina di Navar. Sanchezpar. 5. tr. 7. res. 28. e 29., Castro Palao, Merolla. e altri dichiara molto bene questo punto. Io aggiungo con il P. Stefano Bauni, « esse charitatis, ac prudentia in Confessario monere, ac suaviter famulos inducere, ut alios sibi qauerant Dominos. Quia cum in erum oculos multa incurrant dictu, ac cogitatu feda, vereri debent, ne ultro sibi peccandi periculum accersant; quod est sapienti vitandum.
»In Theol. Mor. tr. 4. de Penit. 9. 16. § Dico tertio. Leggasi il Bonaccina t. 1. q. 4. de Matr. p. 14. n. 6. e t. 1. disp. 2. q. 4 p. 2. §. Unico n. 26. ove si tratta una materia equivalente a questa.
E perché può essere, che il Servitore sia debole di spirito, si consigli, quanto più presto potrà; con qualche Persona dotta, e spirituale {p. 98} ; e le dica tutto l’interno del suo cuore, spettante a questo punto; e procuri porre in effetto per l’avvenire ciò, che già sarà detto, come obbligo di coscienza per la salute dell’anima sua.
Quelli poi, che a viva forza sono talora condotti alle Commedie impudiche; come i Figliuoli, o le Figliuole, o i Nipoti, o altri costretti ad accompagnare i loro Parenti, e Superiori; procurino levar il pensiero da quelle oscenità, e di aborrirle: che così non peccheranno tutto che vadano ad un luogo pieno di tanti pericoli di peccare.
Punto nono.
Se l'andar alle Commedie oscene per impedire, che non succeda inconveniente, sia buona Ragione.
L’autorità de’ Grandi, massimamente Superiori, è una forbita spada, per troncare le teste altiere dell’Hidra popolare. Il solo aspetto di un saggio, e grave Comandante serve di freno alla moltitudine, che non corra al precipizio de’ soliti suoi inconvenienti. E di questo nobilmente scrisse quel Nobilissimo Poeta, l’Omero tra’ Latini, quando con l’uso di bella comparazione fece que’ versi.
« Ac veluti magno in populo cum sæpe corta estSeditio, sævitque animis ignobile vulgus;Iamque faces et saxa volant, furor arma ministrat,Tum pietate gravem, ac meritis si forte virum quemConspexere, silent, arrectisque auribus astant,Ille regit dictis animos, et pectora mulcet. »Virg. Aeneid.l. 1.
Con questo riparo si difende tal volta un Personaggio grave di autorità, e Superiore, contro chi pretende di censurarlo, quando va a favorire il Teatro delle oscene Rappresentazioni. Vado, dice, per impedire, che non succeda inconveniente alcuno in quella radunanza popolare: e per rimediare subito, e efficacemente, se vi succedesse.
Rispondo. E vero, che alle volte occorre nella radunanza degli Spettatori, tra quali non mancano persone troppo libere e ardite {p. 99}, alcuno inconveniente di rissa, di strepito, di grido, o d’altra maniera, e subito vi si rimedia con la presenza del Superiore. Così avvenne in una Città principale di Lombardia a nostro tempo. Si doveva recitare una Azione. E già si faceva, quando uno nell’Auditorio cominciò a strepitare, e impedire contraffacendo con alta voce il canto del Gallo. Il Principe Padrone, che era presente, ebbe pazienza alcune volte: poi alzatosi disse con gravità. Se quel Gallo canta più, io gli farò tirare il collo. E certo il Gallo subito si ammutì. Ora dico nel caso d’andare alle Commedie oscene; e rispondo, che poco vale, in quanto al bene dell’anima, la proposta Ragione; perché niuno è tenuto di porsi a pericolo della salute sua spirituale, per impedire nel popolo qualche temporale inconveniente. Chi ha potenza, e zelo di buon Superiore non fa poca stima dello spirito suo, deve con ogni diligenza impedire, prima gli scandalosi inconvenienti, che nascono dalle Comiche oscenità; con vietato affatto la Commedia oscena; e poi invigilare con la presenza, e con altri buoni ordini; acciocché non succeda nell’Auditorio alcun disordine contro la Modesta Ricreazione del Cristiano, e virtuoso Teatro.
Punto decimo.
Se si giustifica bene, chi dice. lo non vado solo alle Commedie oscene.
Due Risposte voglio recare al presente Dubbio: la prima, io prendo dal Moralissimo P. Dresselio par. 1. del Faetonte c. 19. n. 4. pag. 710. ove dice con tal maniera. Noi con l’imitazione scusiamo tal’ora i nostri difetti. Diciamo. Non sono io solo a far questo. Tanti, e tanti altri navigano sopra l’istesso Vascello, in cui; navigo io. Se è permessa loro la tal cosa, perché non ha da essere lecita a me? Ecco, che questo, quello, e altri molti fanno l’istesso, che io fo. Che occorre dir da vantaggio? Ora è venuta questa usanza; tutti fanno così. O miseri, e infelici, e non sapete, che non arderete punto meno, ancorché abbiate molti compagni, nel fuoco? Grida la legge di Dio Exod. 23. 2.. « Non sequeris turbam ad faciendum malum
». {p. 100} Avverti di non seguitar la turba al mal’operare. Interpretando benissimo questa legge Gio. Sarisberiense dice. Non l. 7. Policr. c. 19. deve l’errore di più complici venire scusato col pretesto della moltitudine; perché la regola del vivere non si prende dal viver molti insieme, e etc. Né lascia di essere peccato quello, che si commette da molti; anzi per questa stessa ragione è più tosto maggiore. La colpa del delinquente non resta dalla moltitudine de’ Compagni diminuita, ma aggravata; e la ragione è, perché col suo vigore fa quasi ostacolo all’emendazione.
Né in diversa maniera discorreva il saggio RomanoSeneca., dicendo. « Principalissima cagione de’ nostri mali essere, che viviamo ad esempio, e non ci lasciamo convincere dalla ragione; ma tirar da gli usi. Se pochi facessero ciò, che noi pretendano di fare, ci asterremmo da imitargli: ma se molti hanno cominciato a farlo, non gli seguiamo, non considerando, se la cosa sia onesta, vedendola più frequente; e l’errore tiene in concetto nostro il luogo di buono, mentre è fatto pubblico.
». Sin qui Dresselio, dal cui parere può il Lettore prendere buona materia, e occasione per rispondere al Dubbio.
Ora aggiungo io la seconda risposta, e dico. Infino a tempo di Crisostomo si trovò persona, la quale stimava di potersi molto ben giustificare, andando a vedere gli Spettacoli disonesti, con dire. Io non vi vado separatamente: tanti altri vi concorrono, che si può giudicare, che tutti vi vadano. Contro questa persona io potrei usare le parole di S. Leone. « Pudet dicere, sed nec esse est non tacere, plus impenditur Damonis quam Apostis, et maiorem obtinent insans Spectacula frequentiam, quam beata Martyria.
» Ma basta il senso di quell’antico DogmaticoSe, m. in.Oct. SS.§. Petri. et Pauli., che scrive. « Cum de beata vita agitur, non est, quod, mihi illud discessionum more respondeas. hæc pars maior esse videtur. Non tam bene cum rebus humanis agitur, ut meliora pluribus placeant: argumentum pessimi turba est.
». E qui ricordo il Santo Predicatore Crisostomo, if quale usò queste poche parole. « Forteho. 6. in Math. credis, eandem rem non similiter esse turpem, cum eam separatim cernis, et cum omnes consentientes aspicias?
» Cioè. Pensi tu forse, che la medesima cosa non sia parimente brutta, {p. 101} e indegna quando tu la miri separatamente solo, senza compagno; e quando vedi, che tutti gli altri s’accompagnano teco nel rimirarla? Quasi voglia dire. Tu t’inganni; perché, o solo, o non solo, che tu vada a gli Spettacoli disonesti, sempre ti fai reo con andarvi.
Così dico io nel nostro punto delle Commedie. Non si giustifica bene quel Cristiano, il quale avvisato dell’errore, che egli commette frequentando l’impudico Teatro, risponde. Oh non mi dovete riprendere; perché non vi vado solo: vi concorrono le centinaia de’ pari miei: l’Auditorio è molto numeroso; seguo la turba. E io prego, che, chi discorre così, ponderi questo poco già scritto dal famoso Giovanni Pico Mirandolano al suo gran Nipote Gio. Francesco. « Quid possumus, aliud dicere, quam multos esse nomine Chrstianos, sed re paucissimos; tù vero Fili contende intrare per augustam portam, nec quid multi agant, attende, sed quid agendum, ipsa tibi Natura Lex, ipsa Ratio ipse Deus ostendet: neque enim aut minor tua erit gloria, si felix eris cum paucis, aut levior pena, si miser eris cum multis.
»l. 1. 10. Picus Nep. Di più ponderi questo avviso di Seneca. « Quid tibi vitandum precipue existimes, quaris et turbam: nondum enim illi te tuto committeris. Que maior est populus, cui commiscemur, hoc periculi plus est: nihil vero est tam damnosum bonis moribus, quam in aliquo Spectaculo desidere: tunc enim per voluptatem facilius Vitia surrepunt. Quid tu accidere his credis in quos pubblicè factus est impetus? Nec esse ut aut imiteris, aut oderis: utrumque autem devitandum est, ne vel similis malis sias, quia multi sunt; neve inimicus multis quia dissimiles sunt. Recede in te ipsum, quantum potes.
»Ep. 7. Ma lascio Seneca, e considero, che dice bene per una parte quel Cristiano: perché se solo andasse alla Commedia Mercenaria oscena, e solo si trovasse nel Teatro; certo che i Comici non reciterebbero, tornando loro troppo scomodo far tanta fatica per la piccola mercede ricevuta da un solo. Ma poi dice male; perché l’aver compagno nell’andare a commettere un errore non toglie la malizia dall’errante. Niuno scuserà il vendicativo; perché dice. Io solo
nel Mondo non cerco la vendetta: né il Concubinario; perché afferma. Io solo {p. 102} non tengo la Concubina: né l’usuraio; perché risponde. Io solo non do il danaro ad usura. E così parimente non dobbiamo scusare lo Spettatore delle impudiche Azioni: perché dice. Io solo non vi vado. Anzi possiamo giudicarlo reo di maggior colpa; perché se fosse solo a sentire quelle oscenità, forse concepirebbe vergognosi pensieri, e arrossito si partirebbe ove con l’esempio di altri si fa animoso nel male, e non si vergogna di fare lo sfacciato, e l’impudico. La compagnia nel peccato cagiona per ordinario, che si pecchi più animosamente, e che si corra con redine più abbandonate verso il precipizio degli eterni tormenti. Ricordo due avvisi di S. Girolamo il primo è nell’Ep. 39. ad Pamac. «Venenum lethale suum, non innocentia merito, sed criminis communione tuentur: quasi culpam numerus peccatium minuat». Il secondo avviso è ad Celan, « Nihil omnino agimus, qui nos per multitudinis exempla defendimus ad consolationem nostram aliena sepe numerantes vitia.
» E S. Ambrogio. « Recogita, quia multitudo sociorum impunitatem non facit criminum.
»ad Virg. laps. c. 9.
Possiamo aggiungere qui la considerazione fatta da S. Bernardo intorno al grave errore commesso da Eva, quando tirò seco nella colpa il misero suo Marito Adamo, quasi che ella stimasse di ricevere consolazione facendolo partecipe del suo peccato. « Peccatum fuit, scrive il Santo, quod ipsa mulier virum quoque secum in culpam traxit, debuit quidem illa peccatum suum destere; nec addere peccatum peccato; sed in hoc se putanit habere consolationem, si virum faceret peccati suoi participem: quodammodo enim naturale est, unum quemque velle sine in Vitis, sine in Virtutibus associare sibi confortem.
»Serm. 27. Parvor. Cosi dico io di molti; dovrebbero piangere il peccato loro d’andare a sentire, e a gustare le Teatrali oscenità: e essi miseri si consolano insieme, o con tirarvi altri; ovvero con dire: Non vi andiamo soli; pare un naturale alleggerimento al misero, l’aver compagno nella miseria. Avverta il Fedele, che ne anche è buona scusa il dire. Veggo che i Superiori, o altri qualificati Personaggi, vanno alla Commedia oscena; dunque; io vi posso andare: perché so se quelli avranno qualche buona Ragione, di cui egli non si può valere. {p. 103} Ricordo per ultimo, che questa risposta è simile in qualche maniera alla risposta di certi peccatori, i quali par, che portino scritto in fronte. Io sono dannato; poiché quando sono ripresi de’ peccati loro con minaccia, che andranno all’Inferno ti rispondono ciascun per se. Io solo non v’andrò: tanti vi sono andati, e vi vanno. Solo non sarò tra quelle pene. O risposta imprudentissima, e argomento di dolorosa consolazione. « Qua consolatio Damnatis, dice S. Bernardo, socios habere sua damnationis
? »Ep. 111. Applichi a se con proporzione il suo detto lo Spettatore delle Commedie oscene, con che si scusa. Io solo non vi vado; e tema di non passar con
molti dal Comico piacere dei Teatro al Tragico dispiacere dell’Inferno. « Non putemus, dice S. Crisostomo, nos excusationem habituros, si quando delictorum Socios invenerimus, nam istud supplicium magiso augebit.
»ho. 25. Ep. ad Rom.
E S. Agostino. « Non ergo illi quos monemus agere penitentiam, quarant sibi Comites ad supplicium, nec gaudeant; quia plures invernerint: non enim propterea minus ardebunt quia cum multis ardebunt. Non est enim hoc sanitatis certum consilium sed mallevolentia malum solatium
». Di questi dirò con S. GirolamoEp. ad Asellam.. « Remedium pene sua arbitrantur, si nemo sit Sanctus: si turba sit perentium, si multitudo peccantium
» ; Questo è un rimedio, e affliggerà eternamente i Dannati con la disperazione, durissima appendice degli eterni, e infernali patimenti. Adunque concludo con S. Fulgerioserrm. 76.. « Nemo sibi impunitatem de multitudine peccantium repromittat: nem cum turbis delinquens se periculi immunem esse contendat.
»
Punto undicesimo.
Se l'andare alla Commedia oscena quando i Comici già sono, in punto di farla, o l'hanno cominciata, sia buona Ragione per non peccare andandovi.
La Passione è un’ingegnosa Maga degli occhi, e anche del cuore: fa molte volte travedere, e molte volte desiderare ciò, che la retta Ragione insegna ad odiare, e a non voler vedere. Molti si trovano molto appassionati verso le Commedie oscene {p. 104} ; vi vogliono andare; perché non vogliono peccare gravemente, cercano, e ricercano ingegnosamente varie Ragioni, con le quali sperano, e pretendono giustificarsi di modo, che con l’approvazione di qualche buon Teologo vi possano liberamente andare senza grave rimorso di coscienza, e senza giusta riprensione de’zelanti Censori. Tale si è la Ragione proposta nel titolo del presente Dubbio, e si pratica così. Uno sa, che si può peccare mortalmente, andando alla Commedia, oscena, con la cooperazione al male; e però dice. Non voglio andar tra i primi, che andando, e pagando, peccano mortalmente, perché sono il motivo cooperante al farsi l’Azione: andrò tra gli ultimi, quando già i Comici sono in tutto preparati, e determinati al Recitamento, ovvero andrò, quando hanno cominciato; che così andando, e pagando, non peccherò; perché io non concorro efficacemente all’Azione, la quale tanto si farebbe senza la presenza, e mercede mia.
Rispondo. Questa difficoltà è trattata da vari Teologi, tra quali ecco il primo, che è Pietro Hurtado; e che discorre in questa guisade tribus Vir. Theo log. d. 173. sect. 28. subs. 10.. « Possunt cinsiderari duo genera Spectatorum: primum est eorum qui confluunt in Theatrum primi, alterum qui posatremi. Primiomnes mortaliter peccant, audita etiam una Comedia tantum; quia ipsi sunt motium, ut hic, et nunc Fabula agatur. Comedus enim sine sufficienti Auditorio non aget Fabulam: hoc autem sufficiens Auditorium conflant primi; quando enim sunt satis multi, propter illos solos agetur Fabula, quamuis nullus adsit altus; ergo omnes illi, qui sunt causa per se illius Actionis peccant mortaliter.
» Cioè. Si possono considerare due sorti di Spettatori:· la prima contiene i primi, che vanno al Teatro; l’altra gli ultimi, che pur vi vanno. Tutti i primi peccano mortalmente, eziandio udendo una sola Commedia; perché essi sono la cagione motiva, per la quale si fa la Rappresentazione; imperoché il Com. non reciterebbe senza sufficiente Auditorio; e tal’Auditorio è fatto da’ primi, quando già sono di numero, che per loro solamente si farebbe l’Azione, benché niun altro vi si aggiungesse: adunque tutti quelli peccano mortalmente, essendo la cagione propria per se stessa efficace del Recitamento
Segue {p. 105} l’Autore a dire degli altri. « Probo singulos peccare, etiamsi postremi adueniant; quia Histrio conspicatus Auditorium integrum, illo movetur ad agendam Fabulam hic et nunc quam vult agere propter omnes illos, qui pecuniam soluerunt pro illa audienda; quia omnes illi, collectivè accepti, sunt obiectum ada quatum illius Actinis, qua tunc propter omnes exercetur: divisivè autem accepti sunt omnes illi oblectunt partiale illius Actionis, et non obiectum per accidens, sed per se; singulorum enim pecuniam per se amat Comedus, ita ut Fabulam sit acturus, ne vel semiargentum teneatur restivere: imo ipse moram trahit in Comedia incipienda, quia vult alirum, quos sperat adventuros pecuniam, propter quam vult etiam agere Comediam. Itaque viso integro Auditorio vult propter integram illius pecuniam Fabulam agere; cuius voluntatis obiectum formale est pecunia integra Auditori: et quamuis eam esset acturus coram Concione minus frequenti, tamen illam ageret per aliam voluntatem: ea autem voluntas per quam hic, et nunc eam agit, pendet per se ab hæc integra Concione. Item singulorum pecunia per se ivuat ad sumptus Histrionicos. Ergo, etc.
»
Tutte queste Ragioni di Hurtado in ristretto Italiano provano che non solo i primi, ma gli ultimi ancora, cioè tutti gli Spettatori delle Commedie del nostro tempo, peccano mortalmente; perché con gli stipendi loro sono alimentati uomini tanto pessimi, come sono i Commedianti. « Ex quibus, scrive il P. Diana, patet, omnes Spectatores Commediarum nostri temporis peccare mortaliter; quia ex eorum stipendis aluntur tam pessimi homines, ut sunt Comedi.
»Par. 5. tr. 13. Res. 81.
Ma consideriamo quel, che scrive in questo proposito il secondo Teologo, che è Girolamo Fiorentino: nella Commediocrisi del quale si leggeConclus. 6. pag. 12.. « Qui Comadis inonestis interest, ut sit Spectator, positivè cooperatur, tum quia tribuit pecuniam, ut Scenici agant, et reprasentent illam turpitudinem tum quia ipse interesset ut audiat, et spectet ea, qua Scenici non facerent nisi interesset Auditores.
» Cioè. Lo Spettatore delle Commedie disoneste coopera a quel male: sì perché paga la mercede; sì anche, perché sta ad udire quelle cose, che i Comici non {p. 106} farebbero senza la presenza de gli Auditori.
Ma dirai; soggiunge egli, Pietro, per atto di esempio, va alla Commedia; e trova, ovvero presuppone « iam paratos Auditres, e quidem in eo numero, e frequentia, ut, etiamsi ipse non interesset, Scenici agerent: quare non censebitur causa illis cooperans
» ; trova, che già il numero degli Spettatori: è tale, che la Commedia si farebbe anche senza la sua presenza: onde egli non si deve giudicare cagione cooperativa del peccato a’ Commedianti.
Risponde questo Autore, formando, e provando la seguente Proposizionep. 104.. « Omnes, qui huiusmodi Commedias adeunt, ut spectent, peccant mortaliter.
» Tutti quelli, che vanno a tali Commedie, peccano mortalmente. La Ragione si è; perchép. 105. « est valde durum, quod omnes adstantes, collective accepti, cooperatur sua presentia ad peccatum mortale Histrionum,quattenus sunt causa, sine qua non : et quod nem illorum in particulari, et distritbutive loquendo, peccet, neque enim peccatur voluntate communi, hoc est, una per aggregationem plurium conspirantium in unum assensum, sed voluntatibus particularibus singulorum; quniam peccatum est actus voluntatis personalis. Ergo peccant omnes, et singuli, ut cooperatores; licet quilibet illorum in particulari, et solitarie acceptus, non sit causa, sine qua turpis illa Reprasentatio non fieret.
» E vuol dire, che peccano non solo i primi Spettatori, che compiscono il numero sufficiente alla Rappresentazione; ma anche gli ultimi, che sopravengono; perché il peccato è atto della volontà personale, e particolare, e non in comune. Onde nel caso di Pietro egli aggiunge, che è « causa cooperans
», cagione cooperante, e per conseguenza pecca, benché trovi, ovvero presupponga, gli Spettatori preparatissimi insieme con i Comici al Recitamento. È vero, che se il punto fosse in materia obbligante alla restituzione, Pietro « non teneretur ad restitutionem
», non sarebbe tenuto a restituire, perché, essendo gli altri cooperatori pronti al dannificare, il danno è determinato in loro, come in sufficiente cagione; e però Pietro non lo determinsi, tutto che vi cooperi, cooperando pecchi senza obbligo di rifare il danno con la restituzione. E dichiara questo con un esempio portato da Navarro {p. 107}, e da Lessio. E dice. Con voti scoperti pubblicamente si elegge un Superiore in una
Comunità : gli Elettori con la maggior parte hanno eletto una persona indegna: vi giunge un nuovo Elettore; vede, che con negare il suo voto, non può impedire l’elezione, e però vi concorre: « hic non tenetur ad damnum, licet peccet, aliorum iniquitati consentiens: ut dicit Innoc. ad. c. I. de his, qua fiunt a maior, p. cap. Cum ab cius consensu non impendeat, quod talis electio sit, aut non sit: tamen est vere causa partialis illius injustitie facta a tot Electoribus; cum etiam ipse sit de numero illorum: et propterea non eximitur a concorsu et cooperatione eiusdem malitia, licet eximatur a concorsu damni iam determinati ad existendum: sola enim voluntate, et consensu contrahitur malitia, licet non solo consensu inferatur damnum.
» Pecca insomma l’ultimo Elettore per la sua mala volontà, ma resta libero dall’obbligo di restituzione; perché trova determinato il danno.
Hurtado porta un altro esempio, e è questo. Quattro GiudiciSubsect. X. cit. hanno da sentenziare: tre sentenziano ingiustamente: il quarto vedendo, che non può rimediare, egli anche sentenzia così; e sentenziando pecca, ma non è tenuto alla restituzione. Così nel caso degli Spettatori delle Commedie impudiche, non solo « primi confluentes peccant mortaliter
», i primi peccano mortalmente; ma ancora gli ultimi, « postrem idest post numerum sufficientem venientes peccant
». E la Ragione si è perché il Comico si muove a recitare per la mercede de’ primi, e degli ultimi, e tutti insieme sono l’oggetto adeguato totale, come ciascuno separatamente è il parziale. « Quia Histrio movetur ad agendum propter primos, et postremos solventes; et omnes sunt obtectum adequatum totale;·et singuli partiale.
»
Per corroborare la sentenza de’ due allegati Teologi, forse potrebbe dire uno. Se gli Spettatori primi del numero sufficiente non avessero già resi, « paratos Histriones
», preparati, e determinati i Comici; gli ultimi « facerent paratos
», li preparerebbero: e in reale effetto « faciunt eso paratires, promptiores, hilariores ad agendam turpitudinem
», li rendono più pronti, e più lievi ad operar il male: adunque gli ultimi ancora peccano mortalmente.
{p. 108} Nel punto seguente spiegherò il parere di altri Teologi, dal giardino de’ quali possiamo raccogliere fiori di molto buono, e grato odore.
Punto duodecimo.
Si continua la Risposta al Dubbio.
Il diverso parere degli uomini ingegnosi, e consumati nelle fatiche dottrinali della rigorosa Scolastica quanto giova a’ modo di luminosa faceLXVIII, per meglio vagheggiare la bellissima faccia della Verità; tanto merita di essere tenuto in pregio, e considerato con maturità di senno, e di prudenza. A questo senso volgo i ora il mio pensiero, mentre propongo per la risposta al nostro Dubbio il 3. Teologo, che è il P. Niccolò Baldelli, uomo vecchio,consumato su libri, e molto ben noto a Roma, e a dotti per la sua Scolastica, e Morale Teologia. Egli scrive chiaro. « Universaliter peccare mortaliter omnes illos, qui scientes turpitudinem et obscenitatem Comedia, primi ad illam conflunt, et Histrionibus, ex se non paratis solunt, quia re vera per ipso est, ut Comedia detur. Postquam vero sufficiens numerus iam confluxit, et externo peccato Histrionum iam est data sufficiens causa, non videtur ex hoc capite damnandus quis alius accedat; quia non amplius eosfovet in peccato, neque eorum peccato dat causam; cum hoc utrunque sufficient sit prestitum jam ab alis.
»t.1. Theol. mor. l. 3. d. 18. n. 11. E vuol dire. Parlando universalmente, peccano di colpa mortale tutti coloro, che sapendo la bruttezza, e oscenità della Commedia, vi vanno i primi, e pagano la mercede a’ gli Histrioni, che per innanzi non erano per se stessi apparecchiati; perché nel vero questi Spettatori cagionano, che la Commedia si rappresenti. Ma dopo che il numero sufficiente già vi è concorso, e si è data cagione bastevole all’esterno peccato degli Histrioni; non pare da condannarsi per questo capo, se alcun vi va; perché non più fomenta nel peccato que’ Recitanti, né cagiona il loro peccato: essendo che l’uno, e l’altro sufficientemente sia dato fatto dagli altri primi.
Il P. Dianap. 5. tr. 13. Res. 81. p. 319. riferisce anche egli questo parere dei P. Baldelli, poi aggiunge. « Ita Baldellus; et ante illum Turrianus in sum. p. I. c. 285.d. 8.
» Tommaso {p. 109} Boninsigni tiene la stessa opinione, ove scrive. « Si persona privata illicito ludo causamo prestat, peccat quidem tanquam illi cooperans: si vero causam non dat, tantummodo Spectator adest, minime peccat, ni eiusmodi ludi voluptatem capiat.
»
Credo, che a questo medesimo parere si appigliasse Monsig. Francesco Diotallevi: poiché nel suo Trattato Manoscritto, che si conserva in Fiorenza, dice in questa guisa.
In caso, che i Comici facciano peccato mortale nel recitare, una persona particolare, che va a sentire per mera curiosità, e paga; non credo, si possa dire, che cooperi al peccato de’ Recitanti: perché o esso vi vada, o no, i Recitanti nondimeno reciteranno al medesimo modo: e però egli non concorre, né coopera efficacemente al peccato loro; come appare evidente per se stesso: e si raccoglie benissimo da S. Antonino in quelle parole. « Vel daret operam efficacem ad huiusmodi facienda; sicut qui provocant ad ipsa, vel solunt facientibus, qui alia non facerent.
» Due sono da notare quell’ultime parole. « Qui alias non facerent
», perché da queste si vede, che di mente di S. Antonino non pecca per rispetto di cooperazione quello, che paga coloro, i quali, se bene non fossero pagati da questa persona particolare, farebbero il medesimo. Sin qui Diotallevi. Conforme alla dottrina di cui gli Spettatori ultimi, che vengono dopo il numero, con che si farebbe la Commedia Oscena, non peccano, benché paghino la mercede.
Ora,che dirò i in questa materia, e per risoluzione del Dubbio? So, che D. Francesco Maria del Monaco scrive. « Dices. Adhuc agerent in Scenam, licet singularis ego non adeam non ergo, me adeunte, in Scenam prodeunt, qui, etiam me ab sente prodirent. Verum id omnino respondere possent singuli Duellorum Inspectores: singuli tamen peccant. Peccas, licet singularis adeas; hoc namque est cum currente Fure concurrere; ut ait Psaltes, et cum Adulteris ootionem ponere: e, quod dixeram, cooperari.
» Ma io dirò due cose. La prima si è,che la sentenza de primi Teologi è molto probabile. La seconda cosa si è, che quella degli ultimi è probabile; non però io assicuro, che non pecchi {p. 110} mortalmente chi va alla Commedia, eziandio che vi sia già il numero sufficiente degli Auditori, o che sia comincia; perché se non peccherà cooperando, forse peccherà per altre ragioni, o dilettandosi viziosamente, come accenna il Boninsegni o esponendosi al pericolo, o dando scandalo, o restando vinto da qualche rispetto, che obbliga il Fedele a fuggire le Teatrali disonestà. Ove sono stese molte reti, non basta fuggirne una per rimanere libero da tutte. E chi pecca mortalmente per una sola ragione, cammina verso l’Inferno per una strada sola.
Punto decimo terzo.
Se si può credere, a chi dice per giustificarsi. Io non so, se le correnti Commedie siano oscene, e però vi vado.
L’astuzia non si vergogna tal volta di mascherarsi sotto il sembiante della goffaggine: e fingendo di non saper il male, vuol fare il male. Certo la malizia volpina non si nasconde sotto la semplicità del pollo. Voglio dire per acconcio del presente Dubbio. Tal’uno si trova, il quale, andando alle Commedie oscene, pretende potersi giustificare con dire. Io non so, se le moderne, e correnti Commedie Mercenarie, sono oscene, o no; e io non sono obbligato a sapere. Quale sia lo la Commedia oscena: e pensando bene di tutti, penso che i Commedianti, come Cristiani, facciano l’Azioni con la debita Onestà: e però vi vado senza scrupolo, e senza rimorso di peccato grave.
Rispondo a quello astuto detto. Io non so: con le parole del P. Giulio MazzarinoRag. 110.. È una melonaggineLXIX pensar, che io il creda. Non si sa il costume ordinario de’ Mercenari Commedianti ? Non si ode la pubblica fama? Non se ne può pigliare informazione prima’andare? E poi se tu le trovi oscene secondo il lume della tua retta ragione; perché non te ne parti? Non sei già in mezzo di un golfo di Mare: non si tiene già veruno per forza. Ah l’astuzia ti tiene: e questa ti fa tornare. Aggiungo poi a quella tua aggiunta: che, se non sei obbligato a sapere {p. 111}, quale sia la Commedia oscena; almeno sei obbligato di chiarirti, avendone qualche dubbio, e d’informarti da chi lo sa; per non porti temerariamente a manifesto pericolo di rovina spirituale. S. Agostino scrive, e è registrato ne’ sacri Canoni c. final. Actio. 37. en Decreto Gratiani. « Non omnis ignorans immunis est a pænæ : ille enim ignorans potest excusari a pena, qui, a quo disceret, non invenit.
» E colpevoli sono quelli, « qui habentes a quo discerent, operam non dederunt
». Né replicare che non hai dubbi; e che pensi bene de’ Commedianti: perché il grido universale ti si oppone: e puoi senza scrupolo dar l’assenso alla pubblica fede, che dichiara gli Osceni Mercenari Commedianti per uomini scandalosi, e segnati nel fronte col collo dell’infame vitupero.
Girolamo Fiorentino scrive di un simile a te, condannandolo di peccatopag. 102.. « Qui Comœdis inonestis interest, ut sit Spectator, positivè cooperatur; quia tribuit pecuniam, ut Scenici representent illam turpitudinem, quam ipse prenovit; aut prenosse poterat, et debebat.
» Nota bene quell’ultime parole. « Poterat et debebat.
» Poteva, e doveva sapere avanti la qualità delle Commedie brutte. E questo è il caso tuo: e questo basta, per atterrar il muro della tua scusa, senza moltiplicare il tiro di nuove cannonate, e di più vigorose impugnazioni, e gagliarde risposte. E però concludo con S. Gregorio, ove dice, che alcuni «impunitatem peccandi existimant remedium nescendi». E aggiunge. « Nescire ignorantia est, scire noluisse Superbia: et tantò magis excusationem non possunt habere, quantò magis eis etiam nolentibus opponitur, quod cognoscant.
»mor. l. 25. c. 11. E S. Cirillo Gerusal. Scrive. « Quod sit ex ignorantia peccatum facile condonatur; pertinax autem malitia condemnatur.
Catech. 3. »
Punto decimo quarto.
Se sia lecito l'andare all'Osceno Teatro, già che il pericolo dellle oscenità si trova in altri luoghi.
Le parole poco modeste non sono il giolio di un campo solo. Piacesse a Dio, che solamente nel Teatro Osceno si {p. 112} udissero le oscenità: la lingua umana sacrifica all’impudica Venere in più luoghi i suoi disonesti parti. E quindi lo Spettatore delle Commedie oscene si persuade poter formar a sua difesa qualche buona obiezione dicendo. Se il Teatro osceno è pericoloso a chi vi va, perché si sentono parole oscene: questo pericolo si trova in moltissimi altri luoghi; e pure lecitamente vi si va. E se non è lecito andare alle Commedie troppo licenziose per lo pericolo di sentire qualche sentenza o parola troppo licenziosa: dunque né meno lecito sarà andar per le strade pubbliche; poiché tratto tratto si odono parale troppo licenziose, e molte di numero, e molto scandalose per l’impudica sfacciataggine di molti, e sono proferite con impurità maggiore, che non è la Teatrale oscenità.
Rispondo. L’andare per le pubbliche strade è un atto cohonestatoLXX da qualche buona ragione, o di necessità, o di convenevolezza, o di altro giusto riguardo; e però chi lo fa, non è colpevole di peccato, mentre andando sente senza consenso le parole disoneste: né egli col suo andar o star presente, è cagione, che si dicano; né paga i pronunciatori, che le proferiscono; ne fa loro applauso con la persona, ne col riso, ne con la lode, né col gesto; né va per le strade con volontaria certezza, o con fondata probabilità di udire simili parole stomacose, e scandalose. E pure tutti questi Capi, o quasi tutti, si possono recare contro coloro che vanno al Teatro delle parole oscene. Solo domando. Che buona ragione, e non vana scusa; o che giusta convenienza può mai recare per sua difesa, chi coopera al Comico, mentre pecca mortalmente e con le gravi oscenità dell’impudica lingua? Risponda a se medesimo; perché penso, formerà risposta di confusione, e non d’approvazione. L’Oracolo del suo cuore, facendolo arrossire, sarà un oracolo di verità.
Aggiungo. Il Teatro de’ Comici osceni è molto più scandaloso, che le pubbliche strade, e piazze; poiché, oltre all’indegnità delle parole, che fa sentire, cagiona, che si veggano fatti scandalosi, e negozi tessuti, e ritessuti, aggruppati, e disciolti con molte circostanze provocative efficacemente alla distruzione {p. 113} spirituale della Virtù : onde lo Spettatore se ne parte per ordinario con molte piaghe mortali ricevute nel cuore: e se egli entrò padrone del suo pudico affetto, spesso se n’esce schiavo della sua concupiscenza.
Punto decimo quinto.
Se il dire, lo non vò per far peccato, né per mal fine alle Commedie oscene, e pochi vi vanno con tal'animo. Basti per andarvi lecitamente.
È opinione del Comico Beltrame, che chi vuole cercare, e ricercare il fine, col quale si va alla Commedia, non troverà, chi vi vada per far peccato, e per mal fine.
Se io non erro, dice egli, il fine di coloro, che vanno alla Commediac. 17. si somma in questi capi. Molti vanno per la curiosità di sentir; se i Comici sono valent’uomini; e molti per l’uso di vedere tutte le novità. Chi va per passar l’ozio: e chi per non saper, dove andare in quell’ora. Molti vanno per udir concetti nuovi, o bei discorsi: e altri per sentire le parti ridicole. Chi va, perché talvolta anche egli recita,per osservar i modi: e chi va per la conversazione de’ suoi compagni: e chi per trovar, chi paga per lui. Chi va per non voler in quell’ora giocare, e chi per passar qualche mal’umore. Chi va per esservi condotto chi per non parere avaro, o ignorante. Chi va per uso: chi va, perché vede, che gli altri vi vanno. Insomma cercate, e ricercate, che non troverete, chi vi vada per mal fine.
L’opinione di questo Comico non resta giustificata con la lunga numerazione di tanti fini degli Spettatori, né meno basterebbe a giustificarla, se avesse aggiunto, che i Comici del nostro tempo non dicono le parole, né formano i gesti di qualche oscenità per fine, che si pecchi; ma per fine di far fuggir il peccato, il quale si rappresenta nell’Azione con il diletto lecito della Commedia.
Imperoché io col Casano rispondo in quanto a’ ComiciAppr.Il Franc.nel Gio. Chris. p. 3. c. 15., che professano aver buon fine; e dico. Peccano mortalmente, quando nel recitare dicono parole molto brutte e provocative {p. 114} efficacemente alla disonestà; tutto che le dicano con ottimo fine: perché le Azioni umane pigliano la bontà, e malizia loro intrinseca, e essenziale, non dal fine sotto ragione precisa di fine, perché questo è estrinseco dell’azione, ma da gli oggetti loro, da’ quali ricevono l’essere specificativo secondo S. Tommaso. E la malizia presa da tali oggetti non può essere fatta buona da qualsivoglia buon fine, essendo estrinseco. Vero è, che il fine cattivo, etiam estrinseco può contaminare l’Azione: perché « malum ex singulis defectibus
» : ove « bonum est ex integra causa
», secondo il detto del gran Dionisio; e però il fin buono non basta ad integrare la bontà di un Azione mala « ex objecto essentiali
» : dunque peccano mortalmente i Comici per le oscenità gravi.
In quanto poi all’asserire, che degli Spettatori niuno va alla Commedia oscena per far peccato, ne per mal fine. Rispondo, che forse è vero « in actu signato, explicite, et directe; non autem in actuexercito, implicite, et indirecte
Filiuc. tr. 21. n. 105. » : e questo basta al peccato; perché non è necessario « adastum malum
», dice un Teologo, « ut fiat intuitu inonestatis, qua est in obiecto ipsius; sed sufficit, esse cognitam directe, vel indirecte: id enim fatis est ad voluntarium; et malum consurgit ex quolibet defectu
». All’atto malo non si richiede necessariamente, che si faccia con riguardo alla disonestà, che è nel suo oggetto; ma basta, che ella sia conosciuta direttamente, ovvero indirettamente; perché questo è sufficiente al volontario: e il male nasce da qualsivoglia difetto. Ora io dico, che chi va alla Commedia oscena, conosce d’andare; e vi vuole andare; e andandovi cagiona, che i Comici pecchino; e egli si espone a’ manifesto pericolo di peccare: e però è obbligato di non vi andare: dunque andandovi pecca « saltem indirecte, e in causa
», almeno indirettamente, e nel dar la cagione tr. 21. n. 59. al peccato. Il Filiucci con la Scuola dice che una sorte di volontario indiretto è il « volitum in sua causa absque expressa intentione ejus
». Senza che non mancano di quelli che vanno alla Commedia per mal fine direttamente. Onde Beltrame fece l’obiezione a se stesso scrivendo. Dirà unoc. 17. p. 75.. Quanti se ne trovano, che vanno alla Commedia solamente {p. 115} per vedere, se le Recitanti sono belle; e come sono giovani; e come recitano bene ? Quanti peccano col pensiero ? E questo è il male; e qui sta il pericolo. Or che dirai a questo capo? Veramente se molti andassero alla Commedia con tal fine, io stesso, dice
Beltrame, che sono interessato, non saprei negar il pericolo del peccato. Ma perché possono esser pochi, dirò che il poco non fa numero; come si fa di coloro, che vanno alle Feste di devozione, che si muovono più per trovarsi al passeggio, che al ben fare.
Io non approvo il detto di questo Comico, quasi che si possa lecitamente dare occasione di peccare a pochi; e dico, che i Commedianti disonesti con le loro oscenità senza giusta cagione danno occasione a’ que’ pochi di far il peccato: e però peccano mortalmente; e aggiungo, che non solo a pochi, ma né anche ad un solo si deve, né si può dar occasione di rovina spirituale senza cagione sufficiente alla giustificazione; la quale senza dubbio non si trova nel caso della Commedia, ma ben si trova sufficentissima nel caso delle Feste di devozione, che sono instituite « ad conservandum et augendum cultum divinum
», per conservar e accrescere il culto divino: e guai a quelli, che si abusano delle Feste: ove la Comica, Oscena, e Teatrale Azione è iniquità « ad lucrum Comicorum
», per dar guadagno a disonesti Attori; onde tal guadagno è congiunto da S. Tommaso2. 2. q. 87. a. 2. ad 2. col bruttissimo guadagno preso dal Meretricio.
Punto decimo sesto.
Se si giustifica, chi dice. Vado alle Commedie oscene perchè altrimenti farei cosa peggiore.
S. Girolamo scrive, che alcuni cattivi vogliono piacere paragonando se stessi con altri di se peggiori. « Piacere volunt in comparatione pejorum.
»Ep. ad De metri. E a me pare, che così proceda, chiunque, volendo, che l’atto suo cattivo di andare alla Commedia oscena, piaccia, e non sia tenuto vizioso, lo paragona ad altri atti suoi molto peggiori; e dice.
Io fo peggio, quando non vado alla Commedia perché o mi trattengo {p. 116} speculando, come’ posso negoziar con avantaggio di guadagno illecito; o me ne vado a qualche ridotto, ove si rovescia la medaglia di questo, e di quello con grave danno della sua riputazione: ovvero mi trovo rapito a qualche impudica conversazione; o ad altra occasione di peccato anche più scandaloso: ove nel tempo della Commedia forse mai ho fatto errore; se pure non si deve nomar’ errore lo starvi presente.
Aggiungo io al detto di costui che una volta udii un grave, e giudizioso Teologo Religioso dire così. Credo, che molti farebbero peggio, se non andassero alla Commedia corrente di oggidì. Ma rispondo, in quanto a questo Teologo, che io non credo, che egli avesse pensiero di giustificare in tutto, mi solo alleggerire la colpa di quelli, che senza buona ragione vanno alla Commedia oscena; e volle accennare, che merita minor pena, chi tentato di far due mali, elegge il minore secondo quell’avviso. « Praeligendum est minus malum majori.
» 13 dist. cap. Nerviapud Anton. 3. p. t. 4. c. 3. ante princi.§. 1. c. 14. n. 40.. E secondo quel detto di Navarro in Enchir. « Licitum est sanctum est precari, et persuadere ei, qui proponit intersicere, aut adulterari, ut satis esse ducat percutere, aut fornicari.
»
Rispondo poi, che, chi va alla Commedia oscena difficilmente può dire con verità. Forse mai ho fatto errore. Perché difficile si è il non peccarvi mortalmente, almeno per una delle molte ragioni, per le quali vi peccano molti; e non sono scusati da quella ignoranza crassa, che si trova in loro. Né il dire. Io farei cosa peggiore. Giustifica, mentre uno fa il male avvertentemente, volontariamente, e liberamente: ma mostra la sua gran malizia; la quale non sa, o non vuole, cessare da un peccato, se non si appiglia ad un altro peggiore: e pure e ciascun Fedele per legge di Cristianità è tenuto ai ritiramento da tutte le colpe gravi mortali, e anche veniali. « Culpa neque minima venialis, dice Soto, est eligibilis, neque ad evitandum aliam culpam; quia implicat contradictionem licere peccare: et ideò nunquam datur causus, in quo licitum sit unum minimum peccatum committere ad vitandum maximum.
»d. 17. in 4. q. 2. a. 4. in 5. conclus. Se uno dicesse. Io tengo la Concubina, altrimenti farsi adulteri, si giustificherebbe? Ovvero. Io guadagno con l’usure, altrimenti ucciderei le {p. 117} persone per guadagnare, si giustificherebbe? Certo che no. E così parimente non rimane giustificato, chi dice. Io vado alle Commedie oscene, altrimenti farei cosa peggiore.
Dunque, dico io, non vi vada; e di più, non faccia cosa peggiore. « Si utrumque nefarium est, dice S. Agostino, non debet alterum pro altero perpetrare, sed utrumque vitare.
»lib. 2. de adult. coniug. c. 15. Sapendo, che, « qui male operatur, male vexabitur
», chi opera malamente, malamente sarà punito; e chi vorrà con peccati maggiori farsi maggiormente reo, sentirà in questa, o nell’altra vita la forza di più penaci tormenti. Ma io dubito, che chi va alla Commedia oscena, faccia peggio in questo senso, e per questa ragione; perché fa due mali: il primo l’andar alla Commedia: il secondo il male, che lasciò di fare a tempo della Commedia: il primo è presente: il secondo è futuro, ma l’uno, e l’altro è male, e poi unici fanno un mal peggiore: come se uno dicesse. Io do delle ferite al mio nemico per non l’uccidere; e poi dopo qualche tempo l’uccidesse. Adunque niuno si abusi di quell’autorità proverbiale. « De duobus malis minus est eligendum et maius evitandum.
» cap. Non solum. 2. 2. q. 4. et l. Quoties nihiliss. de regulis iurt. 1. in Decal. l. 1. c. 10. n. 16. et n. 22. l. 4. n. 351. perché s’intende, quando vi concorre la necessità, come dice Sanchez, « et non valet in malis intrinsece
» ; come dice Banes, citato da Reginaldo: onde nel caso nostro non si ammette, se non per vana causa. E quando si possono schivare tutti i mali, non se ne deve commettere neppur uno, secondo l’ApostoloJacob. 2. 10.. « Quicumque totam legem servaverit, offendat autem in uno, factus est omnium reus.
»
Legga chi vuole Sanchiez nel cap. 1. cit. a nu. 16. usque ad n. 3. e troverà bella dottrina, e molte autorità di Dottori, per meglio rispondere a questa difficoltà; alla quale aggiungo questa domanda. Può uno lecitamente consigliare ad un Amico, che vada alla Commedia oscena, posto che lo vegga preparato a commettere un peccato maggiore? Rispondo assolutamente, e universalmente può secondo la dottrina allegata da molti Dottori; tra quali bastami per ora il P. Baldellit. 2. all. 1. disp.44. n. 17., che dice. « Meretici ex separata ad fornicandum cum homine libero, ac soluto; et ad adulterandum cum homine coniugato {p. 118}, livitum est dare consilium, ut solum fornicetur: ut notat Caietanus. Et universaliter licitum est dare consilium de malo minore, ut vitetur malum maius, ad quod alius est iam paratus: ut videre est apud Sanchez l. 7. de Matr. Disp.11. n. 14 et seq. Et apud Henriq. l. 14. c. 16. §. 4.
»
Ma non credo già, che quindi s’inserisca bene. Dunque il Superiore può lecitamente permettere le Commedie oscene; perché alcuni farebbero peggio: e così può dar loro occasione di commettere un mal minore, acciocché si astengano da un maggiore. Dico che il Superiore non può permettere; ma deve, perché può, rimediare con altro mezzo che con la permissione. E deve, e può fare, che i tristi s’astengano, e dal maggiore, e che non commettano il minore; o con levare le oscenità dalle Commedie; acciocché, chi le vuole udire, le oda moderate,e oneste; o con proporre altri trattenimenti popolari, equivalenti alle Azioni Comiche, e lontani dalle disonestà: perché la permissione delle Commedie oscene non è il mezzo unico; solo, e efficace, con che può il Superiore impedire, che non seguano inconvenienti di maggiore iniquità: e però non gli è lecita tal permissione; tuttoche si trovi più d’uno, che, essendo assai malvagio dica. Io farei peggio, se non andassi alla Commedia oscena. È vero, che se il Superiore non potesse impedire ad un tristo il commettere un peccato maggiore, con altra maniera, che con la permissione del mal minore, potrebbe in caso tale offerirgli la materia, e occasione di detto mal minore; non già con persuaderlo, ma solo con permetterlo. Onde Laimanl. 2. tr. 3. c. 13. n. 7. al fine. approva la dottrina del Valenza, e dice. «Commissuro maius peccatum, si inde abduci aliaratione non possit, licitum esse, offerre materiam, si inde occasionem minoris peccati, non suadendo, sed permitttendo». E il P. Suarezl. 3. contra Parmen. scrive. « Hac ratione sæpe in ipsis Fidelibus tolerat Ecclesia gravia peccata, ne maiora sequantur schismata, ut docet. Aug. Et habetur in c. cum quisque 23. q. 4.
» E la ragione è chiara, perché la Prudenza insegna, che de’ molti mali s’elegga il minore; e l’ordine della Carità richiede, che la correzione non si faccia senza la
speranza del frutto. « Ergo multo minus, concludo con l’addotto Teologo, {p. 119}fieri debet coactio cum maiori nocumento
». E però quell’Evangelico PadreMat. 13. Suar. De fid. Disp. 18. sec. 4. n. 9. di famiglia vietò a’ Servi lo sradicare le zizzanie, « ne forte eradicetis simul et criticum
».
Punto decimo settimo
Se la Commedia oscena si può permettere, essendo la natura del Vizioso Spettatore la cagione del peccato.
Il modo di usare le cose è qualificatore dell’uso loro. Il cibo è buono, e giovevole, a chi l’usa bene: ma cattivo, e nocevole, a chi l’usa male. Infine il bellissimo lampo del Sole nomarsi può dannoso, o grazioso, all’occhi conforme all’uso, con che la potenza visiva s’impiega ben disposta, o mal disposta nel vagheggiare. Vale questa Regola per la CommediaBeltrame c. 34. a favore di quel Comico, che scrisse.
Gli Elementi sono buoni, adoperandoli in bene, e dannevoli, s’altrimenti sono trattati. Chi volesse far commento della buona parte della Commedia, la farebbe parere Azione necessaria all’anima, e al corpo: ma facendo il contrario, la farà vedere pericolosissima della salute.
Pare, che egli voglia dire; come dice altrove, c. 17. Un Sensuale porta pericolo in ogni luogo: cioè, che la Natura del vizioso Spettatore, e la sua mala volontà cagioni il peccato; e non il Comico, ne meno la Commedia, benché abbia qualche poco di oscenità; e però ella si può permettere: e lo Spettatori deve correggere se stesso, e non usare malamente il Drammatico Trattenimento. Così parimente disse a me l’anno 1640. un principalissimo Commediante, detto Aurelio tra’ Comici, quasi volesse dire. Lo Spettatore deve imitar l’Api, e non i Ragni cogliere da Teatrali Recitamenti il dolce miele di allegrezze, e utilità, non il veleno di lascivia, e d’immondezza. Chi è fragile come un vetro, fugga l’incontro delle pietre. E non maneggi le armi, chi non ha punto di scherma.
Rispondo. È vero, che il Vizioso cagiona il peccato: ma non per questo è lecito al Comico osceno darli occasione con le oscenità, che lo cagioni: perché egli anche pecca dando tal occasione {p. 120}. La natura, e volontà cattiva dello Spettatore concorre al peccato, come cagione fisica, immediata, principale, e influente nell’atto peccaminoso: ma la Commedia disonesta e il Comico osceno, vi concorre come cagione morale, scandalosa, e che da efficacemente occasione di rovina spirituale. L’uomo intemperante e carnale pecca per la sua mala, natura, e cattiva volontà: ma quindi non ne segue, che la Meretrice non pecchi: mentre con i suoi detti lascivi, e fatti impudichi provoca quello scandalosamente al peccato: così nel caso delle Commedie poco modeste. Pecca lo Spettatore vizioso per mala volontà: e pecca l’Attore osceno per l’oscenità, con la quale porge allo Spettatore occasione di peccare. Concludasi dunque, che la Commedia oscena è indegna della permissione: e ogni Attore, e Spettatore impuro pianga per tempo i suoi peccati, lavando con vera penitenza le sue immondezze. « DeclinaTo. T. tit. de festis diebus. a malo Frater, dico insieme con S. Efrem Siro, deste, et abluc vas tuum quod peccatis contaminanasti; simum; non amplius peccandi propositum situm habe, et sanaberis Deuso enim potentium Deus est.
».
Punto decimo ottavo.
Se la buona Fede, e l’ignoranza scusi dal peccato, chi con quelle va alla Commedia oscena.
La buona Fede è una coraggiosa guerriera per difendere dall’assalto del peccato l’Anima fedele: chi erra con buona Fede, giustamente è scusato dell’errore; ma conviene avvertire, che alle volte si cangiano i nomi, e restano i Soggetti:e non è esagerata di troppo ardente Dicitore il dire. La mala Fede tal volta si copre colo candido velo della buona Fede, onde scoperta, e conosciuta non può difendere dal peccato i suoi seguaci. Come anche l’Ignoranza non sempre scusa i colpevoli: ne sempre vale per loro buona difesa. È vero, che ella a parere di Tertulliano si mostra savia argomentatrice, massimamente quando teme di perdere qualche mondana, e secolare allegrezza. « Sapiens augumetatrix Ignorantia humana, præsertim {p. 121} cum aliquid ejusmodi de gaudis, et de fructibus seculi metuit amittere.
» Nondimeno la sapienza sua molte volte è sciocca, e non tocca il punto nell’argomentare. Spara nel vano i suoi tiri: e ella diviene bersaglio, e scherzo del vento.
Ora stante il detto di tale tenore, alcuni discorrono a difesa degli Spettatori delle Commedie oscene, dicendo. La buona Fede non scusa dal peccato? Sì. E l’Ignoranza ancora non scusa? Replico di sì. Perché dunque dire tanto, e ridire contro le Commedie oscene, e contro i loro Spettatori? Molti vi vanno con buona Fede, e con ignoranza, non sapendo di peccare; e però non peccano. Che, se si dichiarerà loro, che è peccato, vi vorranno tuttavia andare; e così peccheranno; ove prima non peccavano con andarvi.
Rispondo, Pare, che qui si possa esclamare con S. GirolamoEp. 39. ad Pamach.. « O impudentiam singularem: accusant Medicum, quod venena prodiderit.
» Ovvero si può dir con Tertulliano. « Tanta est vis voluptatum, ut et ignorantiam protelet in occasionem, et conscientiam corrumpat in dissimulationem.
» Ma io dico, che questa obiezione è proposta molto bene, e è sciolta benissimo dal P. D. Franc. Maria del Monaco con idioma latino, che trasportato in italiano ha questo senso. La maggior parte di quelli, che a nostro tempo frequentano gli Spettacoli Teatrali osceni, mai, ovvero a pena, ha udito la controversia: se sia peccato mortale, o no, l’andarvi. Alcuni stimano, che sia onestissimo trattenimento, come che distolga il popolo da cose miserabili, e peggiori. Molti difendono, che non sia almeno cosa cattiva. E perché nel Teatro si vede buon numero di persone Sacre, e Religiose, il popolo con la presenza loro, e autorità facilmente resta persuaso, che non sia peccato l’udire Commedie oscene. Adunque, dato, che sia colpa mortale, l’andare l’udirle, e lo starvi presente; mentre con buona Fede tutti ciò fanno, non peccano mortalmente. La onde, chi li farà avvertiti del peccato, egli sarà reo di tutti que’ peccati, che commetteranno, poiché dopo l’avvertimento li vorranno ancora commettere, né cesseranno dal frequentare l’impudico Teatro. L’allegato Autore soggiunge. Questo argomento mi fu mandato, non {p. 122} come difficoltà mossa dalla vile, e indotta plebe; ma come obiezione formata dall’ingegno, e spiegata con la lingua di uomini dottissimi e mi fu proposta da un Personaggio parimente dottissimo, quasi che io fossi reo di un gran peccato, componendo l’Operetta mia, per avvisare gli Spettatori del Teatro: e quasi che i fossi partecipe di tutti que’ peccati, che poco dopo sarebbero stati fatti da’ medesimi Spettatori : « solum quia conscientias verbero; solum quia
moneo
» ; e la cagione, dell’esser io partecipe di tanti peccati, era solamente questa; perché avvisavo. Ora ponderiamo la maniera da questo Teologo usata rispondendo. Io, dice, ringrazio quel dottissimo Personaggio, che, con celarmi il nome, cosi provvede alla salute mia; acciocché io non erri d’ignoranza, mentre porgo gl’Ignoranti ammaestramento. Ma voglio ritorcere l’argomento, e domandare a quello Valent’uomo. Io avrei peccato mortalmente, mentre desidero provvedere alla salute di tutti? E avrei peccato d’ignoranza, se da voi non fossi stato avvertito? Sì. Adunque voi stimate, che uno possa gravente peccare per Ignoranza; non solo quando non conosce il male; ma ancora, il che è più, quando stima di fare una grande opera di Virtù. Adunque peccano ancora quelli, che vanno alle Commedie oscene; benché non sappiano di peccare; adunque non sono innocenti, e senza colpa, come voi dicevate, tuttoche vi vadano con buona fede: adunque non commettono il peccato mortale per cagione mia; poiché lo commetterebbero ancora senza l’ammonizione. Adunque voi, che avvisate me, il quale a vostro parere pecco per Ignoranza, non mi riprendete perché avviso quelli, che peccano pure per Ignoranza. Voi, o uomo letteratissimo, avete stimata cosa degna del vostro giudizio avvisar me solo, che nominate errante; e poi ascriverete a me per peccato, se io avviso persone innumerabili, le quali gravemente errano secondo la confessione di voi medesimo?
Ma rispondo all’obiezione. Quell’Ignoranza scusa dalla colpa, la quale, come dicono i Teologi è in tutto invincibile, incolpabile, probabile giusta, e affatto involontaria: e con {p. 123} la quale resta nascosta tutta la malvagità dell’atto: all’incontro l’Ignoranza è colpabileLXXI, se si conosce almeno una parte della Malizia; come rettamente insegna Sanchez secondo Corduba, e Adriano, il quale dice. « Ad mortale peccatum sufficit intellexisse rationem culpa, qua simpliciter culpa sit qua cognita, etiam si invincibiliter ignoretur eius vis ad destruendam gratiam et ius ad gloriam, et discrimen inter peccatum mortale et veniale, fatis est ad culpam mortalem.
»l. 1. c. 17. Cioè. Al peccato mortale basta l’aver inteso la ragione della colpa, che semplicemente sia colpa: la quale conosciuta basta per la colpa mortale; ancorché invincibilmente non si sappia la forza di lei per distruggere la grazia, e «il ius» alla gloria; e non si sappia la differenza, che passa tra il peccato mortale, e il veniale.
Ma direte. La parte principale degli Spettatori ha l’Ignoranza in tutto invincibile, anche in ordine ad ogni parte della malizia poiché vede stare alle Commedie uomini Religiosi. Adunque è meglio lasciar in buona fede tali Spettatori; acciocché poco dopo non pecchino mortalmente fatti consapevoli del peccato.
Rispondo. Io stimo, che niuno abbia l’Ignoranza invincibile; sì perché di questa materia tutti ormai ne ragionano e i Nobili, e i Plebei; e anche le Donne tal volta ne discorrono; « nemo de ea non disputat; nemo non iudicat
» : sì ancora perché gli stessi Comici più volte hanno trattato in Scena questo argomento, insegnando, che non è peccato l’andare a tali Commedie. Anzi hanno scritto un libretto, il quale io ho veduto; e ho udito da altri, che da loro fu portato in Scena agli Auditori, e’ comunicato; acciocché così più sicuramente ingannassero tutti i buoni, e tutti i cattivi. E certo non avrebbero usato questo modo se non avessero sentito mormorare gli Auditori, e temere per verità. Se sia male, o no, l’andare agli Spettacoli osceni, e Teatrali. O miseria del nostro secolo, questo gli mancava, che gli Istrioni in scena facessero la parte del Giudice delle coscienze; che i Buffoni insegnassero al popolo che l’onor di Dio,e la salute delle anime {p. 124} si trattasse con dispute da’ ministri de’ Diavoli. Adunque invincibilmente non sapranno quelli, che così non fanno? Questa ignoranza, che hanno gli Spettatori delle Commedie, sarà giusta, sarà innocente, sarà probabile? Non al sicuro: ma veramente, e come parlano gli Scolastici, sarà affettata, per peccare più liberamente, e senza rimorso di coscienza; e tale ignoranza non sminuisce la colpa, ma la rende maggiore.
Considerate o dotto Lettore, che la giusta, e invincibile ignoranza è quella, la quale non si vuole direttamente, né indirettamente: ma gli Spettatori delle Commedie la vogliono, almeno indirettamente; poiché potrebbero cacciarla dagli intelletti loro; e non vogliono; mentre che non desistono anche avvisati, come voi dite; e l’ignoranza invincibile, e incolpabile mai si ritrova con un affetto grande di peccare. Adunque gli Spettatori delle Commedie del nostro tempo gravissimamente peccano; tutto che abbiano ignoranza di gravissimamente peccare. E con questo rimane ancor chiaro, che è cosa di grandissima gloria di Dio, e di sommo giovamento alla salvezza delle anime, l’avvisare ciascuno degli Spettatori, né l’avviso è peccato alcuno; benché gli avvisati facciano ancora peggio, e pecchino più gravemente. E torna al mi detto in acconcio il detto di S. Ambrogio Ser. 83.. « Ego interdum, parcens ut, tacere, vellem, sed malo, vos contumacia causas reddere, quam negligentia sustinere judicium.
»
Circa poi quel punto, che io pecchi, scrivendo contro gli Spettatori delle Teatrali Oscenità, dico, che molti prima di me hanno scritto contro i medesimi. Tertulliano un Libro intero. Crisostomo molte Omelie. Altri Dottori molti Discorsi. Anzi Cristo Nostro Signore insegnò, che si peccava mortalmente con il mentale adulterio; che si doveva amare l’inimicoLXXII ; che non era lecito adirarsi con alcuno: e pure i Farisei avevano insegnato altrimenti; e egli sapeva, che moltissimi non avrebbero obbedito a quella sua dottrina: e nondimeno la insegnò.
Il Profeta santo ebbe precetto da Dio d’innalzar a modo di tromba la sua voce, per avvisar al popolo i peccati: « Nos id nefas existimabimus ? proh nefas.
» E noi giudicheremo, che ciò fare {p. 125} sia peccato? O peccato. Sin qui l’allegato Teologo e certo molto bene: perché secondo la dottrina comune non scusa dal peccato ogni sorte d’ignoranza: e quella, che si può vincere, non fa la buona Fede.·« Ignorantia consequens, dice Filliucci, non excusat a peccato: Quando est improbabilis, non excusat.
»tr. 21. n. 367.
E aggiunge, « Ignorantiam vincibilem non facere bonam Fidem.
tr. 31. n. 189. » Adunque coloro, che vanno alle Commedie con ignoranza, non sono scusati da grave colpa; perché possono fare, e non fanno la diligenza morale, e necessaria, per sapere da Dotti, se l’andarvi sia, o non sia, peccato mortale: anzi forse non si curano di far tal diligenza: e forse ancora disprezzano, e rifiutano gli avvisi e le dottrine, offerte loro dalle persone dotte, e zelanti dell’onor di Dio, e della salvezza delle anime; e stimano, credo io, di far minor peccato. « Peius enim fortasse est, dice l’Eminentissimo de Lugo, violare preceptum notum, quam nolle illud cognoscer, ut sine remorsu violetur: plus enim reverentia, et timoris ostenditur in secundo casu, quam in primo, quidquid dicat Sanchez.
»t. de penit. D. 16. nu. n. 183.
Ma come si può dire, che ignoranza scusi alcune volte se tante volte si è sentito, e si sente di quando in quando a predicare pubblicamente contro le Commedie mercenarie del nostro tempo? Tosto che ad una Città giungono Commedianti, non mancano Predicatori, che danno pubblici avvisi all’Auditorio: e non mancano Virtuosi, che con private ammonizioni scoprano i molti pericoli di gravemente peccare andando al Teatro. Concludiamo dunque, che non l’Ignoranza, ma la Negligenza, collegata con la troppa Curiosità, conduce le persone ad udire le vane, e oscene Rappresentazioni. Io mi rimetto al rimorso di coscienza, che credo si faccia sentire da ciascuno in vita; ma molto più si farà sentire nell’estremo, e doloroso punto della morte. Chi non provvede, quando può, tema di non poter provvedere, quando vorrà. Rimetto il benigno Lettore a quel poco, che si è scritto nel Libro, detto la Qualità ai c. 3.nel q. 1. §. Dico 4. E può servire per confermar la risposta a questa difficoltà. E prego umilmente i Padri Confessori a leggere di nuovo ciò, che avranno letto in Reginaldo « de prudentia {p. 126} Confessaric. 4. sect. 1. n. 6. 7. 8.. E quel molto, che scrive diffusamente l’Eminentissimo de Lugo; ove propone, e tratta il dubbio. « An debeat Confessarius Penitentem corrigere, et ei auferre ignorantiam circa peccata, qua facit.
»t. de penit. d. 22. an. 23. Spero, che la pratica di quelle dottrine sarà l’antidoto, o sanativo, o preservativo di molte, e pestilenti infermità.
Io concludo ricordando all’ignorante colpevole le parole di Dio scritte in Osea c. 4. « Quia repulsti scientiam, repellam te.
» O quelle dell’ApostoloI. Cor. 14. « Si quis ignorat, ignorabitur.
» O pure quelle del gran Vicario di Cristo S. Gregorio registrate ne’ Canoni. « Qui stultus fuit culpa, idest ignorans, sapiens erit in pena.
»
Punto decimo nono.
Se l’andar alle Commedie per un poco di ricreazione, e per sollievo della sua malinconia, sia lecito.
Clemente Alessandrino scrive. «Non vano studio emendum est otium» : e io dico, che non ben si compra un male con un altro male; e è buona regola di prudenza l’applicar i rimedi secondo la qualità de’ morbi: e la medicina si loda, quando con l’espulsiva del malore conduce al termine di sanità a l’afflitto infermo. Né posso negare, che molti nel mondo, anche grandi per qualificate condizioni, sono mal’affetti, afflitti, e infermi di malinconia; e devono essere curati con qualche consolazione: e tale si è la Comica, e Teatrale. Quindi un gran Personaggio, per accennar questo, disse a certi suoi amici. Sarà stato un Uomo tutto il girno faticando in fastidiosi negozi, o suoi, o d’altri, con molto disgusto; onde si trova la sera pieno d’affanno, e di malinconia; e risolve d’andare alla Commedia, per sollevarsi alquanto, o per passare due, o tre ore con un poco di ricreazione.
Così parlano altri sondati anche in Aristotele, che scrive. « Ad vitam traducendam modica voluptas sufficit, tanquam illius condimentum: sicut parum salis ad condiendos cibos.
»l. 9. Etich. E chi bramasse biasimare il piacere, quasi che fosse assolutamente cattivo, biasimerebbe {p. 127} la stessa Natura, la quale molto vi piega il cuore umano, come avvertì l’addotto Filosofo, x. Echi. c. 2. Anzi biasimerebbe il medesimo Dio, la cui liberalità promette a’ Giusti, per allettarli all’osservanza de’ Divini Precetti, l’eternità di un piacere tanto grande, che « nec oculos vidit, nec audis audit, nec enr hominis ascendit
»I. Cor. 2. 9.. Onde io non contraddico al Comico Beltrame, ove dice.
« Levare la Commedia esemplare, e faceta, e certe altre ricreazioni tante volte ammesse, è un assottigliare le cose in modo, che si mostrano tanto difficili, che spaventano, chiunque a tal carico si ha da sottoscrivere: e però parmi, che mutar lo spasso vizioso in diletto civile, sia arte da medicare senza apportar terrore d’annichilità di gusto a gl’infermi della passione de’sensi. Gli onesti trattenimenti nelle buone coscienze sono quei belli paesi, che sogliono far’ i Pittori nelle loro tavole, per riempimento di que’ vacui, che sono intorno alle figure, i quali adornano, e fanno spiccare meglio le cose ben disegnate, e colorite: e il porre scrupoli di coscienza a chi brama un poco di ricreazione, è un farlo precipitare nelle disubbidienze.
»
Beltrame segue di dire altre cose, dopo le quali conclude che gli spassi, e le Commedie levano la malinconia a’ Grandi, e a Popolari. Al che io non repugno; perché egli discorre di quelle Commedie, che vengono sotto nome di onesto trattenimento: e tali non sono le disoneste, alle quali chi volesse andare per ricreazione, per gusto, e per sollievo della sua malinconia, peccherebbe; atteso che non si deve procurare la soddisfazione del corpo con la distruzione de’ beni spirituali dell’anima. « Quid prodest, dice il Padre S. Giovanni Crisostomo, curare corpus anima pereunte? Quid lucri, si quid solati nanciscamus, mox coniciendi in ignem æternum?
»c. 5. or. 6. adversus Iudeos. Bisogna praticare l’importante avviso di S. Ambrogio, cioè avvertire, « ne dum relaxare animum volumus, solvamus omnem harmoniam, quasi concentum quendam bonorum operum
»l. 1. off. c. 20.. E S. Tommaso citato da’ Beltrame c. 59. dice. « In ludis debet attendi, ne totaliter gravitas anima resolvatur.
» Con la Commedia turpe l’anima resta presa dal piacere e molte volte dal troppo, e si perturba perché come {p. 128} dice S. Nilo in Ascetico, « Voluptas non est en eorum numero, qua stant, et quiescunt; sed ex eorum, qua moventur, et perturbationis sunt plena.
» Voglio dire: l’anima da nello scoglio del peccato, e resta misera naufragante con perdita delle preziose merci della Grazia, e col tormento di un gran dolore. « Quid prodest illa temporaria voluptas, dum hinc perpetuus nascitur dolor?
»t. 5. h. 3. de David. Come dice Crisostomo eccellentemente. Che giova quel temporale, e breve piacere, se diviene semenza di un perpetuo dolore? Quel piacere è simile al morso dell’Aspido, che quasi dilettando uccide. « Percussus enim ab Aspide quasi delectatus vadit in insomnum, e per
suavitatem soporis moritur, quia tunc venenum per omnia membra latenter decurrit.
»
Così dice il medesimo Crisostomocitato da Cor. In Deuter. c. 23. v. 19. : Dunque chi è Superiore grande, e gusta di Commedie per medicamento dell’umor suo troppo malinconico, le faccia rivedere, e purgare da ogni oscenità; e comandi a Comici, che si astengano da qualsivoglia dimostrazione impura, e poi le goda. Così a nostro tempo ha fatto nel gran Regno di Francia il Sig. Cardinal Richeliù nel modo, che da me altrove è stato dichiarato. E chi non è Superiore, e non può rimediare al Teatro con levarne affatto le oscenità; non vi vada; e procuri con altro medicamento alleggerire il tedio della sua malinconia senza scapito della Virtù, e del Decoro. « Scimus quidem, avvisa un Autore, esse necessariam remissionem; sed non adeo frequentem: scimus, relaxandas vires, sed non deponendas, et enervandas; Deorum ut tota rerum Natura, ita et in animis, et actionibus nostris diligente est ubique servandum.
»Nicolaus Biesius de Repub. L. 3. c. 6. E S. Agostino scrive. « Non foris quarenda est laetitia, sed intus, in interiori homine, ubi habitat Christus in ipso corde.
» Ma che farebbe, se il Teatro osceno invece di ricreazione recasse tormento? « Nam, dice S. Crisostomo, saltatricis alicuius amoribus captus quispiam suerit, omni militia durius tormentum certe sustinebit.
»ho. 68. in Matt. Troppo è vero, che uno va alla Commedia per trattenimento resta preso nell’amor di una Comica, e se ne parte con la pena di un cuor ferito: ma ciò non sia; dico, che come, quando i Comici non sono nella Città, o non vi fanno le Azioni, l’uomo Virtuoso, e malinconico {p. 129} sa, e può, e vuole trovare, e usare altra medicina che la ricreazione oscena Teatrale per rimedio del suo morbo; così quando vi sono, si astenga dall’uso di quel diletto, che non è
medicina, ma veleno:· non applichi l’animo al gusto delle Commedie poco modeste: perché, mitigandoli una dramma di malinconia, lo aggraveranno con un moltiplicato peso di peccati mortali. Chi ha buon capitale d’amore alla Virtù, s’ingegna di mitigare ogni malinconico affetto senza darsi in preda dei Vizio: e avverta con Seneca, che i Vizi « si invita ratione caperint, intvita perseverabunt: facilius e enim initia allorum prohibere, quam impetum regere: falsa est itaque ista mediocritas, et inutilis, eademque loco habenda, quo si quis diceret, modice insaniendum, modice agrotandum: sola Virtus habet, non recipiunt animi mala, temperamentum. Adice nunc, quod ista, quamuis exigua sint malus excedunt, nunquam perniciosa servant modum. Quamuis levia initia morbru serpunt et agra corpora minima interdum mergit accesso.
»Ep. 85. Dal sentimento di questo Savio antico prenda ogni Savio moderno risoluzione di moderare l’affetto vizioso nel godimento dell’osceno Teatro; e se vuole un poco di gusto, e di sollievo, lo prenda con udire Recitamenti onesti e non impuri. Di più consideri la sentenza di Tullio citato da S. Tommaso2. 2. q. 168. a. 2. ad. 2.. « Non ita generati a Natura sumus ut ad ludum et iocum facti videamu; sed ad severitatem potius, et ad quedam studia graviora; atque maiora.
» Cioè. La Natura non ci ha fatto per attendere al gioco, ma più tosto per la severità, e per gli studi più gravi, e maggiori. Consideri il detto di S. Girolamo. « Gravitas tua personam decet.
» Consideri il pensier di S. Gregorio. « Desiderium celestium nesciunt, qui cor in terrenis voluptatibus desigunt
». Non sa desiderare i piaceri del Cielo, chi troppo ama quelli della terra. Consideri quel fiore di moralità tra i fiori di S. Bernardo. « Spectacula vana, rogo quid corporis prastant, quidue anima conferre videntur? Frivola,
inanis, et nugatoria consolatio.
»Serm. de convers. c. 12. Che cosa recano al corpo, ovvero all’anima gli Spettacoli vani? Deh che sono una consolazione frivola, vana, e di pregi niuno, e di niuna stima: onde sino quell’antico {p. 130}SavioThemistocle. conoscendo questa verità disse. « Sanctius est otiari, quam turpiter solatiari
» ; è meglio star in ozio che sollazzarsi disonestamente. E io dico. Chi gusta il dolce miele del Teatro, avverta non gustarne troppo, e con danno dell’anima. « Qui mel multum comedit, scrive S. Gregorio, non est ei bonum, dulcedo enim mellis si plus quam necesse est, sumitur, unde delectatur os, inde vita comedentis necatur.
»l. 14. mor. c. 12.
Punto vigesimo.
Si continua questa materia.
Con S. Crisostomot. 2. ho. 7. in Mat. c. 2. dico. « Non impedio liberam voluptatem, sed cum onestate fieri volo, non cum oscenitate et crimine.
» E oltre S. Crisostomo fondo il mi detto in San Tommaso, il qual vuole l’onestà nel gioco. Anche in S. Tommaso si fonda Scipione Mercurili. 4. degli errori popolari c. 7. pag. 190., ove scrive così. « Il gioco è necessario all’uomo, per ricreare e l’anima, e il corpo: ma perché l’uomo deve regolar le sue Azioni con la ragione; che per ciò la sua miglior parte è detta razionale
» : e di questo ne rende la cagione Aristotile nel 4. dell’Eth. al c.8. poiché quando l’Azione umana è regolata dalla ragione, nasce dall’abito della Virtù morale perciò i giochi, da’ quale uomo deve prender sollazzo, debbono anche essi esser regolati dalla ragione: e, come dice S. Tommaso, devono aver tre condizioni. La prima, che in cotali giochi non vi concorrano parole disoneste, o sporche. La seconda, che non vi siano atti illeciti. La terza che non si facciano in tempi indebiti. E queste tre condizioni si cavano anche da M. Tullio; poiché della prima divide il gioco in liberale e osceno: della seconda dice. « Non omnem licentiam damus, sed eam, que ab onestis actionibus non est aliena
» : e della terza scrive, « ludo, et ioco uti licet, sicut somno, et quiete
». Da tutto il suddetto si conclude che chi va alla Commedia per un poco di ricreazione deve andare, non all’oscena ma alla modesta.
Non posso lasciare un poco del bello, e dotto discorso, che in prova di questo ha scritto Iavello con tale ammaestramento. {p. 131} « Sicut dormitio necessaria est homihi posi corporis labores; ut renoventur, et confortentur spiritus, qui ex diurno labore resoluti fucrant, sic ludus necessarius est,ut requiescat animus a labore mentali, quem patitur in studio tam speculatio, quam practico: nec speculamur pro hæc vita, neq intendimus intelectualiter, et practice in agibililus, puta in regenda domo aut civitate, aut in consulendo, aut iudicando, nisi concurrentibus viribus sensitiuis interioribus, precipue memorativa et cogitativa deservuentibus intellectui, que cum sint organica, alterantur in continuatione suorum actuumo: et ut inquit Avicenna in 6 Naturalium, propter Phantasiam virtus anima speculativa est in continuo labore. Ut igitur recreetur, et consortetur animus in actu suo intellectuali, necessarius est homini ludus, sumendo ludum pro onesto, et laudabili, et delactivo exercitio: ut excipiam ludos serviles, illiberales, inonestos: iquales exercent Mimi, Histriones, et Scurra: his enim non consortatur animus in speculabili bus,et agibilibus, sed magis distrabitur et revocant ipsum ad corporalia delectabilia: et concupiscentia propter tales ludos confirmatur supra vires intellectuales.
»t. 2. de reg. filior. tr. 3. c. 10. pag. 741.Ma ricordiamoci ancora della dottrina di Platone citato da S. Tommaso. « Plato non posuit, omnes delectationes esse malas, sicut Stoici; neque omnes esse bonas, sicut Epicurei, sed quasdam esse bonus, quasdamo esse malas.
»I. 2. q. 34. a. 3. c. Platone fu di parere, che non tutti i diletti fossero cattivi secondo l’opinione degli Stoici; né che tutti fossero buoni secondo la sentenza degli Epicurei, ma che ve ne fossero alcuni buoni, e alcuni cattivi.
E io dico, che il diletto cagionato dalle Commedie oscene, è cattivo, dunque non deve usarsi dal buon Cristiano per rimedio della sua malinconia, e per aver piacere. Scrive Plutarco. « Non placuit Laconibus quorundam excusati, Fabulas ad voluptatem fingi, non ad fidem veri Voluptas ea corrumpit imbellium animos.
»in Laoon. Non voglio credere, che ad alcun Fedele avvenga ciò, che racconta Damascio del Guglielmo d’Ammonio, il quale non era, come dicesi, « Asinus ad lyram
», ma godeva, tanto d’udire le canzoni, che se bene egli era famelico, si scordava di cibarsi per ascoltare. E so, che ogni buono Cristiano; è {p. 132} tenuto ad essere temperante, e chi è tale, fugge per obbligo di Virtù, e di Cristianità, non tutti i diletti, ma gl’immoderati, e discordanti della Ragione secondo la dottrina di S. Tommaso, « Temperatus, dice egli, non fugit omnes delectationes, sed immoderatas, et Rationi non convenientes.
»l. 2. q. 34. a. 1. ad. 2. E nelle cose morali il diletto, che discorda dalla Ragione, è un mal diletto. « In moralibus, dice il medesimo Santo, est quadam delectatio mala ex eo quod appetitus superior, vel inferior quiescit in eo, quod a Ratione discordat et a Lege Dei.
»a. 1. c.
Ma forse dirà uno. Il diletto nato dalla Comica oscenità, non è buono simpliciter, assolutamente; ma è buono al malinconico, è buono per accidente, e secondo la mala disposizione del malinconico, al quale serve per medicamento, e lo ricrea, e fa stare allegro; e è conforme a S. Tommaso, il quale dice. « Quod non est secundum se bonum est huic bonum; quia est ei conveniens secundum disposiitionem, in qua nunc est, qua tamen non est naturalis. Sicut Leproso bonum est quandoque comedere aliqua venenosa qua non sunt simpliciter convenientia complexioni humane.
»a. 2. c. Rispondo. S. Tommaso in quel luogo dichiara l’inganno degli Epicurei, che dicevano, « delectationes omnes esse bonas
» tutti i diletti sono buoni semplicemente, e assolutamente. E egli dice di loro. « Ex hoc decepti esse videntur, quod non distinguebant inter id, quod est bonum simpliciter, et inter id quod est bonum quo ad hunc.
» S’ingannarono, perché non distinguevano il bene, che è assolutamente bene, da quel bene, che è tale rispettivamente in riguardo di qualcuno in particolare: e dal primo bene nasce il diletto buono semplicemente, e dal secondo nasce il diletto buono per accidente.
Ma questa dottrina non è contraria a noi; ne si dilunga da, quello, che pretende mostrare in quell’Articolo il S. Dottore, cioè, che non ogni diletto è buono di bontà morale: e però dice lui. « Delectabile dicitur secundu appetitum, qui quandoque in illud tendit quod non est convaniens rationi: et ideò non omne delectabile est bonum bonitate morali que attenditur secundum Rationem.
»l. 2. q. 34. a. 2. ad. 1. Cioè, v’è una sorte di bene dilettevole secondo l’appetito, il quale appetito alle volte si termina ad un oggetto {p. 133}, che non è conveniente alla Ragione; e però non ogni bene dilettevole è buono di morale bontà, la quale si attende secondo la regola di Ragione.
Concludiamo dunque col medesimo Dottore. « Sicut contingit, non omne bonum, quod, appetitur, esse per se, et vere bonum, ita non omnis delectatio est per se et vere bona.
» Come avviene, che non ogni bene desiderato è veramente, e per se stesso bene; così non ogni diletto è per se stesso, e veramente diletto buono di bontà morale secondo la Ragione; tuttoché avesse, ό abbia qualche bontà, o per natura, o per accidente, o di altra condizione. Dunque chi cerca diletto, fondato nel male delle Oscenità, cerca diletto cattivo, diletto, di cui si avvera il detto del Boccadoro. « Re vera omnis lætitia pericolosa est, omnis incunditas laqueis impeditur.
» hom. De Iephthe. t. 1. E la sentenza di S. Bernardo. « Voluptas carcer, oblectamentum, tormentum; nam inde punimur, unde delectamur.
» Int. Domi. c. 14. Diletto irragionevole, diletto « secundum appetitum, non secundum Rationem
», e diletto, che se alleggerisce un poco dall’umor malinconico la persona, aggrava non poco l’anima col peso del peccato. E per conseguenza non è buono rimedio, né da praticarsi volentieri; poiché non procede da uomo savio, ne da buono, e virtuoso Cristiano; ma da uomo malo, chi si diletta delle opere male, e per consolare il corpo, affligge l’anima. « Est bonus virtuosus, dice S. Tommaso, qui gaudet in operibus virtutum: malus autem qui in operibus malis. Delectationes autem appetitus senstivi non sunt regula bonitatis, vel malitia moralis: nam cibus communiter dectabilis est secundum appetitum sensitivum bonis, et malis: sed voluntas bonorum delectatur in eis secundum convenientiam Rationis quam non curat voluta malorum.
» l. 2. q. 34. a. 4. c. E più brevemente poco dopo aggiunge. « Ille bonus est, cuius voluntas quiescit in vero bono: malus autem cuius
voluntas quiescit in malo.
» a. 4. ad. 2. Da che si conclude che, chi vuol dilettarsi dell’oscenità, vuol essere un uomo non buono, e però tema la sentenza di Crisostomo. « Temporalis voluptas perpetuum parere solet dolorem, et fine carentia tormenta.
»ho. 22. in Gen.
Punto vigesimo primo. {p. 134}
Se è buona la Ragione di chi dice. Io vado per passatempo, e per ridere un poco: e so, che non acconsento al peccato delle Oscenità.
Questa è una Ragione di moltiplicato rispetto: ella ha molti fondamenti, ciascuno de’ quali deve considerarsi diligentemente. E in quanto al primo, con che si dice. Io vado per passatempo: adunque vi posso andare senza peccato: adunque anche il Superiore può permettere la Commedia oscena senza giusto rimorso di coscienza.
Rispondo. Il Superiore non la può permettere per molte Ragioni accennate altrove; e le quali considerano la Commedia: come si deve considerare: cioè in ordine a tutti, tanto a quelli, che, come forti nella Virtù, non peccano con il consentimento alle oscenità; quanto ad altri, che, come deboli, vi consentono. Aggiungo. Non accetto per buona quella conseguenza. Adunque vi posso andare senza peccato, andandovi per passatempo: perché se l’andarvi sarà senza colpa mortale; almeno non sarà senza veniale: come dice, e prova Girolamo FiorentinoIn Comediocr. Conclus. 5. p. 59.. « Hujusmodi Comedis interesse, scrive, est ad minus peccatum veniale. Hanc conclusionem nullus excitatis Auctoribus negato: et expresse tradunt Caietanus, Durandi Armil. Filiuc. Sanchiez Gabr. Probatur, quia, qui non delectatur de rebus turpibus reprasentatis, delectatur ad minus de ipsarum rerum representatione, sed hoc est peccatum veniale: ergo et c. Min. probatur. Quia est delectatio de turpiloquio, aut scurrilitate, que ex D. Paulo, Caietano ad minus est peccatum veniale.
» Questa ragione io non riprovo; né meno la Conclusione ; ma permetto, che passino ambedue: e aggiungo, che forse tal uno dirà. Può un Virtuoso Spettatore trovarsi presente ad una Commedia oscena senza peccato, anche veniale; perché può non dilettarsi, né delle cose brutte rappresentate, né della loro Rappresentazione, e può essere stato mosso ad andarvi per qualche buona Ragione, e molto ben fondata; nel qual caso non pecca venialmente; anzi forse fa opera di qualche merito appresso {p. 135} Dio. « Bonitas rei pendet a fine
», scrive S. Tommaso; poco prima aveva scritto. « Finis in operabilibus habet orationem principi, a quo maxime sumitur judicium.
»l. 2. q. 34. a. 4. ad. 3. ibid. ad. 1. Ma io non affermo già, che l’andare alla Commedia per passatempo sia
buona Ragione: anzi credo, che sia cattiva, e fondata nella vanità, nell’ozio, e perdita, o vana consumazione del tempo; e per conseguenza sia almeno peccato veniale; e, come si dovrà rendere ragione della parola oziosa, e detta senza frutto, al Giudice Divino; così la medesima strettezza premerà per rispetto del tempo passato oziosamente, e senza frutto.
Punto vigesimo secondo.
Si continua il Discorso.
In quanto a secondo fondamento della proposta Ragione, cioè. Io vado per ridere un poco. Rispondo con un Teologo, che quelli, che vogliono essere affabili, si servono del riso; ma spesse volte usano il troppo, l’imprudente, e non l’opportuno al tempoBalthasar Chanass. De perfecta prud. L. 4. c. §. 4. p. 1047.. « Tempus ridendi
», scrive il Savio; ma scrive anche, « tempus flendi
». Il riso per se stesso non è buono moralmente, né malo; perché se fosse malo, Dio non avrebbe fatto l’uomo risibile: e se fosse buono, o necessario, non si sarebbero astenuti da lui uomini prudentissimi: come quel gran Catone, o Crasso tra’ Gentili, e tra noi Fedeli, il nostro Salvatore, di cui non leggiamo, che mai ridesse, « est subrisse, non negaveurim, pracipuè eum paruulus esset in Matris gremio
», scrive questo Teologo: e par, che alluda quel bel detto di Clemente Alessandrino. « Admitto subridentem, qui secura facile videtur subridere
»2. Peda. C. 50. : e poi segue a dire. « Cachinnari, seu effusè ridere
» ; il ridere non poco, ma troppo, è cosa disdicevole al Virtuoso; « hominis est insolentis
» ; e di tal riso leggiamo. « Sicut sonitus spinarum ardentium sub olla, sic risus stulti, sed hoc vanitas.
»Eccles. c. 7. 7. È una vanità, la quale tal volta è stata di tanto nocumento, che per la troppa dissipazione. degli spiriti, e per la difficoltà di respirare, alcuni sono morti ridendo. Così avvenne a quel vecchio, che vide un giumento che mangiava i fichi, e perché i servitori {p. 136} chiamati non corsero, se non dopo che gli ebbe mangiati tutti, rise tanto gagliardamente, che col riso finì la vita. Io dico, che chi và alla Commedia, per ridere un poco, e modestamente, molte volte da nel troppo, e nell’indecente, secondo il detto di S.
AgostinoSer. 97. de temp.. « Risus frequens corrumpit mores
» : e se bene non corre il pericolo di morire col riso; nondimeno si espone all’occasione di trapassare i termini della Virtù, ridendo troppo, e squarciatamente. Che se poi ridesse per udire qualche buffoneria, ponderi le parole di Cristo alla sua Sposa, S. Brigida. « Consideret homo, ad quid valent Verba scurrilia, ad quid inepta risoria, rectè non sunt, nisi vanitas. Ergo audire debet necessaria anima, et corporis in bono ædificatoria: iste auditus plus appendet in statera, quam auditus scurrilium.
» E se ridesse per sentire qualche oscenità da un Comico, ovvero Comica poco modesta, si ricordi l’avviso di S. Girolamo. « Scurrilitas, atque lascivia te presente non habeat locum: perdita mentis homines uno frequenter, leviq sermone tentant claustra Pudicia.
»Ep. 8. E di più tema di acquistarsi il titolo, non di Galantuomo, ma di mal costumato, secondo il parere del Comico Beltrame, il quale discorrendo della Commedia rilassata, ove si ode qualche cosa oscenacap. 48. p. 197., dice, che il Comico scostumato la direbbe, per far ridere qualche mal costumato: poiché i Galantuomini non ridono per l’oscenità. Ma Tornando alla nostra Risposta, io prego il virtuoso Lettore a giudicare, quanto si mostri alieno, chi va per ridere alla Commedia, dal costume di quel gran Re Davide, di cui Crisostomo dice. « Risuml. 2. de compunc. Eccles. 2. importunum, aut scurrillitatem in iudicio Dei cogitabat esse plectendam.
» E dal costume del Savio, che scrisse. « Risum reputavi errorem: et gaudio dixi. Cum frustra decipieris?
» Al che credo alludesse Niccolò Cancelliere di S. Bernardo, quando disse. « Personam mundanus risus circumsert, qua tristitiam tegit.
»q. 83. 52. Il riso del Mondo non è vero riso, ma è vera mestizia. « Risus larvam habet.
» Disse un altro.
Giudichi il Lettore quanto debba un tale amico del riso temere la spaventosa minaccia del Salvatore. « Va vobis, qui ridetis, quia flebitis.
» Guai a voi che ridete; perché il vostro riso {p. 137} terminerà col pianto: e dove? In quella prigione eterna; « ubi erit fletus, et stridor dentium
». E della quale dice Crisologo. « Male stridet ibi, qui hic male ridet.
» E Anselmo. « Multi dolebunt, qui modo misere rident.
» E Damiano. « Momentaneo risu perpetuus festus emitur.
» E Ambrogio dice con meraviglia, e domanda. « Nos ridendi materiam requirimus, ut hic ridentes, illic fleamus.
»t. 4. l. 1. off. c. 23. E Crisostomo. « Fugias intempestium risum, et verba scurrilia; quoniam subsquentium malorum radix talia esse solent.
»ho. 39. in Matt. E un moderno Valentuomo. « Zoroestrem reprobum non vulgarem, utpote qui artis Necromantica auctor dicitur, vix in lucem editum risisse, tradit Plinius l.7. c. 17.
»Recup. Opus. mor. C. 164. pa. 230.
Giudichi il Lettore, quanto meritamente i Santi Padri riprendano, e spaventino coloro, che gustano di ridere ascoltando o dicendo le facezie. Non voglio ricordare lo scritto da molti, e molto diffusamente: spero, che basti un poco di quello, che più volte, e in più luoghi fece sentire all’Uditore suo l’eloquentissimo, e zelantissimo Boccadoro. « Prasens tempus, dice egli, non effundendi gaudi, sed luctus est: tu vero urbanis facetis iocularis? Quis Athletarum stadium ingressus, relictat sollecitudine cum Adversario certandi facetis utitur? Instat Dia bolus, circuit rugiens, ut rapiat animam; movet, tentat, ac omnia adversus caput tuum invertit, extraq nidum eicere te molitur: dentibus stridet, ac fremit; ignem spirat adversus salutem tuam: et tu sedes facettas effundes; et qua stulta sunt et adorum non faciunt, effutiens? Non vides facies belligerantum, quamodo sint tristes, et horrore plena? Non vides aciem oculorum austeram cor excitatum, saliens, et palpitans, animum collectum, trementem, et trepidantem? Tu vero qui cum invisibilibus, et visibilibus Hostibus certamen habes, hic non advertis? Malorum tuorum gratia Crucifixus esto Christus, et turides? Alapis percussus est: tantaque ne tu patiaris passus est et tu deliciaris?
».ho. 17. ad Ephes. c. 5.
E altrove il medesimo Crisostomo domanda al Cristianoho. 15. in ep. ad Hebreos., che attende a ridere. « Tu, qui rides, dic quæso, ubi Christus hoc fecit? Audisti hoc alicubi? Nunquam, sed contristatum, quidem sepius legisti: tu vero rides? Si is, qui propter aliorum peccata {p. 138} non dolet, accusatione dignus est: qui in suis sine dolore existit, et ridet, qua venia dignius erit? Tempus est luctus; et tribulationis sub afflictione, et servitate certaminum, et sub dolribus res agitur; et tu rides? Tu ante tribunal Christi terribile futurus, et summa cum examinatione rationem pro cunctis actibus redditurus, securus sedet, miserabili risu, lugendisque facetis? Quod si conspectui Regis terreni consistens, nec subridere quidem audes; ipsum Angelorum Dominum cum habeas ubique presentem, quamodo non ei cum tremore assastis? Ille quotidie minatur, et tu adhuc rides? Nec de Paul Apostolo; nec de ullo Sanctorum ioci, aut facetia narrantur: de sola Sara legimus eamo risisse; sed Dei voce correpta fuit: et filius Noe propter risum ex libero factus est servuus.
»
Cosi discorre questo Santo Padre, e zelantissimo Predicatore, mostrando con efficaci, e moltiplicati argomenti, che, chi professa d’essere vero, e virtuoso Fedele, deve rifiutar il riso, che nasce dalle illecite facezie Ma per non rendere qualche persona troppo scrupolosa, avviso con il parere del P. Cornelio; a Lapide, che al Cristiano è disdicevole quella facezia,o burla, o urbanità Ephes. c. 5. 4., la quale non mira altro, che muovere a riso l’Auditore; e della quale scrive San Paolo. « Nec nominetur in vobis scurrilitas, qua ad rem tum pertinet.
» E di questa S. Girolamo nota. « Est hæc a Sanctis nostris propellenda quibus magis convenit fiere, atque lugere.
»
E Cornelio commentando scrive, che l’Apostolo, e Crisostomo « Eutrapeliam hic, ut vitium insectantur, verum intelligunt Eutrapeliam immoderatam, idest scurrilitatem, quamo Aristoteles fatetur, a Vulgo, iocis, et salibu nimis addicto, Eutrapeliam quoque dici. Talem esse Iocularitatem illam, qua tantum risum monet Audientibus.
» E poco dopo questo Commentatore aggiunge. « Verum ne hæc scrupolosum quem faciant, intellige Iocularitate illa dedecere Cristianos, qua nihil spectat, praterqua ut risum excitet. Si enim ulterius aliò referatur, u. g. ad onestam recreationem, letitiam, animi excitationem sanitate corporis tuendam, ut scilicet homo alacrior fiato, vegetior, et aptior ad suas functiones, Deique obsequiu onesta est, decesque Cristianos. {p. 139}Sic Paulus, Anton. Hilar. alique Eremita suos habuere iocos, sed Cristianos, et sale conditos
». Adunque, se un Fedele va alla Commedia come molti vanno, solamente per ridere sentendo le buffonerie, e non avendo altro fine, si una cosa poco a lui decente, e però deve rifiutar un riso di tal condizione.
E io aggiungo; molto più deve rifiutar, e abominar quel riso, che vien cagionato dalle burle oscene de’ Comici disonesti: e del qual coloro, che gustano, e se ne rallegrano, possono temer di peggio: « turpia enim atque innonesta factu, dictuque dum ridemus, approbamus: suoque pondere pravitas identidem peius trabit
»l. 3. de Rege, et Regim. Inflit c. de Spect. : scrive il P. Giovanni Mariana. E possono immaginarsi, che di loro si avverano le parole di Eusebio. « De suis perditione letantur, similes illis, qui forte sumentes exitiales herbarum sucens, cum risu perire dicuntur.
» Si rallegrano della propria perdizione, fatti simili a que’ che, bevendo i velenosi sughi di erbe, se ne muoiono col riso in bocca. Plinio scrive di un’erba, « qua si bibatur eum myrrha, et vino, ridendi sinem non faciunt
»l. 24. c. 17.. E si come Aristotele disse, che uno fu ferito nelle viscere, e ridendo se ne morì onde quel riso segno della mortale, e interna ferita: così un Savio dice a nostro proposito. « Quod invani volupt atc affectus os risum effermet, anima intus letbali ictu percussa indicium est
». Quel vano piacere, e quel riso formato sulle labbra, è chiaro contrassegno della piaga mortale ricevuta nell’anima. Non voglio tacere ciò, che scrive Roderico Vescovo Zamorense, Referendario di Papa Paolo II. E uomo dottissimo in Teologia, e ambedue le Leggi. « De Histrionum, Buffonumque vita quid dici potest? Nurscio, quis insipientior evadato, an Histrio, vel qui de Histrione ridet? Forte qui pecunias effundit, vanior est: quoties enim Histriones de se Dominos ridentes vident, toties ipsi mirantur dementiam se mirantium. Saepe certe Histrio aliquid fingito, quo falso Audientes delectat: se vere.
» cioè a dire. Che cosa giudicar si può intorno alla vita degli Istrioni, e Buffoni? Io non so, chi diventi più stolto di
questi due, l’Istrione, che fa ridere lo Spettatore o pur lo Spettatore, che si ride dell’Istrione. Io credo, che si possa dire, che è più vano lui, che spende, e getta suoi danari {p. 140}. Quante volte gl’Istrioni veggono i Signori a ridere per rispetto di quel, che essi dicono, o fanno, tante volte ammirano la pazzia di quelli, che si mostrano ammirati di se stessi. E invero spesse volte l’istrione finge qualche cosa, con la quale diletta gli Ascoltanti falsamente, ma se medesimo con verità. Felice dunque si è quell’anima santa, che stimando ogni vano riso una vera pazzia, dice. « Risum reputavi errorem
», ovvero « insaniam
», secondo un’altra lettera; ovvero « tumultum
», secondo Simaco; ovvero « circulationem
», secondo Teodozione; e stima scritte per se le parole di S. Girolamo. « Quamodo, qui circumferuntur omni vento doctrine, in stabiles sunt, et in diversa fluctuant: sic, qui illo risu cachinant, quem Dominus in Evangelio fletu aicit mutandum, errore seculi raptantur, et turbine.
» Questo riso non è buono; perché Die è l’amore del buono, dice Filone, « Opifex est Deus boni risus
» ; ma è cattivo, e serve al Diavolo, massimamente nelle Commedie oscene: e però l’anima virtuosa giudica il riso osceno delle Commedie un vero pianto; se ne priva, e vedendosi carcerata nel Mondo col corpo, abita col pensiero in Paradiso. « Anima Sancta risum, scrive S. Agostino, luctum computat: cui Mundus carcer, Celumque habitatio est.
» E io dico con lo stesso S. Agostino. « Igitur Fratres mei penitentiam agite in stetu, ut ridere positis in gloria.
»ser. II. Ad Fratres in Eremo.
Ma vengo a rispondere al terzo fondamento della Ragione proposta nel Dubbio: cioè. Io so, che non acconsento al peccato delle Oscenità. E dico brevemente con un moderno, e Nobile Poetal’Azzolini..
« Tu lascivi colloqui, e disonesti,Ogn’or da Veglie,e da Commedie ascolti.Ne sia, che il suo pensier lordo ne resti?O come i folli, e semplicetti invisca,Recitando d’amor Madrigali,O d’Armida un lamento, o di Corisca. »
Aggiungo: se lo Spettatore, forte di Spirito, e stabile nella Virtù (sapendo per l’esperienza, fatta più volte di se stesso, che egli non acconsente a que’ pensieri disonesti, che gli nascono nella mente per rispetto delle vedute, e udite Oscenità) non peccherà {p. 141} con peccato lascivo,e osceno; forse peccherà per una, o per molte altre Ragioni di quelle, che da’ Dottori si adducono in prova, che molti Spettatori delle Commedie oscene peccano gravemente. La Nave si rompe in ogni scoglio: e però si devono fuggire tutti e non un solo: e il provvido Nocchiere salva il legno fu da tutte le Fortune, e dagl’incontri di tutti gli scogli. Chi vuol salute, moderi tutti i suoi cattivi desideri del Teatro, pensando bene la sentenza di S. Agostino. « Omnes pravæ cupiditates sunt porta Inferi
» In sent. N. 136..
Punto vigesimo terzo.
Perché in molti Popoli molte Persone Nobili, e molte Popolari restano con l’animo irresoluto: se si possa andare lecitamente alle correnti, e Mercenarie Commedie del nostro tempo.
Il Cielo annuvolato non si snuvola, né si rasserena per ogni vento; né al suono di ogni tromba si quietano le battaglie. Quando i Mercenari Comici giungono ad una Città, per farvi al solito le Commedie; molti Nobili, e molti Popolari, che vogliono vivere con Virtù, stanno dubbiosi, se possono senza. peccato mortale andare ad udirle, e frequentare il Teatro. Molti pensieri battagliano ne’ loro cuori; e non si quietano allo squillo della voce di ogni Dicitore: varie perplessità ingombrano le loro menti; ne si sgombrano col soffiamento di ogni aura di dottrina. Questo si fa manifesto nella quotidiana esperienza; e io quindi muovo il presente Dubbio. Perché molti restano con l’animo irresoluto fino a’ tempi nostri?
Credo che non si dilungherà dal vero, o almeno dato probabile, chi vorrà aderire ad una delle due seguenti Ragioni.
La prima si è; perché, se bene le correnti Commedie Mercenarie sono oscene; molti, e se non molti almeno alcuni, vi possono andare senza grave peccato per qualche buona, e ben fondata Ragione. E essendo certo, che molti dubitano, se hanno per se una tal buona Ragione; e non si sanno risolvere a deporre il dubbio; e non si vogliono consigliare con chi devono, ne usare {p. 142} la diligenza sufficiente per vincere il Dubbio; però rimangono a modo di naufraganti in mezzo all’onde della dubbiezza; e se vi vanno con quella coscienza dubbia, peccano secondo la dottrina spiegata nelle scuole intorno all’operante dubbioso, e negligente.
La seconda Ragione stimo, che sia; perché molti credono di peccare mortalmente, andando alle Commedie Oscene; ma non sanno, se le correnti Mercenarie siano Oscene; e forse suppongono, che non siano tali; non solo perché i Comici professano di farle tutte con la debita Moderazione, e con l’approvazione de’ Signori Superiori; ma anche, perché alle volte avviene, che mentre molti Predicatori le condannano per illecite; e che non vi si può andare, parlando regolarmente; qualche Predicatore di senso affatto contrario attesta a gli Auditori, che possono star presenti alle Mercenarie Azioni del nostro tempo. Onde udita questa contrarietà di pareri, spiegata pubblicamente al popolo con la voce, e autorità de’ Sacri Dicitori, molte persone restano dubbiose nella risoluzione: se lecito sia, o no, l’andare alle Commedie correnti, e Mercenarie del nostro tempo.
Io nel seguente Punto apporterò qualche rimedio per vincere con bastevole diligenza, e prudente moralità questa dubbiezza; ma prima narrerò alcuni casi, due de’ quali già occorsero in due Città principali del fioritissimo Regno di Sicilia.
Punto vigesimo quarto.
Si spiegano alcuni Casi, e si dichiara un Rimedio al proposto Dubbio
Stimano gran ventura i poveri di credito, quando si veggono protetti da Personaggio accreditato nel punto della reputazione. E del lampo di questa luce godono tal volta i Mercenari Commedianti del nostro tempo, i quali, avendo molto piccolo il capitale del credito loro, sono difesi, e protetti da qualche Teologo, o da qualche Predicatore, o da qualche altra persona stimata comunemente dal popolo, e assai accreditata: per la qual difesa, e protezione alcuni poi dei popolo, prendono {p. 143} l’argomento, e fondano la Ragione; che sia almeno, cosa dubbiosa, se si possa andare, o no, alle mercenarie Commedie d’oggidì, e se siano tollerabili i Commedianti.
L’anno 1635. in Sicilia nella Clarissima Città di Catania, l’Estate, andati colà certi Commedianti cominciarono a fare le loro Commedie, le quali veramente erano oscene: onde non mancarono Teologi, e Predicatori, che con Ragionamenti pieni di buone Ragioni, e di ben fondata dottrina, si fecero sentir in modo, che il Teatro rimase molto scemo d’Auditori, e qualche giorno quasi vacante: di che atterriti i Comici diedero voce di voler fare solo Opere Spirituali, e alcune volte affissero nel Cartello d’invito Titoli buoni, e argomenti di Virtù: se bene poi nel Recitamento non mancavano oscenità per le quali l’Azioni meritavano il nome di oscene, e disoneste. Ora occorse, che un giorno un sacro Dicitore, pubblicamente sermoneggiando in una Chiesa entrò nel punto d’andare alle correnti Commedie, e disse chiaro. Fanno bene quelli, che non vi vanno: e io esorto voi, che non v’andiate. Ma non tengo già, che l’andarvi sia peccato mortale: anzi stimo erronea quell’opinione che ciò afferma.
Subito si sparse per la Città il punto predicato; e molti se ne scandalizzarono, e molti stimarono quel Dicitore troppo ardito, e anche degno di qualche castigo; e i suoi amici stretti, e parziali li fecero la caritativa correzione. Con tutto ciò presero alcuni fondamento di dubitare, se si poteva andare, o no, senza peccato a quelle Commedie.
Il secondo caso, molto più celebre dei già narrato, occorse alcuni anni prima nella grande, e bellissima Città di Palermo, nella quale dimorava V. Re di tutto il Regno di Sicilia D. Giovanni Ventimiglia Marchese di Ierace. Si facevano le solite Commedie da’ Mercenari Commedianti con l’ordinario difetto delle Oscenità: contro le quali efficacemente predicava il P. Gio. Battista Carminata della Compagnia di Gesù, dicendo, replicando, e provando gagliardamente, che per ordinario, e secondo il corso delle cose solite, e comuni, era peccato mortale l’andarvi. Fecero colpo quelle prediche appresso la Nobiltà {p. 144}, e anche appresso i Sig. Superiori non senza ragione; per esser quel Padre uno de’ principali Predicatori d’Italia, il quale già aveva predicato 3. Quaresime seguite nel Tempio di S. Pietro in Roma, per tacere i pulpiti principali di altre principalissime Città: e era uomo di fondatissima, e consumata dottrina e era tanto fornito di Virtù, e di Prudenza, che l’Eminentissimo Sig. Cardinal Bellarmino si consigliava molte volte per mezzo di lettere con lui nella risoluzione di affari importantissimi. Nacque dunque in Palermo la perplessità, e il dubbio, se era peccato, o no, l’andare alle correnti Commedie. I Superiori fecero studiare il caso a diversi Religiosi. uno de’ quali predicò in pubblico Auditorio; che si poteva andare sopra la sua coscienza a quelle Commedie; perché non era peccato. Io so, chi fu quel Religioso Predicatore, ma per riverenza della sua Religione, e per onor di lui medesimo ne taccio il nome, e aggiungo: era uomo dotto, e non poco stimato: e quindi mi nasce opinione, che egli fosse male informato, e assicurato, che quelle Commedie non erano Oscene; nel qual caso diceva il vero; ma essendo Oscene diceva il falso, parlando regolarmente, e secondo quello, che si vede comunemente. E a questo aveva riguardo il zelante Carminata, e giudicava, quelle Commedie oscene secondo la prudente, e sicurissima relazione avuta da persone degnissime di ogni credenza. E però avendo saputo quello che da quel Teologo era stato con molta franchezza predicato, entro una mattina in pergamo, e con buona congiuntura venne alla materia del Comico abuso, e disse. Io lodo grandemente la diligenza di quelli, che hanno fatto studiare il punto dell’andare alle correnti Commedie: ma so che uno ha detto agli Uditori suoi. Voi vi potete andare sopra la mia coscienza. Intorno alla quale proposizione io ora qui appello al Tribunale della Sacra Coscienza: e dico, che egli ha spalle per portare tutti i peccati, che faranno quelli, che andranno alle Commedie.
E chi sa, che Beltrame non alluda a questo caso, ove scrive. Trent’anni dopo questa tenzone, succeduta al tempo di S. Carlo, ne succedette un’altra a Palermo: che certe persone volevano {p. 145} levar le Commedie da quel Regno; ma non sortì loro l’effetto: poiché i Tomisti Angelici s’accinsero alla Ragione delle oneste Commedie; e n’ebbero la palma: e si fece un Decreto; e si continua a sottoscrivere gli Scenari; delle Commedie. Ma io dico a Beltrame, che quelle persone non volevano levare tutte le Commedie; ma le correnti, che erano oscene: e sortì loro l’effetto; poiché fece il Decreto e si stabilì la revisione; acciocché l’Azioni si facessero secondo l’Angelica dottrina di S. Tommaso, moderatamente, e dentro i termini prescritti dalla Cristiana modestia.
Non mancano altri casi avvenuti fuori di Sicilia nella nostra Italia;e io ne posso raccontar più d’uno preso, non dagli anni molto avanti scorsi, ma dal nostro ultimo tempo.
In una Città, non molto lontana da Roma, andarono i Commedianti osceni; vi furono accolti, e ben trattati. Cominciarono le solite Azioni, le quali appunto ai solito riuscirono scandalose per le oscenità, e molto perniciose. Di questo pubblico scandalo avvisato un buon Religioso, e zelante Predicatore, parlò nel suo discorso predicatorio con que’ termini di dottrina, che si richiedevano, e con quella dimostrazione di zelo, che era necessaria, per ovviare al prossimo, e morale pericolo di caduta, al quale stavano esposti non pochi della Nobiltà, e molti della Plebe; supposta la debolezza di spirito, che suole ritrovarsi in molti, massimamente Giovani, ovvero mal’abituati. Ma che? Non passò l’applicazione del rimedio senza l’oppugnazione: da un altro Religioso fu predicato assai diversamente: e si mostrò favorevole a’ Commedianti in modo, che asserì, non essere mancati Professori dell’Arte Comica, i quali erano stati Santi. Il che se bene è vero, non si doveva ricordare per difendere, o per favorire gli osceni Professori, i quali erano di scandalo nella Città, e meritavano, non difesa, o favore, ma riprensione, e moderazione; per non dire, come potrei, discacciamento, o almeno proibizione. Questo caso mi fu narrato in Roma l’anno 1639. da un dotto, e grave Religioso, come presenziale testimonio di tutto il suddetto. E io lo stesso anno mi trovai in un’altra Città, che è tra le principali {p. 146} della Marca d’Ancona, nella quale nel mese di Giugno vennero i Comici osceni, chiamati dalla medesima Città con provvisioneLXXIII di 6. scudi il giorno, oltre il pagamento, che fanno gli Spettatori, per entrare ad udire la Commedia, e oltre i soliti rinfreschi presentati per regalo dagli Amici. Un pubblico Predicatore si dichiarò voler discorrere, non contro le Commedie, perché sono lecite, ma contro le Oscenità delle Commedie perché sono illecitissime; Or quindi tosto si sparse per la Città una voce contro il Predicatore, e contro i Soggetti della sua Religione: e più persone principali, e gravi, e anche di comando, gli parlarono, acciocché non predicasse contro le correnti Commedie; perché egli non avrebbe conseguito il bramato effetto; ma più tosto avrebbe cagionato inconveniente peggiore. Anzi vi fu un Religioso di un ordine molto stimato, e che aveva un officio molto grave, il quale disse alla presenza di molti. Questi Commedianti sono biasimati da’ Religiosi NN. i quali non vorrebbero, che facessero le Commedie, e dicono, che è peccato mortale l’andarvi: ma non è così e io, se non fossi in questo officio, vi vorrei andare.
Ogni Savio si può qui persuadere, che tali parole udite da molti, e riferite a molti, furono ragionevole occasione parimente a molti di dubitare fondatamente per argomento estrinseco d’autorità: se fosse peccato o no, lo stare presente ad un’oscena Rappresentazione. Or diciamo una parola del rimedio al proposto Dubbio.
Credo, che per levarlo da molti Nobili, e Popolari, gioverà il dichiarare bene due verità. La prima. Quale sia la Commedia Oscena, e in quanti modi si faccia oscena, e illecita. E ciò nel Libro detto, La Qualità, si è dichiarato.
L’altra verità si è. Che possono avvenire molti casi, ne’ qua li uno potrà andare alla Commedia oscena senza peccato, e senza scrupolo, o rimorso di peccare. Ma non è facile il dichiarare il numero di tutti i casi di simil fatta; bastando per regola universale il consigliarsi, « hic et nunc
» nella congiuntura di qualche caso particolare con uno, o più Teologi, e Padri Spirituali, che siano uomini di approvata Virtù, di fondata dottrina, e di {p. 147} sperimentata pratica nel maneggio delle anime. Chi accenderà la sua fiaccola a queste luminose torce non camminerà tra l’ombre scure della perplessità, e del dubbio. Io per me, non con forza di rigore scolastico ma con piacevolezza di zelo Cristiano, consiglio ogni Fedele a fuggire le Vanità Teatrali Oscene, dicendo con S. Cirillo Gerusalemitano. « Non ergo sis curiosus frequentia Spectacularum, ubi conspicas Mimorum petulantias, omni contumelia, et impudicitia refertas.
» Cat. Myst. P. 1. mihi. 511. E io aggiungo pregando a considerare cristianamente, che è un mero passatempo vanissimo, e di cui si dovrà rendere stretto conto al Giudice Divino; come di sopra ho dichiarato, e qui voglio aggiungere le seguenti cose. S. Girolamo considera quel detto dell’antico Tito. « Hodie diem perdidi.
» Ho perso il giorno d’oggi, perché non ho fatto beneficio qualcuno. E poi aggiunge. « Nos putamus, non perire nobis horam, diem, momenta, tempus, ates, cum otio sum verbum loquimur, pro quo reddituri sumus ratione in die iudici? Quod si hoc ille sine Evangeli naturaliter dixit, e fecit: quid nos oportet facere?
». Eusebio Gallico; dice: « Quis mihi reddet hunc diem, quem Fabulis in vanis perdidi? » ho. 9. ad Mon..
E se lo stare alla Commedia oscena non avesse altro male, che il passare vanamente il tempo; questo basterebbe al Diavolo per sentenza del Cancelliere
Gersone. « Si nihil habereto aliud detrimenti, nisi temporis pretisissimi latissimam consumptionem, abunde Diabolo satis esset.
»tr. De probat. Spirit. c. 4. 23. E però l’Ecclesiastico avvisa « conserva tempus
», conserva il tempo come cosa preziosa, e non lo consumare in cosa vana. Seneca. « Ex hoc tempore tam rapido quid juvat majorem partem mittere in vanum?
»ep. 118. Possiamo meglio piangere i danni del tempo perso, che non piangeva il Satirico, quando disse. « Damna fleo rerum sed plus, fleo damnadierum. Rex poterit rebus sucurrere nemo diebus.
» Crisostomo ci avvisa. « Tempore nostra vita bene utamur: e peccata abluamus.
» E di più ci minaccia. « Si preterierit tempus presens, repenteque abrepti fuerimus, penitentia ducemur tunc, nullam autem utilitatem capiemus. Qua omnia cum scimus; et adhuc certandi tempus est, priusquam dissolvatur Spetaculumo, procurremus salutem nostram.
»ho. 27. in Gen. ho. 43. in Gen. Quasi dica, è tempo di combattere {p. 148} col Diavolo, e non d’attendere alle Commedie vane, e oscene: e però procuriamo la nostra salvezza, passando il tempo fruttuosamente, e il medesimo Santo altrove dice per nostro giovamento. « Cum datum nobis tempus in nullam impedimus utilitatem, inutilis impensa ultimum datori supplicium hinc migrabimus.
»ho. 30. in Io. t. 3.
E S. Efrem Siro scrive. « In rebus ludricris non esse tempus a Cristiano consumendum, omnes novimus; et ex divinis Scripturis hausimus.
»t. 1. serm. Quod ludric. et c. L’Abate Talleleo per 60. anni pianse dicendo. « Tempus hoc nobis ad penitentiam indultum est, et valde requitur a nobis, si illud neglexerimus.
»Rosueido p. 872. S. Bernardo, contro chi passa il tempo ciarlando, dice quello, che molto più si può dire contro chi lo passa attendendo alle Commedie vane e oscene. « Libet confabulari, aiunt, donec hora prateria. O donec tempus. donec hora pratereat, quid tibi ad agendam penitentiam, ad obtinendam veniam, ad acquirendam gratia, ad gloriam promerendam miseratio Creatoris indulget. Donec petranseat tempus quo diutnam tibi repropitiare debueras pietatem properare ad Angelicam societatem suspirare ad omissam hereditatem, aspirare ad promissam felicitatem, excitare remissam voluntatem, flere commissam iniquitatem. Sic Pauperes mendicantes, cum multis clamori bus evocatus tandem assuerit elemosinarum Distributor, diverticula captant et concurrentibus socis vacuos ambiunt occupare recissus, et fovere latebras in angulis platearum?
»serm. de triplici custodia.
Il Teologo Bresciano dice. « La scusa d’alcuni sul essere che tali trattenimenti servono più per passatempo, che per altro.
» Al che rispondo, che i passatempi sono per chi ha tempo d’avanzo. Ma chi è questo, se è Cristiano, al quale non sia detto. « Tempus breve est; dum tempus habemus, operemur bonum?
». E chi si può gloriare, che gli avanzi tempo, dovendo far penitenza di tanti peccati, che ha commessi, pagar tanti obblighi, che ha con Dio col prossimo, con casa sua, con la sua Città, e con se stesso? » Ant. contro le Comed. C. 5.
Seneca scrive all’amico suo un avviso degno d’essere considerate da ogni Virtuoso Cristiano. « Ita fac, vindicate tibi {p. 149}et tempus collige, et serva. Persuade tibi, hoc sic esse, ut scribo, quadam tempora eripiuntur nobis, quadam subducuntur; quadam essuunt. Turpissima tamen est iactura, qua per negligentiam sit: et si volueris attendere, magna vita pars elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota aliud agenti bus. Quem mihi dabit, qui aliquod precium tempori ponat? Qui diem aestimet? Qui intelligat, se quotidie mori? Omnia aliena sunt: tempus tantum nostrum est.
» Ep. 1.
Il P. Giovanni Polanco Teologo della Compagnia di Gesù scrive a giovamento di ogni Fedele. « Brevissimum est vita nostra tempus, ad promerendum eternam gloriam nobis datum: post quod nullum alliudo merendi tempus dabitur: Laboratur hic modico tempore, ut vivatur illic in eternitate. Gregorius. Si attendatur felicitas, qua sine transitu non attingitur, leve sit, quod transuendo laboratur, Exemplo cuiusdam devoti viri qui quoties audiebat, horologium horas sonare hæc secum dicebat. O Domine Deus meus iam iterum unam horam temporis vita mec consumpsi de qua tibi sum redditurus rationem, quomodo expenderim; nullum enim a te est mihi tempus impensum, cuius non sit mihi reddendaratio, quamodo fuerito expensum.
» In Metho detestandi Acediam. Par. 3. p. 199.
Bella grave, e spaventosa sentenza scrisse Nazianzo. « Praeclatum est, nos in hæc opinione versari, ut non modò sermonis, aut actionis, sed totius etiamo temporis, atque adeo tenuissimi, et brevissimi cuiusque hora momenti rationem a nobis reposci existimemus.
» Orat. In Maxim..
Capo Terzo.
Delle Difficoltà prese da’ Commedianti §
L’ozio è un ardito Guerriere per assaltare, e per espugnare la Rocca della Virtù; e nel Mondo egli si pubblica per Capitano di molte schiere perché molti sono nel Mondo sfaccendati, e oziosi; i quali, come che variano gli umori, e ne’ gusti, variano parimente nel procacciarsi le ricreazioni, per vincere l’Ozio, e per vivere senza peccati: e quindi alcuni gustano del Trattenimento delle Modeste Commedie.
Ridico, scrive Beltramecap. 27., che il Mondo è vario, e vari sono gli umori: e a variati gusti si vogliono variate cose: non tutti sono per star rinchiusi ne’ chiostri: vi sono sempre stati tornei e giostre, e danze, e Commedie, e altri passatempi da cavalieri, e da sfaccendati. Non scrive male questo Comico; perché i Trattenimenti dei Teatro, fatti con la debita Moderazione, possono servire di giovevole antidoto contro la malignità dell’ozioso morbo: ma il punto sta, che i Mercenari Comici Moderni, se non tutti, almeno molti, introducono nel Teatro Azioni oscene; onde, chi vi va, per fuggir l’ozio, incontra un negozio assai più pernicioso; e col qual perde il ricco capitale della Divina Grazia, e dell’umana Onestà. Adunque Comici di tal fatta si dovrebbero privar della Scena, bandir dal Teatro, e non permettere loro in maniera alcuna l’arte dell’oscene Commedie. Ben li sa, che essi, e i loro amici apportano alcune scuse, con le quali vorrebbero far lecita la permissione delle Teatrali Impurità; ma chi ben le pondera, trova, che sono obiezioni di poco momento, e indegne d’essere accettate per buone Ragioni: e queste ne’seguenti Punti si dichiareranno; con {p. 151} quella considerazione, che si può aspettare dalla nostra debolezza. Tra tanto ricordo a’ Commedianti impuri quelle poche parole di S. Agostino. « Remedia Conversionis non differenda, ne temput correctionis pereat tarditate.
»In sent. N. 71. La troppa tardanza ruba il tempo della correzione.
Punto primo.
Se si possono permettere i Commedianti osceni; poiché vivono con quell’Arte.
Al Professor di un Arte serve di campo la fatica, per raccorre LXXIVla provisione convenevole, e necessaria al suo sostentamento: né vuole il diritto di ragione, che s’impedisca dal riguadagnarsi il vitto con l’Arte, chi, l’Arte praticando con virtù, procura virtuosamente il suo guadagno. Tali sono i Comici modesti, che recitano modeste Commedie, per vivere con la fatica dell’Arte loro, esercitata modestamente. Di questi, e di se stesso, dice Beltrame. Le Commedie nostre sono fatte per sostenimentocap. 54. delle nostre famiglie. Noi recitiamo per guadagnare il vivere, non avendo altro oggetto, che ne inviti, che la sola necessità ; e però, se il recitar Commedie, fosse errore, farebbe maggior fallo, il far’ errore per diletto, che per, necessità avendo la necessità qualche privilegio fino ne’confini dell’illecito. Il Comico Cecchino scrive ne’suoi Discorsi, che i Santip. 11. hanno mostrato, che si può, non solo recitare, ma vivere dell’esercizio della Commedia.
Di questi Comici modesti scrive un Sommista. « Aliqui sunt Comici potius ex necessitate, quam ex voluptate: quia nullo alio artificio sciunt victium acquirere sibi, nec suis: nec exercent Ludos turpes, sed liberales; scilicet tales, qui in di dictis, et factis nullum faciunt preiudicium Virtuti tamen afferunt iucunditatem; et illos non credo ex hoc in malo statu.
» Urlieus in sum. cioè. Alcuni fanno il Comico più tosto per necessità, che per diletto; perché non sanno con altra Arte acquistar per sé, e per la loro famiglia il necessario vitto: ne esercitano Giochi brutti, ma liberali; cioè di tal qualità che né in detti; né in fatti recano pregiudizio alcuno {p. 152} alla Virtù;e nondimeno consolano con la giocondità: e non credo, che questi Comici siano in stato di dannazione. E io a questo Sommista aggiungo. Adunque questi Comici non si devono condannare: e chi dice, o scrive contro di loro, li danneggia senza Ragione. Che però Beltrame si risentì con giusta querela a suo parere dicendo. Che uno sappia, dove ha da mangiare, e bere; e che voglia levar il pane alle famiglie, non so, se sia bene.
Onde dico io, se tal’uno persuadesse al Principe, o al Magistrato o ad altro Superiore, che pubblicasse decreto, o legge contro i Comici Virtuosi, sarebbe decreto, e legge ingiusta; perché leverebbe il pane a’ poveri impedendo loro il guadagnarselo virtuosamente. « Decreta Principis, scrive Battista Fragolo, iniquitatem, et iniustitiam continentia, sunt invalida
» Bart. in sin, C. si contra ius, vel utilit. pubblicam. BaId. in l. magis puto. §. si asalienum ff. derebus eorum. par. 1. l. 1. d. 2. §. 4. n. 159.. E S. Agostino avvisa che la legge, che non è giusta, non è legge. Dunque non si devono, ne si possono con la forza di pubblica legge, ovvero decreto impedire, o cacciare i moderati Comici; perché con l’Arte loro si procacciano onoratamente, e con modesto Recitamento il pane, e il vestito necessario per mantenersi in vita.
Ora per venire alla Risposta del Dubbio, dico, che i Comici veramente Virtuosi, Modesti, e Onorati, non solo si possono permettere, ma si possono lodare, e premiare; poiché vivono, come gli altri Artefici, col guadagno dell’Arte loro de’ quali si può dire con le parole di S. Crisostomo. « Vocem in ventris causa collocant.
» hom. 38. in Mat. Usano la voce per guadagnar il vitto. Né repugnerei a chi dicesse, che tali persone si affaticano assai per provvedersi di un pezzo di pane; né sempre fanno una vita comoda, e grassa; come molti si persuadono: anzi alle volte un povero Comico è astretto d’uscire nella Scena a far ridere la brigata, quando egli ha voglia di piangere per li debiti, e per l’altre miserie della sua povera vita: e tal povero Comico, dice Beltrame c. 50., va per dar gusto agli altri, quando forse ha le lacrime agli occhi, o per disgusto di casa, o per dolori d’infermità {p. 153}, o per essere tempo di pagar i suoi debiti, e non aver comodità; onde ben si conviene, che sia compassionato, e aiutato, mentre con modestia esercita la sua Professione.
Dico poi de’ Comici osceni, che non meritano aiuto, ne compassione; e che non si devono, né possono permettere, essendo una scandalosa, e universale rovina delle anime, con moltissime, e gravissime offerte di Dio. E la obiezione, ch’essi fanno dicendo. Noi viviamo con quest’Arte. Non è buona. Ragione: perché secondo le Regole della virtuosa Politica niuna Arte, perniciosa a’ buoni costumi de’ Cittadini, si può permettere nella Città senza qualche buona Ragione; e tal Ragione non è il vitto necessario a persone infami, e scandalose, e tali sono i Commedianti osceni. Adunque essi, o comincino ad esercitar l’Arte con la debita Moderazione o l’abbandonino, procurando il vitto in altro modo; come procurano tanti altri, i quali vivono da buoni, e onorati Cristiani con il guadagno delle fatiche loro; e possono dire alludendo al detto del Serenissimo Profeta. « Labores manuum nostrarum quia manducamus, beati sumus, et bene nobis est.
» Ps. 127. 2. Anche le Meretrici dicono. Noi viviamo con quest’Arte, e pure sono obbligate a lasciarla. Così i Comici osceni devono lasciare l’oscenità. S. Tommaso congiunge il Meretricio, e l’Istrionato, e il loro guadagno « ex turpi causa
» 2. 2. q. 87. a. 2. ad. 2.. Gli Scrittori, e i Predicatori, come condannano il Meretricio, e chi somministra danaro, e altra provisione, per vivere in peccato, alle Meretrici; cosi hanno ragione di condannare coloro, che sostentano col vitto gl’impuri, e Mercenari Commedianti; de’ quali credo poter dire con verità, che vi vuole una grazia molto grande per fare, che escano da quello stato: imperoché l’andare a spasso da una Città ad un’altra; lo stare su le burle; mangiare, e vestire comodamente; guadagnar scudi cantando, sonando, e burlando, ricevere spesso grossi donativi da Signori, e da Principi; è una vita de Cuccagna, ma Cuccagna del Diavolo; perché beni tali, e tali piaceri sono
legami, co’ quali il Diavolo tiene si fortemente legato ogni Comico osceno, dopo che si è lasciato una volta {p. 154} pigliare, che egli resta come incantato, e vi vuole una grazia molto grande, come ho detto, per liberarlo.
Punto secondo.
Si aggiungono alcuni Casi.
Pausania riferisce, che nella Grecia era un luogo, nomato da que’ di Delfo Leschen. « Locum Delfi Leschen vocant, quasi confabulationem, aut stationem dicas, quod eò convenientes priscis olim temporibus seria, et iocosa inter se conferebant.
» lib. 10. Ivi si radunavano gli Amici a ragionar insieme di cose ferie, e di cose allegre. Tutto questo pare a me convenga al luogo del Teatro, ove gli Attori convengono per dire, e gli Uditori per sentire, « seria iocosa
», cose di serio giovamento, e di allegro trattenimento: e certo mentre non v’è miscuglio di scandalosa oscenità, ogni Comico si può consolare: ma quando si odono, o si veggono eccessi impuri, le Azioni diventano vituperose; e gli Attori si fanno rei di gravissimi peccati; per cagione de’ quali vivono inquieti con moltiplicati rimorsi di coscienza ; è sono spesso internamente stimolati a lasciar quella maniera di vita scandalosa.
« Io mi ricordo, scrive Gambacorta, che parlando in Brescia con un Comico, che per 26. anni faceva quella Professione, mi confessò, che mai aveva pace alla coscienza; e mi promise di ritirarsi: ma Dio sa, se poi con reale effetto si ritirò.
»
Molti non si ritirano dall’esercizio osceno, e infame di quell’Arte; perché non da loro il cuore di guadagnarsi il vitto travagliando onoratamente. Gli anni passati in Sicilia io convinsi un Commediante, provandoli, che peccava grandemente con le oscenità; e l’esortai a ritirarsi da tale esercizio: ma egli mezzo sospirando mi rispose. O Padre, che mi dite? Che volete da me? Se non fo’ quest’Arte, bisogna, che io pigli il moschetto e che vada alla Guerra. Quasi volesse dire: non mi sento né forze, né coraggio per le fatiche militari: non posso comprarmi il vitto col costo di tanti travagli.
Un altro principalissimo Comico, e Capo d’una Compagnia mi {p. 155} disse in Fiorenza l’anno 1641. «Io non sono buono per servire in Corte; ne ho altra Arte che la Comica, per vivere: e questo basti per giustificarmi l’esercizio. Ma meritò di ricevere per risposta. Fratello, se volete tale esercizio, praticatelo come Comico modesto, e non osceno; moderatevi dalle teatrali disonestà».
In Firenze pure un’ altro Commediante l’anno 1642. volle ritirarsi dall’Arte Teatrale, nella quale viveva scontento sì perché un pratico, e vecchio Confessore gli aveva negata una volta per Pasqua l’assoluzione; sì anche perché vedeva le spesse disgrazie, nelle quali s’incontravano gli osceni Commedianti pari suoi; ma ebbe difficoltà nel trovar da vivere: gli fu proposto di farsi lodato; ma ebbe timore di que’pericoli: volle entrare a servire in casa di qualche Gentiluomo; ma l’esser stato Commediante lo fece restar’escluso: cominciò l’esercizio di certa sua Arte; ma poco vi guadagnò; per essere nella Città altri di quella Professione più valenti, e più accreditati; fu soccorso più volte di segrete elemosine, ma non rimase contento: alla fine, dopo essere stato tentato alcune volte con lettere da certi Commedianti suoi amici, ad andare a loro, per tornare all’esercizio infame delle oscene Azioni, si lasciò vincere; e partì senza far motto; vergognandosi credo, perché tornava a quella vita indegna, e dalla quale, per staccarsi affatto, vi è bisogno di una grazia molto grande di Dio.
Ma che scusa poi valevole recheranno quelli, che con un’Arte buona guadagnandosi il sufficiente vitto, abbracciano l’Arte infame del Buffone, per meglio pappare, e per goder una vita, più abbondante di sollazzo, e di piacere? Miseri, non possono salvarsi, e meritano il colpo dei divino castigo.
Loduvico Zacconi Religioso di S. Agostino scrive, che in Verona fu un certo Cesare Sonatore di tromba, e di trombone, il quale, perché sonava bene, fu condotto da’ Principi di Germania nel manoscritto de’ 200. casi al c. 118. con provisione tanto buona, che viveva con la sua famiglia molto onoratamente. Ma l’infelice non si contentò dell’onesto, né del dovere onde parendogli la vita de’ Buffoni essere migliore, impiegossi in quella; e si diede a far’ il Parafito, e {p. 156} il Buffone, ove erano più Gentiluomini, e Signori grandi. Acquistò nome appresso quelli, che si dilettano simili persone; e ne ricevé tanti donativi, e cosi grosso guadagno, che con due mila scudi comprò una casa, e ogni di più l’andò empiendo di mobili preziosi, e belli. Ma che permise Dio? Una notte si attaccò il fuoco in quella casa, e lavorò si bene, che quasi mente vi lascio dell’acquistato; e l’afflitto Buffone resto molto povero, e mendico. Possono applicar a se stessi questo caso i Comici Mercenari, e osceni; e devono considerare, che meritano castigo, quando, potendo mantenersi onoratamente con una Arte, vogliono applicarsi all’esercizio delle Commedie oscene, e non curandosi di vivere come candidi cigni di onore, vivono come corvacci neri di vitupero.
Appendice.
Voglio aggiungere a questo Dubbio la risposta ad un’instanza, che fanno certi Comici troppo interessati nel guadagno della Scena. Dicono. Bisogna, che noi, per guadagnare i soldi necessari; al nostro sostentamento, ci sforziamo di piacere, non solo a’ Dotti, e Modesti; ma anche agli Ignoranti, e Immodesti, e si come i primi gustano d’ingegno discorsi, belle invenzioni, detti sentenziosi, e gesti decenti, e però vengono al Teatro, e ci danno guadagno: cosi i secondi gustano di parole grasse, di equivoci disonesti, di scoperte oscenità e d’altre simili indecenze; e però concorrono ancor essi alla Commedia, e concorrendo accrescono il nostro guadagno, e ci aiutano nel bisogno nostro. E però noi alle Azioni belle, e ingegnose, aggiungiamo per ordinario le Oscenità, e così piacendo a’ Dotti, e Ignoranti, a’ Modesti, e Immodesti, tiriamo tutti al Teatro, e da tutti guadagniamo.
Rispondo con il paragone del Commediante al Pittore secondo l’avviso del Sig. Cardinal Paleoto. Dice egli,che il Virtuoso Artefice di Pittura, per piacere alla moltitudine ignorante, non deve esprimere con i colori suoi cose vituperose, e indecenti; ma sforzasi di dar gusto con le sue opere a persone tali {p. 157}senza contravvenire alle Regole del Decoro. « Nec dicimus, scrive, ut huic generi hominum Pictor satisfaciat esse: illi pingendas petulantes choreas, aut hellunes, aut ebrios aut alia intemperantia genera: sed potius obserovato illo, quod maxime decet, studeat operibus suis illa adiungere, qua multitudinis oculos oblectare magis solent.
» Cosi dico io del Comico Moderno: egli, per piacere a chi che sia ignorante, e immodesto, non deve scordarsi dell’obbligo Cristiano, che lo astringi ad anteporre l’osservanza della Divina Legge all’interesse dell’illecito guadagno: né, per dar gusto a peccatori, deve dar disgusto a Dio con grave danno dell’anima sua, e delle anime de’ medesimi peccatori, e però, lasciando le oscenità, si sforzi d’usare que’ ridicoli modesti, e quelle grazie moderate, che sanno trovare gl’ingegnosi Galantuomini, e con le quali fanno ridere consolatamente tutta la brigata degli Ignoranti, e de’ poco Modesti. So, che qualche Comico osceno forse dirà. Io temo di essere tacciato, come Recitante freddo, se non dico delle parole turpi, e licenziose. Pietro di Re, detto tra’ Comici Mescolino, fu molto stimato, era modestissimo; ma di lui si divulgò questa taccia; che era troppo freddo; perché mai diceva oscenità.
Io rispondo, che l’essere troppo freddo; non è errore contro la cristiana moralità, ove difetto si è troppo grave l’essere troppo licenzioso di lingua. E se Mescolino era tacciato di freddezza; perché si asteneva dalle sboccataggini, quella taccia era, ingiusta, e doveva essergli data da persone poco amiche all’Onestà : ove all’incontro era degno di lode; perché nel moderno Teatro serbava le Regole della convenevole Moderazione; e sapeva recitare, e dilettare senza offesa dell’Arte, e senza l’oltraggio della Virtù. Anche del Comico Ganassa io ho inteso, che abbondava di ridicoli graziosi in modo, e tanto modesti; che ogni Auditore virtuoso riceveva gran diletto dall’udirlo, e grandemente se gli affezionava. Credo, che tra moderni, e mercenari Commedianti, non manchino Attori forniti di questa, modesta qualità: e però dico ad ogni Comico osceno Galantuomo imparate da’ vostri Amici, e da’ Professori modesti dell’Arte {p. 158} vostra la maniera necessaria per moderare la vostra oscena libertà. E sappiate che voi con le vostre indecenze vi rendete indegni del nome di Comico, e vi dovete chiamare Buffone, e non Comico: perché non fate Commedie, ma Buffoneriecap. 10. p. 48.. Sentite il vostro Beltrame. La Commedia è trattenimento gustoso non buffonesco; convenevole, e non smoderato; faceto, e non sfacciato. E chi parla disonestamente, da in questi eccessi, e merita di essere cacciato dalle Compagne de’ Comici onorati.
Punto terzo.
Se si permettono le Meretrici, non si possono anche permettere i Mercenari Commedianti?
Con la distinzione si può salvare la virtù, e l’onore de’ modesti Comici;e si può riprendere il vizio, e il vitupero degli immodesti. Non dicono bene alcuni, i quali dicono indistintamente, Santa Chiesa permette le Commedie, e i Comici per manco male acciocché il popolo si divertisca da mali maggiori con la presenza di un male minore: come a punto si per mettono le Cortigiane; acciocché siano riparo alle Donne da bene; essendo che i sensuali sono sempre in trafficocap. 43. ; e non potendo colpir l’une, molestano l’altre. Beltrame a quelli, che così dicono, così risponde. Non concedo che la Commedia sia male, né grande, né piccolo: anzi direi se non fossi interessato, cosa buona; essendo Azione Virtuosa e di buon esempio. E se le Cortigiane si permettono, per divertire la trabocchevole sensualità; le Commedie non hanno questa necessitàcap. 10.. E poi, come dice il Cecchino ne’ suoi Discorsi, si trovano Santi Dottori, che prescrivono il modo di far Commedie senza commetter peccato mortale; ma niun Santo insegna il modo di far la Cortigiana senza peccato. Ed io soggiungo, che niun Principe, e niuna Comunità si trova, che mandi a pigliare una truppa di Cortigiane alle sue spese e che ad esse prometta salario, e regali; come sovente fanno a’ Comici. E se v’ha chi abbia invitato Cortigiane a’ loro paesi è stato una Ragione {p. 159} Economica d’onore; ma non mai con salario furono invitate: e però vi è differenza da necessità ad arbitrio. Oltre di ciò i Comici chiedono licenze di far l’Arte loro e l’ottengono; e sono tali licenze sottoscritte da’ Superiori. Ma se una Donna andasse da’ Superiori a chiedere licenza in iscritto da cominciar a far la Concubina, non sarebbe esaudita; non vi essendo Tribunale, che sottoscriva licenza di far peccato mortale; vi sono ben gabelle: e vi è giustizia da non lasciarle oltraggiare, ma non licenza di far tal mancamento. I Comici ottengono licenze pubbliche, e vengono invitati, e salariati, e non tollerati per manco male. E quando la Commedia divertisce il male, non è argomento, che ella sia di meno errore: ancora il bene divertisce il male, e pur è bene.
Sin qui Beltrame: e tutto prova questa verità; che la modesta, Commedia è cosa buona; è lecita; ne è un manco male simile al Meretricio: né i Comici Modesti sono di rea qualità, come le Meretrici. Ma se parliamo delle Commedie oscene, e de’ Comici disonesti, i quali sono molti a nostro tempo, e fanno le loro disoneste Azioni; io dico, che questi non si possono permettere; perché fanno peggio, che le Meretrici, le quali non domandano, ne ottengono licenza in iscritto di peccare; né Superiore alcuno la darebbe « tutta conscienza
». Né le Meretrici, radunate in un luogo pubblico, mandano per la Città un tamburino, ovvero un Trombetta,che inviti il popolo ad andar a peccare con loro; perché questo non si permetterebbe. Né le Meretrici fanno attaccare nelle piazze pubbliche, e nei pubblici canti delle strade un Cartello d’Invito alla Fornicazione; perché si stimerebbe cosa vituperosa. E pure i Commedianti osceni fanno cose tali adunque fanno peggio, che le Meretrici; e con tosto ciò essi più di quelle sono tollerati; solo per quella falsissima Ragione. Noi non facciamo Commedie oscene: noi non siamo Comici disonesti. Al che io replico dicendo, che suppongo, che molti siano disonesti, e nondimeno sono tollerati contro il bene spirituale delle anime fedeli.
Aggiungo. Sì come le Meretrici sono in stato di peccato mortale: così vi sono i Commedianti osceni; e però peccano {p. 160}« toties, quoties
», ogni volta che rappresentano l’Azioni disoneste.
Aggiungo. Le Meretrici si permettono per levar l’occasione di adulteri, e di peccati più gravi; come insegna S. Tommaso. E qui possiamo dire con Crisostomo ho. 32. in Mat. 19.. « Permittimus, quod nolentes indulgemus; quia pravam hominum voluntatem ad plenum prohibere non possumus.
» E Grassio 2. p. l. 3. c. 19. dice. « Ecclesia tolerat peccatum
», la Chiesa tollera il peccato d’andar alle Meretrici per evitar un mal maggiore, « ad evitandum maius malum
» : nondimeno non approva quel peccato, ma dissimulando li tollera; acciochè moderi cosi gli adulteri, gl’incesti, e altre sorti di bruttissimi peccati. « Non illud peccatum approbat sed dissimulando tolerat, ut sic adulteria, incestus, aliasque, fædifssimas corrupctiones compescat. Hinc Augustinus dicit. Tolle Meretrices de Mundo, et totus erit repletus.
» Leva le Meretrici dal Mondo, e tutto sarà pieno di peccati abominandi. Ma le Commedie oscene, se levano ad alcuni l’occasione di un poco di ozio, che forse sarebbe solo peccato veniale,danno a moltissimi occasione di far peccati mortali, e molti, e gravi, e di rovinarsi per sempre con il fallimento delle ricchezze spirituali delle Virtù, e del tesoro della Grazia.
Aggiungo. Come le Meretrici si permettono in molti luoghi, ma con una certa Moderazione; così le Commedie profane, e Mercenarie possonsi permettere, ma con la Moderazione dagli eccessi, massimamente osceni.
Aggiungo. Molti Principi non hanno permesse le pubbliche Meretrici; ma l’hanno cacciare dagli stati loro. S. Lodovico le cacciò dal Cristianissimo Regno di Francia: e ho inteso da molti, che ne ora vi si permettono.
P. o V. Pontefice di meravigliosa Santità le cacciò dalla santa Città di Roma: e perché il Romano Conservatore si oppose li disse. « Sedem alio transferam: Romanis suas Lupas reliqua.
» Trasferirò altrove il solio Papale; e a’ Romani lascerò il piacere delle Lupe loro.
Filippo IV. Regnator di tanti stati, ha fatto levar di Spagna i pubblici Lupanari I. par. In Eccles. p. 439., come scrive il P. Cornelio a Lapide; e lo conferma il P. Hurtado. {p. 161}
Il famoso Dottor Navarro prova gagliardamente con 9. RagioniDe fide, spe, et c. disp. 174. 5. 28. subs. 11., che non si devono permettere i Lupanari. E questo cita Laiman, dicendo. « Quam periculosa sit Meretricum permissio, ideoque dissuadenda, videri potest apud Navarrum c. 17. n. 195. Manual.
»
E Molina scrive. « Si verum est, quod Lupanaribus ut hodie peromittuntur, vitentur mala, et non potius accrescant in Repubblica; licita est locatio (della casa alla Meretrice) ta metsi dissuadendae; et cuique probo viro potius domus sua effet exurenda, quam locanda eiusmodi mulieribus. Lege Navarrum in Man. c. 17.n. 195. qui licet trepidus tandem huic conclusioni assentitur.
»De Con. Tract. trac. 2. dis. 500. n. 3. pag. 662.
Giovanni Cartagena Teologo di molta dottrina, e di varia erudizione dice. « Romani Sapientioreso facti, et onestiores, ut author est Cornelious Tacitus l. 2. Annal Omnes prohibuerunt pubblicas Meretrices, et ibidem etiam commemorat, Themistoclem Athéniensem, ut maiori vilipendio haberentur Meretrices, quoties curru vehebatur, compulisse quatior Meretrices nudas, instar quatuor equarum, illum ducere.
»tom. 4. l. 15. hom. 3. §. 6.
Nel Regno grandissimo della Cina non si permettono dentro le Città. Il Sapientissimo Dio le proibì nel popolo Ebreo, « Non erit Meretrix de filiabus Israel
»Deut. 234. 17. : pure nel Cristianesimo sono ora molto più grandi gli aiuti per conservare la, Castità. Salviano loda mirabilmente i Vandali; perché levarono affatto i Lupanarilib. 7. de Provid.. E da queste poche cose, per tacerne altre, si può raccogliere ciò, che il moderno Cristianesimo, e i Cristiani Principi dovrebbero fare, e delle pubbliche Meretrici, e molto più de’ Commedianti osceni; la pubblica permissione de’quali è pestilente pianta di velenosi frutti e merita di essere prestamente recisa, e sradicata. E io ricordo a tali Comici, e alle Donne impure, che cessino d’abusarsi della pazienza, e benignità di Dio; acciocché non cadano nella dannazione, come avvisa S. Agostino con questa sentenza. « Abusi patientia Dei, non intelligere parcentis benignitatem, magna damnatio.
»t. 3. nelle senct. n. 138.
Punto quarto. {p. 162}
Se sta buona Ragione di tollerare i Comici il sapere che da tal uno si prova, che devono esser amati.
Chi rende all’amico in vece di atti d’amore segni di odio può numerarsi tra la ciurma degli ingrati: troppo indegna cosa è, che il beneficio serva con abuso per semenza d’ingratitudine. I Comici moderni sono buoni amici di tutti; a tutti bramano giovare; e però dovrebbero essere non solo tollerati, né perseguitati; ma tenuti in pregio, e riposti tra soggetti più amati, e più cari del Mondo. Con questo senso discorronoBeltrame nel. c. 33. alcuni, e vi è, chi aggiunge, che il Comico in Scena non fa male ad alcun; perché egli non dispone le persone alle usure dannose, ne alle vendite esorbitanti, né alla falsità delle scritture, né all’ingannare il prossimo, né ad uccidere alcuno. Il Comico in Scena non dice Eresie, non pronuncia bestemmie, non deride la Religione, e non trafigge con satirica mordacia il suo Auditore. Il Comico non desidera la Guerra, come molti Soldati; né le infermità, come molti Medici; né la carestia, come molti Ricchi; né le liti, come molti Avvocati; né le questioni, come molti Criminalisti, né gli stati altrui, come molti Principi. Anzi il Comico vorrebbe tutti pacifici, tutti sani, tutti ricchi, tutti sfaccendati, e tutti felici, per conservar, e accrescere a tutti la felicità con una dolcissima consolazione, e con un giocondo riso cagionato dall’Arte sua. E perché dunque non voler permettere, né tollerare, ma discacciare, e perseguitare persone di tal fatta? Non è questa una manifesta imprudenza, per non dire una scoperta iniquità?
Con Beltrame si accorda il Comico Cecchino scrivendo. Vediamo a chiari segni, e ad evidenti prove, nel Mondo non v’essere quasi Professione, anzi condizione d’alcune persone, che non abbia l’animo, o l’officio intento al danno, o almeno al disturbo del prossimo.
Questo Galantuomo fa una certa induzione in prova del suo detto, la quale non è pregio dell’opera, che noi consideriamo {p. 163} ; e in fine aggiunge. Solo il Comico per sua natura, e per conseguenza del suo esercizio, desidera a tutti vita lunga, animo quieto, sanità continua, conservazione de’ beni, riposo pace, sobrietà, abbondanza, e finalmente ogni bene: poiché dal bene, quiete, e pace altrui, ne trae il sostentamento di se e casa sua: onde non può di meno, e per zelo Cristiano, e per debito proprio, di non pregar Iddio per l’universale salute.
Lasci il resto scritto da questo Comico, e rispondo. Queste lunghe tirate sono tollerabili a favore de’ Comici modesti; contro de’quali non si temperano le penne degli Scrittori, né proclamano le voci de’ Predicatori. E io confesso, che è imprudenza, e anche iniquità voler cacciare, e perseguitare i Virtuosi Commedianti quando però sono veramente Virtuosi, a giudizio di chi può, deve, e vuole dar giusta sentenza; perché non basta la falsa persuasiva de’ medesimi Commedianti, o dei loro amici, e protettori; da quali non si sa, o non si vuol sapere distinguere i Comici modesti dagli osceni, né le Compagnie onorate dalle vituperose, né l’Arte ingegnosa dalla Buffoneria. Dico io dunque, che meritano d’essere cacciati, e perseguitati que’ Comici, i quali si abusano dall’Arte, e si servono di detti, e di fatti brutti, illeciti, e mortali; onde si pongono in stato rovinoso a se medesimi, e al prossimo scandaloso. Io suppongo secondo la voce comune, che tra’ moderni Comici siano molti degni di questo vituperoso fregio, per le loro sceniche impurità. E quelle Compagnie ancora si possono chiamar impure, e oscene, le quali vituperano il Teatro, e la Scena con ragionamenti libidinosi, e gesti lascivi, e con la Comparsa delle vere Donne, abbellite lascivamente, e parlanti di amore con Favoriti in pubblico Auditorio, ove sanno, che sono molti Spettatori deboli di spirito, e ne conoscono alcuni in particolare; quali, dal vedere, e dall’udire oscenità, concepiscono molti pensieri impuri; e bevono con gli occhi, e con le orecchie l’acqua fangosa, e torbida di bruttissime, e lascivissime iniquità. E però tali Compagnie si devono cacciare, e perseguitare, come pestilenti a’ buoni costumi, e come distruttive della civile Onestà. Chi nuoce alla virtuosa Cittadinanza si fa indegno della stanza {p. 164} nella Città. Il tesoro delle gioie non si apre alle Compagnie de’ Ladri. Noi preghiamo per questi cattivi ;acciocché, lasciata la malvagità, diventino buoni. « Non
disperandum de malis, avverte S. Agostino, sed, ut boni fiant, supplicandum: quia numerus Sanctorum semper de numero impiorum actus est.
» To. 3. nelle sent. n. 184.
Punto quinto.
Si risolve una difficoltà intorno ad un Recitante Modesto.
Il zelo regolato non precipita la sentenza. E chi condanna con universale decisione ogni persona interessata in un affare difettoso, può temere da taluno il risentimento di giusta appellazione.
Io non vorrei né precipitare una sentenza tale, che si potesse nomare troppo rigorosa: né affermarla tanto larga, che trascorresse oltre i confini della troppa benignità: onde poi qualche interessato usasse l’antidoto per veleno, e, in vece di fuggir il peccato, maggiormente peccasse.
Nel caso de’ moderni, e Mercenari Commedianti, più volte mi è nata nell’animo una difficoltà, la quale si può anche con proposizione considerare intorno ad altri Recitanti, che non sono Mercenari: e è la seguente. N. Comico di Professione, e Mercenario, sta in una Compagnia di Commedianti, non come Capo, ma come Parte, e vi recita senza dire parole disoneste senza fare gesti impuri, e senza usare alcuna oscenità: ma i Recitamenti, per cagione degli altri Compagni Recitanti, riescono osceni di oscenità mortale.
Si Domanda. Se N. Comico pecca mortalmente recitando. E se è obbligato a ritirarsi dal recitare, lasciando la Compagnia. E se può entrare in un’altra; quando sa, o può facilmente sapere, che in lei sono Recitanti osceni.
Io non ho trovata fin’ora questa difficoltà proposta, e risoluta sotto questi termini dagli Autori da me letti: e però stimo di dovere spiegare il mi senso conforme alla dottrina, che comunemente si legge intorno al Cooperatore del peccato. Ma prego {p. 165} bene ogni Comico modesto a leggere, e praticare con molta cautela quel poco, che qui io scrivo; e a volerlo conferire con qualche dotto Teologo, e buon Padre Spirituale; acciocché con il consiglio di lui se ne serva fruttuosamente.
Dico 1. Il Comico N. per ordinario pecca mortalmente; perché,volendo, coopera ad un Recitamento, che secondo la sua integrità totale è grave peccato. E secondo S. Paolo « Digni sunt morte, non solum qui ea faciunt, sed etiam qui consentiunto facientibus.
» Che se i Teologi, i quali scrivono contro le Commedie oscene, condannano gli Spettatori, se non tutti, almeno molti, di peccato grave; perché cooperano all’osceno Recitamento: si deve molto più fondatamente condannare chi vi recita; perché l’Attore è cagione più efficace, e più immediata, che non è lo Spettatore; e egli propriamente si può chiamare « Causa, sine qua
» : ove lo Spettatore si chiama « Causa, cum qua.
»
Ho detto, per ordinario; perché forse per accidente, o molto di raro, può avvenire, che un Comico modesto entri in una Compagnia, supponendo con buona Ragione, che tutti i Compagni siano modesti, e poi in effetti non siano tali; ma egli entrato non può ritirarsi, e lasciar la Compagnia che suole durare un anno; perché non ha, con che sostentarsi: e non lo può avere con l’esercizio di altra Professione; o corre pericolo di far’ adirare qualche persona potente, che gli faccia oltraggio, danno grave, se tratta di lasciar la Compagnia, stante che essa non può senza lui fare i soliti Recitamenti; né può trovare, chi rappresenti il Personaggio da lui rappresentato. Nel qual caso forse possiamo dire, che il Comico N. non pecchi mortalmente, recitando in un’oscena Rappresentazione; perché non è obbligato con tanto suo danno, e con tanto suo pericolo di ritirarsi dal Recitamento, al quale coopera si, ma per rispetto di grave timore, e di giusta cagione. « Et gravis metus, et iusta causa excusat in multis Cooperatores peccati
» : come spiegano in molti casi i Dottori; e scusano da peccato mortale molte sorti di persone. Il P. Diana per acconcio di questo cita molti Dottori, e propone molti casi; a quali per questo rimetto il Lettore. Nella somma. Ver. Peccato cooperari. Et ver, Scandalum vs. et seq.
Io qui aggiungo. Il Comico N. serve al capo della Compagnia per fare il Recitamento, in quanto è cosa indifferente nella moralità, e si può fare senza peccato, o con peccato, e egli desidera, che si faccia senza alcuna colpa, eziandio veniale; e però egli recitando mai usa alcuna oscenità. Che poi quel Capo non voglia, o non possa, o pensi di non potere, impedire le oscenità mortali in tutti i Compagni Recitanti; onde il Recitamento riesce osceno con peccato mortale; reo di quella colpa deve stimar si il Capo della Compagnia, e il Compagno osceno, che è l’efficiente cagione diretta, e prossima dell’oscenità; e non il modesto Comico, che solo « per accidens preter intentionem, et remote
»vi concorre, e ha giusta cagione di non ritirarsi da tal concorso, per non perdere qualche necessario guadagno, e per non incorrere in qualche grave sdegno di persona, che probabilmente tenterà di nuocergli più, che leggermente.
Si può anche notare, che il Recitamento, detto osceno per le oscenità di uno, o di due Recitanti osceni, è un aggregato di molte parti, di molti atti, di molte scene, e comparse di vari Personaggi, ciascun de’quali deve, e può astenersi da ogni indecenza mortale; e così astiensi il Comico modesto N. il quale non induce il Comico osceno all’uso delle oscenità; né lo paga per questo, né gli si fa applauso; come forse fanno molti Spettatori; ma solo fa la sua parte modestamente, e rappresenta con decoro il suo Personaggi, desiderando, e talvolta anche avvisando, e correggendo que’Compagni, che conosce difettosi nel morale, e virtuoso Recitamento; e però pare, che egli si possa scusare dal peccato; mentre con ragione tale, che paia, buona a giudizio de’ Savi, continua nello stare, e recitare con la detta Compagnia.
Dico 2. Il Comico N. è obbligato, parlando comunemente, a ritirarsi dal recitare, lasciando quella Compagnia: perché a niuno comunemente lecito si è perseverare in quello stato, che cagiona rovina spirituale al prossimo: e tale si è lo stato di chi coopera senza buona ragione al Recitamento osceno, col quale molte anime si rovinano spiritualmente. Quando però occorressero {p. 167} circostanze tali, quali ho spiegato di sopra credo, che non sarebbe obbligato il Comico N. a ritirarsi.
Dico 3. Non può entrare in altra Compagnia parlando per ordinario, quando sa, o può facilmente sapere, che in lei sono Recitanti osceni, perché questo si è un eleggere volontariamente l’occasione efficace della rovina di molte persone deboli nella Virtù; la qual rovina segue dato Recitamento osceno, e egli vi vuole con concorrere, come Cooperatore.
Ma se avvenisse, dirà uno, che mai, o quasi mai si formasse Compagnia di Mercenari Comici, nella quale non fossero due, o almeno un Recitante osceno; e per cagione di lui il Recitamento fosse osceno: che può fare il modesto Comico N. ?
Rispondo. Io lo consiglio, (e credo, che ogni dotto, e pratico Teologo, o Padre spirituale bene da lui informato, non riproverà il mio pensiero) che lasci l’Arte Comica; se ha comodità di vivere senza il guadagno di lei; tuttoche sia per provare qualche strettezza, e diminuzione: perché, chi può, deve lasciare ogni occasione di peccato grave, eziandio con qualche suo, non troppo grande, incomodo temprale. Che se egli non ha comodità di vitto, fatichi per guadagnarselo lecitamente, in «sudore vultus» ; o applicandosi al mestiere di qualche lecito guadagno; o ponendosi alla servitù altrui; e se non trova uomini, che lo accettino per servitore in casa, (come pur troppo avviene a Comici anche modesti) si risolva, se è libero, di servire a Dio in qualche sacra Religione: che così troverà il necessario sostentamento per l’anima, e per lo corpo. Ovvero faccia, come hanno fatto molti altri Comici, cioè, si ritiri a vita esemplare, e penitenziale in qualche solitudine, o almeno in qualche Ospedale, o Casa Pia, ove dalla carità de’ Fedeli potrà esser aiutato, e mantenuto fin all’ultimo di sua vita.
Ho inteso da Girolamo Chiesa, Comico di Professione, nominato tra’ Comici Dottor Graziano de’ Violoni; che in Spagna nella Città di Madrid, di Siviglia, e altre, vi è qualche Ospedale, e Chiesa a benefizio de’ Comici vecchi, e inabili; e si mantengono con l’elemosine lasciate da’ Comici facoltosi. Se ciò sia vero, o no, mi rimato a’ Pratici: e dico, che, se in Italia {p. 168} non sono i luoghi pi eretti solamente per li Comici modesti inabili al Recitamento, non mancano altre abitazioni di cristiana pietà; ove si può ricoverare, chi brama di lasciare l’Arte Mercenaria e pericolosa delle moderne, e drammatiche Rappresentazioni. Ma temo, che questo mio consigli da pochi sarà accettato per eseguirlo: e forse tal’uno se la passerà con un sorriso da Galantuomo. E io ne concepisco dolore, e con lacrime di compassione dico a tutti i Mercenari Comici modesti, e desiderosi di fuggire i lacci dell’Inimico, come già disse l’antico, umile, e zelante Efrem Siro a’ Fedeli. « Frates ego miserabilis, lacrimabundus moneo; ne nos laqueiso irretiri patiamur Inimici: aut potius per virtutem Crucis Christi nos invincibiles præbeamus: inevitabile iam certamen præ foribus est
»To. 1. tit. De Antichr. in primum metrum pag. 236.. Cioè. Io miserabile uomo vi ammonisco, acciocché non comportiamo di essere colti nella rete di Satanasso; ma più tosto con la virtù della Croce di Cristo mostriamoci in vita Soldati invincibili, che così vinceremo anche nell’ultimo, vicino, e inevitabile certame della Morte.
Veggo, che qui tal’uno mi può rispondere, dicendo. Voi consigliate secondo il meglio, e più sicuro modo di procedere, e non risolvete il dubbio principale, che travaglia non poco il Comico modesto N. Cioè. Posto che non voglia eseguire alcuna delle cose proposte nel suddetto consiglio, può egli, almeno con qualche probabilità di dottrina assicurare la coscienza, e continuare l’esercizio dell’Arte recitando egli modestamente, benché qualche Compagno reciti con immodestia? Rispondo, il dubbio già è risoluto di sopra nel primo, e secondo detto. Solo aggiungo per questa materia, che molte volte la comodità si chiama necessità, e l’Amor proprio è un malizioso Stregone, che fa travedere gli oggetti molto diversi dalla realtà dell’esser loro. Il Comico modesto N. è avvezzo a vivere comodamente con il guadagno dell’Arte Comica, e quella comodità li pare pura, e mera necessità: ma forse non è tale; e se tale non è, egli non può con sicura coscienza perseverare in quello stato. Dunque, se non vuole eseguire il mio consiglio, tratti come ho proposto, e pregato di sopra, con altri Teologi {p. 169}, e Padri Spirituali: dica loro liberamente, e con piena verità il caso, le circostanze, e tutte le ragioni per difesa, e per oppugnazione d’ogni suo interesse: e poi eseguisca diligentemente, e presto ciò, che gli sarà consigliato; o con rigore di dottrina bastevolmente dichiarato, e provato. E si ricordi l’ammonizione del Signore spiegata da S. Ilario, ove dice. « Vigilare nos Dominus propter aduentum Furis adomonuit et orationum assiduate detentos omnibus preceptorum suorum operibus inharere. Paratos igitur nos esse convenit, quia diei ignoratio intentam solicitudinem suspensa expectationis exagitet.
»In Mat. C. 26. in fin. Cioè. Noi abbiamo bisogno di vigilanza, di orazione, e di opere sante; acciocché così ci prepariamo sollecitamente per l’ultimo giorno di nostra vita; che, quando sia per essere, non
sappiamo. E chi vive mal preparato, corre manifesto pericolo di dannazione.
Tutto questa discorsetto co’ suoi punti dottrinali può servire anche per que’ Comici modesti, che tal’ora ad instanza di qualche Principe, o di altro principal Signore si prendono il pensier, e l’obbligo di formare una Compagnia di Recitanti; nella quale veggano diligentemente di non accettare alcun osceno Commedianti perché se ve l’accetteranno, e indi seguiranno Recitamenti poco modesti, essi ne saranno rei nel Tribunale Divino; e stimo, che difficilissimamente si potranno scusare da grave peccato. Dunque fatichino essi virtuosamente nel modesto Teatro, e procurino, che ogni loro Compagno vi fatichi con Virtù, e come Uomo, e buon Cristiano,di cui noto.con Teodoretoin Ps. 51. 10. « Justus spem in Deo fixam habeto, et per illam laborare, et laboriosos fructus producere non recusat.
» Non più discorriamo di questo Punto, massimamente essendo stato il presente discorso quasi una troppo lunga digressione; onde possiamo concludere con Nisseno. « Digressione hæc ad aIia considerando nos adducente, ad propositum revertamur.
»Or. De mortius.
Punto sesto. {p. 170}
Se la Donna porge occasione maggior di peccar all’Uomo, stando alla finestra, o recitando in Teatro.
S. Bernardo scrive. « Felix, qui passiones corporis sui, propter Justitiam ordinat.
»ser. Infer. 4. Hebd. penosa. Da che io inserisco. Dunque chi vive con l’animo ben composto, e ordinato; facilmente si schermisce contro gli strali della bellezza femminile; mira illeso la Donna in finestra, e la mira parimente illeso in Teatro: ma chi vive disordinatamente, è schiavo dell’affetto suo impuro, al primo comparir di bella Donna, moltiplica le sue piaghe, e i suoi dolori con nuovi peccati, e con più lacrimose, e miserande cadute. E quindi la Legge della santa Carità Cristiana, insegna alla Donna, che farà molto bene, se vorrà, ne stare alla finestra, ne recitar in Teatro, per non porger occasione di peccato, a chi mirandola facilmente pecca per la debolezza dello spirito. Vero è che lo star in finestra non si vieta per necesità alla Donna; e se standovi da occasione di peccato, non è occasione colpevole, ma scusabile: o per necessità, o per altra buona ragione; poiché ciascuna persona può « uti iure suo, et sua libertate
», servirsi del suo diritto, e della sua libertà. Ma il recitar in Teatro (dal quale io non escludo le modeste Donne, né le Comiche pudiche) con Ragionamenti amorosi, con sguardi lascivi, con gesti impuri, e con altre indecenze solite farsi dalle moderne, e Mercenarie Comiche impure, è cosa affatto illecita alla Donna, e con la quale senza dubbio si porge occasione maggiore di peccato all’uomo, che con lo stare alla finestra. So, che Beltrame sente diversamente, ove scrive. Le Comiche, quando parlano in Scena con loro Recitanti, non hanno tempo di girar con arte gli occhi, per far preda de’ cuori; che conviene loro star avvertite, per dar risposta a proposito e farsi onore; ma in altri luoghi la comodità di fermar lo sguardo, variar oggetti, e dar cibo a’ mendicanti d’Amore, portano maggior pericolo.
Così discorre questo Comico, e non nega la risposta a quello, che aggiunge cap. 34.. Oh dirà tal’uno. L’azione della Commedia è {p. 171} più viva, i più lusinghiera, e più potente: può essere; ma, se io non erro, Amore fa nido nel bello; e tal volta è vago anch’egli delle Pitture; poiché sovente corre più veloce ad un viso miniato, che alla schiettezza naturale. lo all’aggiunta di Beltrame aggiungo, che la Comica in Scena, essendo perita nell’Arte, sa fingere, e eccellentemente fingere, altrimenti non farà buona Comica; e però sa trovar il tempo di girar gli occhi per ferire, e per involar i cuori; né il dover dar risposta al Recitante la impedisce, anzi l’aiuta; perché verso di lui o sfoga gli affetti, o nega i vezzi, secondo che giudica meglio per allettare, e per innamorate: ove una Donna in finestra se ne sta muta, parlando solo con gli occhi nel linguaggio d’Amore, e gli occhi senza le parole sono ambasciatori del cuore, ma muti e non molto efficaci.
Non crediamo dunque al Comico, che dice. Poco male Beltr. p. 146. possono far le Donne delle Scene con i loro discorsi: e rispondiamoli, che non poco male, ma molto male, e molto grande possono fare; e molte di loro lo fanno in realtà, non solo a tempo della Commedia, nel quale molti lascivi s’innamorano pazzamente; ma anche in altro tempo fuori del Teatro con la perniciosa Conversazione, dalla quale vengono mille mali, cagionati da certe lusinghe, da certi vezzi, da certe leggiadrie, e artifici, con i quali le Comiche condiscono velenosamente i loro artificiosi discorsi. A ciascuna di quelle conviene quel poco spiegato dal P. Albritio in una Predica. Non si può dire cosa più sfrontata di una Femmina, quando, rotti i ritegniPred. 32. n. 3. della verecondia, si è condotta a fare pubblico mercato della sua pudicizia: non teme Dio, non rispetta gli uomini, altera nel guardo, procace nella favella, petulante nel gesto, lasciva nell’abito, immodesta nel portamento, dissoluta nel costume. Ma di questa materia diffusamente si è trattato nel Libro detto la Qualità. Lui il Lettore, se si compiace di leggere, troverà le risposte a varie difficoltà. Non mi trattengo più in questo Dubbio, e passo ad un altro, ricordando qui,che una Comica peccatrice, e trista, non solo nuoce a’ Comici suoi Compagni, ma anche a tutta la Città; e però vale contro di lei il detto di Salviano {p. 172}. « Peccatrix in Civitate, quasi parum piaculi esset simulo illo malorum tantum inquinarentur Autores (intendete i Comici) per pubblicam sceleris Professionem fiebat etiam scelus integra Civitatis.
»l. 7. de Provid.
Punto settimo.
Se i Maestri salariati dichiarano a’ Giovanetti le Amatorie Commedie di Terenzio, di Plauto, e d’altri; i Comici moderni non potranno rappresentare al popolo le loro Amatorie Azioni?
Possiamo principiar la risposta convenevole al presente Dubbio, con il sentimento affettuoso di S. Agostino; il quale disse, esclamando. « O flumen tartareum, iactantur in te fili hominum cum mercedibus; ut hæc discant: et magna res agitur, cum hoc agitur pubblice in foro, in conspectu Legum super mercedem salaria decernentium. Et saxa tua percutis, et sonas, dicens. Hinc verba discuntur; hinc acquiritur eloquentia, rebus persuadendis sententisque explicandis, maxime necessaria. Ita vero non cognosceremus verba hac. Imbrem aureum. Gremium Et sucum. Et templa Coeli. Eto alia verba: nisi Terentius induceret nequam Adolescentem proponentem sibi Iovem ad exeplum stupri.
»l. 1. Confes. C. 16. Vuol dire. E cosa tartarea e infernale, insegnare l’eloquenza per mezzo di tali parole impure, e oscene non s’impara più comodamente, ma ben si pecca più confidentemente: le parole sono come vasi preziosi ma non bisogna porvi il vino d’errore, e d’impurità. « Non per turpitudinem verba commodius discuntur, aggiunge Agostino, sed per verba turpitudo confidentius perpetrabor. Non accuso verba, quasi vasa electa pretiosa; sed vinum erroris, quod in eis nobis propinatur ab ebris Doctoribus.
»
A questo affettuoso sentimento di S. Agostino aveva l’animo rivolto BaldesanoNello Stimolo par. 1. c. 6. p. 74., quando scrisse. « Mirabili sono le querele, e i pianti, che il gloriosissimo Agostino fa nelle sue Confessioni, deplorando l’abuso de’ suoi tempi, ne’ quali si leggono pubblicamente simili Libri; e si astringeva la Gioventù ad impararli {p. 173}. E questo tanto universalmente, e con tanto consenso degli Uomini, che apprendeva quel Santo per cosa quasi impossibile, e un volere opporsi all’impeto di un rapidissimo Torrente, il rimediarvi. Che più può dire che chiamar questa, usanza fiume Infernale? Ma come meglio può mostrarci il peccato mortale, che in ciò si può commettere, e bene spesso si commette, che nominandolo fiume, che cammina, e conclude all’Inferno? Due ben vede ognuno, quanto più deplorabile sia lo stato del presente secolo, nel quale oltre i Libri non buoni degli Antichi, tanti altri più de’ Moderni, se ne veggono in ogni lingua pieni d’ogni malizia, e di diabolici incitamenti, e nelle Scuole de’ Maestri mal avvezzi, e nelle mani de’ Giovani, e delle stesse Donzelle ancora. E quel, che è peggio, con approvazione, e precetto di color, che dovrebbero tenere simili Componimenti non men lontani delle case loro, che il fuoco, e la peste.
»
Surio scrive con gran lode di S. Ermanno, che mal volentieri leggeva le Favole de’ Poeti, quando, essendo fanciullo7. Aprilis., gli veniva comandato l’impararle; anzi riprendeva i suoi Maestri, dicendo, che il vero Dio riceveva oltraggio, mentre si pronunciavano i nomi de’ falsi Dei con aggiunta di titoli d’onnipotenza, e di divinità: e che era una pazzia cercar i Gigli tra le spine, quando si possono aver senza fastidi in un bel Giardino.
Questo errore dovrebbero pensar que’ Maestri, che per insegnar a’ Giovanetti la buona latinità, leggono loro pubblicamente ciò, che Terenzio, o altro Comico impuro ha scritto impuramente. Corro questo errore esclama il P. Cresollio « Utinam, in hoc etiam seculo non invenirentur humaniorum litterarum Magistrii, qui Poetarum explicatione, et spurcitie Fabellarum, et nequissima lingua pruritu, in aures cupida Iuventutis obscaena studia inculcarent.
»Theat. Rhet. L. 5. c. 8. p. 489. Contro questo errore i Sacri Concili pubblicarono ottimi avvertimenti.
Il Lateranense disse de’ Maestri. « Nihil contra bonos mores, aut quod ad impietatem inducat, eos docere possint.
» Che non possano insegnar agli Scolari cosa che sia nocevole a buoni costumi {p. 174}, o che induca all’impietà. E facilmente urterà in questo scoglio, chi vorrà pubblicamente spiegare a Giovanetti le opere di Terenzio, o d’altro Scrittore antico poco modesto.
Il ConcilioI. p. c. 3. fatto sotto Adolfo dice « Interest, ut tantum casti, pii, et religioni orthodoxa consentientes Auctores pralegantur.
» Cioè. Importa che si leggano solamente Autori casti, pii, e di dottrina conforme alla Cattolica Religione.
Il Concili Milanesep. I. c. de Ludi Magistris. I. fatto sotto S. Carlo Borromeo, avvisa a’ Maestri. « Un solum Libros, indice S. D. N. Pii IV. auctoritate edito nominatim vetitos, Pueris non interpretentur, aut ab illis legi patiantur: ed neque etiam alios, quibus obscena, et turpia continentur.
» Cioè. I Maestri non dichiarino a’ Giovanetti, né permettano loro il leggere, non solo i Libri nominatamente vietati con l’Indice di Pio IV. ma neanche gli altri Libri, che contengono cose brutte, e oscene.
Altri Concili t. 4. de Relig. Tr. 10. l. 5. c.6. n. 6. non mancano, i quali recano simili avvertimenti. « Alia etiam Concilia, dice Suarez, ab his Libris, qui oscena Fabulas, et Comedias continent, abstinere iubent. Similia videri possunt in Synodo Augustensi cap. 16. et in Synodo Moguntina sub Sebastiano cap. 36. Refentur etiam Synodus Valentina sub Martino Ayala ses. I.
» Ma giova a me di credere, che ad ogni virtuoso Maestro Cristiano debba per avvertimento bastare quel poco, che contiene la 7. Regola dell’Indice Romano composto contro i Libri, che non si devono leggere, né tenere. Ivi si proibiscono i Libri, che « ex professo
» trattano, narrano,o insegnano cose lascive, ovvero oscene: e si aggiunge. « Antiqui vero ab Ethnicis conscripti prooter sermonis eleganti amo, et proprietatem permittuntur: nulla tamenratione Pueris pralegendi erunt.
» Cioè. I Maestri intendano, che si permettono loro i Libri Osceni composti da’ Gentili; acciocché veggano la proprietà, e la politezza del parlare: ma in niuna maniera li dovranno dichiarare a’ Giovanetti. Anzi essi medesimi nel leggerli usino accortezza; acciocché l’anima loro non resti offesa; poiché S. Girolamo In Jonam c. 3. nota. « Quem non inebriavit Sapientia secularis? Cuius non animos compositione verbrum, et disetitudinis sua fulgore perstringet?
» Allude il Santo alle parole {p. 175} di Geremia. « Calix aureus Babylon, inebrians omnem terram
» c. 51.. Volendo accennare, che l’eloquenza vana de’ Libri osceni con il gusto della bella composizione, e con la dolcezza delle parole scelte, graziose, e leggiadre priva di prudenza i Lettori: e però i Maestri li leggano cautelatamente, ma non già li dichiarino in pubblico agli Scolari Giovanetti. E basti questa sola ragione a
persuaderli, o almeno convincerli.
I Libri disonesti, dichiarati alla Gioventù nelle Scuole sotto pretesto di fiorita eloquenza, e di pulita, e bella latinità, cagionano cattivi pensieri per mezzo de’ favolosi diletti, e insegnano costumi disonesti; anzi eccitano la mente ad incentivi di libidine, come dice Isidoro; e si riferisce nel cap. « Ideo prohibetur 37. d. Quia per oblectamenta inanium Fabularum mentem excitant ad incentiva libidinum l. 3, de sum. bono c. 13
». E qui raccolgo io dal suddetto, che S. Ignazio Patriarca, e Fondatore della Compagnia di Gesù, saggiamente comanda nelle Costituzioni p.4. c. 14. §. 2. che i Maestri si astengano dall’esplicar alla Gioventù que’ Libri, ne’ quali si contiene qualche cosa. nociva a’ buoni costumi; e vuole in caso, che si debbano leggere, siano prima purgati dalle cose, e dalle parole disoneste. E il Glossatore delle Costituzioni aggiunge. Se alcuni Libri non si potranno purgare, come è Terenzio, più tosto non si leggano; acciocché la qualità delle cose non offenda la purità de’ costumi. « Si aliqui omnino purgari non poterunt, quemadmodum Terentius, potius non legantur; ne rerum qualitas animorum puritatem offendat.
»
Voglio raccontar un caso occorso l’anno 1584. in detta Compagnia. Il P. Claudio Acquaviva a. 27. Iunii Così sta nelle risposte del P. Claudio nell’archivio Romano. Generale fu richiesto dal Provinciale d’Aquitania P. Pietro Lochiero. Se si potevano leggere nello loro Scuole alcuni luoghi scelti da Terenzio. E egli rispose con la negativa latina di questo tenore. « De Terentio, quod quei. An loca aliqua selecta prelegi possint. Sciat, hic quoque alis aliquam tuam diligentiam adhibuisse ad eum purgandum: denique laborem irritum apparisse: nam si omnia loca tolli debent, qua moribus nocere possunt, ita mutilum, et exiguum opus remanebit, ut nullam fere utilitatem lingua afferre {p. 176} possit: ut omittam, quod Adolescentes facile incitare potest ut integrum legere velint. Quare melius indicamus eum, qui nunc est, morem retinere ut ab illo abstineamus, maxime cum sine eius usu nostra tamen Schola adhuc in latinitate ubique profecerint.
»
Io so in oltre che il P. Muzio Vitelleschi Generale e Successore dell’Acquaviva ha più volte risposto a vari; con la stessa maniera seguitando in ciò le vestigia del suo Antecessore. Notasi in questa risposta quel poco. « Adolescentes facile incitare potest, ut integrum legere velint.
» Cioè. Il leggere alcuni pochi luoghi scelti da Terenzio, e puri da ogni oscenità può facilmente eccitare i Giovanetti in Bibl. P. 1. l. 1. c. 25. p. 108. al voler leggerlo tutto; e ciò fa dicendo, leggeranno moltissime oscenità.
Il Possevino avverte questo difetto seguito nella purga di altri Libri osceni e proposti da leggere con la bellezza delle forme del dire, e senza la bruttezza delle impudicizie.
« Cum demptis plerisque mater apposita stelulla, relictique essent quasi piante loci, hi potiuso Lectores illexerunt ut integra Poetmata conquirerent, qua alias fortasse neglexissent.
» Comment. Ascet. In Regul. Com. Reg. 8. pa. 282. Meglio avrebbero fatto a seguire l’avviso che il P. Giulio Nigrone, seguendo l’autorità di Crisostomo porge, dicendo. « His obscenitatibus, necessitate quadam auditis in Schola; tamquam medicamentum S. Chrisost. opponi suadet auditionem verbi Dei in Ecclesia. Sed S. August. Iustis lacrimis prope deplorat erroris quod in eis nobis propibantur ab ebris Doctoribus: et nisi biberemus, cadebuntur; nec appellare ad aliquem Iudicem sobrium licebat.
» ho. 21. in ep. Ephes.
Non voglio passare con silenzio in questo luogo ciò, che a nostro tempo è avvenuto nella Città di Perugia. L’Illustrissimo Napolione Comitolo, uomo di segnalata virtù, molta dottrina e varia erudizione, governava il Popolo negli affari ecclesiastici con zelo di Vescovo vigilantissimo. Sotto la sua, protezione si manteneva una Radunanza di molti nobili Giovanetti Convittori, e Studenti istruiti nelle umane lettere dall’onorato {p. 177}, e celebre Maestro Marc’Antonio Bonciario, soggetto di buona latinità, e di efficace espressiva nell’insegnare, massimamente essendo cieco. Un giorno quel Prelato andò ad onorare con la sua presenza quel luogo; e giunse in tempo, che il Maestro tratteneva gli Scolari in Scuola, dichiarando loro Terenzio, come Autore fornito di ottima Latinità. Non piacque né molto, né poco al virtuosissimo, saggio, e zelante Vescovo la pubblica esplicazione di quel Libro, fatta a’ Giovanetti, e con modo piacevole, grave, e risoluto si dichiarò con il Bonciario, che egli non voleva, che Terenzio, il quale è pieno di cose amatorie, e impure, fosse dichiarato in una Scuola di Giovani, raccomandati alla sua protezione: e però lo lasciasse, e li servisse di altro Autore; che non mancavano altri forniti di buona latinità; e che si potevano dichiarare senza sospetto di trovar parole, o pensieri di poca modestia, e pericolosi alla Gioventù.
Ricevé in ottima parte il buon Maestro l’avviso del zelante Superiore, e applicò tosto l’animo ad una presta esecuzione. Tralasciò l’esplicazione dell’impuro Terenzio; si servì di altri Libri molto buoni, per ammaestrar molto bene la Scolaresca nelle forme, e nelle maniere del buono, e bello favellare, e scrivere latino: e non andò molto tempo, che egli da’ Proginnasmi del Pontano fece una bella, e giudiziosa scelta di Composizioni e le fece stampare con disegno che la loro lettura, dichiarazione, e intelligenza servisse per bene de’ suoi Discepoli a conseguir quel fine, che prima si aveva prefisso, dichiarando Terenzio. E questo fu disegno, inteso da Monsignore, fu approvato, e comandato; come ben meritava. Tutto questo racconto può vedere disteso il benigno Lettore; se si compiace di leggere la Prefazione, che il medesimo Bonciario compose, e stampò nel Libretto della suddetta scelta de’ Proginnasmi, e la indirizzò all’illustrissimo Prelato.
Ora vengo alla risposta del Dubbio, e dico: che io non posso lodare, né approvare, che i Maestri Salariati dichiarino a’ Giovanetti le Amatorie Commedie di Terenzio, o d’altro: e m’adduco a ciò dire per le autorità, e per le ragioni proposte, e dichiarate. {p. 178}
Onde molto meno posso approvare, che I Comici moderni rappresentino al popolo le loro Amatorie Azioni. Perché questa Rappresentazione è cosa di gran lunga più pericolosa, e più perniciosa, che quella lezione, della quale io non intendo qui determinare: se sempre sia peccato, o no; nel che mi rimetto al giudizio de’ dotti, i quali avranno letto in molti, e tra molti in Sanchez, che « peccant mortaliter interpretantes Libros turpes, et plenos lascivis, ad veneremque provocantibus
»l. 9. d. 46. n. 43.. Ma solo intendo non approvarla, e quindi negar ciò, che da lei s’inferisce, cioè, che lecito sia a’ disonesti Commedianti far le Commedie oscene. Dal paragone di cosa non sincera, o almeno sospetta, malamente si raccoglie la sincerità di un soggetto, tenuto per altro molto nocivo, e pernicioso. Concludo pregando ogni Cristiano Maestro a considerare, e praticare, per quanto può, l’avviso di S. Basilio. « Considerandum est, ut litterarum commentatio instituto nostro conveniens sit; ut, et Magistri scilicet vocabulis in sacris litteris usitatis apud Pueros utantur; et loco Fabularum historias rerum mirabiliter a Deo gestarum ipsis denarrent: itemque sumptis ex proverbis sententis ad virtutem erudiant
»reg. 15. ex Fusioribus.. E prego anche a far riflessione al seguente detto, che è, non di S. Basilio, né di altro Santo, ma del malvagio Luthero, e lo cita il P. Carlo Scribano. « Necessarium est, ut Libri Iuvenalis, Martialis, Catulli, et Priapeia Virgili ex omnibus locis, et Scholis exterominarentur, et prostigarentur; qui tam turpia, et obscena scribunt, ut sine magno detrimento Iuventuti non possint pralegi.
»Titulo de doctis. in Adol. Prodigo pag. 58. Cosi ragiona de’ Libri impuri il nimico della Purità, Lutero; noi dall’avviso di quell’impudico Maestro impariamo, e pratichiamo la fuga della
lezione de’ Libri impudichi: non è cosa nuova, che un Uomo di vita scostumata dia qualche volta ad altri un buon avviso di vivere costumato: la torcia consuma se stessa, illustrando gli altri col suo chiaro lume.
Punto ottavo. {p. 179}
Si permette a molti il comporre, e lo stampar Commedie, e altre Composizioni oscene, e si leggono: perché non si può permettere a’ Commedianti il recitarle?
Parte di questa difficoltà propone a se medesimo, e vi risponde molto bene D. Francesco Maria del Monaco in Paran. p. 45.. « Obiciunt, dice egli, si legi possunt Comedia, nec peccato letali adstringimur: etiam si turpes, etiamsi de amoribus viri, et famina colloquantur. Rursus si fatentur sidei Quasitores, nullo modo contra bonos mores eas esse, ideoque se, ut in lucem prodeanto, permittere: cur easdem in Scena audire nefas? Cur exitiale adeo, ut ad crimen obliget in proscenio easdem spectare? Quid addit Scena, ut mala vix statim pessima? Res sunt, qua movent, non, feriens aerem vox: res autem utrobique eadem, sine scribantur, seu proferantur.
» Cioè. Si possono leggere le Commedie brutte, e Amatorie, e i zelanti Inquisitori permettono lo stamparle; perché dunque non si potranno anche sentire; e per conseguenza perché i Comici non potranno recitarle pubblicamente?
Io riferirò in Italiano ciò, che risponde in Latino il citato Autore. Molti stimano assaissimo questa Ragione: ho udito da Uomini, per altro dotti, che ella è insolubile: ma non dicono ciò meritamente. Desiderare voi di sapere, che cosa di più abbia la Scena in modo, che quelle cose, che appena sono cattive fuori di Scena, subito diventino pessime, quando in lei si rappresentano? Io ve lo dirò prestamente. Ha i Gesti, i Volti, le Voci. E voi molto ben vedete, che tali cose hanno gran forza, e sono molto potenti nell’umane Azioni: avete veduto il cadavere di un uomo: anzi più volte l’avete veduto: egli ha gli occhi, ma paiono di vetro; le orecchie, ma cadenti; le nari, e le guance, ma esangui; le mani irrigidite; la faccia pallida; tutto il resto del corpo senza moto, senza caldo, e simile appunto a un freddo marmo. Ma quale comparisce egli, mentre è vivo? Mirate gli occhi vi sembrano scintille dell’anima; ne’ quali l’anima stessa si fa veder, come al balcone {p. 180} e vi fiorisce; e ne’ quali, come in due sfere, l’anima or tutta si disfà in lacrime, or tutta si accende in fiamme, or tutta si diffonde in delizie, or tutta si oscura in mestizia: e gli occhi insomma sono tali, che voi li potete con le stelle paragonare. Mirate il volto, ove le gote, ricche per la nativa porpora, e rosate; e quanto grate, quanto belle, e decenti voi le giudicherete? Vedete poi ne’ membri, e in tutto il corpo il senso, o il moto; e lo stimerete cosa divina, e degna del Paradiso. Or questo medesimo vi scorgerete, se farete paragone della lezione, e della scrittura, con l’Azione avvisata nella Scena. Imperoché nello Scenico Recitamento si odono le voci formate per piacere, gioconde per rallegrare, umili per mostrare modestia, titubanti per finger timore, flebili, e piegate teneramente per muovere pietà, acute, e concitate, per significare iracondia, e grave sdegno. Nella Scena il viso si fa vedere ardente nell’ira, allegro nel gaudio, mesto nelle avversità, troppo ardito
ne’ prosperi successi, composto nelle cose ferie, rimesso nelle burle, e acre, costante, e forte negli ardui avvenimenti. E finalmente nella Scena le mani sono compagne, o per dir meglio, sono seguaci, e spesse volte interpreti delle parole. O quanto arguta, o quanto savia, è la mano nel dar impeto, e forza alla parola: onde uno con ragione chiamò le mani saetta, e dardo del parlare. Or questo non ha la lezione per se stessa; non è aiutata da’gesti; ne accresciuta dell’occhio, né dalle voci; ma muta se ne sta, languida, e monca; che però Tullio disse, che l’Azione era la vita dell’Orazione. E Quintiliano scrisse, che infinite cose più dilettano udite, che lette. « Documento sunt vel Scenici Actores, qui et optimis Poetarum tantum ad iactanto gratia, ut nos infiniti magis eadem illa audita, quam lecta delectent.
» Ma che farà poi se voi alle suddette cose aggiungete il movimento lascivo di tutte le parti del corpo, la preziosità de’ vestimenti, l’artificio de’ salti, e balli, la dolcezza de’ canti, e per ultima la pompa, e apparato della Scena ben composta, e con graziosa varietà distinta, e arricchita? E direte voi, che è il medesimo pericolo di peccato, o si leggano le Commedie o si odano e si veggano rappresentate? Io {p. 181} chiamo una Commedia scritta Equivoca Commedia, se si paragona con quella, che nel pubblico Teatro è recitata: ne questa con quella più si confà di quello, che convenga un uomo vivo con un uomo esangue, morto, e incadaverito.
Sin qui l’allegato Scrittore; dopo il quale io dovrei aggiungere il mio senso distinto in varie Note per rispondere a tutte le parti del proposto Dubbio con quella maggior chiarezza, brevità, che si può aspettare dalla mia debolezza; ma perché sarebbe discorso assai più lungo di una solita Risposta ad un Dubbio, però lo differisco all’ultimo dell’Opera: ivi il Lettore potrà vederlo, e se non troverà gioie d’ingegno, si compiaccia, come prego, de’ minuti della mia povera dottrina. E se parlerò della stessa materia più d’una volta, mi scusi, ricordandosi la sentenza di Gilberto. « Cur non fieus frequenter concutitur, cuius fructus plene nunquam excutitur?
» Ser. 5. in Cant..
Capo Quarto
Delle difficoltà prese da’ superiori. §
{p. 182}
Un Moderno Mazar. Rog. 109. o. lib. 3. de legibus. Valentuomo, ragionando contro i moderni Commedianti, dice, che le Leggi e i Legislatori secondo la dottrina di Platone ne devono mirare a tre cose: cioè, che la Repubblica viva nelle libertà, che goda la pace, e che abbia la mente sana. Or queste tre cose pervertono i Commedianti osceni; perché fanno che i Cittadini servano a’ Vizi; che tra loro nascano discordie; e che molti perdano la sanità della mente, commettendo delle imprudenze e peccato. A questi inconvenienti possono i Cristiani Legislatori, e Superiori portar presto, e efficace provvedimento: e io di questo voglio discorrere per via di Punti, r Dubbi secondo il solito a fine, che in tutti si vegga praticato il detto breve di S. Agostino To. 3. nelle sent. N. 200.. « Prima salus declinare peccatum: secunda non desperare de venia.
».
Punto primo.
Perché il Papa non proibisce le Commedie oscene nella Cristianità? Ovvero i Vescovi nelle loro Diocesi?
Per soddisfar a me stesso in questo Dubbio, bastami ponderar un poco di quel, che il P. Luigi Albrizio scrive nella sua eloquentissima prosa predicatoria, avvertendo. Non è pur da mentovarsi in questo luogo la sacrosanta autorità del Sommo Sacerdote, che tiene il posto di Vice Dio in terra, del quale è lecito avere opinioni, o formar concetti altro, che riverenti,e in tutto conformi a quelli, che di uno di essi lasciò scritti S. Bernardo l. 2. de considerat.. « Tu Princeps Episcoporum, tu hæres Apostolorum {p. 183}, in Primatu Abel, Gubernatu Noe. Patriarchatu Abram, Ordine Melchisedech, dignitate Aaron, auctoritate Moises, iudicatu Samuel, potestate Petrus, unctione Christu.
» E chi ardirà di porre la bocca in Cielo?
Lascio ciò, che l’addotto Padre aggiunge eloquentemente, e dico. Io certo non ardirò di por bocca in quel sacro, Apostolico, e animato Cielo, essendo persuaso, che quel Superiore de’ Superiori, che viene eletto al Vicariato di Cristo, non deve essere, née dotato di una mezza bontà, la quale si contentò Aristotele, che fosse nel Superiore dicendo. « Saltem sit semibonus.
» l. 5. Polit. c. 11. Ma deve essere, e è tutto buono, tutto perfetto, e tutto ottimo: e come tale deve con accuratissima diligenza invigilare, e invigila per la conservazione de’ buoni costumi contro i pericolosi abusi inventati da Satanasso: tra’ quali uno si è quello delle correnti Commedie impure, che sono grandemente nocive alla Cristiana Onestà. E però da alcuni si domanda. Perché il Papa non lo proibisce per tutto il Cristianesimo? Ovvero i Vescovi per le Diocesi?
Rispondo. Non si fa le proibizione universale delle Commedie: perché le modeste sono scritte, fatte con la debita moderazione, prescritta da’ Teologi, e quando servono, « ad quandam anima quietem
», per una certa quiete dell’anima, scrive S. Tommaso 2. 2. q. 168. a. 2. c., e per un certo onesto rilassamento con qualche diletto; ma che tal diletto non si cerchi in operazioni ovvero in parole brutte, o nocive; scrive il medesimo Santo. « Delectatio non queratur in aliquibus operationibus, vel verbis turpibus; vel nocivis.
»ibidem.
Né il Pontefice Massimo, né i Vescovi zelanti, e buoni, approvano gli eccessi Teatrali; anzi hanno caro, che i Predicatori, e i Padri Spirituali in luogo loro, avvisino i popoli, che si guardino dagli inganni de’ Commedianti osceni, e scandalosi.
In oltre, che altro sono tanti Libri, tante prediche, e tanti sermoni e ristampati con l’approvazione del Sommo Pontefice, de’ Vescovi. E di S. Chiesa contro le Oscenità delle Commedie, se non tacite proibizioni? Dunque le Commedie oscene sono proibite, se non sub censura, almeno sottoo pena di {p. 184}censura, almeno in modo tale, che a parere de’ Dotti basti sufficientemente; acciocché i Fedeli intendano, che non si devono recitare, né ascoltare.
D. Francesco Maria del Monaco scrive, che più volte era stata fatta questa obiezione In Paren. p. 43. da un dotto Iurisconsulto domandando. E perché i Sommi Pontefici con i loro decreti non hanno fatta la proibizione? E egli risponde. « Habes Pontificum, Conciliorum Decreta plura in Histriones. In Inspectores etiam Concilium Arelatense n. 7. c. 7 et cap. 7. a quo utique excomunicantur. Quod si non usu receptum, neque decretum id in Canones relatum; ingentem tamen autoritatem habere, minime dubitandum est: nec enim unquam Sanctissimos Patres Spectatores excomunicationis gladio percellendos decrevisse, censendum est, nisi lethali peccato obnoxios existimassent. Habes denique veteres Patres; babes universos Scholasticos ut non nisi temere dissentias.
»
Dico di più. Bene spesso si proibiscono sub censura ancora quelle Commedie stampate, delle quali intendono i Superiori, che sono perniciose alla Cristianità; come si fa anche di molti Libri, prima stampati con l’approvazione, e poi vietati, proibiti, sospesi . E io tengo certissimo, che se si sapesse la moltitudine gravezza de’ peccati che cagiona la comparsa delle Donne in Banco, o in Scena a parlare di materia amorosa nella presenza di tanti deboli di spirito, subito si verrebbe alla proibizione, come di cosa oscena, e molto perniciosa. E prego umilissimamente il gran Padre de’ lumi Iddio che degni per sua bontà d’illuminare, e di muovere a questo tutti i Maggiori, e Minori, tutti i Supremi, e infimi Signori, e Moderati delle cristiane Popolazioni, acciocché quanto prima usino il necessario provvedimento. So,che scrive Menocchio. « Simplex tollerantia non arguit tollerantis consensum, ut scripsi in cons. 275. n. 50. Et tolerare is dicitur, qui scit, et patitur: quod non contingit in Summis Pontificibus, Arcipescopis et Episcopis, qui presumuntur ignorare, qua in privatorum adidibus aguntur. Et admisso, predictos, multos etiam annos, hæc tolerasse non tamen sequitur quin in posterum providere possint {p. 185}, Dei precepta esse observanda
» De arbit. Iudic, cas. 69. n. 64.. Da che io raccolgo, che i Papi, e gli altri Superiori Ecclesiastici non acconsentono all’abuso Teatrale delle pubbliche oscenità; ma se forse pare, che ne mostrino qualche tolleranza, ciò avviene; perché non ne sono pienamente informati: onde se le sapessero di certo, le proibirebbero per sempre dalla Cristianità, comandando, che le Rappresentazioni Teatrali, e il Teatro fossero Scuola di utilità a’ buoni, e non di lasciva oziosità, o di vano piacere a’ cattivi, come scrive il Filosofo Romano. « Quidam veniunt, ut audiant, non ut discant: ficuto in Teatrum voluptatis ad delectandas aures oratione, vel voce, vel
Fabulis ducintur. Magnam partem Auditorum vide bis, cui Philosophi Schola diversiorum oti est non id agunt, ut aliqua illic Vitia deponant ut aliquam legem vita accipiant, quia mores suos exigant sed ut oblectamento aurtum perfruantur.
» Seneca ep.
Punto secondo.
Che si può dire di que’ Principi, che tollerano, o che ostentano i Commedianti osceni.
Due difficoltà si propongono, una della tolleranza, e l’altra del sostentamento. Rispondo alla prima, e dico. Forse i Principi stimano poter imitar il Re Teodorico, di cui scrive Cassiodoro. « Spectaculum, expellens gravissimuos mores, invitas levissimas contentiones, evacuator Onestatis, fons irriguus iurgiorum, quod vetustas quidem habuit sacrum, sed contentiosa posteritas ferit esse ludibrium: hæc nos fovemus necessitate Populorum in minentium, quibus votum est ad talia convenire.
» Ovvero tollerando per qualche tempo dell’anno i Commedianti ne gli stati loro, devono fare le debite diligenze contro gli osceni: come ordina Platone; e come usavano gli antichi savi Romani e come vuole la Ragione del buono, e virtuoso governo. Appresso i Romani, scrive il P. Cellozio, si recitavano prima le Azioni prontamente alla presenza de’ CensoriIn Orat. Philolog. contra Histriones. deputati, « coram deputatis Censoribus
», e poi in pubblico. E piacesse a Dio, che un tal costume ora si praticasse da’ nostri Comici {p. 186} Mercenari, « Utinam hoc more apud onestes, et religiosas aures Scenici nostri Fabulas sua privatim ante deponerent, qua eas Populo in Scena cantitarent.
»
Ma dato, che alcun Principe tolleri con negativa permissione le Commedie oscene: non per ciò segue, che non pecchino i Recitanti, e gli Spettatori: perché la tolleranza dell’inferiore, che è un terreno Principe, non deroga alla legge di Dio che è Rex Regum e è Superiore ad ogni Principe, e il quale proibisce le Commedie oscene, e scandalose.
Molti Principi tollerano le pubbliche Meretrici: e non dimeno esse peccano mortalmente; e peccano anche quelli, che con semplice fornicazione si domesticano con loro. Permesso era da Dio agli Ebrei il Repudio: e nondimeno secondo alcuni Dottori peccavano ripudiando le loro Mogli. Or che diremo della permissione di un Principe? Certo che ella non farà. che i Commedianti osceni, e i loro Spettatori non pecchino gravemente.
I Superioric. 26., scrive Beltrame, per evitar maggiori mali, alle volte permettono alcuna cosa; e forse per compiacere, chi tal grazia chiede: ed altre volte chiudono gli occhi, e lasciano scorrere, per non essere più importunati, e per non parer tanto austeri. Ma io dico, che la permissione del male non è lecita secondo S. Tommaso, « nisi vitetur maius malum
», se non per evitare un maggior male: e questo non sortisce con la permissione delle Commedie oscene. « Nunquam vidi, scrive Hurtado, neque audivi pubblice, aut secreto, aut in confessione, a me, vel ab alis excepta, malum altquod commune vitatum esse per Comedias.
»Subs. 11.
Ma qui mi nasce un dubbio: e è. Se si trovasse Principe, o Signore, o Superiore, il quale volesse risolutamente le Commedie, recitate nella forma, e modo solito de’ nostri tempi; né s’informasse da Dottori, quali siano le oscenità di peccato mortale anzi non volesse udire, se alcun si presentasse al suo cospetto per ragionarne e di più non avesse caro, che si scrivesse né che si predicasse, per illuminar il Popolo a poter, e sapere distinguere bene la Commedia lecita dalla illecita, e la virtuosa dalla viziosa. In queste, e simili congiunture nelle quali io {p. 187} più duna volta mi sono ritrovato; e forse ad altri sarà avvenuto lo stesso, che si deve fare? Che partito si può pigliare?
Forse risponderà uno. In tal caso si può praticare la dottrina del precetto della fraterna correzione, che per essere affermativo non obbliga « ad semper
». E qui si vede, che non v’è speranza di frutto; e però si può differire: e tra tanto può l’uomo zelante ritirarsi; tacere, e raccomandare il tutto al Signore Iddio; acciocché per sua bontà porga comoda occasione di efficace provvedimento; perché il parlare, o lo scrivere contro, può essere, che sia tenuto per troppa, e indiscreta liberta, e per zelo privo di scienza, non secundum scientiam e per disprezzo virtuale dell’autorità del Superiore, quasi che si giudichi degno di grave biasimo come troppo favorevole alle Teatrali, e scandalose Oscenità. E ogni savio, discreto, e zelante Servo di Dio non deve mai scordarsi de’ termini umilissimi di riverenza dovuta, a chi comanda con titolo di pubblica giurisdizione, e legittima superiorità.
Ma per rispondere all’altra parte del Dubbio, che contiene l’obiezione del sostentamento, dico, che quando un Principe con donativi, e con altre provvisioni sostenta i Commedianti osceni, pecca gravemente secondo il parere di S. Tommaso2. 2. q. 168. a. 3.. « Si qui, dice egli, superflue sua in Histrines consumunt veletiam sustentant illos, qui illicitis ludis utuntur, peccant, quasi eos in peccato foventes.
» E io dico, che si può anche temere assai, e che il Principe pecchi non solo di fomentazione nel peccato; ma di scandalo ancora per le grosse spese: che però si odono spesso ne’ Popoli gravi mormorazioni contro que’ Principi, o Superiori, che a loro spese, o con le contribuzioni di altri sostentano i Commedianti, degni di essere cacciati per le loro poco modeste Rappresentazioni.
E vero, che alle volte i Principi si muovono a donare sollecitati più dalla presunzione de’ Comici tristi, che dal merito de’ virtuosi: onde scrive il Cecchino pag. 20. I Principi, i quali si veggono far regali a questi Comici, che non li meritano, non lo fanno, perché si compiacciono delle loro sciocchezze; ma è che per lo più chi manca in virtù abbonda di presunzione {p. 188}, onde que’ tali temerariamente domandano e sfacciatamente importunano; e il Principe, che è grande, non può dar poco; tal che per levarsi dall’importunità di questi da molte volte assai più che non fa alla virtù degli altri. Lascio il resto del Cecchino e supplico con umiltà ogni Principe a ponderate, e praticare l’avviso dell’Ecclesiastico c. 12. 5. « Da bono; et non receperis peccatorem: prohibe panes illi dare
», con la dichiarazione del Sig. Cardinal Bellarominol. 4. c. 17. §. expedit spir., il quale « de peccatoribus accipit
». dice il P. Michele di San Romano della Compagnia di Gesù, « non egentibus, quibus favor damnum affert: ut Histrionibus contigit, a principibus hominibus in magno habentum pretio, et largissima eis bona vanitatem, et levitatem animi impertiunt
»t. 1. par. 3. Pastor. Adm. 21.. E S. Gregorio io sopra il medesimo avviso scrive. « Panem suum peccatoribus prabet, qui iniquis subsidia pro eo, quod iniqui sunt, impendit: unde et nonnulli huiusmodi divites, cum fame crucientur Christi pauperes effusis largitatibus non nutrium Histriones.
»
Punto terzo.
Se l’esempio di un Principe, o di un Superiore, che permette le Commedie Oscene perché il popolo ne gusta, sia buona Ragione per tollerarle
Gli esempi iuxta §. fin. Inflit. de hared. instituted. iuxta. erat olim Instit. de donat. l. nemo C. desent et Interloc. omn. Iudicum Ser. de ver. Dom. c. 27. non stingono la Regola secondo i Leggisti. « Exempla non arctant Regulam.
» E si deve correggere con pio rimedi ciò, che è pessimo per l’esempio. « Quod exemplo pessimum est, corrigendum pio remedio.
» E il famoso Imperator Giustiniano con voce universale decretò, che si doveva giudicar delle cose conforme alle Leggi, e non secondo gli esempi. « Legibus, non exemplis, est indicandum.
» E il difendersi con l’esempio di uno errante, non è preparar difesa, ma cercar Compagni per andar all’Inferno; « non est defensionem parare, dice S. Agostino, sed comites ad Gehennam inquirere.
» E quindi io rispondo al Dubbio, che non è buona Ragione per la permissione delle Commedie Oscene l’esempio di un Principe, o di un Superiore, che le permette, perché il popolo ne gusta. E se il Comico Beltrame non professasse di parlar delle modeste {p. 189} Commedie, non l’approverei, quando dice. A’ Principi i trattenimenti si concedono per alleviar le noie, per l’uso, per far correr il danaro, per mantenere gli esercizi, per operar cose da Principi pacifici, per dar gusto alla Cittadinanza, molte, volte dalla penuria de’ tempi, da’ sinistri presagi, dalle necessarie gravezze, e dalle poche faccende spaventata; ove che gli spassi, e le Commedie levano la malinconia a’Grandi, e a’ Popolari. E poi è ragion politica il mantenere la Città allegra.
Tutto questo può passare, dico io, ma non può già passare, come lecito, che si mantenga la Città allegra con le disonestà Teatrali: e se i Popoli ne gustano, gusto tale non basta per farle tollerabili; perché i Popoli, come agitati da varie, e sregolate passioni, molte volte gustano di cose, viziose, le quali per ciò non si devono permettere senza buona, e sufficiente ragione: anzi l’ufficio del Principe, e del Superiore si è faticar in reprimere, per quanto può, i popolari, e immodesti desideri; come fonti originari di mille rovine spirituali, e temporali.
« Semper in eo elaboravere, nota un Dotto, Principes, et Episcopi eo nomine digni, ut Populi cupiditatem reprimerent.
» Cressolio in Mystago. L. 4. c. 16.
E io qui non devo tacere, che non tutti gli uomini di un Popolo gustano delle oscene Rappresentazioni: ve ne sono molti, e per lo spirito, e per la prudenza, e per lo zelo riguardevoli, i quali hanno gusto, che s’impediscano gli osceni Commedianti dal Recitamento; e aiutano a sortirne l’effetto, quando possono, e come possono, almeno segretamente. In una Città dei fioritissimo Regno di Sicilia giunsero una volta i Mercenari Commedianti, per far le loro solite, e oscene Azioni: e prima di cominciarle, occorse, che di notte fu trovato un biglietto sotto la porta della Chiesa della Compagnia di Gesù, e aveva il soprascritto indirizzato ai Padre Rettore del Collegio, e dentro avvisava, che erano venuti i Commedianti, peste de’ buoni costumi,e evidente rovina della misera Gioventù, e pregava per amor del Sig. Iddio ad usare ogni possibile diligenza per rimediar presto all’urgente necessità di molte anime, che erano per cadere in moltitudine grande di peccati mortali. Da questa caso, e da altri occorsi nell’arrivo, e nella dimora de’ {p. 190}Comici osceni in una Città si può giudiziosamente argomentate, che ne’ Popoli vivono al certo molte persone virtuose, le quali non prendono gusto, ma disgusto dalle Commedie oscene; e sono con la vita loro, e co’ buoni costumi Catoniani Censori delle impurità.
E invero è falsissimo quel principio di certi Politici i quali, come nota il P, Gio. Buseo in Panar. V. Spectaculi., dicono, che il Principe procede imprudentemente, levando al Popolo cristiano il gusto, e i piaceri degli Spettacoli. « Impudenter Populo Cristiano eripi Spectaculorum voluptates
». Ma io noto la risposta di quell’Autore, la quale in ristretto è la seguente. Si concedono le ricreazioni salutari, e non le perniciose. « Si quaris voluptates, queras, non vanas, sed salutares; gaudia, non in Diabolo, sed in Domino.
»
Scrive l. 7. della Rep. Regia c. 10. al diritto di questo Punto il Sig. Fabio Albergati nel tenor, che segue. Con ciò sia che per autorità del Filosofo il gioco è in vece del riposo, al Re sarà di mestiere recare ricreazione, e riposo al Regno suo col mezzo de’ Giochi. E cotal azione è stata sempre tanto importante appresso tutti i Popoli, e massimamente valorosi, e grandi, che in essa non pure sommo studio, ma spese fuor di misura eccessive impiegavano. I Greci avevano in costume alcuni Giochi, e in modo gli stimavano, che con mirabile concorso della Nazione erano celebrati. Questi Giochi furono i Piti, gli Olimpi; i Nemei, e gl’Istmi. E avvenga che fossero dedicati ad Apollo, a Giove, e a Nettuno; nondimeno a ricreazione ancora di que’ Popoli servivano. E particolarmente gli Ateniesi delle pubbliche ricreazioni furono tanto vaghi, che ad esse gran parte delle entrate del comune destinarono, con severa legge vietando, che niuno sotto pena della vita osasse di contraddirle. E fra i trattenimenti loro ancora le Rappresentazioni della Scena riposero, le Commedie, le Tragedie, e le Opere di somiglianti diporti.
I Romani similmente con diversi Giochi procurarono al Popolo ricreazione, e diletto, e con tanto maggiore spesa, e magnificenza de’ Greci, quanto la possanza Romana di gran lunga la Greca superava. Aggiunge poco dopo quest’Autore. Essendo adunque e per la Ragione e per l’esempio convenevole {p. 191}, e necessaria la ricreazione, e il riposo alla Repubblica, verremo a considerare, quale debba essere. La onde presupposto per autorità di Aristotile, che il Gioco sia riposo, vedremo; qual Gioco in ciò sia decevole. E perché Platone scrive nel Sofista. Niuna specie di Gioco esser più dilettevole della imitazione, il Gioco da rappresentare a sudditi del Re sarà imitazione. Per la qual cosa dovendo imitar le cose vere, e non farle; perché non farebbe Gioco; e recar diletto, e non fastidio, perché non ricreerebbero gli Spettacoli, ne’ quali necessariamente intravengono, o per la maggior parte, ferite, e morte d’uomini, nella guisa, che erano quelli de’ Gladiatori; i combattimenti degli uomini con le fiere saranno dal Re vietati; e quelli similmente, che lascive cose rappresentando, e contrarie a’ costumi onorati, hanno forza di corrompergli. Rispetto, che indusse Platone a discacciar dalla Repubblica sua i Poeti, che con disoneste imitazioni Vizi sconvenevoli ne’ Popoli introducevano.
Lasci il resto, che scrive questo nobile Politico; bastando il sopraddetto, e massimamente ove dice chiaro, che il Re, (diciamo noi, ogni altro Superiore), deve vietare la Rappresentazione di cose lascive.
Dico in oltre con Ribadaniera. Non è buona ricreazione l. 1. c. 11. della Tribul. quella, che è nociva a buoni costumi, e distruggitrice dei vigore, e fortezza virile con tanta offesa di Dio, dal quale pende la conservazione, e ampliazione di tutti i Regni.
Non voglio tacer ancora quel poco, che il P. Giulio Rag. 100. Mazarino scrive con questa chiarezza. I Superiori buoni, e savi, e timorosi di Dio non permettono a’ Popoli per convenevole trattenimento, se non le oneste,e onorate Rappresentazioni.
Io adunque concludo, che le Commedie oscene non sono da tollerarsi; perché il popolo ne gusta: e prego tutti con le parole di Crisostomo, che ce ne ritiriamo, e facciamo diligenza, che gli altri se ne ritirino; poiché tutto quello, che ivi si fa, non è diletto, ma rovina, ma pena, ma supplizio. « Qua propter rogovos omnes, ut et ipsi vitetis, et alios retrahatis; quic quid enim illic geritur, non est oblectatio, sed pernicies, sed pena, sed supplicium.
» ho. de Duo ide t Sancte. t. 1.
Ottimo avvertimento 2. 2. q. 168. a. 2. c. 59. è quello di S. Tommaso; e lo conferma con S. Ambrogio, e lo cita anche il Comico Beltrame, cioè. « In ludis debet attendi, ne totaliter gravitas anima resolvatur.
» Nelle ricreazioni, e nelle burle si deve attendere, che la gravità dell’animo non si risolva in tutto « Itaque cave, dice un moderno, ne qua sub honesta recreationis, et Eutrapelia velamento offeruntur, ad labefactandos Cristianos mores sint artefacta.
» Gir. Fior. P. 16. Comed. Guardati, che i gusti, coperti col velo di modesta ricreazione, non siano artifici per la distruzione de’ cristiani costumi. E io concludo, e spero, che si risolverà a guardarli con diligenza chiunque spesso applicherà a se medesimo la sentenza di S. Bernardo Ho. de duo bus Discip. in Emaus.. « Vita mea iam instat vesper: iam mors minatur aspera: timor, et tremor totam conscientiam concutit: terribilem in sententiam Iudici pertimescit.
».
Punto quarto.
Se le Commedie oscene non sono lecite perché i Principi e Superiori le approvano, e danno licenza di Recitare?
L’occhio del buon Principe Cristiano, e del buon Superiore, non fa cenno d’approvazione a cose di malvagità. E nel caso delle Commedie, io non credo, che siano oscene, o almeno siano tenute tali da Principi quelle, che essi approvano con la loro autorità: e accetto per vero quel detto di Girolamo Fiorentino. « Quas Comedias Cristiani Principes approbant, turpitudine notatas minime credo
» pag. 15. : e segue a rendere la ragione nel detto. « Quoniam, quispia solicitudine rectè vinendis leges Civibus intundunt, non commendarent sane nec ad mortis firmandos proponerent hæc paradigmata.
» Perché quelli che con pia sollecitudine prescrivono le Leggi del ben vivere a’ Cittadini, non proporrebbero tali esempi per formar i costumi: né esporrebbero i sudditi, e il fiore della Città, al godimento, degli Spettacoli impuri. Che se fu saggio l’accorgimento di Aristide Orat. de non agendis Com., con che avvisò. Se noi ci serviamo, non di qualsivoglia portinari, ma di fedelissimi; acciocché non riceviamo qualche danno in casa; lasceremo noi il governo de’ nostri figlioli, e delle {p. 193} nostre sostanze a qualsivoglia persona? No per certo. E di tale accorgimento stimo dotati i Principi, e Superiori quando approvano le Azioni per lo Recitamento; vogliono, che siano come tante Regole informative della Virtù, non distruttive dell’Onestà.
Quando poi senza vedere prima, o far rivedere le Azioni, danno licenza a’ Comici di recitare, dico, che credo la concedano sotto i termini lecitissimi senza pensier, o sospetto, che poi i Comici trascorrano fuori di tali termini, abusando le grazie de’ Superiori. Io richiesi una volta dal Superiore di una, Città principalissima di un Regno; come si dava licenza a’ Commedianti Mercenari di Recitare. E rispose. La licenza si da con la clausola moderativa. « Nihil obscenum misceatur
». Che nel Recitamento non si supponga cosa alcuna oscena. E mi aggiunse un altro personaggio.
I Comici per la malizia loro si abusano della licenza; e infettano la Scena con le oscene Azioni. In un’altra Città mi fu dettolo stesso, in quanto al dar licenza con la moderazione; e fu aggiunto, che non toccava al Superiore informarli di poi intorno all’uso, ovvero abuso dell’ottenuta licenza. Ma io sono di parere. che tale aggiunta non sia vera; né ben fondata. Con tutto ciò da questi casi vediamo, che i Superiori danno licenza, non di far le Commedie oscene, ma le Commedie senza oscenità.
Così diedesi licenza l’anno 1648. nella Serenissima Città di Venezia: onde iolessi questo avviso di là venuto. Si attende in breve una Compagnia di Comici, già che dal Pubblico è stata data licenza di far Commedie, proibite fin dal principi della Guerra col Turco. E credesi ciò seguitò, perché sia stato considerato tale trattenimento di minor danno alla Città di: qualsivoglia altro, che si permetta nelle veglie dell’Inverno.
Ma io stimo: che, come quella proibizione merita somma lode, così quella licenza non è degna di alcun minimo biasimo; perché concesse far le Commedie modeste, e lecite, non già le illecite, e oscene: Anzi gli stessi Comici sanno, che molte volte sono stati castigati, e banditi da Venezia molti Compagni della loro Professione per gli eccessi commessi ne’ Teatrali Recitamenti {p. 194} delle loro mercenarie Commedie. Ma che? Infino Beltramecap. 26. Comico scrive a difesa de’ Superiori contro gli abusatori delle licenze in questo modo. Forse uno dirà per suo discarico: è vero, che i Superiori concedono tali licenze:ma vengono persuasi sotto fini lecitissimi: e il mal poi è che le persone trascorrono fuori de’ permessi termini, e abusano le grazie.
Io concludo con NatalPist. Lib. 21. Comite. « Nulla tanta potest esse necessitas, qua Principem, virum bonum, et sapientem debeat impellere ad turpia, et inonesta pubblice concedenda.
» Il buon Principe non concede licenza di rappresentare disonestà.
Punto quinto.
Se, già che la Moderazione; o la Proibizione de’ Superiori non giova a lungo tempo, si può tollerare l’abuso delle Commedie oscene.
Misero quell’infermo, che per timore di ricadere, dopo che sia guarito, nell’infermità, non prezza l’applicazione, de’ buoni medicamenti, e s’abbandona nel male; egli è simile ad un peccatore, che temendo del recidivo, si risolve di continuare nel peccato, standovi nimico di Dio, e reo della dannazione. Così avviene a quel Cittadino, e a quella Città, e a chiunque gode di star presente con sua colpa mortale a’ Recitamenti disonesti, e fomenta nel peccato i Commedianti osceni. Dice più volte, e ridice in questa forma. La Moderazione o la Proibizione non giova a lungo tempo, che però si vede, e si prova con l’esperienza, che tante volte sono state moderate, e proibite le Commedie oscene, e nondimeno si ritorna all’uso o abuso di prima. Dunque si può lasciar correre, come male moralmente disperato, e irrimediabile.
Prima di rispondere confesso, che qui si può ricordare la sentenza di S. Ciprianode Spect.. « Nullum malum difficilius extingutur, quam quod faciles reditus habet, dum et multitudinis consensu asseritur, et excusatione blanditur.
» Gli Spettacoli osceni sono un male di difficile curazione; ma nondimeno si può curare: e però {p. 195} rispondo. Non si può lasciar correre; perché le Commedie oscene sono proibite dalla Legge Divina: come peccati, e la Legge Umana le può anche di nuovo, e più volte, e con facilità proibire, S. Tommaso dichiarando, che la Legge DivinaI. 2. q. 91. a. 4. c. §. 4. quia in I. de lib. arb. C. 6. fu necessaria, scrive. « Augustinus dicit, Lex humana non potest omnia, qua male fiunt, punire, vel prohibere; quia dum anferre vellet omnia mala, sequeretur, quod etiam multa bona tollerentur; et impediretur utilitas boni communis, quod est necessarium ad conversationem humanam. Ut ergo nullum malum improhibitum, et impunitur remaneat necessarium fuit supervenire Legem Divinam, per quam omnia peccata prohibentur.
» Acciocché niun male resti senza la proibizione, fu necessaria la Divina Legge, per vigor di cui si proibiscono tutti i peccati; e per conseguenza quelli ancora, che nascono dalle Commedie oscene.
Aggiungo, che anche dalla Legge Canonica in più luoghi sono proibite, e punite queste disoneste Rappresentazioni, e i loro Attori. Onde se qualche Legge civile le permettesse, sarebbe stimata, non Legge, ma errore, secondo la dottrina di Maiore, il quale in materia del Duello, (diciamo noi a proporzione in materia della Commedia oscena), risponde a chi dice: le Leggi Civili alle volte concedono il Duello, « Legem Civilem contra ius naturale Divinum, et Canonicum, Duellum permittentem, legem non esse, sed errorem.
» Così lo cita Comitolo lib. 5. q. 16. n. 13. nelle sue risposte.
Ma non fa di mestiere di rispondere in questo modo: poiché le medesime Leggi Civili proibiscono le oscenità Teatrali: onde io dico anche secondo il fine di tali Leggi. Non vuole il diritto di Ragione, che si lasci correre il male senza qualche buono e ben fondato rispetto. E questo non appare nel caso delle Commedie oscene; l’abuso delle quali non è male disperato né irrimediabile: anzi è facile di essere curato con un solo editto, e bando universale. « Tam perniciosum malum, scrive un Teologo, uno verbo, una scheda, tollere Princeps potest: et quia tam facile, si non facit, servari ipse non potest.
» Adamo Contzen Pol. L. 3. c. 13. §. 4. Cioè. Il Principe può levar un male tanto pernicioso con {p. 196} una sola parola, o con un foglio; e perché può tutto quello eseguire tanto facilmente, se egli non lo eseguisce non si può salvare, se non fa per tempo la debita penitenza del suo errore. Che se poi a lungo tempo con la mutazione del Principe, o di altro Superiore, cessa l’osservanza dell’ordine, e torna l’abuso sarà obbligo, di chi succederà, darne conto, e ragione a Dio. In tanto, a chi tocca di presente il governo, deve procurare di corrispondere compiutamente alla sua carica, e obbligazione. Si può sperare, che il Successore conservi l’ordine per quella massima universale, che è più facile conservar l’osservanza di una Legge promulgata, e accettata, che sia l’introdurla da principio contro molte difficoltà e ripugnanze.
Insomma, chi governa attualmente, soddisfaccia alla sua coscienza; e così vigili con la sua tolleranza, che non dorma la disciplina Ser. 24. de ver. Apostoli. « sic vigilet tollerantia, ut non dormiat disciplina
» scrive Agostino; e non dormirà, se efficacemente bandirà del tutto le Commedie oscene, senza concepire quel vano timore, per cagione di cui alcuni Superiori dicono. Oh i tristi faranno peggio; perché se peggio faranno, peggio saranno trattati dalla Divina Giustizia; della quale non sarà reo il Superiore, mentre fa l’obbligo suo: e poi se alcuni pochi, per essere più sfrenati, faranno peggio, molti altri ciò non faranno: e per impedire la peggiore malvagità di quelli pochi, non si deve permettere il male di questi molti.
Aggiungo. Il Superiore con permettere le Commedie oscene, da occasione a que’ medesimi pochi, più sfrenati, e più tristi, di duplicare il male de’loro peccati; perché peccano udendo le Commedie; e poi ancora commettono que’ peccati peggiori, che non potevano commettere a tempo delle Commedie: onde la permissione delle oscene Azioni non toglie affatto il mal peggiore, ma lo fa differire in altro tempo. E chi mai vide, che un Concubinario, per udire Commedie disoneste, lasciasse in tutto la disonesta pratica dell’Amica? Chi è diventato un Hippolito con le Scene di Venere? Anzi con le Commedie si concepisce maggior caldo; e questo poi fuori del Teatro cagiona incendio di maggior rovina. E chi mal’abituato nel Gioco {p. 197} delle carte, o de’ dadi si è risoluto mai più giuocare, per aver frequentato le Commedie? Sono tutte menzogne: il palazzo de’ Vizi, che è l’osceno Teatro, non addottora, come scuola delle Virtù, chi lo frequenta: e se pure tal volta è avvenuto che un tristo, udendo qualche brutta Commedia, si sia emendato da qualche suo brutto vizio; sarà dato un gran miracolo della misericordia di Dio, che, come sapientissimo Artefice, sa da una spinosa pianta far nascere una bella rosa: ma quanti sono stati quelli, che andando senza Vizi, o con pochi Vizi alle oscene Rappresentazioni, se ne sono partiti molto un viziosi, e hanno lasciato la briglia all’appetito sensuale, e alle loro passioni? Un fiore,che nasca in una selva non la converte in bel giardino. Risolva dunque il savio, e zelante Superire purgar il Teatro cristiano da tutte le Teatrali, e mortali oscenità. E alla risoluzione si muova considerando, che del Teatro osceno si verifica il breve detto del B. Lorenzo Giustiniano in torno al Mondo lusinghiero, e ingannatore. « Mundi promissiones seductorie, blanditia venena, delectationes pocula mortalia, via sempiterna mors.
» È facile il passaggio dal breve diletto del Teatro all’eterno tormento dell’Inferno.
Punto sesto.
Se i Superiori cavando dalla Commedia Oscena guadagno per qualche Opera pia, possono lecitamente permetterla.
Cassiodoro l. 4. Ver. ep. 12. scrive del Magistrato un avviso di gran sostanza; e che può accomodarsi anche ad ogni Superiore. « Magistrati esse debet innocentia templum, temperantia sacrarium, ara iustitia; ab sit a iudiciaris mentibus aliquid profanu.
» Chi è Superiore, deve con esatta diligenza osservare i precetti della vera Giustizia, Temperanza, e Innocenza, per non commettere, né permettere cosa contraria alla virtuosa, e cristiana Politica. Onde nella risoluzione del proposto Dubbio procederà con la debita cautela, chiunque è Superiore: e a questa non basta una bella apparenza di pietà, quando l’opera pia tira seco qualche peccato la cui permissione sia sconvenevole, e illecita {p. 198}. E nel caso del guadagno, che si ritrae dalla Commedia, scrive pag. 129. cap. 48. il Comico Beltrame con questo tenore.
Se il guadagno della Commedia non fosse, oltre all’onorato, lecito, come tanti luoghi pii in Ispagna, in Napoli, in Milano, e in altri Paesi, prenderebbero l’utile, che si cava da’ palchetti, gallerie, e sedie alla Commedia? Dirà forse taluno. Questi sono affitti, tasse, decime, o gabelle poste sopra delle Commedie; come por si suole a tanti altri esercizi men nobili, o più stimati della Commedia. Io dico, che molti luoghi prendono una porzione dell’utile, che si cava dalla Commedia; e che il guadagno è dell’istessa natura, e non dazio, o tassa: e però dico, che il guadagno della Commedia non è altro, che giusta mercede. Sin qui Beltrame, il quale ragiona della Commedia non oscena, ma modesta; e per questa il guadagno è lecito; e anche il parteciparne per ordine de’ Superiori una parte a qualche luogo poi bisognoso, non è punto repugnante al diritto di buona ragione, e del virtuoso governo. Ma questo non vale, quando la Commedia è oscena, la cui permissione non è in modo alcuno lecita a’ Superiori: e di tal Commedia corre il presente Dubbio, a cui; rispondo io con la negativa, e tengo, che niun Magistrato, né altro Superiore possa permettere le Teatrali oscenità per ragione di cavarne guadagno da impiegarsi in qualche pia opera, ein occorso di qualche bisognoso. E basti per sufficiente prova la dottrina de’ Teologi, più volte replicata da noi in questo, e in altri Libri, e per la quale non si può permettere un male senza buona, e ben fondata ragione; e questa non v’è per la tolleranza, e permissione delle Commedie poco modeste, e nocive alla purità de’ cristiani costumi.
Hurtado De trib. Vir. Theo. Vol. 2. sect. 28. subse. 11. nel suo dotto discorso intorno alla permissione delle Commedie turpi, fa questa obiezione dell’utile che se ne caca per sostentamento di molti Ospedali, e per la cura di molti corpi infermi. E risponde, mostrando, che tal Ragione non è bastevole a giustificare la tolleranza; e dice, che questo è un crocefiggere Cristo, acciocché siano medicati alcuni infermi è uno stimare minore inconveniente, che molte anime vadano in perdizione, che muoiano pochi corpi. Qui {p. 199} forse altri ricorderanno, che sono tollerare le Meretrici pubbliche in alcune Città: perché con una parte del loro guadagno si aiutano Monasteri delle povere Convertite. Dunque; si possono anche tollerare le oscene Rappresentazioni, posto che se ne cavi qualche buon .emolumento per sovvenire al bisogno de’ luoghi pii.
Rispondo. Verissimo è, che non mancano Città nel Cristianesimo ove le Convertite; sono in parte sovvenute con il guadagno delle Meretrici, le quali, facendo testamento, sono costrette a lasciare una parte delle loro facoltà alle dette Convertite, e non lo facendo, perdono tutta la roba, che a beneficio di quelle si applica al Monastero. Ma non concedo già, che; la Ragione di tollerare le pubbliche Meretrici sia l’utile per li Monasteri delle Convertite; ma bensì l’inconveniente di altri peccati maggiori, che s’impediscono con la tolleranza delle Meretrici; e per rispetto de’ quali si pratica in molti luoghi la permissione delle Meretrici, come lecita secondo l’opinione probabile di molti Dottori: e secondo la dottrina comune della permissione del male; della quale basti il detto di Caietano. « Si ex rationabili causa permissio criminum sit bona moraliter, est utpote rationi consona.
» in 2. 2. q. 10. a. 11. E perché niuna cagione ragionevole, e niuna opinione probabile vi è, come dice Hurtado, per tollerare le oscene Rappresentazioni; però lecita non è tal tolleranza, e per conseguenza l’obiezione fatta, e fondata su l’utile, e bene de’ luoghi pi bisognosi, non è di alcun vigore per coonestare al Superiore la permissione delle Teatrali, e pubbliche oscenità.
È vero, che S. Tommaso chiaramente insegna, che l’umano 2. 2. q. 10. a. 11. c. reggimento si deriva dal reggimento divino, e che lo deve imitare. E Dio, benché sia onnipotente, e sommamente buono, nondimeno permette che si facciano alcuni mali nel Mondo, quali potrebbe proibire e non li proibisce; acciocché levati quelli, non si levino maggiori beni, ovvero non ne seguano mali peggiori. E da questa dottrina cava S. Tommaso questa conseguenza. « Sic ergo è in regimine humano illis, qui presunt, rectè aliqua mala tolerant, ne aliqua bona impediantur, vel etiam nec {p. 200} aliqua mala peiora incurrantur.
» Or quindi forse alcun discorrerà con questa forma. Il sussidio, cavato da una parte del guadagno della Commedia oscena, e dato al Monastero di povere Convertite, ovvero ad un Ospedale di poveri infermi, non si può negare, che non sia bene, anzi un gran bene; perché è un mantenere la vita corporale a persone strette da grave necessità. Adunque, acciocché tal bene non sta impedito, i Superiori possono lecitamente tollerare la Commedia oscena.
Rispondo a questo punto di dottrina di S. Tommaso, con la dottrina del suo Commentatore Caietano, e del Navarro. Dice Caietanoin 2. 2. q. 10. a. 11. c., che la permissione de’ peccati si deve esaminare sì per la parte del bene, che non s’impedisca; sì anche per la parte del male, che non segua. « Ad has causas; examinanda est permisso. Sed cave, aggiunge egli, ne permisso sit admista partecipationi.
» Ma guardati, che la permissione non sia mischiata con la partecipazione. E vuol dire secondo l’interpretazione di NavarroIn Manuali c. 17. n. 195., che niuna permissione di peccato è lecita con la partecipazione del guadagno cavato dal peccato. « Nulla permissio peccati est licita cum participatione lucri praecedentis.
» E questa partecipazione è nel caso della Commedia oscena: dunque lecita non è la sua permissione.
E non giova il replicare. I Superiori, che permettono le Commedie oscene, non partecipano punto del guadagno ; ma lo assegnano ad opere pie, e a luoghi bisognosi; non giova dico perché essi sono la cagione efficace, che altri ne partecipino; e questo non possono lecitamente fare senza ragionevole cagione, con la quale resti giustificata antecedentemente la permissione. E chi mai stimerebbe lecito ad un Superiore il permettere, che alcuni uomini tristi guadagnando molto nella Città, uccidendo molti Cittadini, e dando poi parte di quell’illecito guadagno ad un bisognoso luogo pio d’ordine del medesimo Superiore? Questo sarebbe un distruggere la giustizia comune sotto colore di falsa carità.
Aggiungo, e rispondo secondo la debolezza del mio intendimento al luogo di S. Tommaso. Dice egli, che i Superiori lecitamente tollerano alcuni mali, « aliqua bona impediantur
» ; {p. 201} acciocché non s’impediscano alcuni beni, cioè, beni non minori, né uguali, ma beni maggiori: cosi lo spiega Navarrocap. 17. n. 195., aggiungendo la parola, majora, e cosi lo deve spiegar ogni altro; acciocché le parti della dottrina antecedente corrispondano a quelle della conseguente: e si come dice prima. « Dio permittit aliqua mala, ne majora bona
» si levino: così deve intenderli, che di poi dica. I Superiori « aliqua mala tollerant, ne aliqua bona maiora impediantur
». Ora io dico, che il mantenimento corporale, o delle Convertite, o degl’infermi di un Ospedale o de’ Bisognosi di altro luogo pio, non è bene maggiore di quel, che sia il mantenimento spirituale, e la vita della grazia d’innumerabili anime, che la perdono per rispetto della Commedia oscena; e come dunque sarà lecita al Superiore la permissione sua per questa Ragione, che con parte di quel guadagno sostentano i corpi di alcuni Bisognosi? Veramente gran bene si è il preservare un bisognoso, e un infermo, dagli stenti della povertà, e dalle miserie della morte corporale; ma molto più gran bene, e incomparabilmente maggiore, si è il prevenire l’anima, che non cada nella gran miseria dal peccato mortale, e nell’evidente pericolo dell’eterna dannazione. Concludo. La privazione del sussidio temprale, dato ad un luogo pio secondo una parte del guadagno cavato dalle Commedie oscene, è qualche male: ma la rovina spirituale cagionata alle anime con la permissione delle medesime Commedie, è una moltitudine di tanti, tali, e così perniciosi mali, che, come dice S. Crisostomo, non si può .dichiarare bastevolmente.
Dunque tutti i Sig. Superiori concedano volentieri il Fiat alla mia umilissima, e giustissima Supplica, che porgo loro facendo instanza, che caccino lungi da se la Permissione di un abuso tanto nocevole alla Cristianità, stimando ciascuno dato a se da S. Gregorio Niss. quell’avviso Epist. Ad Historiarum.. « Hoc semper tibi cordi sit, quod De gratum, et nobis incundum est.
»
Capo Quinto.
Delle difficoltà prese dagli Autori, che hanno scritto contro le Commedie oscene. §
La Guerra che gli Scrittori Cristiani sempre hanno fatto contro la vanità del poco modesto Teatro, è antichissima; perché in ogni tempo si sono sforzati di mostrarla viziosa, abominevole, e indegna di essere veduta, e ascoltata; e hanno usato grano diligenza, non solo per ritirarne i Fedeli; ma anche per ottenere che si levassero affatto le Rappresentazioni scandalose recitate da persone scostumate: quali sono le Commedie oscene che oggidì ancora si veggono Rappresentate da molti Mercenari e poco modesti Commedianti. E questa impresa è tanto convenevole, che l’istesso Comico Beltrame ha scritto a suo favore dicendo cap. 27., che è bene levare la Commedia scandalosa recitata col mal costume delle persone poco timorate di Dio. E io dico che scandalose sono le Commedie correnti de’ Mercenari; Comici osceni; e contro di loro vagliano i molti argomenti e le molte dottrine che gli antichi, e moderni Scrittori hanno pubblicato alla Cristianità per giovamento di ciascun Fedele, a cui se non possiamo dire con S. Cirillo Gerusal. Ad Illuminatos Catech. 4. al fine. L. 5. de Provid. « Ne Spectaculum etnico catus adeas
» : almeno possiamo accettarli con Salviano. « In Spectaculis quadam apostatatio Fidei est.
» Ora cominciamo a rispondere, ad alcune difficoltà, che a favore della permissione delle Commedie oscene alcuni prendono da medesimi Scrittori.
Punto primo. {p. 203}
Se i Padri, e i Dottori antichi, che scrissero contro gli antichi Spettacoli si devono allegare contro le Commedie moderne, e oscene.
Il buono rimedio antico contro l’antico morbo suole perdere l’uso contro quell’infermità del nostro tempo, la quale è diversa da quella dell’antichità. Con questo pensiero i Protettori delle moderne Commedie oscene si stimano forti contro gli argomenti, dottrine, e autorità degli antichi Padri e Dottori: perché dicono, che quelli non condannano le correnti Azioni burlesche, e oscene; ma le Rappresentazioni de’ loro i tempi, le quali erano molto più disoneste; e gli Spettacoli gladiatori; e le cacce pericolose di morte e i Giochi istituiti, in onore de’ falsi Dei: che erano cose molto diverse dalle moderne Ricreazioni Teatrali, e da’ trattenimenti de’ nostri Commedianti.
A questa difficoltà rispondo solamente co’ seguenti. Autori, lasciando tutti gli altri, che forse avrà veduti, o può vedére l’erudito Lettore.
Il P. Ribadeneira dice. I Dottori non solamente riprendono gli Spettacoli, per essere stati anticamente instituiti da’ Gentilib. 1. cap. 11. della Tribol. in onore de’ loro falsi Dei; ma anche per la offesa, la quale per molti altri rispetti vien fatta a nostro Signore con essi e per la corruttela de’ costumi, che ne segue alla Repubblica.
Il P. Giulio Mazzarino scrive, che ciò si dice senza fondamentoRag. 109.. Leggansi i Dottori e si vedrà chiaro, che riprendono anche gli Spettacoli osceni, e burleschi.
Il P. Teofilo Rainaudo fa una lunga citazione di Padri, e di Dottori, e professa di citar solamente que’ luoghi, che condannanot. de Virtutibus l. 6. 5. 2. c. 11. l’uso de’ teatri in modo, che vengono anche a condannare l’uso del nostro tempo. « Ita adversus theatra urgent, ut aque possint urgere contra usum nunc plerumque vigentem.
»
D. Francesco Maria del Monaco nella sua dotta, e bellissima Parenesi apporta gran numero di Padri, e di Dottori, non solo {p. 204} di uno, di due secoli antichi ma quasi di tutti i tempi. E io questa obiezione che gli Spettacoli antichi erano più disonesti: e che i Padri scrissero contro di loro risponde cosi. « Respondetum, plane ex Spectacula inonestioria: At nostra hæc utinam non inonesta. Quid ais antiqua inonestiria, euque tantum horruisse Patres? At nos non unis vel altertus seculi Patres attulimus qui in huiusmodi Ludos inuveherentur sed multorum; sed omnium fermè temporum. Scripsere in Theatra, Tertullias, Lactantius, Ciprianus. At dedimus post hos Augustinum, Chrysostomum, Basilium, Nazianzenum, et Hieronymum, audis Bedam, et Bernardum. Floruit non nisi ducentis fermè ab hinc annis Sanctissimus Venetorum Patriarca Iustinianus. Nostri seculi bono natum, nulli Sanctorum Pontificum postponendum, Borromeum nos fermè audivimus. Qua itaque nunc horremus Theatra, nulla secula probavere. Addo hic. Licet quatuor Spectaculorum genera, ut Pamelius in Tertullianum advertit, a Patribus olim improbarentur: Ludi Circenses in Circo: Agones in stadio: in Amphitheatro gladatori Ludi, numera, venatones: Scenica Artes in Theatro. Nos ea tantum loca in hanc Paranesim excerpsimus easque sententias, qua nostrorum temporum Comedias reprehenderent: et in Ludos, quos Comedia in Scena factitant, convenirent.
» Notasi l’ultima parte di questa autorità, con la quale questo Teologo professa d’aver usata la diligenza, praticata parimente dal P. Teofilo, con fare scelta di que’ luoghi presi da’ Padri, e da’ Dottori amici che servono per una manifesta condannazione delle moderne Commedie mercenarie, e delle loro Teatrali oscenità.
Dunque il Comico Cecchino non ebbe ragion di scrivere. Le Commedie molti anni addietro ebbero Autori, e Professori di vita scandalosa, di opere oscene, e altri mancamenti così gravi, quanto abbiamo confessato di sopra; ma perche creder ora; anzi perché confermarlo con la dottrina di S. Giovanni Crisostomo pag. 8. de’ Discorsi., che sono ormai 1207. anni, che morì, che questi siano li medesimi con quelli, e chiamarli con li stessi nomi? Se le persone non sono le medesime di costumi, né l’opere loro della stessa natura? Ne cosa immaginabile v’è che imiti {p. 205} il dissoluto, non che dissoluta sia per se stessa?
Io rispondo, che S. Crisostomo, e molti altri antichi Dottori, presero i gravi mancamenti delle antiche Azioni, uno de’ quali era la oscenità mortale: e questo mancamento persevera tutt’ora nelle moderne Commedie; benché forse non vi si usi con tanta sfacciataggine, con quanta si usava anticamente. Dunque l’autorità degli antichi Dottori vale anche contro le oscene Commedie del nostro tempo. E però i Commedianti, e i loro Auditori fuggano con diligenza il pericolo di parlare, e di udire cose indecenti, e di cui scrive S. Nilo. « Aurium, ei Lingua magnum est periculum.
» In cap. Paran. N. 24. in To. 5. Bibl. Pat.
Punto secondo.
Se, come Navarro permette la Commedia Satirica, si possa permettere anche la Commedia Oscena.
La mordacità, praticata contro di noi, non ci condisce cibo saporito al nostro palato: e molto pochi sono quelli, che non restino trafitti, e sconsolati, quando sentono censurare pubblicamente i propri costumi: onde la Satirica non piace, mentre scarica sul nostro dosso i colpi suoi. Infino Beltrame non la vuol lodare, e dice.
Non intendo lodar la Commedia Satirica, la quale rappresenta casi di poco onore, nella Città seguiti, e persone viziose descritte in modo, che senza nominarle vengono conosciute: ancorche molti Autori, così sacri, come profani, approvino ciò per bene: e tra questi S. Ludovico Re di Francia, il quale voleva che la vergogna delle Anime cattive, in pubblico rappresentate, facesse arrossire gli scostumati; e che per ciò s’emendassero. E Socrate, trovandosi dell’istesso parere, disse. « Nam si quid protulerinto in nos, meritò reprehendendum, admoniti corrigemus; et profuerint: sin falsum convitium in nos iaculaverint, nihil ad nos.
» Con tutto ciò io non lodo il rappresentare cose scostumate senza la punizione: ne meno casi occorsi in disonor delle famiglie; atteso che più sono i viziosi, che i ben accostumati; e niun ha caro d’essere sotto qualsivoglia pretesto infamato,e tanto {p. 206} più in pubblico. Sin qui Beltrame. Il quale; ove ha fatto menzione di Socrate mi ha ridotto alla memoria ciò, che scrive Paolo Manuzio l. 3. Apophth. nu. 81. di quel gran Filosofo. « Quum in Aristophanis Comedia, cui titulus Nebula, multisi et acerbis convitis proscinderetur; et adstantium quidam diceret. Non hæc eniquo fors animo Socrates? Non per Iovem, inquit, agre fero si in Theatro, perinde ut in magno convivio salibus mordeor.
» Seguita poi a ragionare del nostro tempo questo Autore. « Mos his etiamnum durat apud quisdam Geromanos, ut in celebribus convitis adhibcatur dicax aliquis, qui in convivas faciat scomate, quibus commoveri vehementer incivile habetur.
» Ma tornando all’antichità l. 3. de civis. c. 8., aggiungo il detto di Vives sopra S. Agostino che nell’antico tempo la Commedia fu proibita per la maledicenza. E quel Satirico Censore di Alcibiade fu per comando di lui sommerso nel mare Nondimeno secondo quello, che brevemente
accenna il Navarro, il Principe talvolta può permettere la Commedia Satirica cons. 33. de’ Usuris l. 5. n. 2., purché abbia sufficiente ragione della permissione: le sue parole sono queste. « Reges possunt permittere in suis Regnis, et de facto permittunt ex aliquibus causis iustis exercitia nonnullorum peccatorum mortificorum, et notorirum.
» E lo esemplifica in alcune cose tra, le quali pone le Commedie Satiriche, dicendo chiaro. « Permittunt etiam Comedias, quibus pubblice tradunt insignia errata Virorum insignium; ut ali a sin ilibus abstineant: quod raro fit absque peccato mortifero.
» Nel qual caso può avvenire, che i Comici non pecchino recitando; come credo non peccando nel moderno Recitamento Satirico, che qui aggiungo.
Un famoso Comico se ne andò la sua Compagnia in un Regno principalissimo della Cristianità: ebbe qualche severa istruzione, con cenno dalla Regina; onde supplicò il Re di poter rappresentar qualche Azione alla di lui presenza: e ottenuto il placet, supplicò di nuovo, aggiungendo, che bramava poter parlare con libertà: di che constatatosi il Re, tosto si pose in ordine una Commedia Satirica, la sostanza della quale fu questa. S’introdusse nelle Scene una varietà di Personaggi tutti mal contenti del Re: al quale facevano molte, gagliarde istanze {p. 207} per avere i soliti stipendi, e il meritato danaro. E tutti dal Re con buone parole erano rimessi al Regio Tesoriere, per ricevere la dovuta soddisfazione: Ma che? Il Tesoriere si scusava dicendo, e ridicendo, a tutti con ogni serietà, che veramente non era danaro nel Tesoro. Noi credevano essi, ma pure udendo tante affermazioni e repliche, che non v’era danaro; si stringevano nelle spalle facendo della necessità pazienza, si fermavano in Scena, e si consolavano scambievolmente nella loro grave, e comune disgrazia. Quando ecco uscire, nella Scena un Venditore di certi pesci, che si chiamano nel linguaggio di quel Regno con un nome, che nell’Italia risponde, al nome di Ruffiano. Subito lo fermano; gli sono intorno, dicono di voler comprare que’ pesci Ruffiani; ma che non sono freschi. Risponde il Venditore: v’ingannate tutti al certo perché sono freschissimi; e se volete, ve ne farò veder qui adesso la prova, con aprirne alcuni. Sì vogliamo, replicano quelli ; e tu non più badare, fanne la prova. Si viene all’atto : aprono alcuni di que’ pesci; e subito compariscono le interiora d’oro; cadono nella Scena scudi, zecchini, doppie, doppioni, e altre monete con maraviglia, e con plauso di tutti gli Spettatori. Allora i Comici, che rappresentavano i mal contenti del Re, cominciarono a dire tra di loro, satireggiando contro il medesimo Re, troppo amico delle Donne. Ecco scoperto, dove vanno i danari del Regno: ecco dove si consumano; nel pagare i Ruffiani, e le Ruffiane. O miseri noi, che maraviglia, che non sia pecunia nel Tesoro. Ha ragione il Tesoriere di dire, che non ci può soddisfare: il Ruffianesimo ha levato il danaro.
A questi motti Satirici, e queste mordaci riflessioni il Re s’accorse, che erano dette contro di se per istruzione data dalla Regina sua Consorte, e gelosa alquanto della sua fedeltà, e però alzo la voce forte, e disse con riso, e con grazia. Basta, basta, o Galantuomini; la mia Consorte vi ha posta la mano. Volendo significare, che aveva loro ordinato, che domandassero licenza di far una Rappresentazione avanti il Re con; ogni libertà; e ottenutala, motteggiassero satiricamente contro {p. 208} di lui; acciocché si correggesse dalle molte spese, che faceva nel mantenimento di femmine, e di uomini, indegni Torcimani, e disonesti ParaninfiLXXV de’ suoi amori.
Io concedo, che altre cagioni buone possono avvenire, per le quali un Principe, o altro, Superiore dia lecitamente licenza, o permetta, che si reciti qualche Commedia satirica; e ho saputo da un Gentiluomo degno di fede, e pratico del Teatro, e Fiorentino, che gia in Fiorenza si recitavano Commedie satiriche in comune contro i Vizi della Città, senza pungere alcuno in particolare, e senza veruna oscenità; e riuscivano cibo molto gusto, e con grande utilità. Né io riprovo tali Commedie fatte per cagioni stimate buone da’ Superiori. Ma non posso già concedere, che sia per trovarsi qualche buona ragione,che giustifichi la licenza, o la permissione della Commedia oscena: perché, come dice Hurtado, una sola oscena è « ingentissimum malum
» De tribus Virt. Theol. Disp. 173. sect. 28. subsec. 11., un grandissimo male, il quale dal Superiore si deve impedire, e per carità per officio: « nec excusatur per opinionem probabilem, quia talis nulla est
» : né egli è scusa con l’allegazione di qualche probabile opinione; perché niuna di tal fatta corre tra’ Dotti, né si può allegare.
E vero, che Battista Fragoso De reg. Reip. Par. 1. l. 1. d. 2. §. 4. n. 189. dice. « Non peccat Princeps permittendo, et non impediendo, bono tamen fine. Nam quanda mala permittitur, nec ad alia deteriora, et graviora homines evolent: horum tameu malorum permissio, ac tolerantia sine supplicio, ac pena, non est sui natura malum: sed est quid indiferens, et consequenter non est peccatum permittere minus malum, ut deterius, et gravius evitetur.
». lo concedo ancora, che Azor par. 1. l. 8. c. 22. q. 13. scrive chiaramente. « Res publica permittit Spectacula et Ludos publicos, in quibus aliqua peccata e commitentur. Insuper impune in Republ. Comedia, et Tragedia permittuntur, in quibus etiam sape populus peccat.
». Ma la dottrina di questi Teologi, e d’altri, che potrei portare, intorno alla permissione di un mal minore, per evitarne un altro maggiore, intende, quando la permissione del minore è l’unico mezzo efficace ad evitar il maggiore; e quello insegna S. Tommaso,dicendo. L’umana Legge permette alcune cose, non perché le approvi {p. 209} per buone; ma perché non può indirizzarle al bene. « Lex humana aliqua permittere, non quasi ea approbans, sed quasi ea dirigere non potens.
»l. 2. q. 93. a. 3. ad. 3. De virt. Theol. D. 173. s. 28. subs. 11. E però Hurtado, scolasticamente disputando, conclude, che secondo S. Tommaso è illecita la permissione delle Commedie oscene : « quia ex Thoma malum publicum non potest permitti, nisi ut per illud vitetur aliud, quod sine illo vitari non potest
».
Aggiungo, che il male delle oscene Commedie non è mal minore, ma è maggiore, anzi si può dire grandissimo, e forte originario di moltissimi, e gravissimi altri mali: onde si potrebbe rigirare l’argomento, e dire. Si permette lecitamente il mal minore per schivare il maggiore: dunque si può permettere la mormorazione, l’usura, il gioco fraudolente, la conversazione con le Meretrici, e altri peccati ordinari, per schivare le Commedie disoneste; poiché queste contengono il mal maggiore, e sono l’altissimo precipizio tra i molti, e alti precipizi delle morali e cristiane Virtù, e massimamente della Castità; benché a molti paiano peccati piccoli per l’uso cattivo, e mala consuetudine. « Peccata quamuis magna, et horrenda, scrive S. Agostino, cum in consuetudinem venerint, aut parva esse, auto nulla creduntur.
»in Enchir. C. 82.
Aggiungo, che Azor non parla chiaro, e specificatamente delle Oscene Commedie: onde si può interpretar, o delle Commedie in genere, in quanto sono pubblici, leciti, e permissibili Spettacoli, benché alle volte alcuni, o molti del popolo, per la loro poca virtù, e abuso, vi commettano qualche peccato. Ovvero si può dire, che Azor, alludendo alla dottrina di Navarro, intenda delle Commedie in specie, non Oscene, ma Satiriche: le quali alle volte sono permissibili; benché avvenga di raro, che non vi si pecchi gravemente; delle quali Commedie Satiriche io ricordo ciò, che il Sig. Fabio Albergati scrive nella sua Repubblica, ove avvisa. Le Commedie, nelle quali gli Uominil. 7. c. 10. erano pubblicamente rappresentati, e notati sotto maschere, alle immagini loro simili, come calunniose,e contro al ben vivere, furono ragionevolmente vietate. E cosi Socrate essendo stato rappresentato, e imitato nella Scena, e posto in burla da Aristofane {p. 210}, fu agevolmente dopo accusato, e condotto a morte. E il medesimo Aristofane avendo alla presenza d’Ambasciatori forestieri biasimato in una sua Commedia i costumi della Città, con ragione dagli Ateniesi fu bandito.
E se in parte alcuna la Commedia vecchia, e la mordacità di Aristofane meritasse imitazione, per avventura contro que’ Soggetti converrebbe, che per pubblico giudizio fossero stati legittimamente giudicati infami, di miniera che in parte della pena loro cotali biasimi entrassero; e come le lodi degli Uomini valorosi pubblicamente sono cantate; così le Azioni de’ Malvagi fossero pubblicamente manifestate.
Dal detto di questo savio Scrittore si conferma il nostro pensiero, cioè, che qualche volta può essere permesso la Commedia Satirica; ma la Oscena non può già mai: quella è un Serpe, che alle volte può giovare; questi è un Basilisco, che sempre uccide: e però gli Attori di lei, e i Protettori piangano per tempo i molti, e gran peccati, che hanno commessi per sua cagione. « Quam magna deliquimus, avvisa S. Cipriano, iam granditer defleamus: alto vulneri diligens, et longa medicina non defit: penitentia crimine minor non sit.
»
Punto terzo.
Se molti seguendo, o parlando contro le moderne Commedie, s’ingannino; poiché non ne hanno piena cognizione.
Chi di un soggetto scrive pubblicamente, ovvero discorre, deve, per quanto può, ingegnarsi d’averne prima una perfettissima contezza: altrimenti porterà pericolo sentire per suo avviso quel motto vulgato, e antico, che il Cieco non giudica de’ colori: ovvero sarà paragonato a quel Cratone di Luciano, che essendo Filosofo, vituperava gli Spettacoli, senza esserne mai stato Spettatore nel Teatro. Il Comico Beltrame professore di modeste Commedie, nella Supplica sua al cap. 17. pone questo titolo.
Che tutti gli Autori, che hanno scritto contro le Commedie, non hanno hanno l’intera cognizione di quest’Arte. {p. 211} E se bene egli, troppo invero arditamente, semplifica questo ne’ Santi Dottori Tommaso, e Bonaventura; nondimeno credo che si possa esemplificare ancora in lui medesimo: imperoché Beltrame più luoghi scrive contro le Commedie oscene, e contro i disonesti Commedianti, e poi egli in pratica e in scrittura propone le sue Commedie, e i Comici suoi Compagni, tali che quelle sono oscene, e questi sono disonesti secondo la dottrina di tutti i Teologi, e di tutti i savi Scrittori, che da me fino al presente giorno sono stati letti; adunque Beltrame, per altro uomo di buona volontà, fu d’intelletto non arricchito con l’intera cognizione dell’Arte Comica: che è quello, con che egli condannando altri in quel Capitolo, condanna parimente se stesso, e non se crede. Ma veniamo alla difficoltà del nostro Dubbio. Dicono i Commedianti. Molti Teologi scrivono Libretti, e molti Predicatori fanno esagerazioni contro le nostre moderne Commedie; perché non ne hanno piena cognizione; e forse non vi sono mai stati: però se vedessero con che modestia noi recitiamo, muterebbero il concetto, e le parole intorno alle Commedie nostre,e a noi inoltrerebbero affezione. Così avvenne una volta in una Città principale della Marca d’Ancona ad un qualificato soggetto, il quale molto si riscaldava contro le Rappresentazioni di quel tempo; e poi si vide tutto mutato, quando si trovò ad una Commedia, recitata, con modo ridicoloso sì, ma modesto. E così è avvenuto ad altri altre volte. Dunque non si deve far molto conto de’ Libretti, o delle esagerate, che spesso si stampano, o si odono in molti luoghi contro le Commedie del nostro tempo.
Rispondo. La piena cognizione di una cosa non richiede per necessità la vista presenziale: si può avere in altre maniere: dunque non conclude l’argomento de’ Commedianti, a’ quali. dico, che i Teologi non scriverebbero; né i Predicatori ragionerebbero pubblicamente contro le Commedie, se pienamente non conoscessero la loro naturale qualità. Sanno molto bene, e molto meglio, che non sanno i Comici, quale sia l’Arte Teatrale; quale l’Azione lecita, e quale la illecita quale si possa, permettere e quale si debba vietare.. E se i Teologi, Predicatori {p. 212} ciò non fanno; da chi lo devono imparare? Da’ Commedianti? Non sono Maestri sufficienti. Ma dirà uno. I Comici possono dare informazione veridica, e sincerissima relazione: quali siano le loro moderne, e correnti Commedie; e quanto modestamente essi le rappresentino: il che non sanno i Teologi, né i Predicatori; perché non frequentano molto, né poco il Teatro.
Rispondo. I Teologi, e i Predicatori non si devono fidare per giuste ragioni delle informazioni, o relazioni de’ Comici: e non ne hanno bisogno; perché, quali siano le correnti mercenarie Commedie, lo possono sicuramente sapere, eziandio che non vi stiano mai presenti, o per la pubblica fama del popolo; o per la fedele relazione d’alcuni Spettatori savi giudiziosi, degni di fede, e mandati a posta al Teatro, per osservare segretamente, e minutamente ciò,che vi occorse contrario all’Onestà, e degno di riprensione.
E però l’istesso Comicocap. 6. Beltrame scrive; se fosse detto. Chi fa fede, che voi altri, cioè non facciate Commedie oscene? E risponde. Ne potranno far fede tutti coloro, che vedono molte delle nostre Commedie. E dice di più in persona di un Spettatore. Che occorrecap. 54., che della Commedia un Savio mi dica, che sia buona, o rea; s’io mi posso chiarir, quando voglio? Or dico io contro Beltrame, e suoi seguaci. Molti giudiziosi vanno alle Commedie mercenarie, e per ordinario le trovano ree; e lo riferiscono a’ Teologi, e Predicatori, che non vi vanno e questi ben informati dei vero, scrivono, e predicano contro tali Commedie: delle quali la pessima qualità essi possono anche sapere alle volte da qualche Comico, che sentendo rimorso di quella vita, dice candidamente in confidenza le molte bruttezze, che in pubblico, e in segreto passano tra le persone delle moderne Compagnie de’ Commedianti, mentre fanno le lto Azioni; o conversano insieme fuori del Teatro:e io per questo mezzo ho avuto cognizione di molte cose. E Hurtado scrive lo stesso di se medesime. Ma che occorre informazione, o relazione de’ Comici; o degli Spettatori, o d’altri? Che occorre la pubblica fama? Bastevoli sono, a convincere in questo punto {p. 213} i Commedianti, i Libri stampati da’ medesimi Commedianti intorno alle Commedie: lascio gli altri: solo ricordo i Discorsi del Cecchino, e la Supplica di Beltrame: ambedue professano di recitar Commedie modeste, e moderate bastevolmente: con tutto ciò le descrivono dotate di condizioni, e vi concedono tali materie, e trattati, che ogni buon Teologo è costretto a dire. Molte Commedie, fatte secondo le regole del Cecchino, e di Beltrame, sono oscene, scandalose, e illecite.
Io ben confesso che i moderni Comici possono far molte volte, se vogliono, Azioni, in tutto modeste: e alle volte le fanno, o per timore de Padroni, massimamente recitando in loro presenza; o per allettar Virtuosi o forse per interesse proprio, e quasi sforzati dalla necessità. Così avvenne l’anno 1655. in una Città principale del bel Regno di Sicilia; ove all’ora io dimorava. Vennero d’estate i Commedianti, cominciarono lo loro Commedie oscene con buon concorso, il quale vedendo essi mancare, perché certi Religiosi avevano pubblicamente ripreso le loro oscenità, mutarono gli argomenti, e gli proposero tutti spirituali; e di più fecero qualche Rappresentazione a Uso, cioè, senza che si pagasse all’ingresso. Ma poco durò quella, Moderazione:e aiutati da certi Protettori, poco timorati di Dio, tornarono a rivoltarsi nel lezzo Teatrale con danno delle anime, e con trionfo di Satanasso. Così dico per rispondere al caso addotto, e agli altri accennati. Alle volte i Mercenari, e moderni Commedianti si mostrano modesti, e regolati; ma per ordinario, e secondo il solito loro costume, sono osceni, e sregolati: e come che fanno comparire Donne ornate sommamente, e parlanti di materie amorose alla presenza di molti deboli di spirito, e conosciuti in particolare, fanno le Commedie oscene, e sono rei di mortale oscenità. E però si devono stimar assai, e i Libretti de’Teologi, e i Ragionamenti de’ Predicatori; mentre che trattano questa materia con la debita distinzione della Commedia modesta dalla oscena, e de Comici virtuosi, e onorati dalli disonorati, e viziosi. Né si deve dire assolutamente, che i Teologi, e i Predicatori non conoscono, o non vogliono conoscere la Commedia; perché si fa gran torto {p. 214} alla loro Sapienza, e alla loro bontà. Essi, benché non sappiano tutte le cose, né siano tenuti a saperle; sanno, quanto basta, la natura dell’Arte Comica, quando ne scrivono, e ne ragionano: e hanno, quella piena cognizione di tal’Arte, che si richiede a
far la loro dottrina degna di essere creduta, e praticata. Essi conoscono la Commedia, per un trattenimento lecito in quanto Commedia; e come tale non la riprovano: ma conoscono altresì nella Commedia le oscenità, che vi frappongono i Commedianti, facendola oscena; e come tale la condannano di peccato grave: e sebbene una tal Commedia leva qualche volta alcune persone da’ ridotti del gioco, o dal postribolo, o da altro luogo peccaminoso; non per questo deve essere libera dalla Censura de’ Teologi, e de’ Predicatori perché non leva da tutti i peccati ma opera, che si lasci un peccato, per farne un altro, e forse più grave, e forse accompagnato da moltitudine grande di altri peccati poiché sta presente ad una oscena Rappresentazione, si fa bersaglio, per essere colpito, e trapassato da mille strali ardenti, e infuocati nell’infernal fucina della diabolica disonestà. Deh dunque ogni Fedele si ritiri dall’impure Rappresentazioni, e pianga gli errori commessi per non se n’essere ritirato. « Plange hic modicum, dice S. Efrem Siro, ne ibi plangas in saecula saeculorum.
»
Punto quarto.
Se, perché molti senza osservare il loro fine hanno scritto, e parlato contro le Commedie Oscene, occorra più scriverne, o parlarne.
Giovevole ammaestramento riceve, chi considerando le altrui fatiche riuscite vane, si risolve di non vanamente faticare. Questo vogliono dire que’ Protettori degli Osceni Recitamenti, quando discorrono con questa forma. Molti, senza conseguire il fine, e frutto preteso, hanno faticato molto e scrivendo, e parlando, contro le Commedie oscene; e hanno veduto sempre le loro fatiche vane, e infruttuose: perché si proposero per fine, e faticarono, o per muovere i Superiori alla {p. 215} proibizione, o per ritirare i Comici dall’Arte o per spaventare i Popoli dall’udire le mercenarie Commedie del nostro tempo. E pure han seminato senza raccorre la messe: e pure seguitano le Commedie al modo solito e pure le Compagnie de’ mercenari Commedianti sono chiamate e vanno per le Città d’Italia e dell’Europa; e vi sono ben vedute, accarezzate, e sostentate largamente. A che proposito dunque più faticare scaldando, e battendo il ferro, che non si torce? A che fine prender fatiche nuove, e vane, senza conseguire il preteso fine? Questa è prudenza? Ovvero ostinazione?
Rispondo. Questo punto fere stupire il Comico Beltramecap. 19. ; che però scrisse nella Supplica sua. Stupisco, come vi siano ancor persone, che pretendono far una maggior torre di quella di Babele; o che stimano di poter salire ove i Giganti di Flegra non poterono arrivare; travagliarsi loro, per travagliar gli altri: voler innestare frutti, ove non si fa frutto.
Ma io non stupisco: e dico, che, quando, chi scrive, o parla, usa il debito rispetto, e distingue l’Arte dalla Buffoneria, la Modestia dalla oscenità, e il Comico virtuoso dal vizioso; non fatica in vano, e ottiene per ordinario il preteso fine, e il desiderato frutto; cioè, o che l’Azioni si levino, o che si facciano con la necessaria Moderazione. Molto di rado, e quasi mai occorre, che un savio Superiore non voglia sentire quegli Uomini dotti, che professano mostrare, e distinguere nettamente il lecito dall’illecito in questa materia; e che usano il modo rigoroso, e scolastico, fondato nella necessità; e non solo il modo predicatorio, appoggiato per lo più alla convenienza. Io in molte Città, procedendo con i Superiori Ecclesiastici, e Secolari con il modo scolastico, ho per divina bontà conseguito il mio fine; e ho vedute le fatiche mie, non vane, ma fruttuose con evidente utilità delle anime, e con grandissima consolazione de’ zelanti, e virtuosi.
Aggiungo. È cosa chiara, e è degna di pianto. Molti hanno scritto, e parlato contro le fornicazioni, contro le usure, contro le mormorazioni, e senza frutto; poiché tali peccati non cessano nel Mondo. Dunque noi dobbiamo tacere? Non dobbiamo scrivere {p. 216} ? Oh questo no; anzi possiamo, e dobbiamo, almeno per carità, e scrivere, e parlare; perché ove arde l’incendio li correr si deve ad estinguere; e ove sorge l’Idra del Vizio, ivi bisogna usar il fuoco, e’l ferro, per darle morte. Insomma «ubi peccatum, ibi remedium», supplicando poi Iddio, che con la sua grazia concorra efficacemente a cagionar il frutto: perché vera si è la sentenza del gran Papa Gregorio. « Frustra laborat foris lingua predicatis nisi intus operetur gratia Salvatoris.
»lib. 1. ad Simpliciam. Quest. 2. E quella del gran Dottore Agostino. « Predicam Evangelum, quidam credunt, quidam non credunt. Qui credunt Predicatori forinsecus sonanti, intus a Patre audiunt et discunt.
»Hom. 2. de Davis et Saul. E è vero l’avviso del gran Boccadoro, che Dio da la grazia del persuadere; come dava a quel Profeta, di cui egli dice « Des gratia in Propheta labis residens, veluti suadelam quandam addebat illius verbis.
» E è bella la similitudine usata dal medesimo. « Da mihi nanim vacuam, gubernatorem, nautas, funes, anchoras, omnia disposita, et nusquam esse spiritum venti; nonne cessat omnis apparatus, si defit operatio spiritus? ita, licet sit ampla sermonis supelex, mens profunda, et eloquientia, et intelligentia, si non adsit Spiritus Sanctus, qui vim suppedit, ottosa, sunt omnia.
»Ho. 34. in epist. ad Meb. E S. TommasoEphes. 4. proponendo quel luogo di S. Paolo, ove esorta, che si usi il parlare ad edificazione, « ut det gratiam audientibus
»,
inferisce prima. Dunque il Predicatore3. p. q. 8. a. 6. ad 2. converte; perché da la grazia; ma poi risponde. « Homo non dat gratiam interius influendo, sed exterius persuadendo ad ea qua sunt gratia.
» Io dirò con S. Agostino. Dio è il Seminatore celeste della divina grazia per far frutto nelle anime l’uomo, o che scriva, o che parli, non è altro, che un cestello, o cosino di tal Seminatore. « Ego quid sum
», dice Agostino, « nisi cophinus Seminatoris? ille in me ponere dignatus est, qua vobis spargo: nolite attendere ad vilitatem cophini, sed adclaritem seminis, et potestatem Seminatoris.
» E il medesimo Agostino Ser. 4. de verb. Apostol. dice altrove più breve, e meglio per acconcio nostro dicendo. « Nos loquimur; sed Deus erudit.
»
Non devo poi tacere, che per le scritture, e per le parole di molti, molto si è riformata la Scena, e il Teatro, non solo in quanto {p. 217} alla materia della superstizione, e della Satirica; ma anche in quanto all’oscenità antiche onde se ora si levasse la comparsa delle Comiche, non dico delle modeste, e virtuose, ma delle viziose, lascive, e parlanti d’Amore, forse poco altro vi rimarrebbe, che non si potesse facilmente riformare. E a, questo fine mirano le fatiche di molti moderni, i quali concedono l’Arte Comica, approvano le modeste Commedie, lodano i virtuosi Commedianti; ma condannano a tutto spirito, e meritatamente le oscenità: una delle quali si è la detta comparsa delle Donne impudiche, benché si dicano mogli de’ Commedianti, o siano in verità. Piaccia al Sig. Iddio inspirare i Superiori a levarla quanto prima, come sono obbligati; che così le fatiche de’ Dotti, e Scrittori, e Predicatori, oltre al premio che riceveranno in Cielo, lo riceveranno anche in terra, e conseguendo il preteso fine, non saranno vane. E all’ora i modesti, e valenti Comici s’ingegneranno d’allettar i Popoli, e ricrearli con trattenimenti affatto lontani dalle femminili parolette, dalle fallaci lusinghe, da’ lascivi vezzi, e dall’altre solite dimostranze d’impurità. Una volta mi dissero due Comici Capi di due Compagnie unite insieme. Se si facesse la proibizione, che niuno introducesse Donne nel Teatro, ci sarebbe grato: e si troverebbero altri modi per allettare.
Finisco ricordando, che chi scrive, o parla, non pretende annullar le Commedie; perché il Mondo vuole qualche ricreazione; e quella del Teatro è lecita ne’ prescritti termini di modestia, e senza oscenità. Ma il buon zelo d’ogni cristiano Scrittore, e Dicitore, pretende, o deve pretendere, che gl’Istrioni moderni, come dice S. Tommaso, si servano con la. debita moderazione Teatrale de’ giochi; e trattenimenti del Teatro. E se questo fine non sortisce, sortirà forse quell’altro, con che molti, o almeno alcuni si ritireranno dal frequentare, e udire le Commedie oscene. Ecco un caso assai moderno alla prova. Io stampai il Libro Terzo della Cristiana Moderazione del Teatro intorno a gli Spettatori delle Commedie poco modeste: ne capitò una copia alle mani di un Illustri. Sig. e è uomo di gran giudizio, Dottor di legge e amico {p. 218} di, una bella, e politica erudizione, e si compiacque di scrivermi una lunga lettera, di cui una parte è questa. Ho letto il Libro, parto del suo ingegno, e effetto del suo zelo verso le anime de’ curiosi Spettatori delle Sceniche Rappresentazioni: ho ammirato la sodezza delle ragioni, e la forza degli argomenti in esso contenuti, e co’ quali ella prova il pericolo, che corrono quelli, che si fanno Spettatori delle Teatrali oscenità: e se le ho da confessare il vero, mi hanno le sue efficacissime ragioni reso di modo abominevoli le Commedie, che difficilmente m’indurrei a capitare, ove si recitano. L’opera da lei composta è per mio credere santissima, e è più che necessarissima nel Cristianesimo, ove la licenza degli Istrioni è giunta a segno, che non più, per allettare gli Auditori, studiano in trovare soggetti curiosi, e catastrofi bizzarre di Commedie, ma equivochi di disonesta interpretazione, e gesti da commuovere a laidi pensieri. Io lascio il resto, che aggiunge quel Signore, concludo dicendo. « Qui suscepti laboris fructus erit multò maximus
», scrive il P. Giovanni Mariana, e dà la ragione aggiungendo; « Eruntcap. 6. enim, qui gravitate cognita desinant peccare; salutem: suam turpi voluptate pozione habeant, ne prudentes, et scientes in mortem ferantur, furente, rapidi, et miserabiles.
». E se altro non ne seguisse, che impedire in molti peccati veniali, che si commettono nel godere il vanissimo passatempo delle Commedie poco modeste, sarebbe non piccolo frutto, né di piccolo giovamento all’Anime, per salvarle dalle gravissime pene del Purgatorio. Ponderi il Lettore il seguente caso.
Punto quinto.
Si narra un successo di molto spavento.
S. Agostino predicando avvisò già i suoi Auditori, che « non solum exemplis, sed etiam verbis alios ad omne opus bonum admonereSer. 116. de Temp. debetis.
» E io ora avviso, anzi prego i Lettori di questa mia Operetta a volere, secondo l’obbligo di santa carità, ammonire con parole, e con esempi i troppo affezionati Spettatori del Comico passatempo teatrale, e osceno; acciocché {p. 219} non vi consumino con peccati, eziandio leggeri, il tempo commesso loro per operare il bene. E per tal fine ricordo, che Zaccaria Bonerio ha ponderato, che una volta il Sommo Iddio, giustissimo vendicatore del male, si compiacque di palesarci il servissimo giudizio, che nell’altra vita si esercita contro quelli, che « temporis jacturam parvi pendentes
»Ann. Capuc. T. 1. an. 1564. n. 19. pag. 616., poco stimando la perdita del tempo, lo consumano spesso in peccati leggeri. Occorse nel Convento Romano de’ Padri Cappuccini, che un celebre Predicatore, non potendo una notte conciliarsi il sonno, si alzò di letto, e, per andar a prender lume in cucina, cominciò a scender per una scala a chiocciola; giunto alla metà, d’onde si poteva mirare la porta, s’accorge che dentro vi è un gran fuoco acceso; e che n’esala un vapore molto caldo: meravigliato discorro tra sé, e dice. Che veggo? ora è notte: tutti stanno riposando: non è tempo quello di cuocere le vivande: e perché si vede acceso un fuoco tale e così grande? Mentre così divisa nel suo pensiero; ecco gli comparisce un orrido Moro, che vedendolo subito atterrito, lo incoraggia, dicendo. Non temere. E presolo per la mano, lo conduce verso la cucina ; ove apertasi la porta, e egli entrato vede un gran fuoco acceso, gran moltitudine di carboni, e tizzoni ardenti, e sparsi; e due Frati, poco prima defunti in quel Convento, infilzati in un gran spiedo, essere miseramente arrostiti da un Cuoco infernale, che in forma
di Moro, più spaventoso di quell’altro prima veduto, attendeva a quel crudo, e spaventoso ministerio voltando, e rivoltando sopra le fiamme, e arrostendo per ogni parte que’due miseri tormentati.
Attonito rimase a cotal vista il Predicatore; e chiamando con i propri nomi que’ due Frati, disse loro. Ohimè Fratelli, che cosa veggo? Che spettacolo considero? Mi si rappresenta oggetto fantastico, o vero? Ohimè, che sorte misera vi ha condotto alla tolleranza di così crudeli supplica? Ma ditemi; siete voi condannati per sempre alle pene Infernali, o pure la Misericordia divina vi libererà da tali tormenti, e v’alzerà al Cielo? Risposero quelli con dolorose parole. Salvi noi siamo dall’Inferno per gran misericordia del Sommo Iddio e ma ci ha confinato {p. 220} a patir lungo tempo queste pene in questo luogo, perché facendo noi pochissima stima della perdita del tempo abbiamo consumato qui, non scaldandoci secondo il bisogno, ma cicalando, mormorando, e scandalizzando gli altri che ci miravano, E quando eravamo con amore corretti da’ zelanti Padri vecchi, noi sprezzavamo le ammonizioni, quasi « aniles fabulas
», come se fossero state favole di Vecchierelle. Ora giustamente patiamo questo penoso, e fiero Purgatorio.
E qui finendo di parlare, finirono di comparire. « Horidum spectaculum evanuit
», conclude l’Istorico. E io considero; se queste pene si tollerano nell’altro Mondo da chi non stima la perdita del tempo nella santa Religione, e lo consuma in vani passatempi, quanto maggiori saranno le pene,che si tollereranno per li peccati, eziandio veniali commessi nel Teatro osceno col vanissimo passatempo delle oscene Commedie?
Deh servano le pene altrui per liberar noi dalle future pene. « Vitemus, concludo con S. Agostino, obscena inimica voluptatis incendia.
»Ser. 120. de Temp..
Punto sesto.
Se sia zelo indiscreto il riprendere tanto acremente i Commedianti osceni.
Crisostomoapud Cor. In Luc. c. 15. con la sua penna tinta in oro scrisse. « Character in vita Apostolica est sitire salutem animarum.
» Il carattere della vita Apostolica è l’aver sete della salute delle anime. E tal sete si può anche nomare nobilissimo fregio, e pregiatissima condizione dell’uomo zelante, ma con zelo ben regolato, prudente, e discreto: perché l’indiscreto da nel troppo e dove basta pungere con l’ago, ferisce con lo stocco, e trapassa con la lancia. E a questa indiscretezza volge il pensiero, e la favella, chiunque per difesa de’Commedianti osceni così discorre.
Certo, che pare un zelo indiscreto riprendere tanto acremente i Commedianti; e poi tacere, o passar con molta sobrietà tanti peccati di maggior gravezza; quali sono quelli degli Usurari {p. 221}, de’Mormoratori, degl’Insolenti nelle Chiese, e di altre persone scandalose nella Cristianità: quasi che i poveri Comici siano la feccia de’ peccatori, e la peste del Mondo, e anche peggiori degli Scismatici, e degli Eretici. Se tal zelo non è indiscreto, e quale sarà fornito d’indiscretezza?
Rispondo. Il zelo vero, buono, santo, e discreto, come Maestro eccellente, e addottrinato in Paradiso, insegna a Virtuosi il riprendere ciascun peccato nel tempo, nel luogo, e nell’altre debite circostanze: e mostra, che mostrar si deve la gravezza del medesimo peccato. E questo fanno, e devono fare i zelanti, e discreti Predicatori, e Dottori a fine,che ne segua la correzione ne’ miseri Peccatori.
A questo fine sono stati composti tanti Libri e fatte tante prediche, contro gli Usurari, contro i Mormoratori, e contro ogni altra sorte di Peccatori. E si fa questo tutto giorno bisognando: e li fa non alla Laconica, ma all’Asiatica, scrivendo, e predicando diffusamente contro tutti i Vizi; in universale, e contro ciascun in particolare. Onde è vana, e falsa la querela, che Beltrame spiega n 1 cap. 19. Ma per rispondere al punto de’ Commedianti ripresi, dico, che è necessaria diligenza grande contro i loro peccati: non per atterrare il guadagno de’ modesti; né per sotterrare il loro onore; né per levarli il pane dalle fauci, né per soddisfare a certe devote Femminucce; né per aggredire alle Mogli gelose de’Mariti: perché queste sarebbero ragioni di poca sodezza, e le porta Beltrame: ma è necessaria la diligenza per molte altre, e molto buone ragioni; alcune delle quali accenno in breve.
Prima, perché non mancano molti, che imbracciano lo scudo, e impugnano lo stocco a favore de’ Commedianti osceni, e delle loro Commedie: gli altri vizi, e le persone viziose d’altra fatta, non hanno trovato difensori, se non gentili, ovvero eretici, o pur cattolici infami, o gli stessi Diavoli: ma le oscenità Teatrali, e gli Attori osceni sono protetti da’ difensori di qualche credito, e stima: e però è necessario un’acre, e ardente zelo riprensivo.
Seconda, perché questo peccato de’ Comici, e delle Commedie {p. 222}, fatto con oscenità, è pubblico, è troppo ardito;è sfacciato, e a guisa di temerario Guerriere si fa vedere con la visiera alta, e arresta la lancia della sfacciataggine contro la Virtù.
Terza, perché è peccato scandaloso grandemente, e rovino a gran numero di uomini, e di donne; e più vanamente danneggia la gioventù, facendo, che nel Teatro, come in pubblica, Scuola impari le disonestà.
Quarta, perché sotto coperta di onesta ricreazione, o sotto colore di qualche immaginato bene, fa sotterrare i suoi Vizi, per mezzo del piacere, secondo quel detto di Seneca. « Per voluptatem facilius, ac proclinius Vitia obrepunt.
»
Quinta, perché moltissimi vi vanno a folta, e gran schiera, animandosi l’un l’altro molto allegramente.
Sesta, perché questo difetto pare meno scusabile, che non sono gli altri: poiché si commette più tosto per elezione, che per essere assaltato da tentazione.
Settima, perché la gente bassa, e popolare comunemente stima, che sia lecito il frequentare il Teatro de’ Comici osceni; perché i Superiori fanno ciò, che vi si tratta, e concedono la licenza, o almeno praticano la permissione.
Ottava, perché ciascun fa del Dottore in questa materia; e se bene sente a contraddire, nondimeno resta nell’opinione sua capricciosa e erronea; o pure cerca di trovare qualche Consigliere, che gli favelli a gusto. « Peccator vitabit correptione et secundum voluntatem suam inveniet
»v. 32. 21., dice l’Ecclesiastico. E la ragione di tutto questo male si è; perché la malvagità del peccato si trova in molti, e gli rende cièchi alla Virtù, secondo quell’assioma di Platonelib. 3. de Rep. Rag. 109. V.. « Pravitas neque Virtutem cognoscet unquam.
» Queste ragioni spiega il Mazarino, per le quali io dico che non è zelo indiscreto il riprendere acremente i Commedianti osceni, e le Commedie loro disoneste.
Ho detto, Commedianti osceni; perché, come io non approvo le parole, né le scritture, né i Libri di chi tratta indistintamente contro i Commedianti, e contro le Commedie; e chiama la tromba, che invita ad una Commedia, tromba, che invita all’Inferno ovvero nomina il Cartello che si espone, Cartello del peccato,che avvisa {p. 223} l’ora della dannazione; ovvero usa altri simili detti mordaci e indiscreti; così io devo approvare tutte le fatiche di coloro, che, o parlando, o seguendo, o stampando, travagliano cristianamente a fine, che il cristiano Teatro resti purgato da tutte le oscenità mortali e sia godibile senza offesa di Dio, e senza rovina degli Spettatori. E chi fatica per un fine tanto giusto, onesto., prudente, e buono; certo che nel riprendere gli osceni Commedianti, non mostra zelo indiscreto; e se punge tal volta acremente; o se ferisce; le punture, e le ferite sono ad sanitatem », per apportate la sanità. Non è Medico discreto, e buono; chi per soverchia piacevolezza lascia languire, e morire l’infermo miseramente.
Ricordo per ultimo, che alle volte avviene, che non solo da’ Mercenari Comici, ma anche da certi indiscreti Cittadini, e Giovani licenziosi sono biasimati, e disprezzati i Predicatori, quando sentono essere da quelli riprese le loro immodeste Rappresentazioni.
Non sono molti anni, che in una Città d’Italia, in tempo di Quaresima alcuni Cittadini s’accordarono di porre in ordine il celebre Recitamento del Pastor fiido, per rappresentarlo dopo la Solennità delle feste Pasquali. Predicava nel Duomo un zelante, e dotto Religioso; che, avvisato di quell’indecente, e scandaloso disegno, ne fece pubblicamente qualche necessario, e efficace avviso, desiderando, e sperando, che fosse per essere un opportuno preservativo contro la malignità di quella futura peste: ma egli rimase ingannato nel suo buon pensiero: perché quelli, al bisogno de’ quali s’apparteneva l’ammonizione del Servo di Dio poco se n’approfittarono; anzi, per segno di burlarsene, cominciarono leggere pubblicamente in piazza il Pastor fido: di che certificato il buon Predicatore, e non disperando la cura di quella spirituale infermità, aggiunse al passato avviso più gagliarde maniere di avvisare; ma senza vederne sortire il desiderato miglioramento; poiché quegli infelici con ostinata, e diabolica persuasiva continuarono il tenore del male, e fecero peggio, La onde quel sacro Ammonitore ebbe, occasione di piangere con lacrime di compassione la misera cecità {p. 224} di que’ Cittadini troppo dissoluti; e di raccomandare con caldezza di affetto alla Maestà del misericordioso Iddio la loro conversione; e per occasione de’ quali io ricordo a somiglianti persone troppo ardite, e sfacciate la grave, e spaventosa sentenza di S. BernardoSer. 32. in Cant.. « An non ex hæc odiosa impudentia pullulabit mox impenitentia Mater desperationis?
» La sfacciataggine del Peccatore gli genera nel cuore tale impenitenza, che lo fa morire disperato.
Punto settimo.
Di quello, che si può rispondere a chi dice. Alcuni per Interesse parlano contro i Comici osceni.
Guardati da chi parla per Interesse mascherato di zelo, perché tira colpi da Gigante; e dove giunge, fa larga piaga, e fracassa le ossa: e chi ne pare, suo danno. Non mancano e Comici, e Fautori de’ Comici osceni, i quali dicono.
Un certo Interesse, mascherato di zelo, fa parlare molti Oratori Cristiani contro i Commedianti; perché maggior è il concorso al Teatro, che alla Chiesa; e ha più plauso la Commedia, che la Predica, o la Lezione, ovvero il Sermone; onde si scema la fama, e il credito di molti Dicitori, per altro valenti e famosi.
Beltramecap. 36. si fa sentire accordato al suono di questo tasto, e dice. Alcuni, ammaestrati dalla Carità, favellano con voci di Paradiso; ma se vengono ne’ loro gusti toccati, la naturale passione fa scorrevoli de’ faggi documenti e con indisciplinate strida fanno allentar la credenza della loro saviezza sino a propri amici. Se nell’ora della Commedia un Oratore vuol far qualche buon discorso, o qualche a lui imposto ragionamento che l’audienza non corrisponda all’onorevolezza pretesa del merito; non s’appaga col sapere, che tali discorsi s’odano da tanti, e tante volte, che fan rallentare la curiosità alle persone; ma sdegnato fa apparire folgori di riprensione, tuoni di lamenti, e piogge di minacce d’Inferno, a chi ascolta le Commedie: e molte volte vi si aggiunge .una tempesta di parole {p. 225} non troppo agiate alla condizione de’ Recitanti Galantuomini: poiché i virtuosi sono quelli, che tirano l’audienza; quasi che per far piacere a loro, gli altri s’abbiano a morir di fame. Ma non avendo questi tali altro riguardo, che alla loro soddisfazione, maltrattano con parole i poveri Comici.
Lasci il resto, che questo moderno Commediante aggiunge continuando la sua lunga querela contro un Oratore cristiano, e con la quale mostra, che l’interesse d’avere numeroso Auditorio fa parlar alcuni Predicatori contro i Commedianti.
Come anche alcuni Signori Medici troppo interessati nel guadagno, si mostrano alle volte molto ardenti nel biasimare, e condannare que’ poveri Ciarlatani, che salendo in banco, vendono a poco prezzo i loro segreti, coi quali molti mal’affetti restano liberati da lunghe infermità, per cagione delle quali seguiterebbero a spendere largamente, pagando le visite fatte, e le medicine ordinate, secondo i Canoni medicinali, da’ Sig. Medici.
Rispondo. Potrei spedirmi brevemente, e dire a Beltrame, e a suoi Amici, alludendo ad un detto di quel Comico. Questa Ragione d’Interesse è Ragione immaginata, non Vera, e reale: né mai Crisostomo, né Agostino, né altro Predicatore antico, e Santo, né meno alcun moderno, e virtuoso Predicatore sarà stato mosso per Interesse d’Audienza a proclamare contro i Comici osceni, e contro le Commedie disoneste. Ma voglio rispondere con altra più fondata maniera e pure brevemente, dicendo. L’obbligo dell’ufficio predicatorio stringe l’Oratore Cristiano all’osservanza di quella Regola prescritta da S. Paolo. « Argue, obscera, increpa
», convinci, prega, riprendi i Peccatori, secondo richiede la certezza de peccati:e perché certissimo si è, che nelle Commedie oscene gli osceni Comici commettono, e fanno commettere molti peccati; però con santo zelo, e non per Interesse di riputazione, ogni buono, e virtuoso Oratore di Cristo fulmina, tuona, e tempesta giustamente contro le teatrali oscenità de’ moderni, mercenari;e disonesti Commedianti. Nel caso poi de’ Sig. Medici credo poter rispondere, che essi hanno fatto più volte esperienza delle {p. 226} inutili misture, che in vece di medicamenti ottimi sono vendute da alcuni tristi Ciarlatani, e però si mostrano alieni da simili persone, non per interesse di perdere qualche guadagno, ma per non favorire, chi non è meritevole di favore. Io con tutto ciò dico e ridico, che chi è veramente virtuoso Ciarlatano, merita d’essere favorito, onorato, e da’ Sig. Medici, e da ogni altro giudizioso Personaggio. È vero, che, come nelle altre professioni non tutti i professori sono virtuosi, così in, quella de’ Ciarlatani non mancano degli indegni, bugiardi, e viziosi, a ciascun de’ quali, mentre parla della Virtù in banco, si può dire con S. Nilo Abate. « Verbo Virtutem doceto, opere declara.
»in cap. Paran. n. 11.
Punto ottavo.
Se hanno ragione i Comici di stupirsi, perché molti Scrittori lasciano altre materie più utili, per trattare contro di loro.
Alcuni Amici de’ moderni, e mercenari Commedianti, vestiti di apparente zelo, si mostrano zelanti contro i sacri Teologi, e altri Cristiani Scrittori; e dicono di aver fondata ragione di stupirsi grandemente, vedendo, che molti Teologi, e molti Scrittori, i quali professano di essere tutti ardenti con la celeste fiamma del santo zelo delle anime, e poi s’impiegano con molta fatica in comporre Libretti, e scritture contro i Commedianti, e lasciano tante altre materie più gravi più difficili, e più giovevoli alla Cristianità. Questo si è volere medicare con accuratezza il piede, o la mano di un languido infermo, e poi trascurare il medicamento del capo, del cuore o di altra parte nobile, e principale malamente infetta.
Rispondo. Cessi lo stupore: perché non v’è ragion alcuna fondata di stupirsi; anzi stupore farebbe, che ove regna la peste, i medici non curassero di medicare, per attendere ad altro. Peste delle anime sono le Commedie oscene: e però con ragione, e meritamente i Teologi, e altri Scrittori trattano, non contro le Commedie, ma contro le oscenità delle Commedie; perchè {p. 227} queste sono fonti originari d’’innumerabili peccati; e spirano, che coni loro Trattati recheranno grandissima utilità a tutti i Fedeli; rendendoli accorti per fuggire i pericoli di perdere l’eterna consolazione del Paradiso, per cagione dell’illecito, e vanissimo gusto, che si riceve nell’osceno Teatro. Trattarono già questa materia gli antichi Santi Padri, i Sacri Teologi,e altri Scrittori secondo la necessità de’ tempi andati, e però non è meraviglia, che si tratti da’ Dottori anche a nostro tempo: perché mentre persevera il morbo, deve perseverare l’applicazione de’ medicamenti. Ma non per questo la Cristianità rimane priva del godimento di altre materie belle, gravi, importanti, difficili, e utili; imperoché abbondano grandemente, egli Scrittori, e le scritture, e i Libri composti, e pubblicati in tutte le materie necessarie, o giovevoli alle anime de’ Fedeli. Così piaccia alla Divina Maestà concedere lume chiaro; e grazia efficacia a ciascuno, che li legga, come gli bisogna e per conoscere, e per conseguire il fine, per cui ha ricevuto l’essere dal Creatore; e questo conseguirà, fuggendo il peccato cagione preparativa dell’eterna rovina. « Fugiatur, concludo con S. Fulgenzio, peccatum, quti Hominibus semper paravit interitum
»Ser. 76..
Punto nono.
Se sia ingiustizia lo scrivere, o il parlare contro i moderni Commedianti.
Alle volte l’affetto fa prigione il giudizio; e lo stringe dar sentenza secondo l’inclinazione del medesimo affetto. I Commedianti moderni hanno molti affezionati, i quali compatiscono loro grandemente, quando sentono persone gravi, che li condannano, ovvero leggono Libretti scritti contro di loro. E tal uno ancora non si ritiene dal formare simile discorso. Non è grande ingiustizia, che persone, le quali godono la sicurtà del vitto, e del vestito; e vivono con molta riputazione e credito appresso i popoli: molte volle ragionino, e forse all’impensata: ovvero servano con diligenza, e ardore in modo, che {p. 228} una povera Compagnia di Galantuomini, o Commedianti, o Ciarlatani, resti gravemente affrontata con perdita d’onore; e di credito; e tanto dannificata nel guadagno, che sia, costretta di lasciar all’osteria pegni non pochi per riceverne il necessario sostentamento? Non è ingiustizia trattar una tal Compagnia di maniera, che sia la misera miseramente necessitata di partirsi quanto prima da una Città, nella quale altre volte per le sue Virtù era stata, o chiamata, o volentieri accolta e accarezzata?
Rispondo. Non è grande, né piccola ingiustizia; anzi è opera di molto, e gran merito, ragionare, e scrivere, quando bisogna, e come bisogna, contro le oscenità, e contro i peccati, che sono cagionati da’ Comici, e da Ciarlatani disonesti i quali devono lamentarsi di se stessi, e emendarsi dalle oscenità; e non possono stimare ingiustizia il Cristiano, e Santo Zelo, con che i Virtuosi propongono rimedi contro il pestilente morbo portato dalle loro disoneste Rappresentazioni. Anche le Meretrici, gli Usurari, i Mormoratori, e gli altri pubblici Peccatori sono ripresi, e screditati a più potere, da chi ha punto di vero Zelo dell’onor di Dio, e del bene spirituale delle anime, né ciò si giudica da veruno per opera ingiusta, ma grandemente giusta, e meritoria. Santa Chiesa priva della Comunione i disonesti Commedianti, e Ciarlatani. I Canoni li condannano. I Santi Padri li detestano. I Sacri Teologi li convincono. I Dottori li confondono, I Legislatori li pubblicano per infami. Tutti i Savi si mostrano apertamente loro contrari e li vituperano. E questi ciò facendo, commettono ingiusto? No per verità. Dunque né men si possono incolpar d’ingiustizia quelli, che, scrivendo, o parlando contro gli osceni Comici, e Ciarlatani, sono imitatori di giustissimi Personaggi. Que’ miseri, e infelici sono molto ciechi per vedere la bellezza dell’Onestà; e sono molto occhiuti per mirare l’interesse del guadagno; e pare loro, che l’impedirlo sia materia di giusto, e grave rimorso a chi li riprende; perché essi con tal guadagno vivono; e per conseguirlo travagliano molto, non solo nel Teatro recitando ma anche fuori preparando i Recitamenti. Con tutto {p. 229} ciò si ricordino, che il loro guadagno, per essere ritratto da Azioni oscene, è illecito, e vituperoso; e si riprende, non come guadagno, ma come osceno, e come causato da opera cattiva, e peccaminosa. Adunque essi lascino le oscenità; fatichino virtuosamente; che riceveranno il premio delle virtuose fatiche senza
veruna riprensione, anzi con molta lode di tutti, come lo ricevono i modesti Comici, e i Ciarlatani Virtuosi, ciascuno de’ quali applica per sé, e pratica l’avviso di quel SantoNilus in cap. Paren. n. 4.. « Justitiam magis opere, quam verbo exerce.
»
Punto decimo.
Segue l’Autore raccontando caso del nostro tempo.
S. Agostino scrive, « Hypocrita greco sermone simulator interpretatur
»Ser. 59. de Temp., secondo il nome d’Hipocrita secondo la favella greca, significa simulatore; perché essendo cattivo nell’interno, si mostra buono nell’esterno, « quidum intus malus sit, dice il Santo, bonum se palam ostendit
» : e aggiunge, che tal nome è preso da’ Commedianti, « nomen autem Hypocrita traslatum est a specie eorum, qui in Spectaculis tecta facie incedunt.
» Quindi meritano i Comici viziosi e osceni, che siano ripresi da’ zelanti servi di Dio, come corruttori de’ buoni costumi, e come Attori di Rappresentazioni molto perniciose a’ Fedeli, e massimamente al candore della Gioventù. Per acconcio di questo ricordo il seguente caso occorso nella Serenissima Città di Fiorenza l’anno 1595. e si narra stampato nelle Lettere Annue della Compagnia di Gesù, con questo tenor LatinoColleg. Flor. Provin. Romana anno 1594. et 1595. pa. 31..
« Illud fuit ad Divinum onorem, et hominum sermonem in primis celebre, in quo videlicet non segniter laboratum est. Bonam Iuventutis partem a spectandis Comedis, quas Ludiones meritori venditant, non dant nostri homines averterant magno cum bono animarum, nec modico Mercenariorum detrimento. Sensere damnum Histriones, repenteque a Scena in Sacrum Musaum translati, positis Comicis, Theologorum personis assumptis, ignota se palestra, committere, et intractatis sibi armis ferociam ostentare non dubitarunt: nimirum Asellus Leonis {p. 230}exunium induerat. Sparsi eravit in vulgus, incerto auctore, libelli qui S.Thoma precipue, aliorumque Doctorum testimonio probare nitebantur, licere, salvo officio, Comedis spectaculis interesse. Hanc illi arcem occuparunt, hoc, presidio satis se munitos arbitrati, quasi perfossis, subrutisque hostium cunicoli, et leti, in suis statiionibus tripudiare videbantur. Multi enim cretalis, ac male ferruminatis argumentis illecti trahebantur sed nequaquam Cornicum oculos confixerunt: compertum est indagando, primum libellos a Scenicis Theologis prodisse, (vide quibus Doctoribus auctaa est Ecclesia) post etiam fallacia negotio non magno confutata subttiliusque argumentorum veritas et multis sermonibus, et prosuggestu copiose explanata; nec posse Dramata omni obscenitate inquinata illo defends patrcinio. Res ultro citroque hominum sermone iactata increbuit, ut ad sacrum causarum Quasitorem pervenerit. Is pro potestate perniciosis libellos ad se allatos legi vetuit: ita damnata causam multi ex is qui ea Spectacula frequentabant, religione tacti pedem retulerunt. Hinc facta circa Scenam solitudine frigidi Rosci, alia sibi quarere Theatra necesse habuerunt.
»
L’Istrionico del presente caso accenna molte cose. Prima. I Padri della Compagnia operarono con non poca fatica, che molti Giovani si ritirassero dalle mercenarie Commedie con gran bene delle anime loro, e con non piccolo danno de’ Commedianti. Seconda. Sentirono la puntura di quel danno i Commedianti, e presero partito di comporre Libretti senza certo Autore, e di provare con la sentenza di S. Tommaso, e d’altri Teologi, che era lecito andare alle Commedie: e così allettarono molti ad andarvi. Terza. Si cercò, e fu trovato che que’Libretti erano usciti da’ Commedianti; onde la loro fallacia fu confutata. E io credo sicuro, che la confutazione si restrinse a questo. Mostrare pubblicamente, che S. Tommaso e i Teologi parlavano delle Commedie moderate, alle quali è lecito l’andare non delle oscene, alle quali non si va lecitamente, parlando in generale: e che tali erano, cioè oscene quelle di que’ Commedianti. Quarta. La cosa crebbe di modo con le dicerie popolari che il Sig. Giudice Ecclesiastico vi pose la mano {p. 231} ; e vietò di leggere que’ perniciosi Libretti: onde molti di quelli, che spesso andavano alle Commedie, se ne astennero: e i Commedianti vedendo scemato l’Auditorio furono costretti dalla necessità a cercare altri Teatri. Io qui chiudo avvertendo che niun saggio Lettore stimerà, che que’ Religiosi commettessero ingiustizia, parlando, e predicando contro que’ Commedianti: anzi che facessero atto di gran carità in soccorrere molte anime, che ingiustamente erano ingannate, e allettare alla rete del Diavolo, cioè al Teatro osceno, che da Tertulliano fu nomato. « Retia Diaboli
»l. de Spec..
Punto undecimo.
Se i Commedianti vogliono ammaestrare i Semplici al bene con le Commedie, perché tanti Autori li riprendono?
La presente querela in forma di obbiezione vien proposta così. La Commedia fu trovata, e usata, non per introdurre Vizi nel Mondo; ma per, correggerlo da’ Vizi, e per ammaestrare i Semplici al bene, e alle Virtù con il diletto della viva voce, e con il gusto delle graziose apparenze; imperoché non tutti odono, e intendono i discorsi de’ Predicatori: né tutti vogliono, o sanno leggere i Libri; e però Cassiodoro scrisse a’ Romani, che le opere Teatrali erano un mezzo molto buono per trattenere la nobiltà; e per correggere le persone prive di dottrina, e ignoranti. Dunque degni sono di lode, e non, di riprensione i Commedianti, e le Commedie loro, essendo la cagione di un tanto bene. Tommaso Garzoni scrive. Senza dubbioNella Piazza Universale disc. 104. alcuno, e senza replica in contrario molta lode sono stimati degni i Comici, e Tragedi, così moderni, come antichi, i quali hanno di moralissimi costumi ripieni i loro scritti; ponendosi avanti gli occhi quel fin lodeule di insegnar l’Arte del vivere sapientemente; come al Comico si conviene.
Rispondo. Tutto può passare condizionatamente: e si può concedere a Beltrame, che la Commedia è un modo trovato da’ Saggicap. 53., per correggere il Vizio ridendo, e non piangendo. Ma non concedo già per vero quello, che egli aggiunge. Cioè. Tutti {p. 232} i mezzi sono buoni, quando tendono a buono fine; perché chi avesse per fine l’offrire un Calice d’Argento, è d’Oro ad un Altare; e per tal fine usasse l’assassinio, e il ladroneccio, uccidendo alla strada i Passeggeri, e spogliandoli del dinaro, il mezzo sarebbe molto cattivo, ancorché tendesse a buono fine.
Così nel caso nostro de’ Commedianti osceni par che succeda; hanno fine retto: vogliono correggere, e ammaestrare al bene i Semplici; ma non devono prender il mezzo cattivo, che è l’oscena Rappresentazione; questo è servirsi di un mezzo molto repugnante alla bontà del fine, cioè per cagionare casti costumi, proporre impudiche Azioni, efficacissime alla distruzione della Castità: come se un Piloto volesse la sua nave per « scopulos ducere ad littus
» : che è sentimento di S. Gregorio Nazianzenocr. 3. contra Iul. ; onde credo, che i Superiori non debbano permettere tale insegnamento: imperoché se errore sarebbe in un Principe, come nota il P. Pallav. il permettere, che gli uominidel Bene l. 4. p. 2. c. 50. n. 7. da lui graditi per faceta conversazione, s’usurpassero poi anche nelle loro facezie l’autorità di Consiglieri: potrassi ben temere, che erri anche quel Superiore, che permette a’ Comici, non solo faceti, ma disonesti, l’usurparsi l’officio di pubblici Maestri d’onestà. I Comici dunque non infettino il Teatro con disonesti trattati: e disonesti sono i ruffianesimi, e i discorsi di lascivo amore pubblicamente rappresentati, e la comparsa delle Donne innamorate e altre impurità di questa fatta; per le quali io dico che « non sunt facienda mala, ut veniant bona
» : e le quali non correggono da’ Vizi, ma insegnano la pratica de’ Vizi: e lo Spettatore, come nota S. Cipriano « discit facere, dum consuevit videre
»de Spect., si fa discepolo di mal fare con l’uso di veder il male.
I Semplici poi restano più ammaestrati al peccato, che i dotti; perché quelli più, che questi, si lasciano tirare anche più dalla cosa rappresentata, che dall’artificio del Rappresentante: e così la Commedia oscena nella pratica riesce molto perniciosa per le oscenità. Né si deve dire, che a nostro tempo il Teatro, e la Commedia è riformata in tutto il necessario alla Cristiana Legge: perché il sentimento, le scritture, e i detti de’ Savi moderni {p. 233} sono affatto contrari; onde molti li contristano; perché non veggono porsi efficace rimedio a questo pestilente morbo, e a questa universale rovina di tante anime. Né vale la scusa di chi dice.
Si tratta d’amore, per mostrare i mali effetti di quella passione; acciocché si fuggano, perché se ne tratta troppo scopertamente, e troppo alla lunga, onde i mali effetti non si fuggono, ma si seguono da’ deboli di spirito, e s’imparano nel Teatro, per ridurli poi fuori del Teatro alla pratica disonestamente. Molti Giovanetti, e molte Donzelle, vanno casti alle moderne Commedie, e se partono lascivi. Di qualche Donna si può dire con Val. Flac. « Penelope venit, abito Helena.
» Né men giova, per giustificare le correnti Commedie oscene, il dire, che s’impediscono molti peccati; massimamente di quelli che nascono dalla conversazione con le Meretrici. Un moderno giudizioso, e molto pratico del moderno, e mercenario Teatro diceva. Le Commedie correnti, e massimamente compariscono le Comiche poco modeste, sono istruzioni di Vizi; non insegnamenti di Virtù. Fanno moltiplicare i peccati delle Meretrici, e con le Meretrici; però che, quando si fanno lo Commedie oscene, anche molte Meretrici vi vanno, e vi moltiplicano i peccati, e imparano vari artifici di peccare, e di far peccare; e quelle, che non vi vanno, usano più diligenza, e maggiori astuzie, e tal’ora invenzioni arrabbiate, diaboliche, e disperate, per allettare, e per ritenere i poco modesti Amici alle loro conversazioni. Senza che io dica, che i Giovani tristi diventano peggiori, e più s’avanzano nella malizia vedendo le Commedie impure, e imparando certi maledetti artifici; rappresentati in Scena, con l’uso de’ quali poi essi lungi dalla Scena e con le Meretrici, e con altre Donne moltiplicano le offese del Creatore. Né giova il voler provare, che le Commedie i correnti levano i peccati, che procedono dal Gioco: come disse già un Principe, facendo constare chiaramente, che si erano venduti dodici mila mazzi di carte mane dell’ordinario in un anno, nel quale vi erano stare le Commedie; e per conseguenza si erano impediti tutti que’ peccati, che si sarebbero fatti con i Giochi {p. 234} di quelle carte. Non giova dico; perché se si scemarono sono i peccati del Gioco, si aggiunsero quelli, che le Commedie oscene fecero fare al solito, e forse con maggior abbondanza, e con maggior bruttezza, che non sarebbero flati i peccati del Gioco. Chi sta ad un’oscena Commedia, non sta in atto di devozione ma sta per ordinario in pericolo, in occasione, e forse in atto di moltiplicare, e aggravare i suoi peccati.
So, che Beltramecap. 40. scrive. Per gli avvenimenti delle Commedie, quanti hanno imparato a governar le loro case: quanti hanno abbandonata la Meretrice, vedendo rappresentare la poca fede di lei, e gli scaltri, modi tenuti per cavar danari da i Corrivi? E quanti si sono ravveduti da altri errori? In Faenza un Padre riaccettò l’unico figliolo cacciato per le querele fatte dalla Matrigna, vedendo in una Rappresentazione farsi quello, che a lui stesso era stato fatto.
Rispondo. Posto che sia vero il detto, bisogna concedere, che la Commedia partorisce molti buoni effetti nelle persone savie, e virtuose ; ma nelle persone viziose, e imprudenti partorisce quello, che dicono i pratici, e che seguono i Dottori, cioè mali moltissimi, e gravissimi. Anzi voglio concedere, che anche ne’ tristi, e viziosi alle volte la Commedia oscena cagioni qualche buon pensiero, e qualche virtuosa deliberazione per una grazia molto straordinaria, e abbondantissima del misericordioso Iddio, e così alcuni capi sventati qualche volta si convertonocap. 31. ; e lo accenna anche Beltrame. Ma una gioia non forma un tesoro: e l’uomo savio giudica secondo quello, che per lo più, succede. E nel caso dello stare alla Commedia illecita si vede chiarissimo, che per lo più, e ordinariamente un tristo si fa peggiore; e spesse volte un buono diventa reo, e malvagio. Dunque la Commedia corrente, e mercenaria non corregge dal Vizio, ma addottrina nella Viziosità: e i Semplici, e Ignoranti vi bevono in più modi il veleno, da che restano privi della vita della Grazia, e seppelliti nella tomba di abiti Viziosi, e scandalosi. Concludo avvisando tutti i Comici Mercenari. Se vogliono ammaestrare al bene, persuadano prima a se stessi l’ammaestramento, e pratica del bene, e quelli, che sono nel Vizio si ritirino {p. 235} dalla Moltitudine de’ Viziosi. « Multos enim vidimus, scrive Gio. Francesco Pico, qui cum rectè vivendum alis suassident, id ipsum poste a sibi non persuaserunt.
»l. 3. ep. Picus Mier. Altrimenti se seguitano di peccare pubblicamente, e d’insegnare il Vizio, sarannoSa. L. de sum. bono. c. 2. rei di maggior castigo. « Major culpa, dice S. Isidoro, manifeste, quam occulte peccare: dupliciter enim reus est, qui aperte delinquit; qua et agit, et
docet.
»
Punto duodecimo.
Se gli Scrittori non condannano molte Arti più infruttuose, che l’Arte Comica, perché scrivono tanto contro questa?
Nel Mondo si praticano molte Professioni, delle quali seguono mille, e mille peccati: e pure contro di loro non si armano le lingue de’ zelanti Scrittori, Predicatori; come contro la Professione de’ moderni, e mercenari; Commedianti. Quale si è la Ragione di tale risentimento?
Rispondo. Il Comico Beltrame fonda una gran querela su questo punto; e la spiega alla lunga nel capo 23. ove tra l’altre cose dice. Quante Professioni si esercitano nelle Città, che non servono ad altro, che alla vanità, e al danno del Prossimo? Quanti vivono col far dadi, carte, palloni, palamagli, bocce, trucchi, e altre cose simili? Quanti guadagnano a far fiori finti, vezzi da collo, collane di vetro, o paglia, gioie contraffatte, ed altre vanità? Quanti si sostentano col far belletti, lisci, acque bionde; polveri, profumi per le Donne, che ne potrebbero far di meno? Quanti campano la vita loro, per far ordigni da uccidere altrui? E questi’ sono tanti, e di tanto numero, che sono un terzo degli Artigiani, e pur lasciano vivere in pace, e non sono offesi come i Comici, anzi che sono accarezzati, ei lavori loro sono lodarti; li chiamano industrie, vaghezze, giochi, difensivi. Ma della Commedia si dice, ché e la corruttela de’ costumi, il costume degli scostumati,l’Idra, la Chimera, l’Arpia, insomma il veleno delle anime: o garbato. Io non biasimo, che si seguano tanti esercizi ancorché non profittevoli, poiché bisogna, che uno viva; e il ridurre le Professioni in poche, sarebbe ridurre i poveri a necessità {p. 236} di furto. Ma ben mi sa strano, che il nostro esercizio sia da tali lacerato, e Dio sa perché.
A questa querela di Beltrame io dico, che come le detto Professioni sono lecite per la convenevolezza di buoni fini, così la Professione de’ Commedianti non merita biasimo, quando ha per fine l’onesto trattenimento: ma si come in quelle Professioni si ritrovano i loro difetti, i quali sono condannati dalle persone savie, e zelanti a tempo, e luogo opportuno; così nella Comica Professione si condannano le correnti oscenità, come difetti illeciti, e molto vituperevoli dell’Arte, la quale per se stessa è lecita, e è degna di comendazione: e chi la esercita con la debita e necessaria moderazione, non sarà mai giustamente lacerato, anzi potrà sperare d’essere posto nel numero di que’ Beati in terra, che s’adornano con lo splendore della TemperanzaTe. 1. tit. de Intemperantia., per dar gusto a Dio. « Vere felices, dice S. Efrem Siro, atque Beati Temperantia splendore ornati sunt. Quam ob rem rogo, obtestorque vos omnes fratres, ut Cristo Domino totis viribus placere studeatis.
»
Punto decimo terzo.
Se la Commedia, anche oscena, non è pericolosa a’ Secolari, perché tanti la riprovano?
Corre una certa voce per la bocca di molti, i quali per favorire la permissione della Commedia oscena, dicono tal volta. « Non omnes sunt Monachi
», non tutti i Fedeli professano il Monachismo. quasi che vogliano dire. S’inganna per regola di certezza, chi pretende annichilar la Commedia con le Prediche, con i Libretti, o con le scritture: poiché i popoli vogliono qualche ricreazione, non essendo tutti forniti della medesima comprensione, né tutti professano la medesima vita: molti gustano delle vita claustrale, e ritirata; ma moltissimi anche gustano della libera, e gioconda; e godono di ricrearsi con il trattenimento della Commedia . « Non enim omnes sunt Monachi.
»
Rispondo. La Commedia è una ricreazione utile, e dilettevole, inventata, o almeno usata, e approvata, per distogliere dal {p. 237} Vizio e si compone di parole, e di gesti: e può essere tanto aggiustata, che non partecipi veruna oscenità: e tale Commedia si può permettere e ammettere: anzi se sarà di Favola modesta, e recitata con pienezza di filosofici pensieri, di politici discorsetti, di sentenze gravi, di leggiadri concetti, di vivaci arguzie, e di saporiti sali con aggiunta di altre galanterie; sarà un Componimento degno di molta lode; e mostrerà, che l’Autor suo professa di essere un Comico Virtuoso, e buon Cristiano. Ma il punto sta qui, che le moderne Commedie de’ Mercenari Istrioni non sono tali; perché sono Componimenti osceni, e recitati oscenamente, e co’ quali si porge a’ Popoli una disonesta ricreazione.
E però si dice, si scrive, e si stampa contro le loro oscenità. Né deve ciò parer duro a’ Comici modesti; poiché non si tratta contro di loro. Appresso gli Antichi, e Greci, e Romani, mai mancarono Personaggi zelanti, i quali si fecero sentire contro le indegnità Teatrali, perché come dice anche Beltrame non sempre tutti i Comici sono stati Professori di modesta ricreazione. Non è dunque meraviglia, che anche a’ nostro tempo non manchino Dicitori, e Scrittori, che si mostrano molto contrari a’ Mercenari Commedianti perché molti di questi, se ben per colpevole ignoranza più, che per conosciuta malizia infettano le Scene, e il Teatro con le loro oscene impurità.
In quanto poi a quella conclusione, che non tutti sono Monachi; « Non omnes sunt Monachi
», dico, che è vero: « quid inde?
» che ne vogliamo noi inferire? Licenza di peccare? Sarebbe errore. S. Agostino scrive. « Quasi ei, qui non est Monachus, possit licere, quod non licet: cunctis prescribitur norma vivendi: omnis ad bene vivendum provocatur sexus, atas, et dignitas.
»Ser. 19. de v. Dom. Cioè. Quasi che, a chi non è monastico Professore, possa essere lecita una cosa illecita: non va così; perché a tutti è prescritta la regola di vivere con Virtù: e a questo fine vien, provocata ogni persona di qualsivoglia sesso, etade, e dignità.
Aggiungo l’avviso di S. Crisostomo. « Fallis te ipsum, si putas, aliud a seculuribus viris, aliud a Monacochis requiri.
»l. 4. ad versus vitup. Vita Monast. Veramente tu inganni te medesimo, se stimi, che altro si ricerchi dagli {p. 238} Uomini Secolari, e altro da’ Monaci. È vera li differenza che i Secolari si legano co’ vincoli del Matrimonio, « Matrimoni vinculis se constringunt
» ; i Monaci vivono in libertà, « liberi perdurant
» : ma nelle altre cose, « in reliquis verò
», che non sono di consiglio, ma di precetto, « eadem ab utrisque vite totius ratio requiritur eisdom pro culpis pena una omnibus debetur.
» La medesima ragione di tutta la vita si richiede da’ Secolari, e da’ Monaci e a tutti si deve una pena per le medesime colpe. E io dico « si non omnes Monachi, omnes sumus Cristiani
», e per conseguenza tutti siamo obbligati a fuggire l’offesa di Dio, e la, rovina spirituale dell’anima nostra.
Ma dirà per avventura uno contro di me, come giudico esser detto contro di se D. Francesco Maria del MonacoIn Paranesi p. 32., quando, scrisse. « Rigidior es, qui hæc doces; neque enim tam minuta mundities a secularibus extorquenda.
» Tu sei uomo troppo stretto e severo, insegnando queste cose; imperoché da persone secolari non si deve cavar, come per forza, una tanto e fatta, e minuta purità. Risponde quel Valent’uomo, aggiungendo. « Verum ego non id a secularibus requir sed a Fidelibus, qui in Calum contendunt: qui violenter Cælum rapere iubentur: iubentur autem omnes. Ab is id requiro, qui ius in æternas sedes se habere gloriantur. His id pronuncio, non Ethnicis, non Infidelibus.
» cioè. Io non ricerco questa minuta purità,da’ Secolari, ma da’ Fedeli, i quali camminano verso il Paradiso; a’ quali è comandato di rapire violentemente il Ciel: e tal violenza è comandata a tutti. Io ricerco questo da color, che si gloriano di aver ragione al possesso dell’eterna, e felici abitazioni. A questi tali io avviso, e intimo questo; e non a’ Gentili, né agl’infedeli.
Non voglio tacere ciò, che tal’uno per obbiezione dice alle volte. Un Religioso, essendo puro di vita, e delicato di coscienza, al solo mirar una Donna teme, si ritira, e, se può fugge, per non inciampare in qualche pericolo di cadere, gravemente peccando almeno con l’interno consentimento. Ma un secolare avvezzo a domesticamente trattar con Donne, non si muove punto a desideri cattivi, o vedendo le Donne in Scena {p. 239} acconce, e abbellite, o sentendole parlare pubblicamente di que lascivi amori, che spesso eglino odono nelle familiari Conversazioni con le stesse Donne. L’uso al male alle volte fa, che un tristo non moltiplica, né pensa il male.
Rispondo con S. Tommaso. « Consuetudo peccandi diminuit turpitudinem, et infamiam peccati secundum opinionem hominum; non autem secundum naturam ipsorum peccatorum.
»2. 2. q. 142. a. 4. ad 2. cioè. La consuetudine di peccare diminuisce la bruttezza, e l’infamia del peccato, secondo l’opinione degli uomini; ma non, secondo la natura degli stessi peccati. E io di questa dottrina servendomi a proporzione, dico, che un secolare male abituato a trattar impuramente con Donne, non acquista nuova infamia, per essere veduto a stare udendo, e vagheggiando; le Comiche disoneste, ma non per questo crederò io, che non pecchi; anzi stimerò, che pecchi per abito, per uso, e per consuetudine; benché non faccia un atto riflesso di peccare sopra il suo peccato; onde sarà reo di maggior colpa, che se peccasse per pura fragilità, e sentendo timore nel peccare. Non merita credenza, chi dice. lo sono avvezzo a peccare: e però sto nell’occasione di peccato, non peccando. La presunzione scrive la sentenza contro di lui.
Ma chi volesse concedere, come vero, il caso in ordine a qualche secolare, che, o per virtù, o per abito vizioso, o per altro, non temesse di peccare con il consenso al vedere, e udire le Comiche, e le loro oscenità nella Commedia oscena: non mancano altre ragioni, che provano, tal secolare essere reo di peccato, stando a quella Commedia: come è la ragione, o dello scandalo, o della cooperazione al male, o di altro rispetto, che può il saggio o Lettore ponderare saggiamente. E poi se uno o due, o dieci, o venti non consentono; e quanti secolari deboli di spirito consentono, peccando, e ripeccando con l’animo nel Teatro, e fuori con l’opere disoneste, e scandalose? Dunque concludiamo, che la retta ragione, e il cristiano zelo, vogliono, che molti Autori condannino le oscene Commedie del nostro tempo.
E non crediamo a chi dicesse con Beltrame Chi non sacap. 7. che {p. 240} l’acqua bagna, e annega? Ma non è fatta, perché le persone si anneghino, o si sommergano: chi vuol poi precipitarsi, suo danno. Così la Commedia non è fatta per peccare: chi vuol peccare suo danno. Ella si fa buon esempio; e non a rio fine: se vi è poi, chi abusa il suo beneficio, tal sia di chi gira il giovamento in mala parte. Ma io dico, che quando nella Commedia sono delle Oscenità, e compariscono le Donne a ragionar lascivamente d’amore in Auditorio, ove sanno essere molti deboli di Virtù, e ne conoscono alcuni in particolare; la Commedia è illecita, e è fatta per peccare, e per far peccare; perché tal comparsa è peccato; e si fa con scandalo de’ deboli, a’ quali non si deve, né si può dar occasione di precipitarsi nella rovina spirituale del peccato mortale. E però ogni Comico parli cautelatamente, recitando nel Teatro in modo, che le sue parole, le quali devono cagionar sanità a gli Auditori infermi nella Virtù, non cagioninove. 1. ho. 4. de Pat. Iob. ferite a’ loro cuori, e morte a se stesso. « Ne sanitatis verba
», avviso con Crisostomo, « vulnera tibi siant
», aggiungo, « auditoribus tuis
».
Punto decimo quarto.
Di quello, che possiamo giudicare di certi Casi spiegati da gli Autori contro i Commedianti osceni.
Il caso seguito suole aver grazia, per ornar un discorso, e anche forza, per confermare una verità; ma non è tale di sua natura, che debba giudicarsi bastevole, per dar fondamento ad un Assioma; o per essere accettato, come una Legge universale.
Di questo pensier si valgono i Mercenari Commedianti e stimano, che i sinistri accidenti occorsi nelle Commedie non siano argomenti da far biasimar la Comica Professione. Così Beltrame chiaramente scrive nel titolo del capo 52. e poi vi discorre sopra diffusamente, dicendo tra le altre, cose, che il portar esempio di casi, succeduti in Commedia, non è capitale da munir la mala intenzione di chi odia le Commedie; e perché resista all’assedio delle vere ragioni ; atteso che gli accidenti, che occorrono {p. 241} alla giornata, sono tanti, e tali, e cosi diversi, che bene possono avvenir così in Commedia, come in altro luogo, ed in quell’altra si sia persona suora de’ Comici. E a questo propone si raccontano vari casi, alcuni de’ quali sono i seguenti.
Primo caso.
Tertulliano narra, che una Donna resto Spiritata, stando ad un Azione Teatrale; e il Demonio disse, che occupandola aveva fatto giustissimamente; perché l’aveva trovata in Casa sua. « Justissime feci: in meo eam inven.i
» Che si può giudicar di questo Caso?
Beltrame s’ingegna d’interpretarlo in senso non pregiudizialecap. 52. alle sue Commedie, e dice. Non è gran cosa ;perché chi si spirita, si spirita in qualche luogo: e fra i tanti luoghi una volta toccò ad essere in un Teatro. E quella parola, Casa sua, io prenderei per enigmatica; che tale è la frase Demoniaca: o forse in tal casa, una volta vi fu, chi peccò mortalmente: e se bene il peccato fu rimesso, il Demonio pretende il «Ius» : come fanno molti Principi, che una volta dominarono uno stato: ed ancorché non lo posseggano, non vogliono perciò perder quel titolo. E poi io non crederei mai al Demonio per qualsivoglia colore di verità, atteso che egli è per abito mendace, e vanaglorioso. e stima, che tutto il mondo sia suo: come gli uscì di bocca, quando ne fece oblazione, per farsi adorare da chi poi gli fiaccò le corna. E perché le stanze delle Commedie hanno da esser sue? Un nobile Teatro non è postribolo, non è ridotto di Vizi, non è Casino, dove il manco male, che si commetta, è il Giuocare; non è Scuola d’Eresie; né altre simili: ma è luogo, dove si passa l’ozio, e dove si ristorano gli animi travagliati; e d’onde e si può apprendere a fuggire il male.
Così discorre questo Comico. E se vuole difendere il Teatro antico, contro il quale Tertulliano portò quel Caso, io non lo approvo; perché era Teatro di gentilesca Superstizione, e di bruttissime disonestà. Ma egli, credo, pretende solo proteggere il Teatro Cristiano, e moderno, il quale suppone, che {p. 242} sia moderato a bastanza secondo i termini prescritti da’ Teologi; e però non si deve secondo lui nomare Casa del Demonio. Ma io rispondo con il parere de’ Teologi, e degli Scrittori moderni, che egli suppone il falso; perché il Teatro de’ Mercenari Comici moderni e in particolare quello di Beltrame, per lo più è osceno; e le correnti Commedie, io giudico, che siano, se non tutte, almeno la maggior parte disoneste; e però recano fondata ragione a’ Savi di chiamar il Teatro loro Casa del Demonio; ove non s’apprende a fuggir il male ma s’impara a schivare il bene, e operare il male. E così il Caso narrato da Tertulliano contro l’antico Teatro si applica giudiziosamente da’ Teologi all’osceno Teatro del nostro tempo: ne è cosa non saputa da’ Dotti, che molte volte il Padre della menzogna, il Demonio, dice la verità.
Secondo caso.
Un Recitante morì all’improvviso nel principio di una Commedia, e il Demonio prese la sua figura, e seguitò l’Azione; e richiesto da chi lo conobbe, perché ciò facesse: rispose; per non perdere il guadagno preteso da lui dal farsi tal Commedia.
Ora di questo caso, che giudica Beltrame? Giudica, che a’ nostri tempi il Demonio non farebbe altro guadagno, se non di quello, che cavasse da qualche parola laida, o da qualche gesto mal’ordinato all’onestà, il quale suole aver per guiderdone un isgridamento. E io dico, che tal guadagno, nato dalle oscenità moderne, che si veggono, e si odono nelle correnti Commedie, basta al Diavolo; perché essendo tali osceni peccati mortali, rovinano molte anime: che è quello che il Demoni desidera, e pretende. E però il narrato Caso giustamente è proposto da’ prudenti per ritirare le persone dalle; oscene Rappresentazioni: e Beltrame più saggiamente si portava astenendosi dalla sua difensiva interpretatine. Né io posso approvare quell’altro suo pensiero, che aggiunge, dicendo. Simili accidenti sono un nulla. Sono concetti da riempir un discorso {p. 243}, e non argomenti reali per stabilir le ragioni. E non credo di oppormi; poiché gli Scrittori, e di Retorica, e di Filosofia, e di Teologia, e d’ogni altra Professione, non stimano, che sia un nulla il racconto di un Caso seguito, spiegato a proposito, e per rinforzo, e conferma di una verità: tuttoche non sia buon fondamento, per argomentare a’ particolari ad universale, e per dar credito ad un Assioma.
Aggiungo. E quante volte Beltrame, buon uomo, si serve di simili accidenti per stabilire qualche sua ragione? Potrei allegar molti luoghi nella sua Supplica per acconcio del detto mio ma di vantaggio basta il cap. 57. ove scrive. Dirò una cosa sola occorsami, che servirà per molte ragioni. E poi narra un caso, ove spiega, che un Superiore spirituale non s’intendeva delle destrezze di mano, che usano i Giuocalatori: e tutto ciò dice, dopo aver domandato. Da che procede, che S. Tommaso, e S. Bonaventura sono diversi ne’ pareri intorno a’ Commedianti? Quasi che que’ Santi non avessero intera cognizione dell’Arte Comica. Insomma l’esempio vale per esempio, e non per Massima universale ma mostra ben si, che può avvenire ad un particolare quello, che ad altro è già avvenuto: tutto che non sia per avvenire a tutti per Legge di necessità. E il Caso proposto bastevolmente prova, che il Demonio fa guadagno ne’ Recitamenti osceni; e per ciò si devono fuggire con diligenza da’ Virtuosi; e tra tanto formarne un concetto molto sinistro, e pericoloso.
Terzo caso.
Antonio di Torquemada scrive. Ne’nostri giorni si dissenel Giardino de’ fiori curiosi tractat. 1. p. 17., e si certificò per cosa molto vera, che in una Città di Alemagna alcuni rappresentarono certi Atti, o Commedie, nelle quali un Uomo o Paesano Rappresentò un Demonio con vestimenti, e insegne brutte, spaventevoli: dove che finita la Rappresentazione, se ne tornò a casa sua; e gli venne voglia di domesticarsi con la sua Donna, senza mutarsi l’abito, ne meno spogliarsi i vestimenti; e ella diventata gravida per simile congiungimento {p. 244}, e avendo nell’immaginazione quello, che rappresentava la figura, e abito, nella quale il Marito era vestito, partorì una creatura, che rappresentava la medesima immagine del Demonio, tanto spaventosa, e tanto brutta che niuno Diavolo si potria dipingere più brutto né più abominevole. La Madre morse del parto; e di quel poco, che questa creatura visse; che, secondo si disse, furono tre giorni, si narrano cose Infernali; e acciocché questa meraviglia fosse manifesta per il Mondo, la portarono stampata per Spagna, e per la Cristianità.
Or noi da questo caso possiamo ben formare un argomento, che le Commedie illecite si devono grandemente aborrire, e detestare.
Quarto caso.
Lodovico Zacconi Agostiniano in un libro manoscritto, intitolato, Dugento Casi d’alta considerazione, avvenuti ne’ nostri tempi; e veduto da me in Fior. narra, che l’anno 1561. regnando in Inghilterra la Regina Elisabetta eretica, alcuni si posero a rappresentare una nobilissima Commedia o per sua commissione, o per darle qualche gustevole trattenimento: nella quale, si per ornamento dell’Azione, come anche per la presenza della Regina, furono fatti nobilissimi Intermedi; in uno dei quali si rappresentarono i santissimi atti del Sacerdote, quando parato dice Messa all’Altare, e sacrifica al Signore. Venne dunque fuori uno vestito da Sacerdote col Servente appresso; se ne andò ad un altare subito in Scena apparecchiato; e cominciando la Messa, vi fece tutto quello, che egli seppe fare per scherno, e per disprezzo de’ Sacerdoti. Ma, o gran giudizio di Dio, quando quel tristo fu all’Atto di consacrare, ecco comparir un Demonio, il quale se lo portò via vivo vivo di modo, che mai più di lui non fu saputa novella alcuna. Molti degli Astanti giudicarono, tal cosa essere fatta ad arte: ma i più Savi conobbero benissimo, che quello era stato un vero Demonio, sì per lo terrore, che diede; sì per l’impeto, che operò; come anche per {p. 245} la puzza e gran fetore, che subito qui sparse, e lasciò per tutto. La Commedia non andò più oltre: perché ogn’uno rimase sbigottito per simil fatto. Ma non per questo la Regina né i suoi aderenti, si mutarono di parere in quanto alla Fede Cattolica e alla vera devozione. Il successo di questa storia fu posto in stampa: e non solo me l’ha detto un Libraro che ne vendé molte copie; ma anche ho parlato con quelli, che l’hanno letto, e da più persone sentito a raccontare. Sin qui l’Autore. Noi che giudichiamo? Che fu una giusta manifesta e spaventosa vendetta della Divina Giustizia, e contro un derisore del sacro rito Cattolico, e contro l’illecito abuso del Cristiano Teatro, e però temano ancor quelli, che se ne abusano con le oscenità di colpa mortale.
Quinto caso.
Un erudito Autore spiega, come successo narrato da Vincenzolib. 3. c. 19. nello Specchio Naturale, che a’ tempo di Pietro Damiano erano due Vecchie Streghe nella strada Romana, le quali alloggiavano i passeggeri; e quando un solo veniva per alloggio lo ricevevano allegramente, lo trattavano bene; ma poi lo facevano vedere in apparenza di Cavallo, o di Porco, o di Asino; e come tale lo vendevano a’ Mercanti. Un giorno vi capitò solo per sua sventura un Giovane che viveva con l’Arte d’Istrionico Giocolatore.
Le Vecchie malvagie lo mutarono in apparenza di un Asino; lo tennero appresso di sé, e guadagnarono molto per mezzo di lui perché davano piacere a chiunque di passo v’alloggiava, facendo gestire con varie gentilezze il povero Asino; il quale obbediva a cenni delle Streghe; perché non aveva perso l’intelletto, né il discorso: ma solamente la facoltà di favellare. Occorse, che un vicino s’invaghì di quell’Animale, trattò con le vecchie per concluderne la compra e alla fine l’ottenne a prezzo molto caro, e molto alto. E le Venditrici diedero questo avviso al Compratore. Guardatelo con diligenza, che non entri nell’acqua. E così diligentemente fu custodito un buon spazio di tempo: alla {p. 246} fine un giorno, essendo poco ben guardato da un custode, se ne fuggì, e fuggendo, se n’andò a cacciar dentro l’acqua di un Lago; ove standovi alquanto, perdè l’apparenza di Asino, ritornò al sembiante di Uomo, e ricuperò la favella: di che tutto allegro uscì dall’acqua, e fu incontrato da quel Custode, che lo cercava tutto sollecito, e domandò. Avete voi per avventura veduto un Asino. Sì, rispose, l’ho veduto; e io stesso sono quello, che prima a voi, e a gli altri pareva Asino, ma ero Uomo, e non potevo parlare. Restò stupido, e quasi fuori di sé per meraviglia il Custode; riferì tutto al Padrone, il quale lo fece per sicura strada sapere al Papa; onde tosto furono prese le Streghe, e convinte confessarono la verità del fatto, e la loro malvagia maniera d’alloggiare. E perché Sua Santità mostrò d’aver qualche dubbio nella sostanza del successo, Pietro Damiano lo confermò con l’esempio di Simon Mago, che impresse la sua immagine a Faustiniano.
Ora a nostro proposito che giudizio facciamo noi di questo caso? Io dico, che fu un amaro frutto dell’Arte gesticolatoria, e istrionica e è materia di buon argomento a persuasiva de’ Comici moderni; acciocché la esercitino con virtù, e senza oscenità, sperando, che il Signore non permetterà, che essi incontrino quella, o altra simile disavventura.
Sesto caso.
Eribertolib. 10. c. 47. pag. 869. Rosueido nelle vite de’ Padri antichi racconta che in Eliopole, Città della Fenicia, si trovò un Mimo nomato Gaiano, il quale attendeva all’Arte degli Spettacoli per dar al popolo pastura, e trattenimento: ma l’infelice, e scellerato passò troppo arditamente i confini del decoro, e della Religione, rappresentando « Spectculum blasphemia in B. Virginem
», cose di oltraggi, e di bestemmia contro la B. Vergine: la quale piena di carità gli apparve in sogno, e interrogandolo con affetto gli disse. « Quid mali tibi feci?
» O Gaiano, che male ho io mai fatto alla tua persona; perché tu ti professi pubblico mio distruttore, e mi biastemi? L’avviso dolce non giovò {p. 247} all’insolente; poiché continuò con tenore di peggior fatta nella sua perversità. E ecco la gran Signora di clemenza, in vece di usar castighi, raddoppia i favori: torna ella di nuovo ad apparirgli: e quasi pregando avvisa. « Noli quæso, noli ità lodare animam tuam.
» Deh non voler di grazia, non voler così rovinar l’anima tua con l’offesa mia. E pure il malvagio si abusò del Celeste avviso, e fece peggio: né con tutto ciò fu subito castigato dalla potente, e gran Madre; perché ella è Madre di misericordia. Anzi si compiacque di usar tre volte il dolce medicamento correttivo; ma non seguì l’effetto sanativo dell’emendazione. Onde l’offesa tanto, e tanto bestemmiata Regina del Cielo a quel terrestre Mostro d’infamia, e vituperoso Mimo di mezzo giorno, mentre dormiva, si mostrò in visione, e senza formar alcuna parola, « digito solo signavit eius manus, et pedes
», con il solo suo potente dito segnò le mani, e i piedi a quel misero, e addormentato suo Biastematore: il quale tosto svegliato si trovò troncato di mani, e di piedi; e con vergogna grande, e gran timore conobbe il giusto, e clemente castigo dato dalla Vergine al suo temerario, sacrilego, e pazzo
ardire; e giacendo a’ modo d’inutile tronco, e inabile Commediante confessò, che la cagione della sua infelicità era stata la sfacciataggine delle bestemmie sue; per le quali, « clementer cruciatus fuisset
» ; era stato per mezzo della clemenza pienamente punito, e mutilato. Ma di questo caso, che giudicheremo? Io dico, che l’Arte Mimica è tanto pericolosa, che chi malamente l’esercita, può temere di cadere in gravissimi peccati, disprezzando Dio i Santi, e anche bestemmiando con pubblico, e scandaloso eccesso la gran Madre di Dio, della quale infino i maggiori Peccatori, e Peccatrici del Mondo, sogliono essere devoti. E chi cade in tale iniquità, si fa oggetto degnissimo di essere castigato dalla medesima Signora, che peraltro è il solito Refugio de’ Peccatori, e la speranza de’ disperati; « Spes desperantium
»,Ser. de laudi bus B. M. Virg. t. 3.come dice S. Efrem Siro.
Punto Decimo quinto. {p. 248}
Di molti Casi accennati da D. Francesco Maria del Monaco nella sua Parenesi Clas. 7.
Riferisce Tertulliano, che una persona la notte seguente al giorno, nel quale era stata alla Commedia ebbe una orribile visione, e riprensione, onde se ne morì l’infelice dopo cinque giorni.
Scrive S. Gregorio, che un Giocolatore stava sonando, e trastullando con una Simia, per guadagnarsi il pane, avanti la porta di una casa, ove era entrato il santo Vescovo Bonifacio; il quale udendo quel suono, disse. Ohimè, ohimè, quel misero è morto: sù, sù, portategli per carità il cibo, e la bevanda: ma sappiate, che è morto. E così fu; perché a pena ebbe ricevuto il pane, e il vino, gli cadde dal tetto sul capo un gran sasso onde spirò l’anima il seguente giorno.
Narra l’Istoria Tripartita, che l’Abate Pambo, vedendo nel Teatro di Alessandria una Donna Commediante, cominciò a piangere: e richiesto, perché piangesse, disse. «Due cagioni mi muovono. La prima; perché in mia vita non ho cercato piacer a Dio tanto, quanto cerca questa Femmina piacer al Mondo. La cagione seconda è la rovina, e perdizione di questa misera, e infelice, che cammina a gran passo verso l’Inferno».
Avvisa Vincenzio Bellovacense, che un santo Servo di Dio, tra i grandi, e vari supplici infernali vide, e udì il pianto di molte Donne, le quali quasi ballando gridavano. « Ve, ve, ve, quantae sunt istea tenebrae.
» Ohimè, ohimè, ohimè, quanto orribili sono queste tenebre dell’Abisso.
Nota Fiorenzo Harthemio, che la sorella di santo Damiano stette diciotto giorni ne’ penacissimi tormenti del Purgatorio, per aver avuto troppo diletto in udire dalla sua camera una canzona, che si cantava poco lungi con occasione di certi balli. Dice Tommaso Cantipratense d’aver veduto una sfacciata Saltatrice, la quale dopo aver ballato, e saltato con l’adultero, miseramente restò oppressa con subitanea morte.
Racconta {p. 249} il medesimo Autore, che un Gentiluomo vide un bruttissimo Demonio saltare allegramente vicino ad un suo Servitore, il quale si dilettava di salti, e di canti osceni, e scandalosi. E perché quel Servitore corretto dal savio Padrone poca cura si prese di emendarsi, fu da lui licenziato né passarono molti giorni, che infelicemente finì la vita.
Spiega Enrico Granatense, che una fanciulla tutto un giorno festivo se la passò burlando, e ballando; e poi la sera tornata al suo albergo a pena chiuse gli occhi al sonno, che fu da due Diavoli portata all’Inferno, e bruciata in modo, che rimase con il corpo ulcerato, e puzzolente: e in pena del suo cantar’osceno, ricevé tormento grave di fuoco nella bocca: alla fine svegliata dall’orribilissimo sonno, narrò il tutto veduto, e patito, a molti, e così mezzo arrostita fu portata all’ospedale: spettacolo di spavento a chiunque la volle mirare, e considerare.
Ricorda Giacomo Menocchi, che l’anno 1567. nella notte ultima di Carnevale, in Padova alcune persone ballarono tutta la notte; e che poi su lo spuntar dell’Aurora volendo partire, la casa con improvviso, e gran fracasso rovinò loro addosso, e ne seppellì molti, e tra molti una Giovanetta, che quali tutto quel tempo notturno aveva consumato saltando, e ballando.
Veniamo ora al giudizio, che possiamo formar de’ suddetti Casi.
II medesimo Autore Francesco Maria del Monaco, avanti di; spiegargli giudica, che siano prodigi, e castighi Divini, co’ quali noi meritamente dobbiamo restare spaventati, e risoluti di ritirarsi dagli Spettacoli delle oscene Rappresentazioni : e io cotal giudizio stimo per ottimo, e degnissimo d’essere con l’esecuzione praticato. E a molti di questi esempi accomodo per acconcio di nostro giovamento spirituale l’interrogazione di S. Crisostomot. 5. l. de contrit. ad Demetr.. « Est ne aliquis ita lapideus, qui hoc exemplo (ovvero his exemplis) non moveatur, et timeat, ne similia incurrat?
»
Ma non voglio tacere per rinforzo del giudizio del citato Autore ciò, che nell’Istorie universali de’ suoi tempi fu scritto da Giovanni Villani Cittad. Fiorentino, il quale dicePar. pr. l. 8. c. 70., che il sig. Cardinale di Prato era in Fiorenza amato dal Popolo, e da Cittadini {p. 250}, sperando tutti, che fosse per mettere la pace tra loro: e però si rinnovarono le Feste, i Sollazzi, e i Giochi soliti farsi nel tempo della Tranquillità. Si mandò un pubblico Bando, che, chi volesse sapere novelle dell’altro Mondo, si trovasse nel giorno delle Calende di Maggio sul ponte della Carraia o lì d’intorno. Tra tanto in Arno sopra barche, e navicelle ordinaronsi certi palchi in figura, e simiglianza dell’Inferno, con fuochi pene, e Uomini, de’quali molti sembravano orribili Demoni, e molti rappresentavano Anime ignude, le quali erano da quelli gettate in crudelissimi tormenti con grandissime loro strida, onde lo spettacolo riusciva molto più orribile per lo vero spavento, che co consolativo per lo finto, e rappresentato Gioco. L’insolita apparenza vi trasse a vedere tanta moltitudine di Spettatori, che il ponte pieno, e calcato di gente, e essendo allora di legname, cadde in un subito per la grandezza del peso, e cadendo cagionò, che moltissimi vi morirono annegati nel fiume, e moltissimi vi rimasero malamente rotti, e guasti nelle persone; si che il Gioco fatto da beffe, e per allegrezza, riuscì Caso doloroso, lacrimevole, e vero, per cui moltissimi andarono a saper le novelle dell’altro Mondo con pianto grande, e lamento universale di tutta la Città. L’istorico così conclude il racconto. Questo fu segno del futuro danno, che venir doveva in breve a Fiorenza per gli peccati de' Cittadini. E io quindi avviso a troppo curiosi degli indegni Spettacoli Teatrali del nostro tempo, che se ne ritirino, meditando que’ beati Spettacoli, che nel Cielo si veggono, e godono, come premi della cristiana vita. « Si
tormenta, dice San Bernardo, non terrent nos, saltem juevnt premia.
»l. Medit. c. 7.
Punto decimo sesto.
Di altri Casi più moderni, e sentiti da persone degnissime di piena fede.
In una Città molto principale, e grande di Toscana l’anno 1639. a’ 2. di Febbraro, giorno dedicato alla Purificazione della purissima Regina degli Angeli, si stava in ordine per recitarsi {p. 251} una Commedia profana in casa di un nobilissimo Signore: quando tra’ Recitanti nacque discordia, giudicando molti, che si doveva aver risguardo, e rispetto a quella Solennità, e non profanarla in modo alcun con la preparata, e Comica Rappresentazione. La discordia, e dilazione non piacque ad un Recitante; e tosto si lasciò intendere, che se la Commedia non si faceva quella fera, non aspettassero più l’opera sua, e che non voleva recitarvi in altro tempo. Laonde gli, altri costretti ad accordarsi, furono di parere, che si facesse. Dunque dato principio al Recitamento, quando a colui toccò di far la parte sua, uscì nella Scena; e a pena formate le prime parole, subito cadde morto senza poterne men una volta pronunciar il santissimo nome di Gesù. All’improvviso accidente restarono tutti gli Spettatori, e gli Attori sopra modo atterriti, e spaventati; né vi fu chi volesse più seguitare di udire, o di rappresentare la Commedia principiata; e tutti si partirono compunti; pensando ciascun a’ casi suoi; e servendo la morte di uno per efficace Predicator di penitenza a molti: « fuit pro Doctore Casus
».
Nella medesima Città l’anno 1637. e nello stesso girono 2. di Febbraro, recitavasi una Commedia profana, e oscena: nella quale un Giovane, di professione Ecclesiastica, e che aveva solo gli ordini Minori, faceva la parte da Innamorato sciocco: e appunto scioccamente proferendo alcune parole di equivoco impudico, e facendo alcuni gesti indegni e osceni, fu da subito e fiero accidente assalito, vinto, e restò morto, con quel terrore degli altri, che ciascun savio si può saviamente immaginare, e persuadere.
Voglio raccontare un’altra morte subitanea di un gran Protettore delle Commedie disoneste, avanti la quale avvenne questo successo.
Molti Gentiluomini in Patria loro facevano per titolo di trattenimento certe Commedie, le quali erano tanto osceno, che alcune Gentildonne se ne partirono talvolta prima, che si giungesse al fine. La pubblica fama presto portò quel disordine alle orecchie di un zelante, e dotto Predicatore: e egli con buona congiuntura, e efficace maniera vi fece sopra, una gagliarda, e {p. 252} pubblica passata: onde alcuni nobili ricevendola con animo sdegnato e affatto alieno dall’emendazione, querelarono il Predicatore appresso il Superiore suo tanto risentitamente, che n’ottennero che lo avvisasse, e disponesse a volersi disdire pubblicamente.
Il Predicatore sentito l’avviso, e conosciuta l’inclinazione del buon Superiore, promise soddisfare al debito; e poco dopo, facendo un Ragionamento al Popolo, vi aggiunse, che la prossima Domenica avrebbe parlato delle Commedie; già che alcuni s’erano offesi per quel poco, che avanti egli n’aveva accennato. Subito si sparse voce, che il Predicatore si voleva disdire; onde la mattina della Predica l’Auditorio fu pienissimo: e il Padre salito in Pergamo, e fatta la prima parte, disse. Alcuni si sono lamentati per certe mie parole dette contro le correnti Commedie; e pare, che io mi debba disdire: ma di che cosa? Forse, che la Commedia non sia lecita? No; perché io non ho detto questo. Forse, che non si devono fare Commedie oscene? No; perché tali Azioni non sono lecite, e non si possono fare: che però alcune Gentildonne virtuose, e modeste, le quali tengono Dio nel cuore, si sono saviamente partite dalla Commedia udendo le oscenità,e aborrendole grandemente. Ma che volete, che io dica? Che le Commedie sono sante? Non posso dirlo, perché il Romano Pontefice non le ha canonizzate.
Ora sentite il senso mio. Se voi avete Commedie spirituali, con rappresentazioni di cose sante, e le farete senza miscuglio di veruna oscenità; io di buona voglia queste approverò, e queste loderò; ma se le farete impure, disoneste, e oscene; queste saranno degne di essere, e da me, e da ogni Cristiano, e zelante Predicatore biasimate, riprese, e vituperate: e io, secondo l’obbligo mio, ne ragionerò a beneficio delle anime e a gloria del comun Signore, senza pensier di offendere, è disgustare alcun: né occorre, che vi sia, chi si quereli con il Superiore; perché il male non si può approvare.
Finita la Predica fu detto. E stata peggio la Triaca, che non fu il Veleno: con tutto ciò ne sortì queste buono effetto, che le dette Commedie non si fecero più ne’ giorni festivi. Ma non mancarono {p. 253} alcuni, che biasimarono apertamente, non solo quel Predicatore, ma anche gli altri Soggetti della sua Religione: e tra que’ Biasimatori vi fu uno principalissimo, e, nobilissimo, il quale più arditamente sciolse la lingua alle maldicenze, e provocò l’Ira Divina con più gravi colpe: per le quali, come si crede, fra lo spazio breve di soli 15 giorni fu oppresso da morte repentina, spirando l’anima, e finendo l’infelicissima vita senza l’aiuto solito, e efficace de’ Santi Sacramenti. E la morte di quel Personaggio fu la sepoltura delle oscene Commedie; perché furono lasciate in tutto, e anche in tutto finì quell’occasione, e prossimo pericolo di fare, e di moltiplicare la Comica oscenità.
Ora di questi Casi, e di altri simili, e saputi dal benigno Lettore, che diremo noi? Che giudicheremo? Io so, che non sono Leggi universali ma so ancora, che non s’inganna, chi con il racconto loro concepisce Cristianamente sdegno, e odio contro la Teatrale; Disonestà, e impudica Ricreazione. E io colpendo nel bersaglio di questo fine, finisco di lanciar altre saette per ferire: e solo ricordo la grave sentenza del Santo ArcivescovoAntonino. « Contingit, quod bestialiter viventes aliquando bestialiter moriuntur.
»3. p, sum. T. 8. c. 4. §. 13. fine. Alle volte avviene, che se ne muore a guisa di bestia, chi, come bestia menò sua vita.
Punto decimo settimo.
Del frutto, che si può sperare da chi vuole scrivere, o parlare contro i Comici osceni con la debita distinzione da’ Comici modesti?
È un pregiato frutto di carità, porgere occasione a Comici, che essi medesimi tra di loro si correggano, quando alcuni tra di loro si mostrano difettosi. Or frutto di tal sorte può sperare, chi vuole usar la penna, ovvero la lingua nel Comico Soggetto, distinguendo l’ombra dalla luce, il Vizio dalla Virtù, e il Professore osceno dal modesto. Infino i medesimi Comici che si persuadono d’esercitare con Virtù l’Arte, accettano per vero il detto mio; e lo confermano con i detti loro. Beltrame pone lui sul fronte di un suo Capo per titolo questocap. 42. avviso {p. 254}. Se coloro, che riprendono gli scostumati Comici facessero distinzione da’ buoni a rei, darebbero occasione, che gli stessi Comici tra di loro si correggessero. Edi più nella spiegatura del contenuto in detto Capo in un luogo dice.
Se l’esagerazione fosse inviata solamente a chi mal’opera, darebbero occasione a Comici stessi di correggersi l’un l’altro: poiché sarebbero tutti contro di chi sconciamente avesse parlato, dicendo al mal fattore, che per sua cagione si fosse fatto quel schiamazzo: e gli sarebbero protesti di scacciarlo dal consorzio, se più cadesse in tali errori; non volendo i Galantuomini aver pubbliche mortificazioni. Ma scrivere, e dir male in pubblico con parole tal volta ignominiose; cosa, che non trovo, che abbia detto S. Paolo agli Ebrei, né S. Tommaso d’Aquino a gli Eretici; non so, chi l’approva per bene. Sin qui Beltrame. Al quale io voglio rispondere; e insieme dichiarare distintamente il mio parere in questa materia. E però.
Dico 1. Niun dotto Teologo; e niun’altro savio Scrittore di quanti fin’ora da me sono stati letti, e credo anche niuno tra Predicatori, scrive, o dice che la Commedia sia illecita; ma tutti, che scrivono o parlano contro di lei, e contro i Comici, intendono di scrivere, e di parlare contro la Commedia illecita, e contro i Commedianti immoderati, « qui moderate ludo non utuntur
». E ciascun Autore bastevolmente si dichiara distinguendo illecito, dall’illecito, e il modesto dall’osceno, in questa materia. Né credo, che Comico alcun possa veramente convincere di menzogna questo mio detto: tutto che non se lo persuada per vero, seguendo il parere, e il lamento di Beltrame, del Cecchino, e d’altri Comici, i quali sono Professori della Teatrale Moderazione; ma la praticano immoderatamente.
Dico 2. sanno ottimamente que’ Teologi, quegli Scrittori, e que’ sacri Dicitori, i quali trattando questo Comico soggetto, usano, e da principio, e nel progresso del Trattato, più, e più volte, la debita distinzione della Commedia lecita dalla illecita, e degli Attori Virtuosi da’Viziosi con protestarsi tal volta, e replicare, che professano di vituperare solamente le cose indegne, e non già le degne di comendazione; perché questa distinzione {p. 255}, protesta, replica, e dichiarazione è di gran conforto, e di molta soddisfazione a que’ Commedianti, che non peccano per malizia, ma esercitano secondo il debito Decoro; ovvero mancano per inavvertenza se per falsa persuasiva d’esercitarla bene, come bisogna per non peccare mortalmente.
Dico terzo. Gli Autori che scrivendo, o parlando, fanno distinzione da’ Comici buoni a’ rei, danno occasione, che i Comici tra loro si correggono, ma, o non si fa tal correzione, o se si fa, non segue l’emendazione per ordinario. Io mi rattengo dal provare, che, con la distinzione danno occasione : perché i medesimi Comici lo concedono, e asseriscono, e desiderano, che si faccia, da chi scrive, o parla contro di loro.
Ma dico bene, che non si fa tal correzione: e credo,proceda la Ragione da qualcuno di questi rispetti. O perché, i Comici, che potrebbero, e dovrebbero, come principali, e d’autorità in una Compagnia correggere i tristi, sono essi ancora poco buoni; e però poco si curano, che si reciti senza peccati: e senza le solite oscenità. Ovvero perché vivono ingannati dalla propria opinione, stimando che le loro Commedie siano lecite, e modeste; e non illecite, e oscene, come dicono i Teologi, e gli altri Scrittori, e Predicatori comunemente, e ragionevolmente.
Ho saputo da un onoratissimo, e dotto Religioso, e Predicatore, che il Comico Beltrame faceva dentro la Scena gagliarde correzioni a qualunque Comico, che atteggiando avesse detto qualche equivoco troppo osceno, e troppo vituperoso; mostrandogli, e istruendolo, come poteva moderarlo per un’altra volta. Dal che intendiamo, che Beltrame, come poi ha stampato, aveva opinione, che non tutte le oscenità rendevano la Commedia illecita; e però non faceva la correzione, a chi usava parole brutte di bruttezza ordinaria. E pure aveva letto in S. Tommaso, che l’Istrione modesto non deve servirsi « turpibus verbis, vel factis
». Simile a Beltrame è il Cecchino, e altri moderni Commedianti, i quali portano per lo Mondo, e pubblicano con detti, e con fatti un opinione da tutti i Dottori {p. 256}condannaata, come improbabile, e indegna ; cioè, che qualche oscenità mortale, et scandalosa si possa rappresentare nel cristiano, e modesto Theatro.
Il terzo rispetto, per cagione di cui non si fà da' Comici la correzione à qualche Comico scostumato, è la necessità, che hanno dell'opera sua perché se colui corretto si sdegna, e non vuole recitare, gli altri Compagni restano in secco, e la Compagnia, o si guasta, e si disfà in tutto, o rimane tanto imperfetta, che non può con sodisfazione dell'Auditorio recitar le sue belle, morali e virtuose Commedie. Così mi disse appunto una volta in Firenze un Capo di Compagnia nomato Aurelio tra' Comici ; soufandosi, che alle volte tra molti buoni, e virtuosi Compagni bisogna aggiungerne uno di natura tristo, e scostumato, e troppo libero nell'oscenità ; ma, per far compiuta, e perfetta una Compagnia di buoni, e valenti Recitanti, bisogna procedere in questo modo, e sopportare con patienza un tristo Comico di costumi rei per godere l'Azione di molti buoni, et virtuosi. Nè occorre fare la correzione a quel tristo ; perche no v'è speranza di fiutto alcuno.
Ho detto nell'ultima parte della Propositione. Se da' Comici buoni si fa tal correzione, non segue l'emendazione per ordinario. E per efficace prova di questo basta la continuazione de' Recitamenti osceni, co' quali i Mercenarii Commedianti ogni anno seguitano d'infettare nelle Città Cristiane il Cristiano teatro con grandissima offesa di Dio, et rovina spirituale d'innumerabili Fedeli, che rapiti da quel dolce incanto per due minuti di vanissimo diletto vendono il tesoro della Divina Grazia, et vivono mendichi nel peccato.
Dico 4. Per la correzione de' comici scostumati gioverà molto aggiungere alla detta distinzione una diligente, minuta, e esatta dichiarazione dottrinale, con che resti pienamente spiegato, quale sia la Commedia oscena ; e per quali, et quanti rispetti, o cironstanze si giudichi da' Dottori comunemente essere oscena, e perconseguenza indegan del Teatro, se non riceve la necessaria, et totale Moderazione. E tutto questo si è diffusamente spiegato nel Libro intitolato, La Qualità. al quale rimetto {p. 257}il Lettore, pregandolo a supplire ivi co' fioriti pensieri della sua fecondità ove la sterilità dell'Autore sarà da lui manchevole giudicata. Con tale dichiarazione resteranno bene, e fondatamente instrutti i Comici buoni, e virtuosi ; e conoscendo, quali siano i difetti degni de correzione, potranno, se vorranno, secondo l'obligo loro divino, et personale, nelle debite circonstanze, e con il modo prescritto dalla Cristiana Carità, correggere ogni Comico reo, e scostamato.
Dico 5. Io poco spero, che segua la correzione, e emendazione, almeno à lungo tempo, ne' Comici osceni, et scostumati ; se i Signori Superiori, i quali possono, e devono, non applicano efficaci rimedii, per levare in tutto dalla Cristianità questo morbo pestilenziale delle oscene Rappresentazioni. E se non confidassi nella loro diligenza, e efficace aiuto, temerei la sentenza di Salustio usata da' Theologi. « Frustra niti et nihil aliud laborando, quam odium, quaerere, extrema dementia est.
» E una stoltezza l'affaticar se stesso, per far acquisto dell'odio altrui. Supplico però humilissimamente tutti i Sig. Superiori di efficace rimedio, come sono obligati. Ed io à questo fine ho scritto il Libro, che s'intitola L'Istanza. il quale quando stampato, sarà, spero nella Divina Bontà, che non sarà lettura infruttuosa. Moltissimi Superiori hanno ottima intenzione ; onde se sono certificati di potere, e dovere mostrarsi Hercoli valorosi contro qualche Hidra spaventosa, subito s'accingono all'impresa, e restano vittoriosi. « Atque haec quidem, concludo con Nisseno,De perf. Chris. form.studiosis ad repellendos Adversarios, et ad perspeciendam Veritatem satis erunt.
L’Autore
A chi ha letto. {p. 158}
Aggiungo a questa mia operetta nomata, La Soluzione de' Nodi, due altri Nodi, cioè due altri Dubbi, uno preso dalle oscenità de’ Libri impuri, e l’altro dal Recitamento delle Congregazioni: E perché la loro Risposta, e Dichiarazione non m’è riuscita di quella brevità, che io sperava, e desiderava, però la pongo qui al fine dopo le brevi Risposte date brevemente da me a gli altri Dubbi proposti, e risoluti in alcuni Capi, e in molti Punti. Il primo Nodo io chiamo Censura; il secondo,Giudizio, e propongo in discorso ordinato, e facile, la Soluzione d’ambedue, con desiderio di poter dire di ciascuno, per utilità grande di molti Fedeli, le parole scritte da S. Ambrogiot. 4. l. de Vocat. Gent. c. 3.. « Ad magnam utilitatem Fidelium materia est reservata Certaminum: omnibus corde mutato recta sapere, et recta velle donatur
». E per dare a tutti occasione di sempre vigilare, e fuggire quella, sicurezza; che, per essere incauta, cagiona in molti il pericolo di peccato, « Incauta securitas, avvisa S. Gregorio, periculum multis: semper vigilandum
»l. 20. mor. c. 5..
CENSURA
D’ALCUNI AUTORI
antichi, e moderni intorno a Compositori,
Composizioni, Lezione, e Recitamento di poca onestà.
Raccolta da un Religioso Teologo da Fanano. §
Nota prima.
Nella presente Censura, composta per via di Discorso, e distinta in Note, si propongono da considerare quattro cose; la prima i Compositori la seconda le Composizioni; la terza la Lezione; e la quarta il Recitamento. Intorno alla prima. Dico, che, chi compone una, o molte Commedie oscene, ovvero Libri disonesti, meritamente è censurato da Savi. S. Agostino scrive, che appresso i Romanit. 5. l. 2. de Civit. c. 14. erano proibiti dalla Legge delle 12. tavole i Poeti Compositori delle Favole offensive della fama de’ Cittadini.
« Poeta Fabularum Compositores duadecimum tabularum Lege prohibentur fanam ladere Civium.
» Ma vuol bene il diritto di ragione, che si proibiscano molto più i Poeti Compositori di oscenità; poiché questi offendono, anzi lacerano, e distruggono la bontà de’ costumi, e la perfezione delle virtù ne’ Cittadini. E per questa proibizione fatta contro tali Poeti impuri meritò una bella palma Platone a’ parere del medesimo {p. 2bis} Santo. « Platonicap. tit. danda est palma hæc turpia et nefandas proibenti, qui cum oratione formaret, qualis est civitas debeat, tanquam maduer sarios civitatis Poetas cesuit urbe pellendos.
» E dopo Platone altri LegislatoriBaldesano nello stimolo par. 1. c. 6. p. 72., e Principi fecero l’istesso acciocché tali Compositori col modo loro di dire, non ite intentassero gli uomini, e come fiere li rendessero. Marco Giulio più volte giustamente si sdegnò contra costoro; e disse una volta (e lo riferisce S. Agostino) « Quas illi obducunt tenebras? Quos invehunt metus? Quas inflammant cupiditates?
» 2. dict. civit. c. 14. e rendendo la ragione; perché meritamente i lascivi Compositori debbano aver il bando dalle Città ben regolate, dice. « Molliunt animos nostros, nervos omnes virtutis, elidunt
»2. Thom., rendono molli, e effeminati gli animi nostri, e tagliano tutti i nervi della virtù. E non il Lettore, che Cicerone parla di que’ Compositori, i quali «magnam speciem doctrina, Sapientieque prasetuleruint», che mostrano vita, gran pompa, bellezza, e apparenza di dottrina, e di sapienza. Or che direbbe di que’ Poeti, i quali non pur non hanno gran mostra di sapienza, e di dottrina, ma fanno professione di cantare favole, sogni, paradossi, incantesimi negromanzie, furie, frenesie, e simili pazzie; e tanto più si pregiano, e
stimano degni di lode quanto peggio canzonano. E forse per questo rispetto l’imperator Romano cacciò in bando quell’ingegnoso Poeta; perché s’era mostrato Compositor impudico, componendo l’Arte de gli impudichi amori.
Di questi cosi fatti Compositori scrive il Religioso Teologonell’Antic. Par. 4. c. 1. pag. 312. Bresciano, avvisando, che sono persone discendenti quanto a costumi, da schiatta più tosto Epicurei, che cristiana: persone, come, si può vedere e senza timor di Dio, e che ben mostrano d’aver consacrato il corpo a Venere, a Bacco, e l’anima al, Diavolo. Cioè vuol dire, sono persone ree di grave colpa. E tali si giudicano per sentenza comune de’ Teologi nelle Scuole Sanchiez scrive, e con lui molti altril. 9. d. matr. d. 46. n. 42., « Componentes Comedias, qua res valde turpes ac ad venorem exercitantes continent, peccare mortaliter quia sunt multis causa ruina {p. 3bis} : licet compones id non intendat quia ex se prabet sufficientem ruina causam. Et facientes turpes cantilenas, plenas lascivis,dicit meritò peccare mortalier D. Antonius 2. par. t. 5. c. 1. §. 8.
» Cioè peccano mortalmente i Compositori delle Commedie disoneste, perché sono cagione di rovina a molti, il che si avvera, tuttoche il Componente non abbia tal’intenzione, perché egli quanto a sé, cagiona sufficientemente quella rovina: onde meritamente S. Antonino dice che peccano gravemente i Compositori delle Canzoni disoneste, e piene d’impurità.
Se bene forse essi poco si curano d’essere tenuti peccatori purché tengano la lode, e la laurea di buone, e eccellente Poeta. « Non ergo, dice il P. Famiano Strada, huic Poetarun generi obiciam operu suoru turpitudine eosque a scribendo infamia metu, aut iniecta religione absterrebo, na hoc ipsi a religioso irto ceptore haud facile expectant; ac minoris faciunt, pro civibus haud sanctissimis haberi se, modò Poeta interea laudè, lauruque retineant.
»l. 1. Pro. 3. pag. 77.
Spiega questo Autore ingegnosamente alla lunga, e con fiorita eloquenza un medesimo argomento con queste due Questione. La prima. « An Poeta dicendi sint obscenorum carminum Scriptores.
» Se i Compositori versi osceni si debbano chiamar Poeti. La seconda è. « An poetice faciant, qui versus faciunt impudicos.
» Se Poeticamente fanno quelli, che fanno i versi loro impudichi. Le quali Questioni se fossero lette spesso, e rilette da moderni Compositori delle Commedie oscene, e de’ Libri impuri, credo, che saggiamente risolverebbero di moderare la loro troppo nociva e oscena libertà; la quale meritamente spiace in gran maniera a tutti i virtuosi, e zelanti Professori della cristiana modestia. Lascio la giustissima querela di S. Cipriano contro i Compositoril. 2. cap. 2. delle oscene Tragedie; la quale si può anche usare contro gli Scrittori moderni delle oscene Commedie, e altre drammatiche, e impure Composizioni. Non voglio lasciar un caso moderno successo nella Serenissima Città di Ferrara, quando vi dimorò il Gran Pontefice Clemente Ottavo {p. 4bis}. Il Signor Cavaliere Battista Guarini desiderava ottenere una grazia da Sua Santità, e elesse per intercessione il gravissimo, e prudentissimo Signore Cardinale Baronio, a cui presentatosi, supplicò umilmente, a volergli fa onore della sua efficace intercessione appresso il Papa. Accettò il buon Cardinale di presentar il memoriale, e accompagnarlo con la molta caldezza delle sue preghiere: e così licenziò il Signor Guarini tutto consolato: dopo la partita di cui il Baronio voltato ad un suo domestico domanda. Chi è questo cavaliere? Lo conoscete voi? Si, Padrone Eminentissimo, egli è quel Guarini, Autore e Compositore de Pastorfido. Ohimè rispose il Cardinale, subito acceso di Zelo; presto, presto fatelo chiamare, e venga a me: non badi punto, presto sen venga. Venne, ma per sentire una palinodia, che non pensava. Voi, disse il Cardinale
con faccia grave, e alterata, voi siete, il Compositore del Pastorfido? Io non voglio domandar grazia alcuna a N. Signor per voi: perché col vostro Libretto avete fatto più danno all’anime tra Cattolici dell’Italia, che non ha fatto Lutero co’, suoi Libri tra gli Eretici della; Germania, e senza aspettar altra risposta, o scusa, lo licenziò non poco sconsolato, anzi assai mortificato. Ho saputo, anche per buona relazione; che il Signor Cardinal Bellarmino, che pur’ ivi d’ordine, di sua Santità si trovava ragionando un giorno col Signor Guarini, gli fece una caritativa, e amorevole correzione, dicendo tra l’altre cose. Io stimo, non essere stato tanto il giovamento de’ miei Libri; quanto è stato il nocumento del vostro Pastorfido.
Nota seconda.
Il P. Paolo Comitolol. 5. resp. moral. q. XI. Nu. 9. pag. 645., citando la dottrina spiegata da Platone ne’ Libri della Repubblica dice.«Cogendi sunt Poeta, ut vel maginem boni viri exprimant, vel apud non non scribant».. Bisogna sforzare {p. 5bis} i Poeti che o compongano cose buone o cessino dal comporre. E aggiunge. « Nemo Poeta prater civitates leges, e insta, vel bona fingere quidquidam audeat. Nec liceat, qua composuit ulli privatorum ostendere, antequam costituti hæc de re Iudices, legumque custodes, et viderint, et approbarint.
» Buone leggi sono quelle, e degne di essere praticate ancora nella Repub. Cristiana : nella quale devono i Superiori mostrare gran vigilanza, e risentimento contro i Compositori de’ Libri osceno.
Bernardino de Vigliegas Teologo della Compagnia di Gesù in un Libro dedicato alla Maestà della Regina di Spagna, scrive così.
A caso un giorno m’incontrai in un di questi Libri, nel quale un Poeta scriveva gli amori di certa Signora principale di Spagna, tenuta per onestissima, e con ragione. E vedendosi il Poeta intrigato, parendogli, che con la verità dell’istoria, e della buona fama di quella Signora, non s’accordavano bene gli amori, e leggerezze, che fingeva nella, sua favola, fu costretto per conservare la sua riputazione, porre al principio della sua Commedia, che gli amori, che in quella trattava, non erano veri, ma finti, a fine di dar trattenimento a Lettori Invenzione, con la quale se bene ebbe risguardo all’onestà della Signora, di cui parlava, non l’ebbe però per quella de’ Lettori, che avessero a leggere le sue finte leggerezze: e così fu in buon linguaggio dirci, che l’attrattiva della sua favola erano gli amori vani, che fingeva. Questo è il zuccaro, che si pone in questi Libri, per addolcirli. O Dio e quanto in questo secolo hanno rovinato i buoni costumi somiglianti Libri? E quanto orrore di pene aspettano nell’altra vita gli Autori di sante, rovine? Non si spaventi V. S. perché io parli con tanto risentimento intorno a questa materia; poiché, avendo veduto danni irreparabili, e dolorosissime cadute, principiate da questa vanissima vanità, tanto protetta dagli sciocchi idolatri delle Commedie, mi crepa il cuore; e non trovando {p. 6bis} proporzionato rimedio a si gran ferita, almeno con il piangere, e deplorare le nostre disavventure, mi pare, che mi s’alleggerisca il cuore e mi si quieti l’anima.
Al sentimento di questo Teologo possono far riflessione i Compositori osceni; che forse risolveranno di mutar stile, e abominare l’oscenità. Si possono anche ricordare di quel Vescovo Alessandrino, nomato Achille, il quale fu di poca stima, e riputazione appresso gli antichi per essersi dilettato di essere uno di questi vani e indegni Compositori. E possono di più con maturo consiglio far un poco di considerazionelib. 12. Eccl. Hist. c. 44. in ciò che scrive Nicosoro intorno all’Etiopica di Eliodoro Emiseno Autor Greco, e Vescovo Trecense. Cioè. Un Consilio Provinciale vedendo che quel Libro tutto che fosse una onestissima narrazione e descrivesse un castissimo amore, era nocivo alla pudicizia di molti Giovinetti, comandò al Compositore, che l’aveva pubblicato in sua gioventù, o che lo levasse dal mondo col fuoco o che lasciasse la carica episcopale, e l’ufficio di Pastore delle anime; quasi accennando, che non può essere buon Pastore colui, che alle sue pecorelle non vieta i pascoli troppo vezzosi della impudica lezione degli osceni Compositori.
De quali scrive il P. Francesco Ribera in c. 1. mich. n. 60. che mandano Soldati al Diavolo. « Emissarios dant Regi Affisiorum, idest Diabulo qui prodigi ingeni sui, atque oti, ac nequitia sua. Poeta peccatum suum, velut sodom predicantes, amtoria. Et lasciva carmina scribunt perinde ac si ethnici essent; a quibus, cum sensu et voluntate non admodum discrepent etiam verbis non discrepare. At quot sunt ex hoc genere, et apud nos, et apud Italos, et Gallos? Eiusdem factionis sunt, qui Arcadias, et Dianas, et id genus vanissimos libros conscribunt, quas adolescentuli tenera atate imbibant, et Virgines, atque onesta famina insinu gestent, ut siant inonesta. Quid dicam de vanis ac perditus, hominibus errantibus, ac in errore mittentibus, qui sictorum Heroum quasi res gestas litteris mandant, et ardentes amores, amatoria colloquia, et facta turpissima confingant quibus {p. 7bis} in animis iuventum atque etiam virorum ignè incedunt Gehenna? »
E poco dopo aggiunge.
« Novi adolescens sartorem Salmantica, qui diebus profestis tacetus artem exercebat suam, semperque fere quasi in stuporem raptus videbatur; festos antem ea scribebant qua per hebdomadam de fictorum Heorum factis, amoribusque consingere libuerat: hæc meditabatur: his sacrorum, dierum otia tribuebat. Quot putabimus ad ostis emissarios dari Regi Assyriorum, ut expugnevi pudicitiam, et christiana vita puritatem.
»
Di questi Compositori scrisse Dresselio nel Niceral. 1. c. 9.. « Sunt hoc fado scribendi genere priscorum, et recenti plurimi infames, et quibus ali historis textun, ali satiras scribunt, ali poemata pangunt; illi fabulas concinnant; illi alium scribendi circum ingedientur, in quo veris, tum sictis narrationibus, historis, et fabuli, hoc unum, agunt, ut lectorum animos Veneris lue venenent: erat minimum ad cogitationes impuras, si non ad lascivos sermones. Et ipsos ausus polliciant. In hoc tales iure comotior Tullius. Molliunt iniquit, animos nostros, nervos omnes virtutis elidunt. In horum albo, sunt plerique omnes prisci Poeta, fabulatores, Satyrici: non omnino, ne nosse doceam horum omnium scripta, si castigata non sint, et ab obscantatis sordi bus eluta, lectori meirssimum venenum sunt.
»
E dei moderni Compositori osceni io dico, che possono temere qualche grave castigo da Dio, se differiscono la tremenda emendazione; in testimonio di che si può allegare Giuseppe Ebreo, il quale afferma, che Dio mandò a Teopompo,e a Teodotte la piaga della cecità; perche si erano dilettati di essere Compositori viziosi, e impudichi. E piaga più grave meritano i nostri Poeti, e altri Compositori disonesti per molte ragioni, alcune delle quali spiega Baldesano dicendo.
Licenziosamente si dimenano per bocca Imperatori famosi, illustri Principi, guerrieri, e paladini, altrimenti prodi, e generosi, adulterando in quella guisa la verità delle storie, ottenebrando le prodezze, e fatti d’onoratissimi personaggi {p. 8bis}, seppellendo i loro gloriosi nomi, degni dell’eternità, sotto le tombe delle loro finzioni, non poetiche, ma diaboliche, trasformando a piacer loro le persone di essi in furiosi, e forsennati mostri, e quel che è peggio, attaccando loro gravissime infamie di sporchissima vita. Che se gli antichi Greci, e Latini Poeti trattarono i loro Dei da adulteri, incestuosi, ladroni, bugiardi, parricidi, e colmi d’ogni scelleratezza, fu perché in fatti erano stati al mondo, mentre vissero, uomini di pessima condizione, e vita: ma che fra Cristiani si trovino Scrittori, i quali sotto invenzioni fantastiche, e canzoni ben tessute, e infilzate, sparlino a piena bocca di Eroi tanto segnalati, e tanto benemeriti della Cristianità e per mezzo di disoneste operazioni, dette, e scritte di uomini, che le abominarono, come per tante tazze, dar’a bere a chi legge, il veleno di mille vizi, e cosa nel vero per se stessa intollerabile, e degna di essere deplorata con lacrime da chiunque ha scintilla di zelo dell’onor di Dio e di salute delle anime, le quali con simili Libri miserabilmente restano prese a migliaia nell’uno, e nell’altro sesso, e fin dall’età fanciullesca fatte preda del peccato, e de Demonio.
Nota terza.
Operarono malamente gli Ateniesi Scrittori, quando nelle Tragedie loro infamarono, quasi che fosse Tiranno, Minosse, il quale secondo Platone fu Re giustissima di Candia, ma di colpa maggiore fannosi rei i moderni, e impuri Scrittori: onde gravemente, e con gran zeloIn Orat. De vitanda libroru morib. noxioru libror. il P. Francesco Sacchino della Compagnia di Gesù scrive contro que’ Cristiani, che impiegano l’ingegno, e la fatica nelle disoneste Composizioni, e tal’ora infamatorie di persone virtuose; e stima che siano peggiori in qualche {p. 9bis} parte, che non erano i fabbricatori degli Idoli, e i medesimi Idolatri. « Me nequeo continere, avvisa egli, quin detester impia eorum ingenia, qui hisce quoque temporibus ita duro sunt ore, ac mente perversa, talia ut audeant scribere, et Cristianorum nomine censeri velint. Quanto iustius hosce Veneris, Cupidinisque cultores appellem, quam ipsos Simulacrorum, Idorumque cultres? Persimtlis enim horum, et quadam ex parte peior est causa, quam statuari Idola fingentis: et tamen de eiusmodi opifice clamat gravissimè Tertullianus. Colis, non spiritu vilissimi nidoris, sed tuo proprio: nec anima pecudis impensa, sed anima tua illis ingenium tuum immolas: illis sudorem tum libas: illis prudentiam actendis.
» E dopo questo Sacchino « escalam o stuprem, o nequitam, o impudentiam in credibilem: Christianum te profiteris idest discipulum onestatis, et magister es turpidinis?
» Mostra egli anche, che questi turpi Compositori sono di somiglianza contrari al Salvatore, quasi, che possano appellarsi Anticristi, « Quid enim isti simile habent Salvatori, ut salutem ex eo debeant expectare? Ille venit virtutum e regno pudicitia praco, onestatis magister, innocentia restitutor. Isti ex lustris, et ganeis prodeunt pubblici Lenones, flagitioru pradicatores, sanctimonia hostes, et expugnatores. Inter mundissima ille pascitur
lilia integerrimis Virginum septus choris. Istos volutabra fadissima inter poreos, ac verius, inter Demones oblectant, ac saginant. Ille pro gloria Dei subire atrocissimam mortem non dubitavit. Isti eos edunt ingeni satus per quos contra Deum vel mortui militent. Absoluam uno verbo. Animarum ille salutem sanguine emit suo. Earundem isti summo stusdio, cunctisque opibus mercantur exitium.
» E di questi nemici del Salvatore, e Compositori impuri attesta di più, che a suo parere la loro salute è affatto disperata. « Ut hoc etiam, quem admodum sentio, apertam, istius modi hominu salutem ego deploratam, ac desperatam prope modu habeo.
» E benché un tal detto possa nominarsi un’oratoria esagerazione, nondimeno egli si sforza di provarlo con buoni argomenti, e massimamente con quello, che tali Compositori guerreggiano contro di Cristo sfacciatamente, e però {p. 10bis} si danneranno, « nisi feriò resipiscant: certu, iniqua, atque exploratu est, actum de ipsis in senpiternum esse.
» In oltre mostra con bel tratto d’eloquenza, e con varietà di pensieri, che un Compositore di Libri disonesti par non si contenti di nuocere a se stesso; ma gode ancora di nuocere gravemente a moltissimi altri di varie città, province, e regni, quasi che voglia essere di rovina a tutto il mondo. Ne si contenta il crudele di avvelenare solamente quelli, che di presente godono l’aura della vita; ma prepara il veleno ancora per coloro, che devono venir a luce col futuro nascimento. O che mostro insolito si è un Compositore disonesto: o quanto è pernicioso, e molto più d’ogni altro mostro, I suoi nocumenti, e le sue stragi sono maggior di quelle, che già cagionavano gli Stregoni, e i Malefici scellerati, i Tiranni crudeli, le bestie portentose, le spietate Circi, le inumane Medee. Che più? « Nulli Mezenti, Procrustas, Cyclopes, nulla Sphinges, Hydra Harpia, fuerunt, quarum seu vera, seu sicta, mala cum veris istorum flagibus conferri queant.
» E io
dal suddetto raccolgo secondo il concetto formato dal medesimo Sacchino, che pazzo, e furioso nomar si può l’impuro Compositore e invero « quid dementius, quam in eo desudare texendo, quod nisi tandem ex animo detesteris, et omni cura retextast, ac detestruas, saluus esse non possis? Quid furtosius, qua sic prestantissimis Dei donis abuti, et conterere in is conscribendis ingeniu, qua certo scias tibi ipsi, vel eterno post mortem luenda supplicio, vel vivo, videntisque abolenda lacrymis extingenda flambi?
»
E anche una pazzia dell’impuro Compositore fingere pazzo per amore alcuno segnalato Eroe, che pretende con lodi celebrarlo, e magnificarlo.
Il P. Famiano Strada mostra con l’esempio del Sapientissimol. 51 Prolus. 3. p. 104. Poeta Omero a Poeti osceni del nostro tempo, che devono macchiar la vita de’loro Eroi con le impurità. « Homero Poeta Sapientissimo, dice egli, cordi fuit integritas suorum Ducum: cum isti hoc tempore, qui se populo veditant Homeri sorbole, dum novos mundo Achilles, atque Iliadas pariunt, Heroas {p. 11bis} suos, duces, milites castra, pretoria, capos, omnia muliercularum amoribus impediant, vixque strenuum aliquem Bellatorem carmine describant, quin hæc insania laborantem atque a Martis ad Veneris signa transfugientem inconstanter, ac fede comententur.
» Ma con questo Autore nella seguente Nota più a lungo ragionerò di questi osceni Compositori.
Nota quarta.
Dalle Profusioni dell’addotto Autore, come da’ fiorito giardino, ho scelto, quasi fiori, le seguente considerazioni.
Egli stima, che il male delle impure Poesie, e de’ Poeti poco modesti, sia tanto cresciuto, che l’uomo virtuoso vergognar si possa d’essere tenuto Poeta.
« Quod malum adeò crevuit in dies; adeò deformia, et fæda carminu potenta nostra hæc etas videt; adeò postremi quique Poetaruml. 1. Prol. 3. p. 77. luiulenti fluunt, hauriunto; de face ut sanctum Poeta olim nomen timidè iam a bonis usurpetur: perinde quasi onesto, ingenuoque viro, Poetam salutaris, conuicio, ac deonestiamento sit.
»
Egli espone con lamento il grave danno, che arrecano, dicendo. « Quid serio id agunt, ut Veneris faciem conquisit unde unde pigmentis exprimant; qui codò sepe reciproci nesciunt de tabula manum, quod aiunt, attollere; qui contenti subieceisse impudica oculis simulacra, moxant nihil ipsi reprehendunt: aut etiam in iudicium Paridis inclinant, tacitique intemperantia favent. Hos ego commentis suis inventutem pellicientes insector horum Poesim lutulentam, ac defadam magno mortalium malo propagari queror ab his accipi ad peccandum inuitamenta, supponi hominum mentibus facies ad libidinem, malis actos animos intemperis, circa; nescio quo poculo de rationis statu deturbatos in pecudis mores, sordesque traduci, tusto sane dolore declamo.
»l. 1. Prol. 4. p. 142.
Egli paragona questi Compositori con i Fabbricatoriibid. p. 124. degli Idoli, scrivendo. « Negat D. Thomas, licere operam dare fabricandis {p. 12bis} Deorum simulacris, artemq huiusmodi inttradicit Deus immortilis: quam multa hodic Veneris illi (sic impara commenta Poeseos appello) non lapide, lignoue, sed litterarum voluminibus hoc est monumentis are perennioribus fabricantur? Et licere sibi huiusmodi artes, homines exstimant in hoc candore e castissima Religinis nostra: nec intelligunt in tam bono, sinceroque lumine quam vili se sordidoque negotio fadè contaminent, quam infami cultum mortalium animos servituti Demonum impiè mancipatos habeant quam plagam pudicitia, quam caldem Religioni, quam contumelliam Principi omnium Deo nefarie moltantur.
» E segue a spiegare, che questi Compositori sono più nocivi, che i Fabbricatori de gli Idoli: perché, « Illi, qui Deorum signa fundebant olim, fingebantque non ita demum ea fabricabant, qui is simulacris uti etiam homines possent sine ullo superstitiones cultu ad adium ornatum, aut fulcimentum. At vero qui impudica Poesos Idola inverecunde, impudenterque concinnata, atque ad omnem turpidinem fabrefacta proponunt, què denique usum relinquunt intuenibus, nisi ut eorum aspectu, cultuque violata femel hominum mentes, deserta onestate abiecto pudore, in regnum complexumque voluptatis qua nihil est inimicius Virtuti, misere transfugiant
».
Egli cercando le ragioni, per le quali questi Compositori applicano l’animo allo scrivere cose brutte, ne spiega due una di malizia, l’altra d’ignoranza: della prima dice. « Interdum ex opere interpretor indolem naturumque Scriptoris: didici enim ex Aristotele, Poetarum precipuè locubrationes partus vocari; nec magis a Parentibus liberos, quam a Poetis amari Libros suos: hinc ubi aliquid intueor obsceni carminiso suplicari venit in mentem, partum esse Parenti similem; non potuisse, ex impuro, turpique ingenio pulchriorem, nobilioremque subolem procreari
»Prosul. 3. p. 111. : Quello poi, che dice della seconda cagione, cioè dell’ignoranza, e questo. « Opus impudice compositum in Scriptoris incitiamo referre plerumque non falsum incipio. Etenim Poesim condere, qua sine artis iniuria delectet pariter, ac prosit, tanta felicitatis ingeni est, ut (quasi a Deo precipue fuggerantur ea in re vires) dixerit olim Socrates. Tunc se homineso offendere Dei sobolem, cum dignum {p. 13bis} Poeta nomine carmen emittunt. Id ergo cum isti animadvertant, seque ea ingenti excellentia, nobilitateque destitutos intelligant, tantum ut operis moliantur, quod summis, atque imis gratum in virtutis complexum recta mortales ferant; dant se in alteram viam, et conquisitis (quod difficile non est) canoris ad oblectandum nugis, isque arma inter, amoresque turpiter, ac fede illicis, sic eam hominis partem, qua facilis captu est, alliciunt, titillantque sic se in vulgi, manus, atq i animos, homines facti ad ingenium vulgi, pertinaciter insinuant; ut quam expectare Poeta laudem ab ingeni sui infelicitate non poterant, eam se suffragio plebis sordissimis hisce blanditis delinita impetraturos facile sperent.
» Egli esclama contro i Poeti nostri osceni. « En Nostri, ingegnio tam pravo, qua turpi, Poematis particulam condunt fere nullam, quam amatoris fabulis adstomachum usque non infictant simulque
titillantium illecebris voluptatum non emolliant mares animos ac lenocinantis ubique Veneris interictu omnia non infament. O nomine sordium hirudines, immo o sordes ipsas, et faculam Poetarum.
»
Egli brama che questi Compositori di favole Amatorie si raveggano, e dice. « Utinam, quemadomdum satis intelligunt homines, non licere sibi ad hasce Amatorias Fabulas accedere incolumi pudore; ita earum conditores tandem aliquando animaduerte rent, quam parum sibi Poetica gloria, quam multum alis solida iactura, cladisque inanibus hisce commentis quotidie creent: profecto puderet eos non minus in christianas leges, qua vita debent esse chariores, quam in poeticas, quibus dant operam praceptiones, ac fabulas tam inscitè, turpiterque peccare
». Egli non accetta per buone le scuse, con le quali i Compositori osceni si difendono in più maniere: una delle quali fondano sopra l’imitazione degli antichi Poeti, e dell’istesso Omero. « Ridere Soleo, dice, cum homines vide ab Homeri virtutibus, quibus universa illius Poesis abundat, strenue declinantes si quid vero irrepsisse videtur in eam viti, avidè arripientes.
»Prolus. 3. p. 93. Si ride di costoro, che lasciando d’imitare le perfezioni d’Omero, s’ingegnano d’imitar i suoi difetti; come fece quell’antico sciocco che imitando il dilettoso balbutire d’Aristotele, giudicò {p. 14bis} di essere un lodevole Filosofo, e vero imitatore Aristotelico. « Huic ego non dissimiles illos existimo, quid Homeri Poetarum Magistri Caomen accedentes, cum ex eo ad omnem virtutem invitamenta posset accipere, diurna hæc omnia (vitione humani ingeni ad deteriora procliuis, an quia rebus ipsi melioribus impares sint?) oscitanter, ac stolide pratereunt; nec magnpere laborant, illustre ut aliquid, ac memorabile inde mutuentur; ubi virà impura nomen voluptatis sonat, ac pingutori, non tam Minerva, quam Venere dictum quid vident, illuc homines voluptari adbiniunt, rapiunturque in id animum cala numque repente accommodanto; illius imitatione Poetas iam se ac (si Diuis placet) sesquibomeros scilicet effectos arbitrantur.
»
Ma se PlatoneDial. 2. de Rep. non approvò il racconto degli amori de’ Dei, e delle discordie loro; e insegnò, che Omero in quella parte si era mostrato, non solo non buon Cittadino ma anche mal Poeta, e difettoso nell’arte sua: che dovremmo noi giudicare de’ Compositori osceni delle favole Amatorie, e disoneste? « Si hoc, quantulum est viti non tulere in Homero Sapientes: quid in is faciant,in quorum carminibus si quid bonis est hoc ipsum est, quod in Homero est mali?
»
Egli paragona costoro a Camaleonte il quale, se bene quasi tutti i colori prende nondimeno imitar non può candore: così questi passano senza imitazione ciò, che Omero, e molti altri Poeti antichi hanno scritto candidamente, e puramente; e si fermano nell’imitazione di qualche impurità. « Videas interdum aliquos, qui se ad antiquorum lectionem conferentes, pleraque eorum, qua pudicè, candidèque dicuntur, evoluunt oscintanter, ac ubique incuriosè dormitant. Cum virò lutulentum quid, ac pingue sonnerit, hic nimirum axcitantur indesides animi, ad eiusque imitationem continovo mentem, opermaque convertunt, quasi, Si nonsequantur, (et sape, ut sunt infeliciter ingeniosi, etiam consequuntur) extemplo Apollinari Laurea Superis, hominibusque nolentibus, donandi sint.
»l. 1. Prolus. 4. p. 139.
Egli parimente confuta quella scusa con che costoro dicono di comporre Opere oscene; acciocché si scorga la {p. 15bis} bruttezza de’ vizi; e sia fuggita da tutti, e detestata.
« Scio, hoc asylum esse eorum, qui obscena Componunt. Verum si hæc impure, atque intemperanter admissa ea gratia narrantur, ut enitentur: Primum cur obsceno Heroi, ac Principi viro affinguntr, qui carmine proponitur ad imitandum ceteris? Deinde cur ad hasce oris improbi nugas, quas indicasse, idque rarenter plus nimio foret, istitam libenter tam cerebò, tamq diu, atq otiosè revoluntur? hæc enim duo sunt, qua mihi suspectam reddunt istorium Sapientiam, qui obscena versu tractantes, profuturos se generi humano putant.
»p. 101.
Spiega alla lunga queste due cose: e confuta efficacemente cotale scusa: e di più aggiunge. « Qui istac perversitas est, quarere potius medicinam vulneri quam cavere, ne vulnus infilgatur? Circulatorum est; Psyllorumue artis ostentazione sibi carnem infesto cultro concidere, aut venenum aliquod exorbere ad vim, potestatemeque pharmachi cui sidem adstruunt declarandam. Quamquam tu quidem Circusoraneis istis gravius multò peccas: siquidem vitia ipsa, morbosque animi dum curare te dicis, tum vero facis, atque infers in ipsa, curatione perniciem?
» p. 104. E aggiunge l’autorità di Scaligero, il quale vuole più tosto astenersi dal riprendere i vizi, che proporli con il parlare degno di riprensione.
« Malo non reprehendere vitia detestanda, quam in execranda oratione mereri reprehensinem librumque meum efficere eo nequiorem, de quo verba facio.
»p. 99.
Egli anche ricorda, che i principali Poeti degli antichi hanno scritto pudicamente:e nomina per tali « Lucanu Statium, Silium, Flaccum, Heroicos prope omnes
» ; e di più « Carminis Principe, apud nos Virgilium, apud Gracos in tribus summis generibus, Epico, Lyrico, Tragico, Homerum, Pindarum, Euripidem
».
E alla fine conclude, che i Cristiani Compositori debbono emendare dalle oscenità almeno convinti dell’esempiop. 100. de’ Gentili. « Tandem aliqnando intelligant, faditatesque suas Ethnicorum saltem exemplo castigent.
»
Al molto detto sin qui dallo Strada aggiungo per conclusione un poco del detto di altri.
Il P. Daniello Bartoli nota di questi Compositori lascivi, {p. 16bis} che dicono di non pretendere ne’ loro scritti il danno altrui ma l’onor proprio: e egli confuta molto bene tale scusaNell’huomo di lettere pag. Mihi. §. 5., dicendo più cose; a me basta questa risposta. In quale scuola hanno imparato costoro, non volersi quello, che si dice di non volersi, mentre in tanto avvedutissimamente si prendono tutti i mezzi, onde quello, si ha; si che se altro non si pretendesse, altri non se ne prenderebbero? Se il fine d’alcuni Poeti fosse stato quest’uno di svegliare col diletto della favola, e del verso in altrui stimoli di lascivia, potevano farlo più acconciamente più efficacemente? E quando componevano, erano o si stupidi, o si ciechi, che non se n’avvedessero? E può dirsi, che non volessero quello, che in si gagliardi mezzi efficacemente volevano? A questo Autore aggiungo Baldesano, ove dice.
Nella Chiesa Cristiana se bene vi sono stati valentissimi Scrittori, eziandio in versi, come tra Greci Gregorio NazianzenoNello stimolo p. 1. c. 6. p. 67., e li due Apollinari, i quali furono eccellentissimi Poeti; e tra Latini Iuvenco, Aratore, Avito, Prudenzio Sedulio, Paulino, Vittorino, e altri; niuno però di loro imbrattò mai la penna, o i versi suoi di macchia alcuna, che avesse ne pur suspizione di poco onesto.
Il famoso Principe Mirandolano Gio. Francesco Pico scrive a Massimiliano Cesare Augusto d’aver spiegato una sacra istoria di Germania con alcuni versiIn lib. Io: Franc. pag. 354.. « Nil eas veritus calumnias, quas Philosophastri funderent, ignari, altissimos litterarum locos a prima antiquate metro son celebrari solitos, nec apud Platonem et Aristotelem satis diversati, quorum ab altero Epigramata, ab altero etiam Poemata excussa sunt; ut ipsius Poetica preceptu reticeam. Ipsi autem Theologi nec hymnos Ecclesia dissimuIent, nec nesciant Nazianzenu Hieronymu, Sedulium, Paulinu, et alio carmina cecinisse: nec eos praterietit, Mosen primum divinas laudes carmine hexametro decantasse, et hebraum calamum nonnullis divinorum Libris versuum mensuras impressisse, quas equidem, no solum licere, verum et expedire quoquo modo nostra etiam tempestate putanerim; modo fabulosa ne sit nec obscena materia; modo Gentilium {p. 17bis} Deorum memores ne simus, praterquam forte dum eos explodimus, dum damnamus. Sume igitur liberti animo Casar nostram hanc historiam carmine concinnatam.
»p. 354.
Dresselio poi dice, che lo Scrittore oscenoIn Niuta. L. 1. c. 5., « omnium horarum leno est, nulloque non tempore ad impuros cogitatus, motusque imitat lethali peste infict, quos obscentes habet atque in exitium suum curiosos. Ita sit ut multo maximas sit horum libro rum, et turpiu picturam pernicies cum illi tecta feditatis ingenioso involvero alliciant; ista tenaci oculoru visco decipiant, et castitate suaviter expugnent: neq talium libro rum Auctores aliud faciunt, qua qui fontes publicos veneno inficiunt, ut, tot funeru rei, quot quot inde biberint.
» L’ultimo Autore, che voglio allegare, è un nobileMonsig. Azolini., e ingegnoso Poeta, che scrivendo contro gl’impuri Compositori, dice ad Apollo.
« Qual biasimo, e disonor Febo raccogli,Mentre che l’odierne poesie,D’impurità sfacciate empiono i fogli?Son dunque Meretrici infami, e reeLe Muse che oggidì cantano cose,Degne di Lupanari, od’osterieD’abominande istorie, e vergognoseVa Clio fregiata, e va Polinia, a punto.Come se fusser gemme preziose.Infelice Paradiso che sei giunto:le tue pure fontane oggi a ToscaniNon fanno pro se non vi nuota l’unto.Ne già con modi si scoperti, e piani,Si proferian di Venere i segretiDagli Antichi Tirreni, e Avellani.O più d’ogni lenon sozzi Poeti,E pubblica la vostra ruffiania;La dove gli altri almen giocan segreti.Anzi quella di voi tanto è più ria,E più dannosa, quanto è men sospetta,E non ha tema di custode, o spia »
Apollo {p. 18bis} a proposito dell’autore.
« Io dunque andrò di tanta infamia asperso?Io, ch'odio e sdegno di si vil maniera,Ogni Poema, benché arguto, e terso?Sappi, che di cotesta indegna schieraA scaldar l’alme il mio furor non vola,Ma ben quello d’Aletto, e di Megera,E s’eglino si fan della mia scola,Temerari che son fabri d’inganni,Rispondo, che ne menton per la gola.Che per me canta gli amorosi affanni,Serba lo stil, che dinanzi usaro i mieiMesser Francesco, e Monsignor Giovanni.E cotesti Cantori impuri, e rei,Volentieri con le membra scorticate.Come viddi già Marsia, vederci.Oh vorrei che tornasse in questa etadeIl mio Platon, per discacciar d’AtheneCotal canaglia a furia di sassate.O pur dovria qualche signor da beneCon l’Arci maestro lor Publio NasoneMandarli in Ponto a rinfrescar le rene. »
E pure tali Compositori vivono felici nel mondo e non sono pochi; onde il P. Francesco Sacchino scrisse. « Multi ingento pariter, atq humanitate abusi faddissimis rebus scripta sut contraminarunt. Orat, de vitanda librorum moribus noxiorum lectione.
» Questi dovrebbero spesso sentire la bella e efficace Parenesi composta dal P. Daniello Bartoli agli scrittori d’impudiche Poesie: e che comincia. Uditemi o Luciferi della terra. In un .uogo di quella dice così? Uomo in terra non vive, cui Lucifero, miri con miglior occhio a maggior cura guardi e conservi, quanto chi s’affatica in distillar dal suo capo nella tazza d’oro d’un Libro ingegnoso o peste d’errori, o veleno d’impura Poesia. Uno di questi basta a torre alla meta de Demoni la fatica di tentare {p. 19bis} ; poiché un mal Libro vale per cento Demoni. E quei veri Misantropi di colà giù, fa v’è uomo, ché accarezzino come amico, e abbraccino, come caro, sono cotesti, che con Libri di durata immortale, e di malizia mortale hanno a combattere molti secoli contra il Cielo, e espugnare l’onestà in molti poeti, ed arricchire il loro regnop. 92. di molte anime.
O piacesse a Dio, che ogni Verificatore impuro considerasse, e praticasse il sentimento del famoso Poeta Carmelita Battista Mantovano, il quale avendo letto un Poema di Gio. Francesco Pico Principe Mirandolano, a lui mandato dall’Autore, scrisse in quello forma.
« Legi litteras et Poema tuum; Poema quod religiose, eloquenter, et docte conscripsisti, neque admirati satis possum habet enim sine mollitie, et impudicitia salem, ac leporem et delectat, non ut Flora. Sed ut Diana, non ut Venus, sed ut Minerva, miscens, quemadmodum pracipit Horatius, dulcedint utilitatem ac pulchritudinem: Poemata obscena, et impudica sunt iudicio meo inter vera Poemata, quales interprbas Matronas fornicaria Meretrices ego enim Poema vernum, et quod omne punctumo ferre possit esse non puto, nisi sit grave, castum, ac sanctum; quod Horatius innuit dicens.
Rem tibi Socratica poterunt offendere charta.
Nec audiendi sunt Poeta molles,et effeminati, quibus nihil sapit, nisi turpe impurum, purulentum, et olidum: sunt nimirum similes Scarabeis, qui pro ingenuitate natura sua ex stercore bubulo pedibus aversis pilulas volutant. Poema hoc tuum simile fluvio, qui currendo cerscit, quo magis procedit, videtur venustius, dulcius, grandius quod est inducium sortioris ingeni; sortioris, inquam in geni, quod exercitio non flacescat, sed laborando vires acquirat.
»Apud Io: Picum l. 4. ep pag. 1359. {p. 20bis}
Nota quinta.
Si dichiara, che cosa sono le Composizioni e i Libri poco modesti.
Questa è la seconda cosa delle quattro proposte, e della quale discorrono molti Dottori, e altri Scrittori molto santamente.
Ruperto Abate vuole, che queste Composizioni immonde siano parti usciti dalla bocca del Dragone infernale, e generati dalla bestia, e malvagità di tre spiriti immondi secondo quella Scrittura. « Vid de ore Draconis et de ore bestia exire tres Spiritus immundos in modum ramarum.
» Apoc. 16. 13. Tre spiriti di molta immondezza concorrono alla generazione di tali parti: il primo d’invenzione immonda il secondo d’immondo disposizione, e il terzo d’immondissima elocuzione, e questi parti si paragonano alle rane: perché come quelle così questi; vivono nelle paludi e nel lezzo della disonestà. E a questo proposito scrive che tali Composizioni sono, appunto come le Egiziane ranocchie, le quali rendevano ammorbatoSer. 81. deuter. tutto il paese: e pèrche saltavano fin sopra le tavole, dove si prendeva il cibo; e sopra i tetti dove si godeva il riposo, cagionarono grandissimo danno a tutti con il loro importuno, e sconcertato cantare, e gracchiare.
San GirolamoPs. 77. dice lo stesso. E di più porta opinione, che i Libri osceni possano paragonarsi alle ghiande degli, animali immondi e delle quali quel prodigo figliolo bramava empire lo stomaco; tuttoche a pieno satollo ne rimanesse. Nel che ci vien significato che i Compositori di tali Libri vivono a modo di prodighi figlioli, e danno pastura sozza, e immonda a loro bestiali e porcini affetti, senza però saziarsi di far nuove Composizioni piene di molte disonestà con grave offesa di Dio e danno del prossimo {p. 21bis}. Origine avvisa, che questi Componimenti impudichi sono simili ad un Calice d’oro, in cui si porge il veleno per bevanda. « Unusquisque Poetarum, qui putantur apud Ethnicos diversissimi, Colicem aurem temperauit, et in Calice venenum inievit, venenum turpiloqui, venenum eorum, qua anima interemunt.
» E qui per acconcio si può inserire il pensiero del gran LeggistaL.Cetero.4.§.tantundo.ff.famil.ercise. Nel rag.25 Ulpiano, il quale paragona insieme i veleni, e i Libri disonesti, e questi egli chiama « improba lectionis
». Componimenti, che danno materia di una scellerata lezione.
Il Mazzarino avvisa. Plutarco in una Operetta, e Basilio in un’altra hanno di questo soggetto a biasimo di cotali Libri alla distesa scritto: come avevano avanti, e dopo hanno molti altri in parte fatto, Seneca, Clemente Romano, Isidoro, Ettore Pinto, Fra Luigi di Granata, il Cardinal Valerio, Didaco Valades, Celio Rodigino, il Tesoro de’ Predicatori, e ultimamente Francesco Ribera, e Giovanni Lorino.
A’ quali io aggiungo Dressedio, che nel suo Nicera scriveL.1.c.5., che questi Libri « pestis ipssissima sunt, et certissimum ut nemum legentium. Et quod longe possimum ubique obutum est hoc genus toxici, et liberalissime quacumque sparsum reperies: nec enim uno tantum idiomate obscenitas in libros irrepsit; omnibus grassatur linguis, Germanica, Italica, Gallica Hispanica, Ecliica, Latina, Greca, soluta et legata oratione.
».
Bernardino de Vigiliegas scrive. Non legga la persona virtuosa Libri profani di cavalleria, Commedie, e altric.17 dell’esercitio Spirituale. che trattano d’amore: perchè sono un trattenimento di gente vana, e oziosa, e una peste mortale de’ buoni costumi. Sono un veleno, che burlando uccide: e incanti di Sirene, che ingannano. Sono la zizzania, che nel campo della Chiesa ha seminato il Demonio con gran vigilanza, mentre gli uomini stavano dormendo e trascurando: e è cresciuta tanto in questi tempi per li nostri peccati, che pare voglia affogare la semenza de’ Libri spirituali, e pii: tanto prostrato sta l’appetito de gli uomini mondani. Questo è {p. 22bis} il Calice di Babilonia, e la Meretrice che ha confuso, e rivoltato il cervello di molta gente viziosa: la cui occupazione è il giorno udir Commedie, e assistere a balli: e poi la notte trattenersi in leggerle. Nell’Epistole sue l’Apostolo S. Paolo si disfaceva in lacrime, ricordandosi con spirito profetico, che avevano da venir tempi, ne’ quali gli uomini chiudessero le loro orecchie alle sincere verità, e sana dottrina: e le lasciassero aperte solamente per udire con gusto favole, e bugie, che solo trattengono e grattano l’orecchie. Piaccia al Signore, che in parte non siano arrivati questi tempi: poscia che vediamo non pochi Cristiani avere più gusto di leggere Libri di Cavalleria e d’amori profani, che de’ Santi, e Sacri Profeti. Anche il P. Luigi Albrizio predicando avviso. Qui non posso dissimulare il giusto dolore, il qual mi assale, ricordandomi, quanto fra CristianiPred.32.n.20. sia divulgata la peste de’ Libri sporchi, quanto liberamente vadano per le mani de’ Giovanetti, delle fanciulle, delle matrone, que’ scellerati Maestri d’impudicizia, nemici dichiarati dell’onestà, insidiosi persecutori d’ogni onorato costume. O miseri mortali, che dentro tazze miniate bevete ingordamente veleni mortiferi:quanto miglior senno fareste a leggere i Libri dettati dallo Spirito Santo.
Il ReligiosoNell Antid.p.4.c.2. Teologo Bresciano dopo aver chiamati i Libri poco onesti con appellazione di parti infami usciti dalla scuola di Satanasso, spiega poi alla lunga la natura loro domandando.
Ma che diremo, che siano questi infami Libri? Al certo non altro, che una raccolta di mille sporchezze; piazza d’abominazioni, mercato di vizi, seminario di malizia; lambicco d’iniquità; esca di Lucifero, con cui fa preda delle anime; vivanda in apparenza saporita, ma in sostanza più che assenzio amaro, e di pestiferi, e mortali veleni condita; tossico, che soavemente ti dà la morte; reliquie dell’incendio di Sodoma¸ mercanzia dell’Inferno; soave tradimento {p. 23bis} degli scellerati, ritrovo de’ reprobi; e rifugio de’ disperati; testimoni della mente impudica; nemici capitali della purità, e castità; indizi della reproba coscienza, pronostichi della futura dannazione a chi si diletta di essi. Lacci, e catene inorpelate, con le quali in Demonio lega l’anima e dolcemente la tira nella morte del peccato. Tizzoni dell’Inferno, con i quali lo spirito della fornicazione accende nel cuore il fuoco della libidine. Mine segrete per espugnar la rocca della buona volontà. Tignuole, che a poco a poco mangiano e consumano la forza, e il vigore dell’anima. Finalmente ladri, e assassini occulti, che quasi insensibilmente rubano il tesoro preziosissimo della divina Grazia, e con essa l’eterna Gloria del Paradiso.
Nota sesta
Che cosa contengono, e che effetti fanno le Composizioni, e i Libri osceni.
L’Autore ultimamente citato scrive, che taliNell Antid.p.4.c.1.p.312. Libri non sono aspersi, né pieni d’altro, che di mille lusinghe, allettamenti, e incentivi a gravissimi e bruttissimi Vizi, atti a corrompere qual si voglia mente quantunque pura, e innocente.
S. Agostino si lamenta de’ Libri Platonici perché non contengono senso di pietà, né lacrime di confessione, né spirito contrito e tribolato. « Non habent illa pagina vultuml.7.Confes.c.2. pietatis, lacrimas confessionis sacrificium tuum, spiritum contribulatum, cor contrituum et humiliatum populi salutem, arrham Spiritus Sancti, peculum preti nostri.
»
Ma i Libri e Composizioni disoneste, non solamente non contengono volto di pietà, ma di empietà; non lacrime di confessione, ma affetti di dissoluzione; non spirito contribolato {p. 24bis} ma Spirito Perverso; non cuore contrito, e umiliato, ma cuore superbo e impudico; non salute, ma perdizione; non caparra dello Spirito Santo, ma caparra dello spirito immondo; non calice della nostra Redenzione, ma il calice dell’ira di Dio, e della dannazione eterna.
Così dice l’allegato Teologoc.2.p.318.c.4.p.331. : e aggiunge. Sebbene nei Libri poco onesti per avventura non conterranno cose contra la Fede, e Religione Cristiana, non di meno non mi potrai negare, che non contengono cose contra i buoni, e Cristiani costumi. Con ciò sia che essendo tanto gli uni, quanto gli altri, usciti dalla stessa scuola, composti dall’istesso autore, e maestro; e formati con l’istesso spirito di Satanasso, al centro che non posso contener altro, che veleno, morte, e dannazione.
Di questi Librip.1.dello stimolo.c.6. scrive Baldesano, che ha più poter si fuggano; perché malamente trattano l’anteriore del giovamento. E questi sono quei Libri, i quali favellando in qualunque lingua o antica o moderna, che elle sia, e con qualunque stile, o di prosa, o di verso, o di qualunque soggetto, o vero, o favoloso, hanno caratteri non fregiati di colore di virtù, ma imbrattati di molte macchie di gravissimi vizi. E aggiunge: che a questi tempi in tutte le lingue vanno in volta, sono innumerabili, e quasi altro soggetto non trattano, che disonesto; altro non pare, che pretendano, che con l’esca del ben dire allacciar nelle reti del dannato piacer del senso, e chi legge, e chi ascolta.
Di questiDisc.9.lit.Z. Libri lascivi avvisa il Mazzarino che si lascino; perché sono bastanti a stampare negli animi turpitudine, a destare e disordinate e sfrenate passioni, e a spronare, massime i tenerelli, alla libidine
« Ideo proibetur Cristianis, dice S. Isidoro, e è nel Decreto, sigmenta legere Poetarum; quia mentem excitant ad incentius libidinum.
»l. 3. c. 13. dis. 37. c. 15. E S. Bernardino da Siena dice del libro d’Ovidio de Arte. « Quis apud Christicolas non dicat esse prohibitum, cum etiam apud carnales Infideles execrabilis putaretur.
» E quanti Libri {p. 25bis} sono stati fatti da Cristiani, che sono ugualmente e forse più perniciosi che quello, a buoni costumi, dunque si lascino e si detestino. « Lutulentas illas pestes, dice il P. Sacchino, abigite, amandate, exterminate, ab oculis, a manibus, ab domibus vestris, et omnium, quot quot potest
».
Di questi Libri nota Cresellio, che senza dubbio macchiano il fiore della castità; « sine dubio castimonia florem contaminant. Quo in genere perniciosissimi sunt quorum opus versum, vel pleraque certe pars ise rebus (hoc est de amoribus) pertexitur: quales Ovidii deam res quedam in Ausonio ; plura in Marziale; Milesa Scriptores Africani Sylloge Epistolarium amatoriarum Sophistæ Greci, que Tribunus voluptatis scripsit ; et aliorum plurilorum Erotopagnia de quibus licet dicere, quod pronuntiat Phorius de Libris Achillis Tatii, quos de amoribus communi pudicitiaæ damno composuit, efficere lectionem abominandam, et conatu omni fugiendam.
»
Spiega questo Autore, quali siano questi Libri disonesti ; e accenna l’effetto, che fanno contro la castità : e per dichiarare, che ciò segue facilmente ; e in particolare ne’ giovani, aggiunge, che il voler leggere cose oscene, e non peccare, e come voler fermar il pié sul giaccio sdruccioloso, e non cadere. « Fit sæpe, ut quem admodum in via, qui in augustul locum venerint glacie operium, lubricum, et periculosum; sic cum legendo ad narratiunculam pervenerint, bellam quidem, ut ipsi opinatur, et festivam, sed minus castam, periculum suum intelligant sed elati curiositate quadam, licet motus voluptatis utillet progreditur: deinde mirantur se iuvenili temeritate victos, et impotenti quodam ardore legendi, manifesta aiscrimini obiecisse, vel otiam forte præter animi sententiam conspurcatos. Enim vero iam tanto ante monuit sapiens. Qui amat periculum in illo peribit. Nec est prudentis, cum in scelus, turpitudinemque inciderit, vulgatam illam fatuorum cantiunculam obtrudere. Non putaram.
»
Contengono questi Libri come scrive Bernardino de Vigliegas, amori, vani, e fatui. Questo è il zuccaroLXXVI, che si pone in essi per addolcirli e dar loro il sapore; acciocché poi {p. 26bis} picchino il gusto di quei, che li leggono. Questo è il vivo, e i colori, con i quali colorisconoLXXVII queste immagini; acciocché compariscano, e vengano bene a gli occhi. Questo è il miele, o per meglio dire, il tossico, o veleno, con che s’attossicano simili lezioni: acciocché il semplice giovinetto, e la casta donzella, al dolce fischio de’ versi vengano, come tanti uccelletti semplici, a giù librassi: e bevano, senza paura dentro della dolcezza, e soavità dell’amorosa poesia, la morte coperta, e palliata.
Il Religioso Teologo Bresciano, come dichiara diffusamente, che cosa sono le Composizioni, e i Libri osceni; così spiega alla lunga i mali, che fanno, dicendo.
Chi poterebbe raccontare agli infiniti mali, che apportano questi Libri impudichi? Essi corrompono i buoni costumi, e sterminano le virtù, come dice Cicerone con quelle parole. (parlando de’ Poeti poco onesti de’ suoi tempi) « Molliunt animos nostros; nervos omess virtutis elidunt.
» Di più introducono infiniti vizi: scemano, anzi bene spesso estinguono la carità; indeboliscono la Fede, e infettano la Speranza. Tolgono la purità e la Castità; rubano la vergogna, levano il timor di Dio; e così fanno diventar la persona presuntuosa, dissoluta, e sfacciata: si che di le si può dir quel detto di Geremia. « Frons meretricis facta est turpi
»cap. 3., hai fatta una fronte da meretrice. Effeminano l’animo, ingrossano l’ingegno, e eccitano l’intelletto per le passioni veementi, che eccitano in chi li legge. Onde non per altro Platone stermina dalla sua Repubblica così fatti Libri sotto nome di Poeti, se non perché col loro dire vanno pubblicando i peccati, e le disonestà, e generano affetti troppo effeminati, e perniciosi. Di più pervertono la memoria, e infiammano la volontà a’ brutti peccati.
E per questo dice S. Isidoro, che non per altro sono proibiti cotali Libri a’ Cristiani, se non perché con la lettura di essi, non altrimenti che col vino, la mente vien eccitata, a provocar al male. Tolgono la nozione, inaridiscono lo {p. 27bis} spirito, insteriscono l’affetto; perché scemano l’amore, e il desiderio delle cose di Dio, e della salute.
Onde chi bene avvertirà, per esperienza troverà, che quanto più di tali Libri si diletterà, tanto più ancora sempre si sentirà svogliato, sonnolente, e pigro nel bene: anzi quel che è peggio, tal’ora si sentirà avversione, e nausea all’esercizio delle virtù alla penitenza, all’udirla parola di Dio, e alla frequenza de’ Santi Sacramenti Confessione, e Comunione: e per lo contrario inchinatissimo a vizi, alle delizie, e piaceri, alle favole, Commedie, a’ giochi, e alle vanità. In oltre empiono la fantasia di Sozzi Fantasmi, l’intelletto di brutti pensieri, la memoria si sporchi oggetti, la volontà di disonesti desideri: tal che non sa pensare, né macchinar altro, che disonestà, e bruttezze. Estinguono nella gioventù, come dice Tullio, i semi della virtù innestati da Dio nella natura. Avviliscono sopra molo l’animo, togliendogli ogni pensier nobile, e generoso. Fanno la persona amica dell’ozio, nemica dell’oneste fatiche, data tutta al ventre, e perciò tutta lasciva nel volto, ne’ gesti, nelle parole, e molto più ne’ pensieri, e nell’opere: di modo che merita più tosto di conversar con gli animali immondi che con gli uomini Cristiani.
Insomma per conchiuderlaLXXVIII, pervertono tutto l’uomo; tolgono a poco a poco ogni bene, e particolarmente la riverenza verso Iddio, e verso gli uomini ancora.
Questo Autore in un altro luogo dice.
Se il veleno, che si beve mediante la lettura de’ Libri eretici, è di sua natura tale, che subito apporta la morteNell’Antip. p. 4. c. 4. motivo 4. al sinc. : sarà anche vero, che il veleno, che si beve, mediante la lezione de’ Libri poco onesti, quantunque sia un poco più piacevole; però anch’esso finalmente uccide l’anima, e ciò poi tanto più perniciosamente, quanto più soavemente, e occultamente. Equivale il detto intorno ai canto delle Sirene. « Nes dolor ullus erat: mortem dabat ipsa voluptas.
»Com. I.Adunque {p. 28bis}, dico io con Baldesano, intenda il giovane timorato di Dio, e zelante della sua integrità, che di questi Libri osceni del nostro tempo più si verificano i biasimi, che contro quelli del tempo antico già dissero, e scrissero; che i Gentili più savi, e i Santi Dogmi della Chiesa di Cristo e che non meno questi, che quelli hanno da essere lontani dalle mani, e dai segni della gioventù cristiana. Altrimenti moltissimi, massimamente giovinetti, e giovinette, leggendo si rovineranno.
Scrive per acconcio di questa rovina saggio e nobile Moderno poetizzando.
« Legge inesperta, e rozza giovinetta,D’Orlando le pazzie, ma più l’aderisca,Di Fior di spina il caso, o di Fiammetta.Quiui trattiensi, e mentre pende all’escaDell’ignoto piacer, non vuoi che brami,Di ritrovarsi anch’ella in simil cresca ?Insomma rime oscene, e versi infami,Dell’altra castità sono incantesimo,Dell’onestade altrui lacciuoli, e hami.Tal che ti dico, e replico il medesimo;Se stan cotali usanze immote, e fisse,La Poesia diventa un ruffianesco. »L’Azolini.
Scrive anche nella sua ingegnosa prosa dell’Uomo di lettere il P. Barton. Quanto scempio e nell’onestà, e nella religione fa (per non dire ora della baldanzosa libertà de’ cattivi) la troppa fidanza de’ semplici buoni, che con fine di ripulirsi l’ingegno allo specchio de’ tesori di si dotti Autori, fanno come quei, che nel cavare le gemme di testa a’ Dragoni, ne bevono il fiato, e il veleno: corrono al canto, e restano nel vischio: chi cammina per polvere, o fango, come che leggermente se il faccia, sempre ne resta con qualche sordidezza al piede. Lascio il resto, che aggiunge l’addotto scrittore.
Nota settima. {p. 29 bis}
Si continua a mostrar gli effetti, che fanno le Composizioni, e i Libri osceni.
Plutarco dice, che nell’Amore si ritrova un certo misto d’amarezza, e di dolcezzaSimp. 5. p. 7. ; che però fu nomato Glycypero, cioè dolce amaro. Or io dico, che un misto di simil fatta si ritrova ne’ Libri poco modesti, onde con ragione.
Isaia, Profeta santo, e pieno di zelo, aspramente minaccia alcuni dicendo. « Væ qui dicitis malum bonum, et bonum malum, ponentes tenebras lucem et lucem tenebras, ponentes amaram in dulce, et dulce in amaram.
»c. 5. 20..La Gloria col nome di malo intende, « fabulas
», le favole, e Lirano spiega, « cultum Idolorum
». Noi forse possiamo aggiungere, « fabulas poeticas oscena, Idola obscena, libros osceno
», i quali veramente son un gran male un misto di dolce amaro, e non dimeno sono tenuti, in pregio, come un gran bene, e sono onorati, e quasi dissi, adorati come tanti Idoli da tante persone; e in tanti luoghi; che però il P. Famiano Strada nota. « Multa hodie Veneris Idola litterarum voluminubus fabricantur. Quantis hæc impudicitia simulacra suffragis Principum vororum exponuntur, atque in for in trinis, in ardibus, in conclavi bus, ubique collocantur? Qua invenum frequentia, qua imperito rum admiratione, quibus populi plausi bus extolluntur, ac propemondum adorantur?
»l. 1. Prosus. 4. p. 124..
Di questo Libri, dice il Teologo Bresciano, par. 2. dell’uomo di Lettere tir. Lascivia. Ne vanno per tutta la terra sparsi per ogni clima, fatti Cittadini d’ogni paese, e con gran cura tradotti, perché parlino in tutte le lingue, come se per timore, che il mondo vergine non finisca, s’avessero a spargere per tutto il mondo stimoli di lascivia: portano in fronte titoli di Grandi, al cui nome da gli Autori furono consacrati; e con ciò vanno tanto più liberi, quanto più difesi: così divengono molte volte protettori d’impudicizia {p. 30bis} quelli, che ne dovrebbero esser giudici, l’autorità e il nome loro ad usi indegni.
Di questi Libri, dice il Teologo Bresciano, oggidì, cosa veramente deplorando, ne sono ormai piene le case, le librarie, le tavole, e gli scrigni. Questi sono quelli, che nelle strade, nelle piazze, in casa, fuor di casa nelle botteghe, nelle taverne, e nei ridotti, e compagnie si leggono, si studiano, si cantano, e tutto il giorno si hanno per le mani. Questi insomma sono adesso la ricreazione, il trattenimento, e passatempo della maggior parte degli uomini e delle Donne e de’ ricchi, e de’ poveri, e degli artigiani, senza dubbio poco timorati di Dio, e poco zelanti della salute loro. E quello, che è degno di maggior compassione è che sino gli stessi giovinetti, e giovinette, che appena sanno leggere, bene spesso hanno per le mani simili Libri, trastullandosi con essi, e in essi dilettandosi; e con tal diletto a poco a poco bevendosi il veleno di mille vizi, e malizie, per le quali poi diventano licenziosi, dissoluti, sboccati, poco onesti e insomma tali che si può dire, che prima siano maliziosi, che nati; e prima scellerati, che vissuti. Per la qual cosa meraviglia non è, se poi tal’ora avviene, che per qualche eccesso, de’ figli, o delle figlie, molte famiglie restino appresso il mondo anco ne i posteri loro di, qualche infamia perpetuamente macchiate: flagello senza dubbio da Dio giustamente permesso in castigo della trascuraggine usata da’ Padri, e Madri di famiglia in tener lontano dalle case loro simili Libri.
Così parole di queste Autore ci sono spiegati assai chiaramente alcuni cattivi effetti, che fanno i Libri osceni, e le Composizioni disoneste contro la pudicizia della gioventù, e contro l’onore delle famiglie.
Di questi cattivi effetti discorre Angel Grossi dicendo. QualeTrattenimmento 1. pag. 38. altro frutto da tal seme si miete, che lascivia, e vergogna? Che altro nodrimento indi succhiano i semplicetti, che dolce veleno? Che altro sono i Lirici impuri, che micidiali {p. 31bis} allettatrici Sirene? Che altro i Poemi Epici, i quali male accompagnano i licenziosi amori con la ferocità delle armi se non Giganti sproporzionatamente miniati femminili fattezze, che non aiutano, ma scemano la fortezza? Che altro gli Scenici, o letti sù le carte, o sentiti sù i palchi, se non persuasive, e scuole del Demonio?
A questi effetti Lascivi credo alludesse l’Eruditissimo Aresi, quando scrivendo intorno a questi Libri poco modestil. 2. dell.Impr. Impresa 1. dis. 3. li paragonò ad un piccolo fuoco, che brucia una gran città a modo di una gran selva. « Ecce quantus ignis quam magnum silvam incendit.
» La parla, « quantus
», dagli interpreti è spiegata secondo il greco, « quantulus, quam exiguus, modicus, parvus
»Iacobi c. 3. 5.. E come S. Girolamo a vitupero del peccato di Ario disse che era una scintilla, che, non subito oppressaCornel. ns. hic., divenne fiamma, e bruciò tutto il mondo, « Arrius in Alexandria scintilla fuit; sed, quia non Ratium oppressi est, totum orbem flamma eius est populata.
»
Così possiamo dire di un Libro osceno; è una scintilla di fuoco infernale, e se non s’opprime tosto, diventerà fiamma, e brucerà gli onesti costumi di tutta una Città.
Narra il lodato Aresi, che una Principessa di Russia vedendo, che non poteva entrare a viva forza in una Città: sua nemica venne all’accordo di pace; ma con patto, che i Cittadini le mandassero dalle case loro alcune colombe, e alcune passere: le furono mandate: e ella comandò che sotto l’ali di ciascuna si ponesse un poco d’esca accesa, e le lasciassero tutte volar via: fu fatto con rovina della Città perché quelle colombe, e passere volanti tornarono alle proprie case, vi portarono il fuoco, e cagionarono incendio in tanti luoghi, che ne seguì l’arsura di tutte le abitazioni. Così procede l’inimico nostro assediatore Satanasso, pone il fuoco infernale del peccato, e l’esca del diletto ne’ Libri osceni, e li fa volare a distruggere, e a consumare i modesti costumi delle famiglie, e delle Città. « Ecce volumum volant, avvisa Zaccaria, hinc est maleditio, qua egreditur {p. 32bis} super faciem omnis terræ : commorabitur in medio domus eius, consumet eam, et ligna eius, et lapides eius.
»
Pietro de Gusman riferisce, citando il Possevino, un’altro effetto molto cattivo di questi Libri vani, amatori, e cavallereschi, e é che le Eresie entrarono in un fortissimo regno di Cristianità con la Lezione degli Amadigi, e altri Libri di vana cavalleria, e di poco modesti amori. E che meraviglia poi che tali Componimenti nocanoLXXIX ad una famiglia, e ad una Città, se nocquero tanto ad un Regno?
Ma sentiamo il Possevino, che dice « Istis omnibus, cioè a Compositori osceni, ut suantas venena influerent, dedit de spiritu suo Diabolus. In uno Amadisio ista intueamur. Venerat hic liber aliena ligua in Gallias. Idhero autem Satanas iam utebatur tanquam mancipio in Germania, quæ pene omnis, aut ceciderat, aut nutabat ad casum cumque in solidissime fidei Regnum vellet invadere, Amadisium curavit in Gallicam linguam elegantissime verti. Hæc prima fuit illecebra, et tamquam sibilus, quo inestavit nobilim aulicorum ingenia: sparserat enim eo in Libro, quisquis fuit auctor, amores fedos, inaudictos congressus equestres, Magicas artes; sic his mentes illis corpora pertraxit in nassam, in quæ innumeraæ propemodum animæ perierunt in æternum.
»
Nota ottava.
Segue a dichiarare lo stesso con due altri moderni Autori, dei quali il primo.
Bernardino de Viglieas scrive. « Vediamo, che alla dolce consonanza de’ versi lascivi, quali con gusto si leggono, fa l’amor disonesto i suoi colpi tanto giusti, che, se ben lo dicono cieco, accerta però tante volte, che appena tocca freccia, che non trapassi il cuore dell’incauto lettore, che inconsiderato porge le precchie alle sue canzoni: perchè vi vuol poco dal leggere {p. 33bis} con gusto la disonestà, che sotto lusinghevoli parole vien mascherata, al passare con il medesimo gusto ad eseguirla.
»
Quanto gran danno arrechi questa lezione, non li voglio riferire qui; potrà V. S. vederli nel Libro, che io scrissi della sposa di Cristo, dove nel c. 20. del lib. 5. trattai in particolare questa materia: e in quel luogo mi lamentai come si lamenta S. Girolamo, che vi sia uomo Cristiano, che lasci di leggere Libri Santi, per spendere il tempo ne’profani, in comporre Commedie amorose. Riferisce S. Eucherio, che stando bene S. Basilio un giorno con i suoi scolari (avanti che professasse la vita monastica) standosene, dico, facendo mostra della sua eloquenza, e della sua rara Erudizione in ogni sorte di lettere umane, entrò nella sua scuola, o studio pubblico S. Gregorio, suo Intimo e famigliare amico, e vista la vanità della. sua occupazione, pigliandolo nel braccio, lo cavò fuori e disse, « Omitte hac, et de saluti operam
», cioè. Lascia queste cose Amico, e attendi al negozio della tua salute. Come se dicesse. Lascia gli studi vani alle persone vane; e li favolosi amori de’ Dei Gentili a disonesti Gentili; e studia la scienza importantissima, nella quale s’impara a·salvarsi. O chi potesse dare a voci alte a tutti i fedeli, e massimamente a tutte le persone Religiose, Sacerdoti, e Ministri evangelici, quando li vedo innescati da somigliante lettura de’ Poeti Gentili, o amori profani, lontani dalla modestia Cristiana, o dalla professione religiosa « Omitte hac, et de saluti operam.
» Rinunciamo a questa vanità, e vanissimi impieghi; e solo attendiamo con diligenza alla nostra salvazione, e di quelli di tutto il mondo, che sta sopra le nostre spalle, e n’ha ciò domandar Dio stretto contro i suoi ministri. O quanto breve è la vita per si lungo viaggio, che ci resta, per arrivar al cielo: e con tutto ciò la maggior parte di tal vita ci passa in frascherieLXXX. O quanto necessario sarebbe dar di bando all’occupazioni vane, nelle quali si spendono
tante ore, e alcune volte {p. 34bis} tante anni senza profitto; acciocché avessimo tempo di attendere con sollecitudine al negozio della nostra salvezza.
Nota nona.
Di alcuni esempi in questa materia.
Il ReligiosoNell’Antid. Par. 4. c. 4. motivo 4. Teologo Bresciano scrive. « Segnalato è quell’esempio, che racconta Monsignor Rescia nella vita del gran Cardinale Osio: ove riferisce, che studiando il Cardinale, giovinetto ancora, nell’Accademia di Cracovia, un suo amico gentiluomo, e anche giovane e che si dilettava tal volta di legger Libri Tedeschi, ne’ quali si contenevano le enormità di Lutero, cadde un giorno in una febbre acuta: di che dolendosi il Cardinale non mancava di consolarlo, e spesso visitarlo. Un certo giorno dunque essendo venuto a far la visita, vide sotto il capo dell’infermo un Libretto, e presolo nelle mani, trovò che era eretico: allora voltatosi all’amico disse. "Questa è la febbre, che tanto gravemente vi tormenta. Voi a bello studio, e di vostra spontanea volontà, vi siete tirato addosso questo male, mentre non solamente tenete questa peste appresso di voi nell’animo; ma anco nel letto stesso." Per tanto, soggiunse, «se volete cacciar la febbre, bisogna, che quanto prima leviate da voi e di casa vostra tutti i Libri a questo somiglianti: e se ciò farete, tenete per fermo che la febbre subito partirà da voi». Cosa meravigliosa subito che fu gettato il Libro nel fuoco, nello stesso tempo si partì la febbre; e l’amico non ebbe più male. Dove vedi quanto siano perniciosi somiglianti Libri, e quanto siano abominevoli ne gli occhi di Dio; poiché anche in questa vita castiga tal volta quelli, che di essi si dilettano: e se bene {p. 35bis} i Libri osceni non hanno cose contro le fede; non di meno sono contrari; a buoni costumi, e dispongono le anime a ricevere le cose contrarie alla fede; e sono opere fatte con lo spirito di Satanasso, nimico della fede, e religione cristiana: e l’eresie di Lutero sono mezzo a mille oscenità.
» Non paia dunque strano ad alcun udire, che tal volta una persona, e forse anche una famiglia, o molte famiglie passano gravi miserie, e gran flagelli,
o nella vita, o nella roba, o nell’onore, o in altra cosa temprale, solamente perché si dilettano di leggere, o di tenere nelle proprie case così fatti Libri; e se non si accecano, come Teopompo, e Teodotte, patonoLXXXI altri gravissimi, e penosi mali.
Giovanni Evirato nel Libro, che compose con titolo di Prato spirituale, e che fu approvato da’ Padri del 2. Concilio Niceno, racconta, che Ciriaco Abate vide in sogno, che la B. Vergine accompagnata da i due SS. Giovanni, non volle entrare nella sua cella, dicendo, che dentro vi era un suo inimico. Risvegliossi il buon servo di Dio, e pensando con affanno al sogno, si diede a leggere, e continuando la lezione, giunse ad un trattato fatto da Nestorio, e legato nel fine di quel volume; e conobbe, che quello era l’inimico della Vergine, e subito lo restituì ad Isichio, dicendo « Accipe Librum tuum: neque enim ex eo tantum utilitatis capi quantum detrimenti.
» E qui considerò il santo zelo, col quale il virtuoso Blosio ordinò, « mandavit
», leggesi nella, vita c. 16. apud Bolandu: « ne in comuni, aut privata Biblioteca fas sit Librum ullum reperiri, a quo fratrum sincera pietas possit ad noxiam aliquam aut secularem, vanamque curiositatem detorqueri
». So, che tal uno mi può dire. Quel Libro era eretico, e però nimico della Vergine: e noi parliamo de’ Libri osceni.
Ma io replico, che anche un Libro osceno priva della visita della B. Vergine alle volte un Religioso, e però si può nomare nimico di lei, se un per ragione di Eresia, almeno {p. 36bis} per ragione d’impurità confermo il detto col il caso seguente.
Il P. Giovanni Eusebio Nieremberg trattando in una sua Opera della Materna cura,che la B. Vergine tiene de’ soggetti delle Compagnia Gesù, riferisce, che ad una divora persona fu veduta quella gran Regina visitare in un Collegio tutte le camere de’ giovani studenti: una sola risultò priva di quel grande onore, e non fu visitata: e s’intende la cagione altro non essere, se non perché dentro quella la camera vi era un Libro di un Poeta, il quale aveva alcuni versi poco modesti. Ecco il cattivo effetto di quel Libro osceno, solamente in parte, e tenuto da giovane per altro virtuoso, e senza intenzione di servirsene per peccato; che cattivi effetti dunque potranno temere que’ scolari, che ne tengono molti e molto osceni, e peto servir nel comporre le poetiche oscenità, o per far peggio? Certo che di molti si è verificato il detto del giudizioso Plutarco. « Parterunt pupillas virgines in meretrices.
»De vitio prud.
Raccontasi di due sorelle, che leggendo una famosa Tragicommedia all’ora pubblicata, si fecero con la prima lezione si buone maestre d’impurità, che n’aprirono subito scuola, mutando la casa in postribolo e pubblicando se per vituperose meretrici.
Ho saputo da persona religiosa, vecchia, e degna di pienissima fede, che il P. Giovanni Battista Pescatore, uomo di Santadella Compagnia di Gesù vita, e che fu Maestro de’ Novizi, e del B. Luigi Gonzaga, stava una volta per convalescenza con un fratello coadiutore in una villa, ove si trovò a caso un Libro profano e non osceno, il quale fu letto alcune volte: da che segui, che il Padre sentì nell’orazione aridità molto straordinaria; e non sapendo ritrovare la cagione, se ne meravigliò, e ne sentì disgusto: alla fine dubitando, che non procedesse da quella lezione di Libro profano, che alle volte udiva, la fede in tutto cessare: e ecco che subito tornò la solita serenità nell’orazione con molto contegno dell’animo suo devoto,e pio.
Ho {p. 37bis} letto ancora del P. Giacomo Alverez de Paz Spagnuolo della Compagnia di Gesù che molti anni prima di morire aveva fatto voto di non fare alcun peccato veniale avvertentementeLXXXII, e per industria: e in oltre di non leggere alcun profano scrittore: e questo egli determinò con tale occasione. Aveva gran desiderio d’imparare la lingua italiana, a fine di poter leggere i Libri spirituali scritti con tale idioma e essendo venuto alle mani un Poeta principale italiano, lo lesse, e ne rimase pieno tanto di vane immaginazioni, e arido tanto della solita sua devozione, che fece fermissimo proposito di astenersi nell’avvisare sempre, e in tutto da simile lezione.
Or che effetti cagioneranno i Libri osceni uditi, o letti da persone secolari, e poco virtuose? Se le colonne crollano, i virgulti non si piegheranno?
Nella Città di Firenza eirca l’anno 1638. in S. Maria Novella un Religioso Padre Domenicano sermoneggiando, nella sacra funzione del Santissimo Rosario, esortò gli Auditori·a fuggire con diligenza la lezione de’ Libri vani e poco modesti; e alla fine raccontò questo orribile esempio, successo in una sua sorella secolare. Ella trovando in casa Amadis di Gaula con gli altri Libri di quella fatta, cominciò a leggere con buona intenzione, ma quell’intenzione non fu buon preservativo dal male: perché dal quel cibo velenoso restò avvelenata; contrasse de’vizi, e divenne una giovane, e viziosa: la divina Giustizia presto le fu sopra, la giunse, e fece che oppressa da grave infermità si vedesse nell’ultimo passo di questa vita mortale, per dover andar all’esame e spaventoso del Giudizio Particolare. Prego in quel punto la Madre, che afflitta le assisteva, a farle grazia, e compiacerla in quell’estremo, che ella fosse vestita de’ suoi preziosi vestimenti, che aveva né la Madre seppe né volle contraddirle: la compassione vinse la ragione: d’ordine della Madre fu subito vestita e essa sin d’ora alzatasi, come poté, sul letto, girò gli occhi infiammò {p. 38bis} il viso, sciolse la lingua, alzò la voce, e gridando disse.
O maledetta lezione de’ Libri profani, e tristi: E o maledetti ornamenti: per vostra cagione io muoio dannata.
E ciò detto si stese nel letto all’uso de’ moribondi e poco dopo spirò con quel terrore, e con quello spavento della madre, e de’ parenti, o d’altri assistenti al caso, che può il saggio lettore seco stesso immaginarsi. Certo che un Auditore, da cui io l’ho saputo, retto con gli altri tutti molto atterrito all’udire il racconto di tal’esempio, narrato dal proprio fratello, e religioso, a fine di far fuggire ogni lezione de’ Libri impudichi: della quale si possono dire le parole, che già dissero i Vescovi di un Sinodo Alessandrino. « Respuendam esse ponitus lectionem, qua plus esset nocitura insipientibus, quid profuntura sapientibus.
»Sulp. Dial. 2. §. 3.
Nota decima.
Intorno alla lezione delle Composizioni oscene, e Libri disonesti.
I Compositori poco modesti, se giudiziosamente si considerano, non hanno cosa che possa invitare alla lezione loro una persona virtuosa. « Quid enim habent, scrive lo Strada, quod ad legendum invitare possit? ingenium plerisque illorum humile: opus fadum simileque scriptori: delectatio ad genium plebis hausta de face: Artis gloria extra operis titulum rara; aut omnin nulla.
»l. 1. Prolut. 3. pag. 113. Seneca parlando de’ versi di Omero domando. « Quid ex metum demit, cupiditatem eximit, libidinem frænat?
»Ad Liberalem de liberal. Artibus. In Bibl p. 1. e 25. p f. 107. C..
Il Possevino disse delle Opere di Virgilio. « Ec quid hæc omnia solidarum virtuntum habent; aut acque stimilum ad pietatem {p. 39bis} addere cuiquam possunt? »
E noi che diremo delle Composizioni, e Libri disonesti? Certo che non sono ammaestramenti per le virtù, ma perniciosi insegnamenti per li peccati, per li vizi e per l’ultima rovina delle anime, e della dannazione.
Angelo Grossi avvisa per utilità di molti. Si divezzino i curiosi, e elevati spiriti dalla lettura de’ Poeti, laidi, e scostumati; i quali con degno obbrobrio sono dallo stesso DavidTrattamento pag. 30. chiamati rane lezzose, garrule, e stomacose secondo l’interpretazione di S. Girolamo in ps. 77. S. Basilio, quanto approva i buoni, e modesti Poeti, tanto vitupera, e dissuade alla gioventù gli inonesti, e malvagi.
Scrive un moderno Teologo per conferma di questo con affetto così.
« Eh Dio che bisogna piangere con lacrime di sangue l’infelice stato, nel quale oggidì si trova la Cristianità.
»F. Innocenzio Biguami da Lodi, Dominicano disc. 17. nella Dom. fra l’Ottava dell’Epifania n. 13.
Gli antichi Romani, e lo riferisce Valerio Massimo proibivano, non solo a i fanciulli, ma anche a chi fosse, di leggere alcuni Libri, i quali non raccontavano altro, che favolosi portenti, e bugie. « Maiores Statas, Solemnesque cerimonias Ponteficum scientia, bene gerendarum rerum auctoritate, Augurum observatione, Apollinis predicatione, Vætum Libris portem torum repulsi, Hetrusca disciplina explicari voluerunt.
» E pure in questo secolo, e singolarmente, in Italia, che Libri si hanno di continuo alle mani? Ah che fino le più tenere Verginelle sanno rendere minutissimo conto di tutte le azioni di Lisuarte, e di Amadiggi di Grecia. Ah che sino i fanciulli hanno letto quanti Romanzi sono già usciti in stampa, ben che quasi trapassino l’infinito. E che titolo si deve a cotali Libri? « Portentorum
» poscia che altro non contengono che sogni, che vanità che impossibilità? Ah che vi è bisogno di rimedio. « Ossa eius velut tissula aris.
» La fistulaIob. c. 40. 13. propriamente è una cannella, che serve a trasportare l’acqua da un luogo all’altro. L’istesso nome però al presente viene anche attribuito ad un strumento musicale, ritrovato {p. 40bis} dal favoloso Dio Pan; del quale così ragiona un Pastore pressp il Principe de’ Poet latini. « Est mihi disparibus septem compacta circuitis fistula.
» Ma che cosa sono poi i Libri lascivi, e tanti; e tanti Romanzi? « Ossa eius.
» Sono le ossa del Demonio: e che se queste sostentano le membra, e la carne del Demonio, e gli danno occasione di diventare peggiori.
« Fistulæ.
» Di più questi Libri sono anche tante fistole, cioè, tante canne sonore; essendo purtroppo vero, che apportano qualche diletto al senso, e all’intelletto, che si lasciano ingannare dai Sali per dentro sparsi, e dai concetti con lusinghevole stile spiegati. « A Eris
» Ma ahimé che sono però fistole di bronzo: voglio dire che con i colpi di pistola feriscono l’anima nostra. E volese Dio, che di più i loro tiri no fossero di bolbarde: queste, anzi rovinano gli eserciti interi, che diano la morte a un soldato solo. E Martino Lutero volendo introdurre l’eresia nella Germania, che mezzo adoperò? Fece tradurre l’Amadigi in lingua Francese elegantissima, lo sparse per la Corte: che poi letto dai curiosi Cortigiani, e notando quegli insoliti combattimenti, quei disonesti amori, quegli inauditi incantesimi, cominciarono a stracarsiLXXXIII di veder più la sacra scrittura, a nausearla, e a desiderare di sperimentare ciò che leggevano. E per questa via i breve fu piena la Corte d’insolenti, d’adulteri, di sacrilegi, d’indovini, di maliardi,LXXXIV e d’Astrologi giudiziari. Si che l’Empio non durò poi fatica alcuna d’introdurre in quei corpi macchiati la libertà della carne, e tante eresie. Per amor di Dio dunque almeno voi o Padri, e Madri, leate le mani de’ votri figlioli questi Libri: avvezzateli a leggere la sacra scrittura, e i buoni Autori. {p. 41bis}
Con questo affetto predica contro i Libri osceni questo Teologo: e nondimeno tanti li leggono, e li rileggono; né fanno, né vogliono, né par che possano tralasciare cotal lezione: ciascun de’ quali può dire con suo vitupero ciò che Socrate con sua lode disse a Fedro appresso Platone. « Ut famescentibus animalibus frondes, aut fructus porrigentes ea ducunt; ita tu mihi Librum porrigens per totam Atricam, et alio, quo velit, perduceres.
»
Il P. Giulio Nigrone professa d’assegnare distintamente molti cattivi effetti di questa Lezione, dicendo. « Ut distinctius loquar. Primum hæc Lectio vulnerat animos Innocentium, id est eorum, qui numquam in eo genere peccarunt. Atque hoc significat Isidorus, deflet Augustinus, præmonet Basilius, pertimescunt cæteri. Deinde sæpe aperit vulnera, quibus est obducta a cicatrix, in eorum animis, qui puritatem acceptis plagis perdiderunt.
»
Cioè. Il primo effetto, cagionato da questa Lezione de’ Libri disonesti; è ferire gli animi degl’Innocenti, cioè di quelli, i quali mai commisero peccato di quella sorte. E questo vien significato da Isidoro, pianto da Agostino, avvisato da Basilio, e temuto dagli altri.
Il secondo effetto si è, che spesse volte questecomposizioni lette aprono le ferite già chiuse con le cicatrici e di nuovo feriscono quegli animi, che piagati altre volte perderono la purità. E però il Pelusiota con giusto zelo riprese il Monaco Taleteo, perchè senza necessità leggeva i Libri osceni. « Quamobrem ipsam quoque fæditatis et obscænitatis Lectionem fuge; nam ea miram ad aperienda vulnera iam cicatrice obducta vim habet; ne alioqui vehementiore cum impetu spiritus improbus revertatur, et deteriorem, ac perniciosiorem tibi priore ignorantia, aut negligentia cladem inserat.
» lib. I ep. 63
Segue Nigrone a numerare gli effetti cattivi cagionati dalla Lezione de’ Libri disonesti, e aggiunge. « Tertio si non expugnat mentem per consensum, oppugnat certe per suggestionem obscænitatem; et ab oratione revocat, et illudit Phantasiæ, et altas ainfert molestias.
». Cioè Il terzo cattivo effetto si è, che quella Lezione, se non espugna la mente, e la volontà per mezzo {p. 42bis} del consenso, certo la oppugna con la suggestione di cose brutte; e impedisce l’orazione e cagiona illusione alla Fantasia, e apporta altre molestie assai pungenti, fastidiose. Non voglio qui tacere il caso di Germano riferito da Cassianocol. 14. c. 12. nelle Colazioni. Egli dichiarava al Padre spirituale con gran dolore, e lacrime le sue tentazioni, cagionate dall’aver letto Libri poco modesti nella sua Puerizia, e bramando di trovar il modo di scordarsene, diceva. « In qua notitia litterarum me ita, vel instantia Padagogi, vel continua Lectionis maceravit intentio ut nunc Mens mea, Poeticis velut infecta Carminibus, illas Fabularum nugas, Historiasque bellorum, quibus a paruulo primis studiorum imbuta est rudimentis, orationis etiam tempore meditetur, psallentique vel pro peccatorum indulgentia supplicanti, aut impudens Poematum memoria suggeratur aut quasi bellantium Heroum ante oculos imago versetur, taliumque me Phantasmatum imaginatio semper illudens ita Metem meam ad supernos intuitus aspirare non patitur, ut quotidianis fletibus non possit expelli.
» Ma se l’impudiche Composizioni lette nella fanciullezza tanto oppugnavano la mente di un uomo ritirato dal Mondo; che oppugnazione cagioneranno quelle, che nella Gioventù, nell’età virile, ne’ mesi passati, o l’altro giorno, si saranno lette? Come potrà un Lettore di tali impudicizie attendere con quiete all’orazione, e alle cose spirituali? La sua Mente sarà simile ad una Nave esposta in mezzo ad un gran golfo alla
fortuneggiante battaglia di molti, e contrari Venti. La vana Lezionel. de infor. Novit. c. 14., dice Buonaventura, genera vani pensieri, e distingue la devozione. « Vana Lectio vanas generat cogitationes, extinguit devotionem.
» E però quel Santo Dottore da quel santo avviso. « Ne legas, qua non ædificant.
» : non leggere que’ Libri, che non vi sono di edificazione. Or che avrebbe egli detto di quelli, che sono di distruzione, e di evidente rovina a’ loro Lettori? La Lezione de’ quali si può chiamar con S. GirolamoEp. 146. ad Dam. cibo de’ Demoni. « Damnum cibus carmina Poetarum.
» E pure tra’ Fedeli vivono molti, i quali sopra modo gustano di passare gran tempo in questa Lezione, e professano di procedere in ciò assai prudentemente e con buone ragioni
Nota undecima. {p. 43 bis}
Della Prima Ragione, apportata da chi vuole leggere Composizioni, e Libri impuri.
Però, che sarà pregio dell’Opera l’esaminar un poco, e bene alcune di quelle Ragioni, le quali hanno coloro, che leggono Composizioni, e Libri immodesti, e molto perniciosi; e le quali non si devono passare con silenzio, e senza qualche scoprimento della loro debolezza, e indegnità. E la prima credo sia questa; e mi persuado, che sia di molti, i quali dicono. La Lezione de’ Libri osceni non è peccato, né cagiona nocumento all’anima né fa correr pericolo di perdere la divina grazia: e però liberamente si può praticare . Ma io rispondo, che i Dotti sentono diversamente: onde dico di chi porta questa Ragione. « Videte acumen, sed vitreum; lucet vanitate, frangitur veritate.
»Ag. Ser. 11. de V. Apost. E tutto ciò si vede nel poco, che aggiungo, come preso da gravi, e valenti Autori.
Il Teologo Religioso Bresciano dice. E cosa certa, che ogni volta, che tu leggi simili Libri, dilettandoti sensualmentenell’Ant. Par. 4. c. 3. pag. 319. delle cose brutte in essi contenute, tu commetti peccato mortale; e per conseguenza perdi la grazia, e amicizia di Dio tuo Creatore, e Signore. Anzi dico di più, che essendo vero, che, il mettersi a pericolo prossimo di peccare mortalmente, è peccar mortalmente, secondo che dice il Savio. « Qui amat periculum, in illo
» ; quindi è, che essendo la Lezione di cotali Libri, a persona massimamente di natura inclinata a brutti Vizi, pericolo manifesto di peccare, conseguentemente pecca, ogni volta che legge simili Libri.
Il P. Giulio Nigrone dice, che chi legge, « peccat in Deum, si se periculo maculanda puritatis cordis exponit, dans operam illicita, ac prohibite Lectioni. Quam ob causam hæc Lectio reprehenditur, ut perniciosa, Iuventuti prasertim, a Philosophis, ab Ecclesia, et a Sanctis Patribus.
»Comment. Ascet. In Reg. com. Reg. 8. pa. 281.
Il P. Antonio Possevino mostra, che un Libro cattivo letto instilla nascostamente il suo veleno nell’animo del Lettorein Bibl. P. 1. l. 1. c. 25. p. 109..
{p. 44bis}« Ipse dicendi caracter, allusiones, rerum series, vis affectuum, schemata, aliaque huismodi, quod virus hauserunt ab Autoris animo, in Lectoris mentem, quamuis ea de re nihil cogitatem, latenter instillant.
»
Il P. Sacchino considera, che gl’infami Dei de’ Gentili fecero già guerra contro il nostro vero Dio, e Salvatore, usando molte cose, che avevano di bel l’apparenza, come era il nome detta Divinità, la predicazione di segnalate imprese, la magnificenza de’ Tempi, la bellezza delle Statue, l’antichità della Superstizione, e cose simili, le quali tutte ora sono mancate; e solo vi resta la Lezione de’ Libri impuri, ne’ quali si conservano vivi i Vizi di que’ falsi, e antichi Dei, e le loro disonestà, con la memoria delle quali « Christis sanctimonie bellum crudelissimu movent
», muovono alla purissima santità del vero Dio Cristo una crudelissima guerra. Or chi dunque fedele a Cristo non vorrà detestare così empia Lezione? E come non peccherà, chi vorrà praticata senza grave e molto buona ragione?
Aggiungo secondo l’addotto Padre, che molti Giovani si ritengono da’ peccati, e dall’immondezze, parte per una certa naturale vergogna, e parte ancora per le buone ammonizioni, che ricevono da’ Parenti, o da’ buoni Amici: ma se avviene, che s’incontrino nella Lezione di un Libro disonesto, perdono la vergogna, e si precipitano in moltissime bruttezze. « Si Liber, pestilens Autor, accedit, actum est; invalescit, erumpit, abicitur pudor, corroboratur audacia, en tota a vita, morumque mutatio: proculcatur sanctitas: inquinatur animi candor: odio est pudicitia·, effranate cupiditates, et Vitia omnia dominantur.
» E come dunque in tal Lezione non è pericolo di perdere la Divina grazia?
Il P. Giovanni GondiniNel Direttorio Spirit. c. 6. §. 2. Autor Spagnolo della Compagnia di Gesù. La Lezione, dice, de’ mali Libri, come sono quelli, che trattano cose disoneste, fa tanto gran rovina nell’anime, che a pena lo crederà, se non quello, che l’ode nelle Confessioni. Sono innumerabili i Giovani, e Donzelle che per la Lezione di simili Libri si sono persi, e guasti sino a dannarsi eternamente. Ma sentiamo il P. Famianol. 1. Prolus. 4. p. 123. Strada, il quale avvisa. « Obscena, turpique {p. 45bis} Poemate, nisi perniciose, ac nocenter, utitur nemo, et malo sentiunt suo, qui huiusmodi Carminum lenocinis perdite capiuntur.
» Cioè. Niuna persona debole di spirito si serve se non con suo grave danno, degli osceni Componimenti Poetici; come con loro miseria lo provano quelli, che viziosamente si dilettano di questi allettamenti.
« Quorum ego singulos, dice il medesimo altrove, si convenirem, si serio percuntater quid tandem inde lucri corraserint? Odiumne adversus Vitia vitiorum aspectu conceperint, ac in sinum Virtutis per ea oblectamenta pervenerint? Utinam responsuri non essent si persancte fateri vellent ex huiusmodi Amantium deliris multa se ignota prius Vitiorum nomina didicisse; plura sibi flagitia specioso alioru exemplo condonasse plurimam vero pudoris onestatisque iacturam sensim sine sensu fecisse.
»l. 1. Prolus. 3. p. 110.
E poco dopo aggiunge mostrando il gran pericolo, che corre, chi gusta della Lezione di Poeti osceni. « Apud illos inimica morum discipline, tam multa, suspecta certe pleraque nihil non anceps; intuta omnia. Male quis inter exempla peccantium deprehensus Virtuti operam dabit: male in Regno voluptatis peregrinabundus onestatem quaret: immo periculum adibit, ne quemadmomdum ad Tyranni, ut aiunt domum nemo liber venit ac redit liber, ita qui ad istorum opera integer, atque incolumi onestate accessit, accepta luculenta plaga, periclitante verecumdia, cuius raro de cicatrix obducitur, sanciatus abscedat. Nimirum sunt hæc eo de genere Vitiorum, quorum victoria fuga; proinde remonenda ab aspectu; ne tanquam lacryma ab oculis in pectus cadant.
»pag. 113.
E pur troppo vero, e apporta materia di pianto ciò, che scrive il P. Giovanni Rho della Compagnia di Gesù. « Invecta est Repubblicam labes, qua latius serpit in dies, e non tabida modo exedit, sed etiam integra corripit: ut vanissima Poetarum Carmina amatoris insanis ad nauseam usque redundantia per manus volitent Adolescentium, animosque iniquissima Lectione corrumpant.
»In Prefat. Oper. De parijs vir. historijs.
Aggiungo usando le parole del P. Daniello Bartoli. « Tutta Europa e tutto il Mondo, sin dove cotal Libri sono giunti, quante {p. 46bis} mutazioni di Scena, quante lacrimose catastrofi ha vedute, mentre animi che per lo pregio di vergine onesta gareggiavano in candidezza con gli Angeli, bevuto dalla tazza d’oro dell’impudica Poesia l’incantesimo, e il veleno, hanno di poi sempre avuti sotto sembiante umano costumi di bestie? Perderono nella prima Lezione la Virginità degli occhi.
»Nell’huomo di lettere pag. mihi 81.
Ma se vogliamo il parere di un molto dotto e accreditato Scolasticol. 9. de matr. d. 46. n. 45., ricordiamoci di Sanchez, il quale tiene, « legere Libros turpes, tractantesque de obseconis amoribus ob solam vanam curisitatem, e delectationem, esse solum veniale: at si intendatur delectatio venerea consurgens ex ipsis rebus turpibus apprehensis esse mortale. Et docet, tunc esse mortale, Joannes Hessels in expositione Decalogi, pracepto 6. c. 15.
» Cioè. Peccato veniale si è il leggere Libri osceni per sola vana curiosità, e diletto: ma è mortale, quando si pretende il diletto, non solo vano, ma venereo, il quale suole risultare dall’apprensione delle cose disoneste.
O quanto temo, che siano molti quelli, che forse per vanità cominciano la Lezione impudica, e poi la finiscono con la caduta, almeno di qualche consenso, in grave, e brutta carnalità. E però bisogna andar con gran cautela in così pericolosa Lezione. « Cautissime incedat oportet, dice Plutarco secondo l’attestazione del Possevino, quisquis salutis sua curam serio gerit.
»in Bibl. P. 3. l. 1. c. 25. p. 107. Legga, non liberamente, ma cautelatamente, chi ha vero zelo della sua salute.
« Né voglio qui lasciar indietro, dice il Mazzarino, che i Poeti quando ben non recassero al costumato vivere notabile danno, debbonsi con gran cautela legger per conto degli errori, che eglino hanno nella Chiesa introdotto molti de’ quali egli dichiara con bella, e erudita spiegatura.
»LXXXV. E io vi aggiungo il debito nostro accennato da S. Girolamo in c. 5 Amos. « Non debemus sequi Fabulas Poetarum, ridicula, ac portentosa Mendacia, quibus etiam Calum infamare conantur, et mercedem stupri inter sidera collocare.
»
Nota duodecima. {p. 47 bis}
Della Seconda Ragione.
Luciano avvisa, che gli Uomini dotti gustano di Libri tali, « ut non magnifici sint, e niteat; sed ut sint utiles verbis, et sententis verborum
», gustano di Libri pieni di utilità. Molti Fedeli non muovono per questa ragione; ma dicono. Noi gustiamo della Lezione de’ Libri osceni; perché vi troviamo cose belle, graziose, e che sono materia di molto piacere; anzi vi leggiamo ancora delle cose buone: le gioie sono gioie, benché si trovino nel lezzo; e l’oro rimane oro, tutto che sia tra le mondiglie; e i fiori graziosi allettano l’occhio a vagheggiarli, ancorché abbiano intorno dell’erbacce, e delle spine.
Rispondo prima con S. Girolamo; il quale dice, che queste Poesie dilettano, ma non giovano. « Hæc omnes suavitate delectant; et dum aures versibus dulci modulatione currentibus capiunt, animam quoque penetrant, et pectoris interna devinciunt. Verum ubi cum summo studio fuerunt ac labore perlecta, nihil aliud, nisi inanem fonum, et sermonum strepitum suis Lectoribus tribuunt: nulla ibi saturitas Veritatis, nulla refectio Justitie reperitur.
»Ep. 146. ad Dam.
Rispondo ancora dicendo, che questa ragione non è colonna di bronzo: e non sostenta bastevolmente, chi attende alla lettura oscena: in cui si trova qualche fioretto; né io lo nego; ma è fiore avvelenato, chi uccide. Un moderno, e erudito Predicatore, impugnando questa ragione, soleva ricordare la malvagia fraude di quell’antico Agricoltore, che per uccidere le Api di un Emolo suo, da se molto odiato, e invidiato, sparse il veleno ne’ fiori, che nella siepe dell’orto di lui comparivano belli, e graziosi, e allettavano le Api a posarvisi, per raccorne il miele; ma col miele raccoglievano il veleno, e col veleno la morte. Fiori di questa fatta sono i fiori dell’impudica Poesia: fiori avvelenati dal nostro invidioso nimico Satanasso; fiori, che, recano all’Anime la morte spirituale della colpa, e la rovina della {p. 48bis} purità, con perdita della Divina Grazia, e con offesa di Dio.
Quanto poi all’asserire che ne’ Libri osceni tra le cose cattive se ne trovano anche delle buone: lo afferisce anche Gio. Francesco Pico Mirandolano, dicendo, « Plerique Poetarum turpitudines maximas, et obscenitates suis versibus immiscuerunt, qua Cristiano homini non modo attrectanda, sed prorsus eliminanda: nec temere multos invenies, qui pulchra alio quin Poemata spurcitis, libidinibusque non fadarit.
»l. 1. de stud. Div. Et hum. P. bibl. C. 6. Questi Poeti sono quelli, de’ quali dice l’addotto Autore c. 6. cit. « Inter dulcia pocula sapius venera propinanerunt.
» Al cui veleno allude l’Illustrissimo, e dottissimo Vescovo Aresil. 2. dell’Imprese imp. 1. d. 3., ove nota, che non si mangia il veleno, benché sia misto con un buono, e delicato cibo. L’albero vietato ad Adamo era della scienza del bene, e del male; e non dimeno Iddio intimò quel gran divieto. « Ne comedas.
»Genes. 2. 17. Cristo N. Signore non voleva, che i Demoni palesassero, che egli era il vero Figliuolo di Dio, sapendo, che dopo tal verità avrebbero aggiunte varie falsità, con le quali molti si sarebbero ingannati. Quel miscuglio di male e di bene deroga all’integrità del bene secondo il volgato Assioma. « Bonum ex integra causa
» : e serve di rete all’astuto Inimico, per allacciar le anime di molti nel diletto del male con la Lezione del bene. Piacesse a Dio, che chiunque legge Libri tali, sempre volesse, e sapesse praticar l’avviso del Profeta, « Si separaueris pretio sum a vili
» : e facesse ne’ Libri, come in un fiorito campo fanno le Api, delle quali scrive per acconcio nostro il gran Basilio. « Apes non omnibus floribus insident; neque ex is, ad quos accedunt, omnia auferre conantur, sed quantum ipsis ορρortunum fuerit, reliquum dimittunt: sic nos ut sobri, sapientesque simus,
quantum nobis congruum, ac Veritati propinquum, ex ipsis fuerit, persequemur; reliqua prateroamus.
»
A questo avviso di S. Basilio par, che alluda Cresollio, ove dice. « In operibus, qua titolus non incestat, nec tenore continuo sunt impudica, si quod obsceni forte occurrerit, transilire operet, inauspicatum omnen quoddam, et funestum, nec in legendo adhcrescere: ne se volens in laqueos induisse videatur.
»in Anth. P. 1. c. 11. §. 10. p. 402. Insomma vuole la prudenza, e il zelo della cristiana Purità, che {p. 49bis} chi legge Composizioni miste di cose buone, e oscene, si guardi dal leggere le oscenità: moderi il gusto del diletto, per non aver occasione di piangere poi i suoi errori.
Questa Ragione impugna un moderno TeologoBaldasar Chavassio de perfecta prud. L. 3. c. 10. §. 5. pag. 835., e tra le altre cose dice, come cosa riferita da Cassiodoro nella vita di Teofilo. « Gravis quondam sceleris reus habitus est Theophilus magnus, quod deprehensus fuerit legens damnatos quodam Tractatus Origenis, frustraque conatus est excipere, bona tantum legi a se, et retineri; noxia autem, ut in prato ab Apibus fieri solet, prætermitti.
» Da que’ Savi antichi, e zelanti Dottori Cristiani fu ripreso Teofilo per la Lezione di certi Libri di Origene; e non fu accettata per buona la scusa, che allegava, dicendo. « Io scelgo le cose buone, e le rattengo; e passo le cattive lasciando; come sogliono far le Api, che ne’ campi fioriti si posano solo in que’ fiori, da quali possono ricevere giovamento, e lasciano gli altri.
» E così merita censura, chi si sente della presente Ragione per leggere Libri disonesti.
Ma dirà taluno. Io uso perfettamente, e senza pericolo la necessaria astrazione; e mi diletto solo delle belle parole, delle nobili, e gentili forme di spiegare un concetto. E io rispondo con S. Agostino, allegato di sopra, che malamente si può imparar belle parole, mediante una Lezione tanto bruttal. 1. Conf. c. 16. : dove per lo contrario con parole tali si commette più confidentemente l’opera brutta: e massimamente perché per ordinario non si leggono questi Libri con un fine, e modo tanto buono, che a guisa degli Israeliti nelle case degli Egiziani, coloro, che leggono, prendano solo i vasi dorati, e non gl’Idoli infami. Non tutti sono imitatori d’Achille, che tra le merci esposte dall’astuto Ulisse scelga la spada guerriera, e non l’ornamento Femminile. Si può aggiungere con S. Efrem Siro. « Si Lectioni incumbas, cave ex ea, qua ad fastum, et elegantiamo tantum pertinent sermonis, persequaris, et eo usque dumtaxat tuu extendatur studium: ne spiritus arrogantia cor tuum feriat: verum instar sapientis Apicula, vel ex floribus sibi colligentis, fructum ex is, que legis, pro animi medela desumito.
»De recta videdi ratione n. 36. tom. 1. E io ricordo con il Teologo Bresciano, che come è cosanell’Ant. Par. 4. c. 5. p. 342. molto difficile {p. 50bis} il maneggiar pece senza imbrattarsi, così difficilissima cosa è, che l’intelletto nostro faccia tal’astrazione, godendo solamente delle cognizione delle belle parole; e in tanto l’appetito, e la volontà restino sinceri da ogni impuro affetto verso le cose brutte: perché queste due potenze sono molto connesse tra di loro, da che segue, che dalla cognizione speculativa dell’intelletto si passi facilmente all’affezione pratica della volontà circa l’oggetto dilettevole, e disonesto.
Ma se ogni persona d’animo ben composto, e di passioni moderate, può ragionevolmente temere di non fare, come bisogna, tale astrazione: che si potrà giudicare di que’ Giovani, che liberi nelle passioni, ardenti negli affetti, e forse anche malamente inclinati a’ Vizi, e a’ peccati, ardiscono leggere le belle parole, e le graziose forme; sotto le quali si coprono le brutte oscenità? Contro la temerità di questi dice pieno di meraviglia lo Strada.
« Non possum non demirari confidentiam Juvenum nonnullorum, qui cum audiunt caute agendum esse Adolescentum in amatoriarum rerum Lectione, indigne enim vero ferunt superovacanea monentem, et tantum non ineuriam ab eo fieri constantia sua conqueruntur.
»l. 1. Prol. 4. p. 145. Ma l’esperienza pur troppo convince, che molti Giovani, leggendo Libri osceni, per cavarne qualche erudizione, o per notar le belle parole, con che possano formare, e arricchire le loro modeste Composizioni, ricevono il più delle volte grave danno alla purità, e volendo coglier odorose rose, dicendo con S. Girolamo. « Lego de spinis rosam
»Ad Eustochium de cust. Virg. incontrano pungenti spine, che li trafiggono con molti sozzi pensieri, gravi peccati. I medesimi Giovani, quando vogliono parlare con sincerità, sono proclamatori di quanto ho detto, e possono usare le parole del medesimo Santo. « Melius nescire secure, quam cum periculo discere
»loco cit. in Reg. c. 8.. o quelle di S. Isidoro. « Melius est, perniciosa ignorare, quam per experientiam in aliquem lequeum erroris incurrere.
» O quelle dell’Ecclesiastico. « Non est sapientia nequitie disciplina.
»c. 19. 19.
Il Padre SacchinoOrat. cit. di questi Giovani scrive. « Illud mihi hoc in studiorum genere perincommdum videtur accidere, quod {p. 51bis} plerique Adolescentum ad ea scripta vel temerè delati, vel specie utilitatis illeciti, dum cupiunt assuescere benè dicere, discunt improbè facere, dum expolire student sermonem, inquis nam vitam: flores denique dum colligunt phrasium, pudicita perdunt: quod malum fine dubio multò gravius est opinione multorum, ac latius manat.
» A questi si può dar per avviso. « Nitidios adite fontes, vi quemadmodum decet Sanctos, non linguam magis excolatis, quam mores, nec animum magis doctrina, quam virtutibus exornetis.
» E si può aggiungere. « Detrimentum nullum est, multo nescire, sed lucrum maximum.
» E se qualche Giovane inconsiderato domanda. E d’onde si prenderanno le voci, le sentenze, e i concetti spiritosi, e belli per iscrivere Lettere, o Sonetti, e Canzoni amatorie, e lascive? Risponde l’addotto Oratore. « O impudentiam, o fæditatem vel Belluarum vita indignam. In his tu vocibus, ac sententis educandam putas teneran atatem? Necesse erit ea discere, qua scelus est facere? »
E se i Maestri per avviso de’ Santi Dottori non possono dichiarare i Libri osceni a’ Giovani, dovrà concedersi a’ medesimi Giovani cotal Lezione? E vi sarà persona così pazza, la quale giudichi, « id necesse esse discipulo discere quod interdictum sit Preceptori docere?
» Ma che? Insino l’infedele Quintiliano gravemente avvisa, che devesi procurare, « ut tenera mentes, non modo, qua diserta, sed magis que onesta sunto, discant. Quare deisnat quis quam, specie necessitati; voculas, et sententiolas colligendi, vocare in preceps nimis in lubrico positam per seq lapsantem Adolescentium ac Puerorum aetatem.
»l. 1. Instit. c. 8. Confessa di se stesso questo Autore, che mai aveva letto
alcun Poeta impuro e nondimeno stimava, che, bisognando, avrebbe fatto « Elegiam aliunde Carmen non illepidum, aut injucundum.
» Quasi dir potesse. « Niso Lucullus luxuriaret, non viveret Pompeius?
» Dice poi di chi legge Libri impuri. Pazzo stimerebbesi colui, che raccogliesse ne’ prati i fiori puzzolenti, e l’erbe velenose, e se ne riempisse il seno con straordinaria diligenza, e gran fatica. E tale si è, chi legge cose brutte ne’ Libri disonesti, commette errore grave, e affatto indegno d’un animo Cristiano. S. Girolamo fu ripreso per esser Ciceroniano, perchè {p. 52bis} leggeva Tullio: or che riprensione merita, chi è Catulliano, Tibulliano, o simile,o forse peggiore? S. Paolino scrive. « Negant Camanis, nec patent Apollini dicata Cristo pectora.
»
Nota decima terza.
Si considera un’altra Ragione, per la quale alcuni attendono alla Lezione poco modesta.
Aristotile insegna, che le Favole poetiche furono ritrovate a fine, che i Mortali attendessero all’acquisto della Virtù, e alla fuga del Vizio. « Poetica fabula, scrive S. Tommaso, idcirco invente sunt, quia, quemadmodum ait Arist. in Poeticis, consilium illorum erat, ut mortales adducerent ad Virtutis adeptionem, ac Viti fugam.
»in ep. 1. ad Tim. L. 1. cap. 4. E però quell’antico chiamò i Poeti « Philosophos re, nomine Poetas, qui invidiisam rem ad eam Artem perduxerunt, que maxime populum demulceat.
»Max. Tyr. ser. 29. Platone non levò dalla sua Repubblica i buoni Poeti, i quali chiamò « Deorum Filios, et Prophetas Deorum
»in 2. de Rep. In Lysi., e di più, « Patres, et Duces sapientia
». Ma levò solo i cattivi, come nota, Massimo Tirio: anzi egli, nel Dialogo 2. delle Leggi mostra, che i Legislatoriapud Possevin. Pag. 111. A. si fervono de’ Poeti; acciocché gli animi de’ Giovani, allettati dalla poetica dolcezza si accomodino più facilmente all’obbedienza delle Leggi. Onde in Candia fu antico il costume d’insegnar in musica a Fanciulli le Leggi. E il Re David buona parte della Divina Legge racchiuse nella Poesia de’ Salmi; « Ut dum suavitate carminis, scrive S. Agostino, mulcetur auditus, divi sermonis pariter utilitas inferatur.
»lib. 1. Geogr. E questa dottrina è spiegata copiosamente anche da Strabone, il quale avvisa, che fu già antico istituto delle Città, e de’ Legislatori l’usar le Favole de’ Poeti, per muovere soavemente, e efficacemente alla Virtù le menti umane.
E in vero se le opere de’ Poeti fossero state fatte, o si facessero con la regola di fine tanto nobile, e virtuoso, non avrebbero avuto già, né di presente avrebbero molte parole impure, e molte cose inoneste, con le quali essi danno occasione {p. 53bis}, che si dica. « Et simulant Curios, cum Bacchanalia scribant.
» E per le quali la loro Lezione meritamente si chiama oscena, e degna d’esser fuggita, e detestata da tutti i Virtuosi. Ma pure molti non la fuggono; anzi la praticano frequentemente. Onde Ribera scrive. « Huius generis Libros qua plurimos, aut soli Hispani habemus, aut plures, quam ali; neque prohibentur unquam, sed impune a quavis atate, a quavis conditione leguntur in magnam onestorum morum depravationem. Nec pudet homines non dico doctos, aut ingenisos, sed homines ea legere studiosissimè, qua sciunt a nugacissimis hominibus, et tempore, ac mente abutentibus, inanissime fuisse conficta.
»in c. 1. mihi. n. 60. 61. Ma vediamo per quali Ragioni si leggano questi Libri. Due n’ho spiegate: or ecco la terza. La quale mi do a credere, che sia; perché molti non fanno, o non si curano di sapere, e considerare i molti e efficaci motivi, che una persona virtuosa può avere per lasciare, fuggire, e odiare cotal Lezione. Io noto solo i seguenti.
1. Motivo è la Professione di Cristiano, il quale avendo una Legge immacolata, « Lex Domini immaculata
», deve fuggire con diligenza ogni bruttezza, e per conseguenza anche l’oscena Lezione de’ Libri poco modesti.
2. Motivo è il ricordarsi, che la mente, la lingua, e la bocca del Cristiano è stata più volte consacrata col prezioso Corpo, e Sangue del Redentore nella Santa Comunione: e però non si deve profanare con la Lezione disonesta.
3. Motivo è la Renunzia fatta nel battesimo al Demonio, e alle sue vanità, una delle quali, e molto perniciosa, è la Lezione impudica.
4. Motivo è sapere, che le parole oscene de’ Libri disonesti sono villanie, maldicenze, e bestemmie contro l’onore del nostro celeste, e divino Padre Dio, contro la reputazione della nostra Santa Madre Maria; e contro i nostri Santi Avvocati del Paradiso. Chi pratica dunque tal Lezione, che aiuto può aspettar in morte da Gesù, da Maria, e da’ Santi ?
5. Motivo è persuadersi, che i Libri osceni sono, come cibi avvelenati, posti in un real banchetto insieme con altri cibi preziosi, {p. 54bis} buoni, e salutari. E come stolto si giudica da’ Savi colui, che in vece de’ cibi giovevoli, prende i nocivi, e si avvelena: così pazzo stimar si deve, chi tralasciando la Lezione de’ Libri onesti, pratica quella de’ disonesti, e ne resta il misero avvelenato
6. Motivo è l’allegrezza del Diavolo nella molte del Lettore de’ Libri osceni; l’Inimico in quel punto si burlerà di lui; e li rinfaccierà il diletto, e i peccati della pestilente Lezione. « Quid Cacodemon faces in morte, scrive Dresselio per acconcio di questo motivo, cum Ovidios, et Amadisios, et c. morituro rum oculis ingeret, quos sane tantis studis legebant, forsan etiam re divina ob id facile, temereque neglecta.
»In Niceta l. 1. c. 5. n. 2. In quel punto di morte il Diavolo dirà a gli Spiriti maligni. Ecco ecco il nostro Scolaro, che con diligenza, e gusto ha letto, riletto, e studiato i nostri Libri: orsù diamoli il meritato premi: conduciamo alle nostre stanze, e allo studio nostro: ivi poniamolo in Cattedra; acciocché con gli altri suoi Compagni dannati legga contro Dio le solite Lezioni di bestemmie, e di maledizioni in sempiterno: E invero se meritarono già la vendetta del Cielo coloro, « Quorum carminibus, dice Manilio, nihil est, nisi Fabula Celum
» : meritano bene oggi la pena dell’Inferno quelli, « Quorum carminibus nihil est, nisi fæda Poesis.
»
Questi sei Motivi spiega diffusamente il Religioso Teologo Bresciano, i quali qui ho accennato in breve per comodità di chi legge: e a’ quali ora aggiungo altri più distintamente.
7. Motivo è il poco prezzo, anzi il molto disprezzo, con che molti Infedeli hanno condannato i Libri, e i Componimenti osceni.
« Plato, dice il Dottissimo P. Suarez, Poetarum Libros, quide Dis suis irreligiose loqui videbantur, exterminandos a Republica censuit.
»t. 4. de Relig. L. 5. c. 6. n. 8. Pla. L. 7. de legib. Platone giudicò levar dalla Repubblica sua Libri de’ Poeti, che parevano parlar de’ Dei non religiosamente. E quando quel gran Filosofo, e saggio Politico leggendo Omero, giunse all’esplicazione, con che dichiara gli Amori de’ Dei, subito stimò perniciosa quella Lezione. E se bene alcuni {p. 55bis} vogliono, che que’ parlari amorosi altro non siano, che giudiziose Allegorie; nondimeno SocrateIn Plat. dial. 2. de Rep. avvisò, che ne anche tal’Allegorie si dovevano scoprire alla Gioventù. Laonde con ragione disse Simanca, citato dal P. Suarez. « Non solum vere Religionis cultores, sed etiam eos, qui perversam, atque impiam Religionem suscipiunt, Libros noxios damnare solere. Quod multiplici eruditione latè confirmat de Catholicis inst. tit.38. et latius l. 3. de Resp. c. 26.
» Cioè. Non solo i Cattolici, ma anche gl’Infedeli sono stati soliti di condannare i Libri nocivi alla purità.
Plutarcoin Crasso. nota, che Surena, Capitan Generale dell’Esercito del Re de’ Parti, riportò vittoria contro i Romani con la morte di Crasso, e con la rotta delle sue schiere; e dovendo trionfare, stimò non piccola gloria del suo trionfo, far comparire in quello un Libro detto, la Milesiaca di Aristide, Opera di poco onesto argomento, e trovato tra le spoglie, e robe di un Gentiluomo Romano: quasi volesse dire. Sono degni di vitupero i Romani; poiché non solo nell’ozio della pace; ma anche nel grave negozio della guerra, attendono alla Lezione de’ Libri impudichi. Io trionfo della loro effeminata viltà, e vituperosa impudicizia, ovvero diciamo. Quel Capitano, e i suoi Soldati portarono il detto Libro nel trionfo, « ut ostenderent, dice un moderno, non se de gloria Romanorum, sed de luxuria triumphare
»Lodovico Cellotio.. Erano Soldati casti, odiavano la Lezione oscena, e trionfavano dell’affetto lussurioso.
Ho letto nel Possevino un lungo Indice de’ Libri, che furono trovati nell’Armata Turchesca, quando da’ Collegati Cristiani ricevé la famosa Rotta Navale: e niun ve n’ho trovato, che tratti delle vanità lascive, e delle pazzie dell’impudico amore: e pure la Nazione Turchesca vive con grandissima libertà del senso: e la Milizia del Turco non si esercita nella palestra della pudicizia. Che diremo dunque? O che il Possevino lasciò di numerare qualche Libro de’ ritrovati; e quello era osceno: ma detto tale è immaginario, e non ha fondamento; o pure che la Lezione de’ Libri disonesti è fuggita, e odiata insino da’ medesimi Soldati Turchi, i quali tenendo solo Libri virtuosi, {p. 56bis} mostravano co’ fatti, da qual Lezione essi ricevessero diletto. «Ex is, dice il Possevino, aliquam existere notitiam, quibus Libris delectentur.pag. 56. D.
» E quindi può il virtuoso Fedele prendere un efficace motivo, per animarsi alla fuga d’ogni impudica Lezione de’ Libri osceni.
So, che alcuni dicono. Noi leggiamo per sapere le Favole degli antichi Poeti. E io rispondo con S. Agostino. « Dicite obsecro, non ne hæc si vera, essent, qua sine dubio falsa sunto, quia fæda sunt, non ne melius nescirentur?
» ser. 143. de Temp. Meglio sarebbe una virtuosa e pudica ignoranza che una dotta impudicizia.
Nota decima quarta.
Si continua la stessa materia.
Ateneoscrive. « Libri soli rerum pulchrarum cupidos erudiunt.
»l. 4. c. 19. I soli Libri buoni bastano per ammaestrare al bene i Lettori desiderosi. Questi Libri cagionano, che si pensino cose buone. Scaligeroapud Fam. P. 145. fece già una grave interrogazione intorno ad un Giovane che ode sentenze e parole oscene: la quale noi ora possiamo rinnovare intorno a chiunque attende alla Lezione di simili oscenità. « Quid cogitet Adolescens, dice egli, qui caterarum ignarus obscenitatum, audiat (dico io, «legat» ) sententias, aut vocabula tam nefanda, quam mostruoso sunt ingenio i, qui ea scriptis suis audent insecere?
» Cioè, che pensieri nasceranno nell’animo di un Giovane, che oda, o legga brutte sentenze, e parole tanto impure quanto sono quelle che gli Scrittori molto disonesti usano ne’ loro Componimenti? Certo vi nasceranno bruttissimi pensieri. Dunque ogni buona regola di ragione vuole, che si moltiplichino i Motivi, per rendere abominevole ad ogni Virtuoso così nociva Lezione. Sia però l’
8. Motivo il considerare il grave disgusto, che molti Compositori hanno sentito d’aver impiegato l’ingegno, e la penna in opere sregolate, e fatte da loro, e non secondo le buone Leggi della cristiana Modestia.
Nella {p. 57bis} vita del virtuosissimo Servo di Dio P. Bernardino Realino da Carpi, e Religioso della Compagnia di Gesù, scrive il P. Giacomo Fuligatti, che delle Opere composte da lui nell’età secolare una sola se ne stampò, e fu un Commentarioc. 3. della Vita del P. Realino. sopra le Nozze Catulliane di Pelleo e Tetide; e quello apportava all’anima del medesimo Padre, fatto Religioso, ogni volta, che se ne ricordava, notabile confusione; e averia voluto aver nelle mani tutte le copie, che s’erano pubblicate, per poterle bruciare; parendo a lui d’aver troppo malamente impiegato il talento, e ingegno suo in scrivere dett’Opera.
Scrive il P. Lorino. « Libros amorum ab se compositos Joannes Picus Mirandula, et nonnulli praterea nostro seculo exusserunt; aut se scripsisse, scripto deploraverunt.
»In Act. Ap. C. 19. v. 19. §. Deinde documentu. Così scrive, avvisando, che Giovanni Pico della Mirandola, e alcuni altri Scrittori del nostro secolo bruciarono i Libri da loro composti in materia di Amore ovvero piansero con pubblica scrittura l’errore di avere scritto amatoriamente. « In his Rari sius, scrive Lorino, sub mortem detestatus est Superioris vita in scribendo luxum versu extemporaneo.
Ite mali versus, animam qui perditis, ite.
Idem fecit Laurentius Gambara et Petrus Bembus, et Fracisus Petrarca. Et Torquatus Tassus, et Petrus Ronsardus, et M. Antonius Muretus, et Aeneas Silviur. Idem proditum etia est de Platone, Homeri ad hoc propositum prefato versum.
Nunc opus est, Vulcane lumen accede Platoni.
Virgilius quoque moriturus mandavit, Poema exuri, propter fortasse consictam Didonis impudicitiam.
Metrocles id in suis Libris cum faceret, dicebat.
Sunt inferorum ha somniorum immagine.
Nonnus, nobilissimus Poeta Christianus, Dionysiaca obscena
Carmina comburens, ad res sacras stylum convertit.
»
Ovidioeleg. 3. l. 42. de Ponto., medesimo confessò di se stesso. « Multa equidem scripsi, sed qua vitiosa putavi, Emendataris ignibus ipse dedi.
» Con questa lunga numerazione di Autori, che condannarono al fuoco l’Opere loro, si prova, credo, assai bene il grave disgusto, che essi riceverono, per aver fatto Componimenti osceni.
Nella {p. 58bis} pubblica Piazza della Città di Efeso furono bruciati molti Libri superstiziosi, e curiosi, tra’ quali, come stima Ecumenio, molti ve n’erano Amorosi disonesti; onde que’ Fedeliloco cit. p. 76., che li bruciarono, meritano per la penitenza fatta un grande onore. Scrive per acconcio di questo Baldesano a gloria di altri. Sommamente commendati furono e saranno sempre quelli, i quali revistisi una volta della trascuraggine della loro penna giovanile, se stessi emendandosi, n’hanno anche dato al Mondo soddisfazione. Tra questi fu Nonno Poeta nobilissimo, il quale stracciando i suoi Poemi Dionisiachi, tutto si trasferì allo studio, e Composizione di cose sacre. E Pio II. ricordandosi d’aver scritto, mentre era giovane d’anni, e di senno, un Libro di materia un poco scabrosa, grandemente se ne dolse; e volle, che il Mondo credesse, che egli sopprimeva quel parto, come mostruoso; e ne fece menzione, ritrattandosi, e pregando ognuno, che a quel suo ultimo consiglio, e ordine si astenesse, e scrisse così. « Seni magis, quam Iuveni credite; nec privatum nomine pluris, quam Pontifice facite: Aeneam recicite: Pium suscipite.
»
Ma se a nostro tempo vi sono Compositori, che non mostrano in vita dolore di tali oscenità, credo bene, che lo mostreranno in morte; se vorranno morire da buoni Cristiani. Io aveva inteso, che Gio. Battista Marino, quando morì in Napoli, diede segni di cordialissimo dolore per aver composto varie oscenità: me ne volsi certificare a pieno, e restai chiarito, leggendo questa lettera scritta dal P. D. Marc’Antonio Sanseverino Chierico Regolare al P. D. Salvatore Bianchini a Fiorenza.
Rever. In Cristo Padre.
Mi sono informato da molti Padri di gravità di quanto V. P. m’ha comandato: e mi dicono tutti, che il famoso Poeta Marini, il quale morì con grano sentimento di Dio in mano del P. D. Andrea Castaldo, f. m. già nostro Generale, e di santissima vita; facesse più volte instanza, che alla sua presenza si bruciassero tutti i suoi scritti dentro una cassa; e con lacrime, e pianto lo chiedeva: ma perché tra quegli scritti profani v’erano {p. 59bis} ancora alcuni sacri, non parve a quel, buon Padre condiscendere. E di questa verità ne fòLXXXVI fede anch’io d’averla intesa. Con che la prego a ricordarsi di me ne’ suoi santi Sacrifici, e le fò riverenza.
Credo, che gli Scrittori impudichi nel passo della loro morte avranno questo sentimento del Marino, se prima con vera penitenza non avranno soddisfatto a Dio per gli errori commessi; altrimenti meriteranno, che di loro si scriva ciò, che il gran Gersone, predicando, disse contro Giovanni Meldunense, Autore di un Libro impuro, intitolato. « Romantius Rosa. Si mihi constaret, ecco il detto, Joannem ipsum Meldunensem Libri huius editi, et evulgati crimen penitentia, et animi dolore non diluisse, nihil illi melius vel precarer vel appellarem Deum, quam Juda Iscariota, de quo mihi dubitare non licet, quin penas det nunquam desituras.
»ser. 1. in Dom. 4. Aduent. Lit. T. apud Lorin. In Act. c. 19. v. 19. p. 719..Cioè. Se a me fosse noto, che Giovanni Meldunense non avesse cancellato con la penitenza, e col dolore dell’animo il peccato di aver mandato in luce quell’impudico Libro, io niente meglio pregherei Iddio per lui, che se pregar dovessi per Giuda Iscariota, di cui non m’è lecito dubitare, che non paia un eterno supplicio tra’ Dannati.
Ma se i Compositori osceni piangono con amarezza di cuore i commessi errori dello scrivere impuro; non dovrà il virtuoso Cristiano prender quindi motivo per fuggir cotal Lezione? E anche per bruciare Libri tanto perniciosi? Sì per verità. « Qui incendunt impietatis faces, scrive il P. Sacchino, pis facibus concrementur. Inuratur etiam hic dolor animis illis, quos tartares adurunt ignes, ut sentiant, se despici, proculcarique Hoc metentur, qui contra Ducem, Deumque nostrum; scelerata arma sumpserunt, qui nos secum in exitium voluerunt pertrahere sempiternum. Abeant, valeant, facessant in malam crucem, seu potius in bonas flammas.
»orat. cit.
Non nego già, che, chi si risolve a far un tale abbruciamento, non fi per sperimentare grave difficoltà, ma il sacrificio farà {p. 60bis} di molta gloria a Dio e di consolazione all’Autore, se non prima, almeno al tempo della sua pericolosa morte. Io so d’un famoso Poeta, che mirando questa verità, non al lume della Gloria mondana, ma della retta Ragione, e della Cristiana Fede, cominciò a considerare un Libro da se composto, come un novello Faetonte del Mondo, e sentì nascere nel suo cuore pensiero di fulminarlo con la sentenza del fuoco; ma mentre lo prese per sacrificarlo a modo di vittima nelle fiamme, l’affetto con una certa forza di Compassione gli fermò la mano, ricordandogli la lunghezza, e freddezza delle notti, vegliate nello spazio di sette anni spesi in tal Componimento; la grandezza delle fatiche tollerare a forza d’ingegno; la sostanza migliore della sua Sapienza ivi spremuta; il detrimento notabile della sua sanità indebolita grandemente, per non essere particella veruna in quell’Opera, che non gli costasse parte della vita; la pubblica aspettazione, e brama del Mondo desideroso di vederla; lo splendor della gloria, che gli veniva promessa da un Libro degno di plauso universale, e unico in quella maniera di poetizzare. Questo fu un moltiplicato incantesimo, che più volte gli ritenne la mano, rese stupido il braccio, e cangiò il pensiero del cuore: quindi mutato parere, stimò se stesso Autore di crudeltà, e preso il Libro lo strinse al seno in segno di tenerlo nel cuore, lo baciò, quasi assicurandolo di pace; e gli promise la bella luce della Stampa in vece del vorace splendore dell’abbruciamento. Spiega nobilmente, e ingegnosamente questo caso il P. Daniello BartoliNell’Huomo di lettere., e poi aggiunge per avviso de’ Poeti.
Dio, vi guardi, che mai siate Padri d’un simil Libro. Quantunque lo conosciate d’indole scellerata, e di costumi infami, l’ucciderlo di vostra mano, lo sbranarlo facendone pezzi, l’incenerirlo nel fuoco, vi sarà impresa di si difficile riuscita, quanto ammazzare di vostra mano un figliuolo: se appunto disse il Maestro d’Origene, « Libri sunt fili animorum.
»Stromat. Aggiunge l’addotto Autore, che non sa, qual più volentieri fosse per vedere di questi due Spettacoli, o un Abramo, che su l’altare sta per uccidere il Figliuolo, o un ottimo Scrittore d’un pessimo Libro, che mostra in atto di gettarlo nelle fiamme: e forse gli pare {p. 61bis} impresa men difficile il primo Spettacolo, che il secondo. Da che io inserisco. Dunque dovrebbe ogni Scrittore impuro risolversi all’abbruciamento dell’Opere sue immodeste, persuadendosi, che si cosa di somma difficoltà di gloria segnalata a Dio, di notabile consolazione in morte e di onorata imitazione di que’ molti, che, al timor, dell’Inferno, e lacrimando vollero, che s’abbruciassero i loro impuri Componimenti.
E legge di Prudenza raccorre dalle lacrime altrui, dagli ardori penaci, preservativo per non addolorarsi nelle proprie lacrime, e per non penare nel fuoco eterno.
9. Motivo è la Proibizione fatta da’ Superiori in questa materia di Composizioni, e Libri osceni, i quali dice il MazzarinoRag. 25. M., né comporre, né leggere, né permettere si devono,vietati strettamente ne’ Libri delle Leggi, e della Repubblica di Platone, e dagli Imperatori Numa Pompilio, e Augusto Cesare. La Chiesa, come nota Baldesano, ha sempre scopertonello Stimolo par. 1. c. 6. in questo la sua pura intenzione, e zelo di bandire ad ogni modo, e affatto estinguere semenza di si gran male nel Mondo.
Il Possevino dice. « Summi Pontifices, atque Imperatores sanxere Legibus, ne quid prodiret in lucem, quod aut turpitudinem, aut Haresim saperet.
»in Bibl. L. 1. c. 25. par. 1. p. 107. Cioè i Sommi Pontefici, e gl’Imperatori decretarono con Leggi, che niente si pubblicasse, che sapore avesse, o di bruttezza, di eresia: adunque vollero proibire la Lezione oscena a’ Fedeli, se non con pena di censura, almeno con reato di grave peccato, e con provvido avviso di saggi Moderatori, e Conservatori de’ buoni costumi, che avvisano per tempo i pericoli, acciocché si fuggano con diligenza.
Il P. Cresollio scrive. « Viderunt hoc malum Sanctissimi Ecclesia, Curatores, e ea causa leviculos Poetas, nugarum plenos, et inverecunda audacia, prohibendos censuerunt. Causam profert Isidorus longe gravissimam. Quia per oblectamenta inanium Fabularum mentem excitant ad incentiva libidinum.
»in Auth. Par. 1. c. 11. 5. 10. p. 402. Cioè. I Santissimi Governatori della Chiesa videro questo male, e però giudicando di dover proibire i vani Poeti, pieni di baie, e di ardimento inverecondo: e Isidoro porta di questo una gravissima cagione: perché tali Poeti col diletto delle vane Favole eccitano {p. 62bis} la mente a libidinosi incentivi.
Don GiovanniPar. 2. c. 18. p. 79. del libro intitolato, Avvisi di coloro, che hanno cura d’Anime. Bernardo Dias di Luco Vescovo di Calahora da il seguente avviso a Curati delle anime. Perché l’esperienza insegna, e i Savi lo scrivono che gli Uomini tali diventano, quali sono i Libri, che leggono: assai debbono i Sacerdoti Curati travagliarsi che i Padri, e Signori non acconsentano, che in casa loro si leggano Libri disonesti; né che possano provocare a Vizi: perché, come non consentirebbero con che i loro Figliuoli, Figliuole, e Servitori, ancorché per picciolo spazio di tempo conversassero con persone viziose; così non debbono consentire, che si ritrovino del continuo, giorno e notte occupati in Libri pieni di parole, e di atti disonesti, e lussuriosi; co’ quali tanto sogliono più dilettarsi, massimamente le Donzelle quanto più appartati di conversazione si ritrovano; e meno pronti veggono i Padri, e le Madri loro a torli da così cattiva Compagnia. E perché, se bene le cose se da se stesse assai chiare, e vere appariscono, l’autorità de’ Santi, e gli esempi degli Antichi, loro maggior autorità danno, e imprimono meglio la intenzione nostra in coloro, che l’ascoltano per muoverli a ciò maggiormente, debbono i Curati dire loro, come Prospero antico, e Santo Dottore, dice che gli antichi, come buoni zelanti della salute delle anime, e de’ buoni costumi de gli uomini, ordinarono, che niun Giovane leggesse il Libro del Genesi, né do Ezechiele Profeta, né i Cantici, né altri Libri di questa sorte, ancorché della Sacra Scrittori siano, e scritti per inspirazione dello Spirito Santo: perché dubitavano, che i Giovani, restassero d’imitare le cose Sante, che si scrivono:·e si lasciassero più tosto provocare all’amore disonesto, e lascivo delle Donne. E se il Cristiano, e santo zelo antico si stendeva ad evitare le occasioni che dalla Scrittura Santa prendere si potevano; che si dovrebbe fare in questi miseri tempi, cosi pieni di Libri viziosi che niun utile recano alla Repubblica, e tanto danno alle anime di color, che li leggono?
Il Teologo BrescianoNell’Antip. par. 4. c. 3. p. 320. avvisa, che quello, che più importa. in questo negozio è il santissimo, e necessarissimo Decreto del {p. 63bis} Sacrosanto Concilio di Trento, il quale per provvedere a tanto abuso, e rimediar al gran male, che partoriscono Libri tanto pestilenti, ordina così nella Regola settima dell’Indice.
« Libri, qui res lascivas, seu obscena ex professo tractant, narrant, aut docent; cum non solum fidei, sed et morum, qui huiusmodi Librorum Lectione facile corrumpi solent, ratio habenda sit, omnino prohibentur: et qui eos habuerint, severe ab Episcopis puniantur.
» Questo modo di parlare, se bene si considera, mostra, che chi fa altrimenti casca in disgrazia di Dio per lo peccato mortale, che si commette: come chiaramente si dice nell’ultima Regola. « Qui Libros alio nomine interdictos legerit, aut habuerit, prater peccati mortalis reatum, quo afficitur, iudicio Episcporum severe puniatur.
»
È vero, che i Libri antichi scritti da’ Gentili si permettono per la proprietà, e eleganza del parlare: come dice la medesima Regola settima. « Antiqui vero ab Ethnicis conscripti propter sermonis elegantiam, et proprietatem permittuntur.
». Ma è anche vero, che ivi si aggiunge: « nulla tamen ratione Pueris prelegendi erunt
» : non dimeno cotal Lezione oscena in niuna maniera si dovrà permettere a’ Giovanetti; e molto meno a’ poco virtuosi, e deboli di spirito; perché sarà loro sdrucciolo di facilissima caduta mortale, e di rovina. E quindi si può prendere la risposta, per darsi a chi dice. I Libri osceni, che io leggo, non trattano, né insegnano, ex professocioè di proposito, le oscenità; e però non sono compresi nella Proibizione dell’Indice: e per conseguenza io non pecco leggendo le parole brutte, e le cose disoneste, che sono poste in qualche parte di un Libro, e come per indecenza.
Rispondo, e dico, se un tal Lettore non peccherà per disubbidienza contro la Proibizione dell’Indice, peccherà per esporsi debole di virtù al manifesto pericolo di peccare contro il precetto della Cristiana Castità. Peccherà per volontariamente incontrare un’occasione prossima di precipitate in que’ mali gravi, e infiniti, che sogliono cagionarsi da così nociva Lezione. E forse anche peccherà di scandalo; perché altri poco fondati nello spirito ad esempio suo leggeranno le oscenità e peccheranno {p. 64bis} : e di tutti que’ peccati egli sarà partecipe, quanto alla colpa in questa vita; e nell’altra quanto all’eterna dannazione.
Ma se altro male non facesse, almeno si fa simile a que’ perversi Ebrei, che rifiutarono Cristo Redentore, e elessero Barabba scellerato. « Itidem prorsus, dice Dressellio, spurcorum Scriptorum Lectores faciunt, et grandi voce, hoc est opere ipfo. Succlamant. Non hunc, non Libellum de imitatione, Christi, sed Barabbam, sed Amadisium.·Itane vos, Christum, et Christianas lucubrationes tam facile repudiare; admittere Barabbam, tam, parricidas Libros in exitium vestrum petere, et fonere?
»in Niceta l. 1. c.. 5. p. 2.. E poco dopo aggiunge. « Quæso, qua tandem hæc nostra insania est? Iam proximus ardet calegon, ac flammas vomit caminuo noster, et nosre sinam et oleum affusuri accurrimus. Quid opus libidinem bis Libris accendere? Iam ante savit nimium in humanio membriso a Protoplasti lethali morsu. Satius profecto foret veloculis carere, quam illis tam male uti.
» O che abuso, impiegar gli occhi, dati per servire al Creatore, nell’offese del medesimo Creatore.
Nota decima quinta.
Si aggiungono altri motivi.
Il 10. Motivo è il debito di virtuoso Cristiano, fornito di un animo tutto onesto, e prudente; e chi tale si professa, è in realtà, fugge, e detesta ogni oscena Lezione; quando però non sia a lei astretto da qualche gran ragione di necessità, ovvero di zelante carità. « Est animi onesti, et pudentis, dice Cresollio, non tangere omnino illos Poetas, nec pervolutare, qui amatoria ex ρrofesso cecinerunt, quorum institutum improbum est et a rectissimis, onestissimisque sendis alienum: sint illi forte ingegnosi, et eloquentes, molliterque faceti et subtili nequitia blandi; fugiendi eo magis, quod venenum aureo in Calice artificio sissimè, et flagitiiosissime propinant. In alis vero Operibus, quatitulus non incestat nec tenore continuo sunt impudica, {p. 65bis} si quid obsceni forte occurrerit, transilire opertet.
»In Auth. Par. 1. c. 11. 5. 10. p. 402. Cioè. Proprio si è dell’animo onesto, e prudente non toccar que’ Poeti, ne rivoltar i fogli loro, quali di proposito cantarono cose amatorie: l’istituto loro è scellerato, e alieno da gli studi virtuosi, e onesti: che se per avventura essi sono ingegnosi e eloquenti, e faceti graziosamente, e allettativi, e piacevoli con una sottile malizia; tanto più si devono fuggire, perché porgono artificiosissimamente, e con somma iniquità il veleno in una coppa d’oro. Nelle altre Opere poi, nelle quali, né il titolo è disonesto, né vi si leggono bruttezze continuamente, bisogna saltare senza legger quelle parti, nelle quali s’incontra qualche oscenità.
E questa era, dico io, la prudenza degli Antichi, e Virtuosi Fedeli, come si può conoscere da’vecchi Annali. E però Sozomenol. 2. t. 12. ripose, come bel fregio di lode, nelle persone pie la fuga delle parole oscene, « Verborum obscenitatem fugere
» : e S. Atanasio scrive, che i buoni, e onesti Cristianiep. ad Solit. erano soliti di fuggire le parole sporche, e lascive, come i velenosi morsi degli Aspidi, « Ut Aspidum morsus
».
Ma se le parole poco modeste, anche solamente udite, meritano di essere detestate, e fuggite, molto più ciò meritano le medesime scritte, e stampate; perché queste lette sono molto più nocive, e perniciose al parere de’ Savi; de’quali uno scrive modernamente. « Scriptura perniciosa, licet anima a arentis, nocumentum est maius, quam verbo rum; quatenus constantior est, et magis in otio legitur.
» Balthasar Cavassius de perfect. Prud. L. 3. c. 4. §. 8. pag. 622.
Forse taluno mi opporrà, che anche i Santi Padri antichi, e i Dottori, hanno letto, e riletto diligentemente i, Poeti della Greca, e Latina Gentilità: e per conseguenza più volte hanno letto molte parole, e molte cose impure, e in quelle hanno saputo cercare, come l’oro nel loto, la politezza del dire, e la nobiltà delle forme da usarsi scrivendo, o favellando.
Rispondo col P. Possevino. « Patres diligenter volutasse Poetas Ethnicos, at ideo, ut non tam inde elegantiam dicendi servent, quam ut Gentilium errores confutarent.
»in Bibl. P. 2. l. 17. c. 4. p. 225. Cioè, i Padri lessero i Poeti, ma non tanto per imparare l’eleganza del parlare {p. 66bis}, quanto per confutare gl’errori de’ Gentili con l’autorità de’ medesimi loro Scrittori, che è un vincere il Superbo Gigante, e troncarli l’altiero capo con la popria spada.
Aggiungo. I Santi Padri, e i Virtuosi Dottori non lessero gli osceni Poeti, se non per necessità, o per zelante carità, molto ben preparati, e cautelati, per non ricevere danno nelle anime loro dal trattamento di quelle velenose Poesie: e con ragione invero; « nam, ut qui venena tractaturi sunt, dice l’Allegato, nisi prius Antidtis se se pramuniant, imprudentes iure exstimantur: ita ad impiorum dogmata, Fabulas, portenta, impudicos amores perlegendos, ut imparati accedamus, indicet is qui vere prudens sit, quanta prudentia fuerit.
» Cioè, come imprudenti sono quelli, che, senza fortificati con buoni antidoti; maneggiano i veleni così merita d’essere tenuto imprudente, chi s’accostaNell’Antid. Par. 4. c. 5. p. 344. alla Lezione oscena senza la debita preparazione.
E questa si è a parere del Teologo Bresciano l’aver domate le passini viziose; e tenere l’affetto tanto staccato dalle cose create, che si possa dire con S. Paolo, « omnia arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam
». E chi non è giunto al segno di tale bontà tema di non cadere, se attende alla Lezione oscena.
11. Motivo è l’avviso de’ Poeti, e de’ savi Gentili e de’ Dottori Cristiani. Il P. Possevino scrive di Ovidio. « Feditates istas Poetarum agnovit, cum dixit.
» Conobbe queste oscenità de’ Poeti il Poeta Ovidiol. 2. de remed. Amor. quando disse.
« Eloquar invitus: teneros ne tange Poetas:Submoneo dotes impius ipse meas.Callimachum fugito: non est inimicus Amori.Et cum Callimacho tu quoque Ceè noces.Carmina quis potuit tutò legisse Tibulli? »
Avvisa questo Poeta, che non si tocchino, e molto più, che non leggano gli amorosi Componimenti de’ Poeti, che scrissero con oscenità.
Gran cosa è questa, come pondera il P. Sacchino. Un Poeta gentile, e disonesto comanda, che non si tocchino gli Scrittori di Poesie impure: e i Giovani Cristiani ardiranno di maneggiarli tutto dì, leggerle e rileggerli, e impararli a mente senza {p. 67bis} danno dell’anima? O inganno diabolico, e infernale. Narrano l’Istorie, che una volta il Diavolo fece l’ufficio di Predicatore e esortò gagliardamente gli Ascoltanti all’esercizio delle vere Virtù; acciocché poi non trovassero perdono a loro peccati, e non avessero la scusa di dar la colpa al Diavolo, che gli avesse sollecitati al peccare, e ingannati. Un non so che di simile si può dire nel caso d’Ovidio, mentre predica, che non si tocchino i Poeti impuri. E se un Cristiano poco si vale di tal predica, può egli avere speranza del perdono delle Colpe commesse con la Lezione disonesta? Giudichi il savio Lettore. Pondera di più il P. Sacchino, che niun Autore, né moderno, né antico, né Poeta, né Profanatore, si deve toccare, se ha scritto di materia brutta. « Aio, quisquis ille Autor sit, sine antiquus, sine recens, sine astricta numeris oratione, sine soluta, si fæda ac turpia tractet, tum ab Adolescente, neque sententiarum, neq vocam, neque artifici, neque ullius rei causa attingi oportere.
» Né parla solo degli Autori Latini, ma di tutti: e in quanto a’ Latini mostra con bella induzione, che vi sono Maestri di onesta latinità per tutte l’Arti, e per le Scienze tutte. Per la Militare vi è Frontino, e Vegezio: per l’Agricoltura Palladio, Columella, Varone, e Catone: per l’Architettura Vitruvio: per la Medicina Plinio, e Celso: per la Legale, e Civile le Pandette: per la Morale Seneca : per la Naturale il medesimo Seneca, Plinio e Lucrezio: per l’Istoria Sallustio, Cesare, Livio: per la Retorica Quintiliano: e per tutte le Facoltà, Arti, e Scienze l’eloquentissimo Cicerone. Ma che diremo della Poetica? Bisogna per impararla pigliar, e leggere Libri impuri? No al certo, scrive il Padre
medesimo: « Si alterutri pereundum, aut periclitandum est, Poesi, aut Pudori, saluus sit Pudor; quin ilia citius pereat, quam hic pericletur.
» E aggiunge. «Sed non ita est. Ad Poeticam Cristiano, atque adeo homine dignam nulla est necessitas graneolentes illas cloacaso adeundi». Abbiamo Virgilio, Lucano, Silio, Valerio Flacco, Claudiano, e Stazio, «si pauca demas» ; senza, che io proponga que’ poco insigni nella Virtù, Boezio, Prudenzio, Palino e Giovenco, Fortunato, Sedulio, e altri, « quorum {p. 68bis} versus docent, si non culta, quam verecunda debeant esse Musa Christiana
». Oltre che non mancano molti Poeti impuri, da’ quali si sono dette molte cose buone, e possono leggersi dal Giovane virtuoso; a cui replico, che Ovidio dice, come anche nota Baldesano, « Ne tange
», perché veramente. « Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea.
» E chi tocca l’Appestato, o il Lebbroso, ha cagione grande di temere ben tosto dell’ultima sua rovina.
Il P. Dresselio dopo aver citato questo luogo: di Ovidio, aggiunge. « Audisne: ipse pestilens Poeta vociferatur. Ne me attingas: abi recede. Pradicit periculum; malum ante denuntiat, proclamatque fuge, procul esto, ne inficiaris. Tu vero inferste, et irruis; nec amicorum revocantium, nec hostium repellentium voces audis: tangis, legis, relegis, expendis magis serius, quam divinitas paginas. Ergo iure vox Celo intonat. Quis miserebitur Incantatori a Serpente percusso, et omnibus, qui appropiant Bestis? Tuigitur ne tange hos, quisquis infici non vis, et perire.
» In Niceta l. 1. c. 5.
Dello stesso parere fu Giovenale, massimamente in ordine alla Gioventù, in presenza di cui non si deve dire, né fare alcuna cosa disonesta, e per conseguenza non si deve permettere, che né anche sia letta da lei, acciocché non cada nelle bruttezze.
« Nil dictu sadum, visuque hæc limina tangat,Intra qua Puer est. Procul hinc, procul ite Puella,Lenonum et cantus pernoctantis Parasiti:Maxima debetur Puero reverentia, si quidTurpe paras: nec tu Pueri contempseris annos. »
Isocrate avvisa, che non si faccia, né si dica cosa, che rappresenti bruttezza: e in conseguenza non stima bene leggere Libri di tale indecenza; perché dal leggere si passa poi facilmente al dire, e al fare. « Quod facere duxeris esse turpe, ea existima, ne pulchrum quidem esse, dicere.
»Ad Demonicum.
Plutarco discorrendo del modo di leggere i Poeti, mostrava che si corre gran pericolo di rovina: e però è necessaria una buona guida, e una gran cautela. « Perito Duce opus est; et inter {p. 69bis} tot Fabulas, et commenta cautissimè incedat, opertet, quisquis salutis sua seriò curam gerit.
»Opus. Quomodo legendi gendi Poeta.
Seneca mostrò far poca stima, de’ versi di OmeroAd liberalem. perché non giovavano a frenar le passioni. Dunque egli doveva condannare affatto la Lezione degli osceni; perché eccitano le passioni a gran peccati. Ma da’ savi Gentili passiamo a’ Dottori Cristiani.
S. Basilio scrive. « Praxis assuescere sermonibus via quadam est ad rem ipsam; ideoque omni custdia animi cavendum est, ne per sermonis voluptatem deliniti pravum aliquid affumamus, velati qui venenacum melle concinnant; atque occultant. Ibi enim bellum est sine Precone, adulteria presertim, stupra, et amores Deorum obsceni.
»lib. de raf. Leged. Lib. Gen. Cioè a dire. Bisogna guardarsi con ogni custodia, e diligenza; acciocché non riceviamo qualche grave danno dalla Lezione de’ Libri de’ Gentili perché l’avvezzarsi a sentire, o leggere cose cattive è una certa strada, per venirne all’esecuzione: il piacere, che vi si gusta leggendo, è come il miele, che ci porge il veleno, e ce lo copre.
Clemente Alessandrino trovando molte oscenità ne’ Poeti Gentili, disse santamente sdegnoso. « Incitant me, ut vocifer, et si velim tacere. O impietatem. Scenam Celum fecistis: et Deus vobis factus est Actus: et quod Sanctum est, Damoniorum personis in Comedia ludificati estis: verum Dei cultum, ac Religionem Demonum Superstitione libidinse, et obsecone inquinantes.
»or. adhor. ad Gentes. Con le quali parole par, che accenni, che, chi gode di legger le oscenità degli antichi Poeti, mostra di godere di una Lezione, che contiene empie bruttezze, e bruttissime empietà de’ propri Dei:che però Tertulliano chiamò que’ Poeti « suorum Deorum Dedecratores
»in Apol., Vituperatori de’loro Dei.
Il P. Nigrone scrive. « Ingruit in Lectionem impudicorum Librorum Cuneus veterum Patrum, qui certatim eos execrantur, vel damna, vel pericula, vel faditatem eorum ante oculos·proponentes
»Comment. Ascet. In reg. com. reg. 8. pag. 281. 282.. Cioè, tutti i Dottori antichi sono contro gli osceni Libri, e li detestano a gara, proponendo avanti gli occhi de’ Fedeli i danni, o i pericoli, o pure la bruttezza, che in quelli si contiene. Origene, segue Nigrone, trattando dell’aureo calice {p. 70bis} di Babilonia, stima, che i Poeti ci presentino molti veleni e tra quelli « Venenu turpilqui in aureo calice culta locutionis
», il veleno del brutto parlare nel dorato calice della leggiadra elocuzione. E il medesimo Dottore, interpretando il furto fatto da Achan nella presa di Ierico, legge quelle parole, « Regulam auream
», secondo l’esposizione de’ LXX. « Linguam auream
», e vuole, che per lingua d’oro s’intendano i versi de’ Poeti onde, come ad Achan, e alla sua famiglia seguito la rovina per rispetto di quella lingua; così dalla poetica lingua di lascivi Scrittori segue la total rovina all’anime di molti. Lattanzio chiama i versi lascivi « mella venenum tegentia
», favi dolci di miele, che coprono il veleno. S. Basilio, insegnando a’ Giovanetti il modo di prendere utilità da Libri de’ Poeti, gli avvisa, che non leggano quelli, « qui stupra, adulteria, et obscenos amores Deorum cantant
», che cantano gli stupri, gli adulteri, e gli impudichi amori de’falsi Dei. S. Girolamo riprende que’ Padri, che inducono i Figlioli a leggere « Comedias, et turpia scripta
», le Commedie, e le disoneste Composizioni. « Et quamvis nonnulli Patres
», aggiunge Nigrone, « metuant a Poetis falsas opiniones; omneso tamen pracipue formidant venenum illud quod est inimicum pudicitia: propterea omnis eorum canti maxime
pertinet ad eastitatem. Hinc Hieronymus inter pracepta custodienda virginitatis, ad Eustochium ait. Quid facit cum Psalterio Horatius?
»
12. e ultimo Motivo è il grave scrupolo, e giusto rimorso che una persona debole di spirito sente, o deve sentire nel tempo della Confessione: e anche prima, per avere atteso alla Lezione oscena, senza qualche buona, e ben fondata ragione. In un caso di tal fatta così scrive Gersone. « Si apud me peccata is poneret, qui Libro hoc vicretur perperam, mandarem utique vel plurima uti obliteraret, vel abic cret in totum.
»nel luogo cit. Cioè. Se meco si confessasse, chi legge un Libro impuro, io ti comanderei, che, o levasse le impurità, o lo lasciasse affatto. Quasi voglia dire, il prudente, e zelante Padre Spirituale non deve concedere « perperam
», senza grave cagione il leggere Libri impuri.
Nota decima sesta. {p. 71 bis}
Di un’altra Ragione, con la quale alcuni si scusano leggendo Libri osceni.
I Giocondi scherzi, e allegre burle di Poesia, dichiarate con qualche licenza di lascivo affetto, par che si possano leggere al parere di alcuni; perché alla fine risvegliano solamente qualche; pensiero alquanto festoso, e sono in sostanza, pure facezie secondo quel detto antico. « Impuritas vocatur urbanitas.
» Oltre che tra’ Cittadini si veggono pochissimi Componimenti poetici, ne’quali non si leggano inserti simili allettamenti, che nomar si possono gustosi saporetti per la Gioventù; la quale poi, leggendo le cose virtuose tra le oscene, ha occasione di abbracciar le Virtù, e di fuggire i Vizi. E quanti pochi sono anche que famosi Poeti, o della stagione antica, o della nostra, che non abbiano con qualche libertà di lasciva penna trapassato i confini dei cristiano candore? « Nobilissime facultati, dice della Poesia lo Strada, hoc iam pridem Vitio dari animadverto: quod eius in Civitate nullus penè sit usus, nisi ut numeris libere lascivientibus animos Adolescentium pelliciat, obscaneque aucupio voluptatis irretiat.
»l. 1. Proplus. 3. p. 76. E altrove aggiunge. « Voluptuari Poete hoc addunt; hominem non facile ad Virtutis celsitudinem, hoc est ad felicitatem, pertrahi·, si arduum par iter, inuiosque saltus recta ei obnitendum sit, fatius fieri, si per amana prius diurticula transuer sis vis èc deducatur, immo nisi huiusmodi subinde illecebris in itinere firmetur, redire sens sim ad ingenium, ac sepe numero ad ima devolvi: quare hec blandimenta onestati demum inservire, tandemque ad Cinium felicitatem, quam tantopere quarimut, omnia conspirare.
»l. 1. Proplus. 3. p. 107.
Io per rispondere partitamente alle parti della proposta Ragione.
Dico 1. Non è cosa degna di lode né d’imitazione; che tra Cittadini si veggano, e si leggano Componimenti Osceni benché siano artificiosamente composti; perché tal vista, e tal Lezione {p. 72bis} spesse volte è il principio di grave tentazione, a molti deboli di virtù; i quali piacesse a Dio, che non fossero allettati da queste lascive, e artificiose, morbidezze; perché non si rovinerebbero nella Castità: L’allettamento osceno è l’esca di quella notte spirituale, in cui l’anima ingannata, e infelice, infelicemente resta incadaverita, e abominevole a Dio per lo suo gran fetore; e sen va nel baratro infernale: onde qui vale il dette di Clemente Alessandrino. « Tantum Ars valuit decipiendum, que homines amori deditos illexit in barathrum.
»
Dico 2. Se i Poeti famosi, o antichi, o moderni, hanno macchiato con oscenità l’opere loro, sono stati per questo, non lodati ma biasimati, e da’ savi Gentili, e molto più da’ buoni, e dotti Cristiani: onde que’, che non sono purgati, si dovrebbero purgar con diligenza; acciocché non pungessero con le spine, ma solo ricercassero con le rose ogni Lettore. E se alcuno purgar non si può comodamente, si può lasciar affatto, massimamente, da chi nell’arringo della cristiana perfezione corre con molta debolezza.
Dico 3. Le Virtù dichiarate ne’ Libri insieme con le Oscenità, perdono la loro bellezza, almeno in parte; e perdono anche la solita forza per allettare; come i raggi del Sole si offuscano, e non riscaldano, quando incontrano l’opposizione oscura delle nuvole. Tengo di più per certo, che supposto l’imperfetto della nostra corrotta Natura, l’animo umano, massimamente de’Giovani, e degli altri poco virtuosi, posto a vista, per far elezione degli oggetti puri, o degli osceni, resterà più facilmente da questi, che da quelli allettato, e allacciato.
Dico 4. L’obiezione, sana con le parole del P. Strada, è tanto bene oppugnata, e espugnata dalla sua risposta, che se il Lettore godrà di vederla, non desidererà dalla mia debolezza cosa alcuna per aggiunta; e però a lei lo rimetto; e li ricordo solo, che quell’Autor pretende; con fondate dottrine, e con belle erudizioni provare che « Poeta dicendi non sunt obscenorum Carminum Scriptores
», non devono onorarsi col nome di Poeti quelli, che scrivono Versi di oscenità.
Dico per ultimo col Possevinoin Bibl. P. 1. l. 1. c. 25. p. 107.. I Gentili Poeti osceni « cristiano {p. 73bis} pectore explodendi sunt, ac saluti propria consulendum potius, quam improba illi consuetudini, cui B. Augustinus etarnam impendere damanationibus ostendit. Quanto vero magis is reiciendi, qui cum Cristo nomen dederunt, isdem tamen maculis scripta sua inquinarunt?
» Cioè. Non è convenevole al fedele Cristiano attendere alla Lezione oscena, e gentilesca: ma deve provvedere alla salute sua più tosto, che acconsentire a quella mal usanza di Lettura, per cui si corre il gran periglio dell’eterna dannazione per avviso di S. Agostino. Ma poi quanto più si devono gittar lungi da noi quegli Autori, i quali professando il candore, e purità della Cristiana Fede, hanno bruttamente con macchie d’impurità offuscato. E imbrattato il bel volto delle Scrittore loro?
Dresselio domanda ad un Lettore di questi Libri impuriIn Niceta l. 1. c. 5. n. 3.. Ditemi un poco per vostra bontà, ricevereste voi ad abitare in casa vostra un vituperoso Lenone, o una Vecchia pratica di quell’Arte infame? No, direte, no per certo, perché ospiti di tal fatta non si ammettono in una casa onorata. E io vi dico, che i Libi i osceni sono peggiori di ogni Lenone; poiché sollecitano in tutte l’ore a macchiare la purità . Un uomo tristo, di quando in quando si fa autore di qualche buon consiglio; ma da un Libro cattivo e lascivo mai s’impara di amare l’onestà. Questo come Serpente velenoso si può levare, ma non si può mutare: sempre se ne rimane simile a se, pestilente, corruttore degli animi, distruttore della purità, e di tutta la virtù, e perfezione. Egli è un dottore di sfacciataggine, di lascivia, e di tutti i vizi; onde non si può fingere simile a lui nel danneggiare, né Circe alcuna, né alcuna Sirena, né Arpia, né Idra, né altro nocivo, e pernicioso Mostro. E però il Concilio Lateranense, e il Tridentino meritamente con la forza di severe Leggi hanno levato da gli occhi, e dalle mani de’ Fedeli questi impudichi Libri, a quali anche da altri, che da Dresselio sono stati giudicar peggiori de’ pessimi, e perniciosissimi Lenoni; poiché con libera fronte, e lenza vergogna levano gli animi dallo stato dell’onestà con la forza dell’impudico allettamento. « Deteriores, scrive il medesimo Possevino, esse perniciosissimis {p. 74bis} Lenonibus, non desuete, qui dixerint, Poetas; quod isti, et libera fronte, et continenti illecebra animos statu dimovent onestatis.
»in Bibl. P. 2. l. 17. c. 4. p. 265.
Atto degno di molta lode fece già un pudico Giovane, il quale trovando a caso i quattro volumi di Amadigi, che inteso aveva essere ingegnosi, e eloquenti; egli che d’eloquenza si dilettava, cominciò a leggere; ma avanti di finire il primo, sentì tali incentivi del senso, che sdegnato lo gittò via, né mai più volle vederlo. Narra il caso il P. Ribera nel c. 1. di Michea n. 61. dicendo.
« Vidi pudicitia, et virtutis amorem Iuivenem, qui cum nunquam amatoris Libros legisset; casuque incidisset in quatuor amadis volumnia, qua ingeni, et eloquentia nomine laudari audierat, quibus ipse rebus multum delectabatur, capit legere, ut experiretur, an par esset opus laudibus, sed cum primum nondum evoluisset, tot in se excitari carnis incendia sensit, tam turpes cogitationes; ut Librum iratus proiecerit; neque unqua postea videre sustinverit.
»
Ma più generosa risoluzione, e più casta, pura, e santa volontà fu quella del virtuosissimo, e religiosissimo D. Francesco Gaetano, Giovane nobilissimo in Sicilia, e soggetto ottimo, e perfettissimo nell’istituto della Compagnia di Gesù, in cui visse, e morì Religioso d’ammirabile osservanza, come chiarissimamente si vede nella sua Vita scritta da P. Alfonso Gaetano della medesima Compagnia, e stampata in Palermo, e in Bologna; e della quale propongo per acconcio mio queste poche righe prese dal c. 18. ove si tratta della sua purissima castità. Francesco, dice lo Scrittore, diligentissimo fu nella custodia de’ sensi; non fissò gli occhi nel viso di Donna, o Giovanetto. Non lesse Libri, che avessero eziandio un minimo sentore di vanità,e impurità, stimando inganno e sciocchezza grande leggere tali Libri, e sotto pretesto di acquistar la politezza della lingua correr pericolo di macchiare la purità dell’anima. Al poco di questo Scrittore aggiungo io esclamando. Francesco, o Giovane prudentissimo, e Religioso purissimo di vero lasciasti un nobilissimo esemplare, e un’utilissima istruzione di {p. 75bis} castissima vita alla moderna Gioventù de’ virtuosi Secolari e de’perfetti Religiosi, con che tutti dovrebbero sprezzare ogni Libro vano, poco modesto non solo dell’antica stagione, ma anche della nostra, in cui non mancano Libri di simil fatta, e in tale abbondanza, che è cosa da piangere lo sperimentare oggidì verissime le parole del P. Bartolinell’Huomo di lettere p. mibi 78.. Non mancano alla Poesia d’oggidì i suoi Ovidi, che posponendo Parnaso ad Ida, i Lauri a’ Mirti, i Cigni alle Colombe, e a Cupido Apollo, fanno le Vergini Muse pubbliche Meretrici; così a questi Ovidi non mancassero Augusti per Mecenati; e per rinfresco de’ loro troppo caldi Amori le nevi di Scizia e i ghiacci di Ponto. E è in questo ormai si ordinario il male, che dall’antecedente d’esser Poeta par, che ne venga la conseguenza d’esser
lascivo. E poco dopo aggiunge. A quella libertà (cioè antica) di scrivere lascivo, cui già si dava l’esilio per pena, ora si danno le corone per mercede: s’innalzano sino al Cielo, e tra le Stelle s’adorano quelle Lire de’ moderni Orfei, che hanno aperto l’Inferno, non per trarne un’Euridice condannata, ma per condurvi un Mondo d’Innocenti. E io col zelo di questo Autore prego Iddio, che venga tempo, in cui tutti i Superiori conoscano vivamente l’obbligo loro di provvedere, ove, e come bisogna, a questo abuso: a’ quali però umilissimamente ricordo la sentenza di Salviano. « In cuius manu est, ut prohibeat, agi, si non prohibeat admitti.
»l. 7. de Gubernat.
Nota decima settima.
Intorno a queste Ragioni, e altre secondo alcune proposte, e risposte del P. Giulio Mazarino, e di altri.
Questo famoso, e dotto Predicatore tratta si bene questo punto, che io stimo far cosa grata al Lettore, riferire puramente ciò, che ne scrive nel Rag. 25. ove dice.
Qui mi darò fretta per soddisfare, e acchetare que’ Giovani, che vorrebbero senza veruno ritegno, o freno andar discorrendo per tutto; e allegano in aiuto di questo licenzioso {p. 76bis}, e libero studio, e massimamente delle Muse nell’Accademia del Parnaso molte cose.
E prima, che i Poeti, e i profani Autori, scrivono molte Favole, e sciocchezze assai note a’ Leggitori, i quali per essere ben fondati nella Religione, di ciò non temono veruno pericolo. A che rispondo, che eglino per ciò non dovrebbero consumar il tempo in cose sciocche, massimamente che vedendogli gli altri Uomini, e più quelli, che alla nostra Fede contraddicono, leggere con si ingorda diligenza que’ Componimenti, che sanno d’Idolatria, e che contengono Adulteri, Stupri, Infamie, Arti Magiche; e stabiliscono il Fato, la Fortuna, le Parche, la moltitudine de’ Dei, rimarranno scandalizzati. « Non ne scandalizatur frater, si te viderit in Idolo recumbentem?
» Il tempo si prezioso, che t’e da Dio conceduto per impiegarlo in ottime occupazioni, e per l’acquisto del Cielo, spenderlo nelle buone Arti, e non nell’appendici loro; gran differenza è tra l’uno, e l’altro.
« Quantum lenta salix pallenti cedit oliva,Punicies umilis quantum saliunca rosetis. »
Fu sentenza d’Ugone, « Malum est, bonum negligenter ager: peius est in vanum labores multos expendere
» : e poiché per la brevità de’ giorni, per la debolezza della memoria, per la moltitudine de’Libri, e per le varie occupazioni della vita, non si può tutto leggere; leggasi almeno qualche giovevole cosa, e lascisi il rimanente.
Appresso, dicono, che prenderanno da costoro le cose buone, lasciate le cattive da parte; separeranno l’utili dalle nocevoli; trarranno l’oro dal loto.
Rispondo, come pur ora diceva, che ciò non è da tutti; e le buone sono poche; e tutto il rimanente, quasi vuote guainelle de’ legumi, come dice Girolamo, e cibo da porci, che caricano lo stomaco, l’empiono di vento, e non danno sostanza, e potrebbesi dire.
« Sunt bona, sunt mediocria, sunt mala plura ».
Bene vi si troveranno alcune spighe, ma per l’arsura tutte vuote, e corrotte. « Manipulum non habentem robur ad faciendam farinam
».
Terzo {p. 77bis} replicano così. Dovrannosi almeno questi Libri leggere per eloquenza. A che risponde Agostino che in questa guisa si correrebbe pericolo di bere in un vaso d’oro d’eloquenza il mortifero veleno delle turpitudini, e degli errori; perché « Quo magis sunt eloquentes, qui flagitia illa finxerunt, eo magis sententiarum elegantia persuadent.
» Perciò Origene, e dopo lui Girolamo assomigliarono cotai Libri all’aureo Calice di Babilonia; e a quella lingua, che colui involò nel bottino di Hierico, e fu anatema ucciso. Così Valentino, Basilide, Marcione, e altri Eretici dal Hierico de’ profani Libri trassero le sette, che vollero nella Chiesa introdurre, e stabilire. Crisostomo chiamolli sepolcri imbiancati, dentro colmi di puzzolenti carnami di vanità, e d’ossa aride di mille leggerezze; ma col dir polito, e eloquente lisciati, e politi: e noi potressimo paragonare questa eloquenza a quel miele che viene in Eraclea, e in qualche luogo di Spagna, non men velenoso, che dolce, per essere dalle Pecchie da’ fiori, e erbe simili raccolto; avvenga che queste imbellettate Favole piacciano, e uccidano.
Quanto affermano per queste cose disoneste, più volte lette, di non sentire stimoli, né movimenti della carne, né veruno altro male.
Rispondo, per avventura ciò sarà vero, quando eglino siano Uomini di stucco. Agostino, ch’era un Uomo ammassato della pasta comune, pianse per la Favolosa morte di Didone: e Girolamo a Leta vieta la lettura di qualche Libro sacro; come pur fatto avevano gli antichi Ebrei della Cantica, solo perché sotto quelle coperte di parole amorose non vi ricevesse danno: e doverassi a tutti indifferentemente concedere la lettura dell’opere, che colme sono d’errori, o di lascivie? Farannosi adunque a credere costoro d’essere esenti da quella generale sentenza. « Qui tetigerit picem, inquinabitur ab ea: et qui communicaverit superbo, induet superbiam?
» E usando frequentemente co’ lascivi di poter esser casti? Adunque gli oggetti sensibili e turpi cambiando a cenni di costoro natura lasceranno di destare ad opere somiglianti le potenze interne? L’esperienza {p. 78bis} non ci mostra, che con la Lezione pia l’Uomo tanto, ò quanto si compunge? Or come con la disonesta non verrà egli licenzioso, e dissoluto? E se Timoteo, quel gran Musico, solo col cambiare l’arie del suono destava ne gl’Uomini diversi affetti d’ira, di mansuetudine, d’ardimento; sì che toccando egli un tratto la Cetera, Alessandrino, levatosi prestamente da tavola, corse furioso a prender l’arme, e Tornando a sonare in altra guisa, immantinente si placò, e s’accheto: se Agostino confessa d’essersi alle voci musicali intenerito, e d’aver dolcemente lacrimato; se con l’arte di regolare, e moderare la flebile voce le Donne, che la scrittura chiama Savie, e Cantatrici, e per avventura anche Trombette in Sano Matteo, eccitavano ne’circostanti amare lacrime:· che crediamo, che debba fare un’intenta Lezione turpe, che non per l’orecchie solamente, ma per gli occhi eziandio penetra nell’anima, e rappresenta le cose di molte circostanze vestite?
« Segnius irritant animos demissaper aures,Quamo qua sunt oculis subjecta sidelibus. »
Come sarà credibile, ché attentamente somiglianti cose lette non siano per muovere, e per infiammare l’affetto? Isidoro non volle rendere della fuga di cotale Lezione altra ragione, salvo che questa, cotanto la stimò vera, del grand’allettamento da queste Favole cagionato, stimolatrici della mente alla lascivia: e ingrandì cotanto questo male, che l’assomigliò all’Idolatria; perciò che, non solamente a’ Demoni offrendo, e incensando, ma anche i detti, e i ritrovamenti loro volentieri accettando, s’idolatra.
Quinto, aggiungono di nuovo, che nelle pubbliche, e nello private Librarie ritrovasi gran moltitudine di questi Libri riposta che per essere di gran prezzo, se si stracciassero, o bruciassero, ne seguirebbe un’intollerabile perdita. E in risposta io non produrrò altro, che Casi seguiti. Mosè stritolò quel Vitello d’oro, che fu cagione dell’Idolatria del suo campo. E il Re Iosia discese il Serpente di bronzo, gli Altari, i Tempi, e i Boschi de gl’Idoli, quantunque fossero con spese eccessive fatti.
A {p. 79bis} queste Proposte, e Risposte del P. Mazzarino aggiungo quella Proposta che fa il P. Giacomo Alvarez, e alla quale risponde molto bene.
« An intentio, scrive egli, omnia sciendi, et omnium disciplinarum exercitatione quamdam scientia universalitatem captandi?
» Vuole significare. Per leggere Libri disonesti non basta come buona ragione l’intenzione di acquistare una certa universalità di sapere? Risponde l’Autoret. 1. de Vita Spirit. L. 5. par. 3. c. 39., « O stulta universalitatis, qua universalitatem virtutum impediti et spiritum compunctionis, et devotionis extinguit. Hanc omnium disciplina rum cognitionem Sancti Doctoes, qui ea fuerunt prediti, congruis temporibus quesierunt; et tempore adolescentie compararunt; qua elapsa non legimus, ipsos profanis Libros inhesisse. Quin imo qui ex ipsis ad virilem etatem sine humanis Scientis pervenerunt, nullam poste a earum habuere rationem, et sola sacre Scriptura cognitione contenti. Ita qui perfectionem, et puritatem amat, si adolescens Philosophorum subtilitates, et Poetarum suavitates non didicit, iam vir factus, et ad studia.Theologia subvectus, curam humana sciendi omnino deponat. Nam profecto nescio, quomodo illum non pudeat post Lectionem Carminum, aut Librorum inanium ad conspectum sui Creatoris accedere, psalmos canere, aut Christi Salvatoris nostri vitam meditari. Quamodo ergo audet post Lectionem Libri profani, et lascivi, aut parum onesti, qui calici, et mense Diaboli comparatur ad mensam Domini, scilicet ad orationem accedere, et vinum divine cognitionis, et amoris postulare? Satis persricte frontis est qui hoc andet: et satis mihi compertum est, quod non obtinet: illos enim, qui similibus vanitatibus involuti ad orazione accedunt. Deus nocter index irridet. Dicet illis. Ubi sunt Di, in quibus habebatis fiduciam? Ipsi vos suis figmentis pascant, suis nugis dementent, suis illecebris afficiant, quia ex me sapidam rerum divinarum cognitionem, et purissimum calestium amorem, quo vos indignos reddidistis non habebitis.
»
Dresselio nel Niceta scrive di questo soggetto per via di obiezione, e vi risponde. « At vero disco. Hinc stylum acuo: hinc eloquentiam haurio; et rituso veteres cognosco.
»l. 1. c. 5. n. 1. Cioè. Imparo {p. 80bis} molte cose da questa Lezione di Libri osceni. Risponde. « Nimirum discere vis bene loqui, et male vivere. Ex abundantia enim cordiso os loquitur. Et quid opus aurum in hoc luto quarere? Itane mi Iuvenis ex oleto isto tantum tibi eruditionis atcedet? perinde atque si Musa nata sint, et denate cum his veneris Satellitibus. Et deinde sit ita; sine his eruditionem parari non posse: nunquid non satius est, iacturam facere doctrina, quam pudicitia? et velle potius minus eruditum, quam minus castum esse? At istud mantelum est, et pretextus vanissimus, sine hoc obscanorum Scriptorum lenicinio scientiam, stylam, eloquentiam non constare.
» Seguita questo Autore di spiegare il suo pensiero con un paragone, dicendo. I Libri osceni composti con eloquenza, e erudizione sono simili ad una tazza di generoso vino, nel quale sia immerso un velenoso Ragno; onde chi lo beve, beva insieme la morte. « Cogita, soggiunge, quam pinguis hic innatet Aracnus; lascivia, obscenitas, libido hic latent: mors in hæc pocula ructavit. Prastat hic sitim ferre quam mortem libere.
»
Dunque ogni buon Fedele getti lungi da se questi perniciosi Librilib. Cit. pa. mibi’ 89. : e ponderi, e pratichi il moderno avviso del P. Bartoli, che interrogando scrive. Mancano i Libri, e niente meno gustosi a chi ha sano il palato, e molto utili? A che sonare i Flauti, disse Alcibiade, vedendosi in sonarli colla bocca torta, e le guance gonfie sconciamente deformi: a che sonare i Flauti, se vi sono le Lire, che più vi dilettano, e niente vi deformano? E con ciò li gettò via, ne vi fu in Atene, chi di poi volesse più usarli. Libri, che vi fanno divenir mostruosi; e il bel volto di Dio, di cui avete un’impronta nell’anima, vi trasformano in sembianti animaleschi, e brutali, a che leggerli? Perché bere le sordidezze d’impurissimi Autori, se vi è altrove nettare senza feccia, e di sapor tanto più dolce, quanto delle sordidezze del senso sono più gustosi i puri pascoli della mente?
Nota decima ottava. {p. 81 bis}
De’ rimedi contro la Lezione oscena.
Plutarco anticamente avvisò, che con non minor apparecchio si deve il Giovane mettere a leggere i Poeti, di quello, che fanno coloro, che per non inebriarsi, quando vanno a’banchetti, s’appendono al collo la pietra Ametisto. Ma meglio a mio parere avrebbe detto. Chi si vuole assicurare dall’ebrietà, deve astenersi dal bevere; perché a chi beve con pericolo, poco giova l’Ametisto. Così chi non vuole essere attossicato dalla velenosa Lettura de’Libri infami, gli lasci affatto. Dunque il primo rimedio contro il veleno dell’impura Lezione sia un generoso proposito, col quale il Virtuoso Fedele prescriva a se stesso una Legge negativa; e dica. Voglio negar all’animo mio quel gusto, che riceverebbe dal leggere Composizioni e Libri osceni: voglio privarmi affatto, e per sempre di cotal Lezione. A questo proposito ebbero, credo io, il pensiero tutti quegli Autori Cristiani, e Gentili, che consigliarono sempre di non toccare le Opere degli impuri Scrittori. E a questo mirò il P. Famiano Strada, declamando più volte appresso gli Uditori suoi.
« In eo laborabo, dice in un luogo, et quantum potero animo verius, quam voce contendam, ut vos, Auditores mei, ab hæc malorum sine Poetarum, sine Civium, Lectione abalienem. Frustra profecto vos Parentes, atque Institutores vestri ab rerum aspectu impudicarum a procacium, sordentiumque sermonum licentia, ab intemperantium, ac libidinosorum hominum consuetudine separare student si uno in volumine collecta impudicizia Spectacula concluditis; si sub manu habetis obscena suadentium, atque in aures spurcissima quaq. Insusurrantium greges: si in gremio numeratis copias improborum; quorum instituctione, ac familiaritate, quando, quantunque; vultis clam omnibus, uti pro vestro arbitratu impune possitis.
»l. 1. Prol. 3. p. 147. E poco dopo aggiunge. « Vos contaminata volumnia, hoc est fada turpitudinum receptacula, non oculis modo, auribusque declinate, sed animo etiam respulse, ac recordatione denum ipsa per horrescite.
» Con le quali parole accenna i molti, e gravi mali, che si possono trarre dalla {p. 82bis} Lezione di un Libro osceno, e per conseguenza si deve fuggire, e con generoso proposito abominare.
Il secondo Rimedio contro i mali di questo grande abuso è la Proibizione: e di questo si serve il Concilio di Trento contro i Libri, che « ex professe » trattano, narrano, o insegnano oscenità, e dice. « Omnino prohibentur, et qui eos habuerint, severe puniantur.
»Rag. 7. Indicis. Cosi procedé il Savio Platone a beneficio della sua Repubblicat. 4. de Relig. L. 5. c. 6. n. 8. p. 573., dalla quale stimo ben fatto sterminare i cattivi Libri de’ Poeti, « exterminandos a Republica censuit afferma il P. Ribera, Fidei Catholica Iudices, ac Patroni, rem officio suo, zeloque offici sui dignam facere videbuntur, si, ut suspecta doctrina Libros, ita etiam obscanos legi pubblico Edicto prohibeant: nam sicut illi fidem, ita, et isti bonos mores, pudicitiamque corrumpunt: unde facilis ad Hereses transitus est,·et unde omnes Heretici capere: nec enim transitus ad Hareses a caritate, et humilitate, ab, oratione, a ieiunis. a peniitentia, a sui abnegazione; sed ab immoderato amore seculi; a tumore animi, ab obltione Dei, a commessationibus, et ebrietatibus, ab otio, et libidine, a caro amore sui.
»in c. 1. Mich. n. 65. Cioè, faranno molto bene i Superiori, e proibiranno i Libri osceni, come proibiscono quelli, che contengono sospetta dottrina, poiché, dall’impudicizia facilmente si fa passaggio all’Eresia.
Il Filosofo nella Politica dice chiaro delle Pitture, scene, e de gli atti impuri, che si proibisca di mirarli. Or che avrebbe detto de’ Libri impudichi? « Aspicere aut Picturas, aut deformes prohibemus.
» Quelle sono parole del Filosofo, alle quali aggiunge il P. Carlo Scribano. « Quid diceret de Libris, quorum potentior vis est in fraudem, cum sub onesto eruditionis velamine intimant venena, sub eloquentia pallio peremptura toxica tegunt; sub venustatis spongia nonacula secant?
» in Adol. Prodig. p. 58..
Un moderno Dottore Teologo della Compagnia di Gesù scrive intorno alla ProibizioneBaldasaro Cavass. de peas. Prud. L. 3. c. 10. §. 5. pag. 834. de’ Libri ereticali; acciocché li fuggiamo come pestilentissimi, benché molti di quelli siano forniti di stilo grazioso, e di bella eloquenza. E egli narra questo caso. L’anno 1572. fu bruciato in Parigi un certo {p. 83bis} Omaccio dato nell’Ateismo; il quale essendo dal Giudice interrogato, d’onde egli avesse cavata un’empietà così grande rispose. « È Calvini Libris
» : dalla Lezione de’ Libri di Calvino: appresso del quale mentre leggendo, che questo Eretico dice, che Dio è la cagione di tutti i peccati; e che egli sforza gli Uomini a commetterli, io stimai, essere meglio, non concedere l’esistenza di Dio alcuno, che riconoscerne uno di tanto mala condizione. Dopo questo racconto l’allegato Dottore passa alla considerazione de’ Libri poco modesti, e li considera, come degni d’essere interdetti, levati, e abominati.
« His Hereticorum Libris saccedunt amatori; qui licet minus officiant, suo tamen dicendi lepore mirè ad omnem lasciviam Lectores illiciunt. Quemadmodum armorum nomen, quia odiosum est, non ad gladios tantum, et machinas extenditur, sed ad sustes, et lapides; ita Librorum interdictorum appellatione continentur, tam qui fidei repugnant orthodoxa, quam qui bonis moribus; quandoquidem ad salutem probi mores necessari sunt: Stylo scribantur quantumuis elaboratio, non idcirco definunt esse mortiferi; sicut nec funes serici, enses aures, pocula pretiosa, qua paraverat Heliogabalus veneni hauriendi gratia, quando in se videret hostes insurgere.
»
Ma perché molti Libri osceni dalla Repubblica Cristiana con Editto universale de’ Signori Superiori non sono proibiti per degni rispetti, e per ragioni buone, e ben fondate secondo il zelo, scienza, e prudenza loro; quindi molti si prendono poca cura di levarli dalle case, e botteghe loro; e non fanno scrupolo alcuno, che siano letti liberamente, e non solo da Servitori, da Serve, ma anche da’ Figliuoli, e da altre persone della famiglia loro: d’onde seguono molti inconvenienti, e si scopre la porta ad un esercito grosso di peccati.
Il P. Bernardino de Vigliegas scrive per acconcio di questo d’una gran persona dicendo. Non permetta V. S. nella sua casac. 17. dell’Eser. Spir. un abuso così grande, che vedo introdotto in case, e palaggi di gran Signori: dove non é tenuta per persona saggia, chi di somiglianti vanità non gusta; o intorno ad esse non può dare il suo voto; e dove anche infino dalle mani de’ Paggi Staffieri {p. 84bis} non si possono levare i Libri di Commedie, e di Favolosi Amori. Di questi Libri ne sono piene molte case di gente nobile:e per li corridori, e cortili di quelle s’incontrano Servitori, che li leggono: e negli stanzini, e camerini le Donzelle li studiano. Se io ho da dire quello, che sento in questa parte, vorrei più tosto, che in casa di V. S. stesse un Demonio che alcuno di questi Libri: imperoché non tanto danno fa un Demonio; anzi ne anche tutti insieme, quanto ne fanno i Libri lascivi che pervertono i costumi degli Innocenti, e aprono gli occhi alle leggerezze. E così il Servitore, o Serva, che avvisata, che lasci somiglianti letture, non lo farà, non vi resta altro, che fare, che se non cacciar di casa, e essi, e li Libri, come nemici dichiarati contro Dio, e distruggitori della modestia.
Questo medesimo Autore nel c. 18. aggiunge. Che se V. S. m’interrogherà, quali siano questi Libri profani, da’ quali si deve guardare, e quali que’ che paiono esser compresi nella generale Proibizione della Chiesa? Non è facile determinare questa materia; né a noi tocca questo ufficio; ne è bene, che ci ponghiamo in questo. Dico ben solo, che sperimentiamo i loro danni in infinite anime alle quali i Libri profani d’amori sono cagione di miserabili cadute. E se Virgilio, che è Poeta latino, solo per la sua antichità, e eleganza si permette leggersi, e non agli Giovani, ma solamente ad Uomini fatti: secondo questo vedasi, se devono essere proibiti molti Libri moderni in volgare, in comparazione de’ quali è casto Virgilio, e è modesto Orazio
E io ancora stimo molto ben fatto, e consiglio tutti i Padri, e Madri di famiglia a fuggire ogni trascuraggine in questo negozio, e tener lontani dalle case loro Libri tanto nocivi; acciocché da niuna persona della famiglia si pratichi, né meno per poco, si pestilente Lezione. Ove non si pubblica la Proibizione generale degl’Inquisitori, e de’ Supremi Moderatori de’ costumi; vaglia un ordine domestico, che può fare il Superiore in casa sua, comandando, che niuno a se soggetto s’impieghi nell’impura Lezione, e che non conservi veruno, né altro Componimento di oscenità.
Nota decima nona. {p. 85 bis}
Intorno a questo secondo Rimedio.
Dovrebbero i Capi di casa, i Padri, e Madri di famiglia, per segno di buona vigilanza contro il pericolo de’ Libri disonesti, eseguire nelle persone commesse da Dio alla loro cura quello, che i Superiori in molte Religioni hanno costumato di fare; acciocché i loro sudditi Religiosi non ricevano alcun nocumento da’ Libri tanto pericolosi, e perniciosi.
Il P. Giulio Nigrone, su questo punto scrive. «Non fueruntComent. Ascet. In reg. com. Reg. 8. p. 280. Ordines in hoc periculo avertendo negligentes, sine Legibus, sine·factis». Le Religioni non furono negligenti nel levare questo pericolo, o con Leggi pubblicate, o con fatti eseguiti. « Nam aliqui iubent ex improviso cellas singulorum Fratrum visitari, Libros inspici, et profanos auferri: ut Carmelita, Monachi Montis Oliveti, Minores de observantia, et Clerici Regulares S. Pauli». Imperoché alcune Religioni comandano, che all’improvviso si visitino le celle; si veggano i Libri, e si levino i profani. Così procedono i Carmeliti; i Monachi del Monte Oliveto, i Frati Minori dell’Osservanza; e i Chierici Regolari di S. Paolo. «Vetant ali, Libros novos in Monasterium introduci, nisi inspectos, ac recognitos ab Abbate; ut Casinenses.
» Altre Religioni vietano, che s’introducano nel Monastero Libri nuovi: se non sono prima veduti, e riconosciuti dall’Abate: così costumano i Religiosi Casinensi: Altri, come sono i Celestini, vogliono, che i Libri si considerino molto bene, quanto si portano altrove. Altri con altre maniere chiusero a questi cattivi Libri l’entrata nelle case loro. « Novissime Clerici Regulares S. Pauli in Constitutionibus.
» Ultimamente i Chierici Regolari di S. Paolo nelle Costituzioni hanno ordinato. « Curet Prepositus, ut in studis, prasertim Humanitatis, nudus Liber adhibeatur, ex quo moribus periculum aliquod immineat
». E in un altro luogo dicono. « Libros turpitudini, ac lascivia accomodatos {p. 86bis} otiosorum hominum commenta continentes, secularibus moribus servintes, sine nostros, sine alienos, in Collegio esse non finat. Si quid vero in huiusmodi genere, quod tamen apertè turpia non contineat usui esse posse puta ob lingue elegantiam, existimetur, in Bibliotheca Scrinio clausum relinqui poterit; cuius potestas tutò, et ex iusta causa
alicui possit concedi.
»
Spiega parimente il P. Nigrone la diligenza usata de’ Superiori nella Compagnia di Gesù, dicendo. « Ne noceret Nostris horum Librorum lectio, precavit Pater N. Everardus Ordinatione sua prima, in qua nemini prorsus concedi vult Libros, quocunque idiomatè conscriptos, sine carmine, sine soluta oratione, amatoria, et impura continent : nec usui possunt esse studiosis, ac Magistris humaniorum litterarum; quod non sint ex eorum numero, qui lingua, et elegantie Magistri reputantur: imo nec domi retineri Constitutiones permittunt. Deinde qui Principes habentur lingue, quales sunt Terentius, Horatius, Catullus, et his suppares, Scholasticis nostris eos nullo pratextu permittit, nisi fuerint ab obscenitatibus purgati: quod in Horatio, Martiale, et Terentio factum accepi. Postremo peromittit, impuros concedi maturis Viris, qui sine periculo ad studia litterarum humaniorum promovenda utantnr; hoc est, quorum puritati nihil labis aspergi posse dubitetur.
»
Tre cose contiene in ristretto quell’Ordine: la prima, che a niuno si concedano i Libri impuri, che non sono Maestri principali della lingua. La seconda, che i segnalati nella lingua non si concedano a’ Giovani, se non purgati dalle Oscenità. La terza, che tali Libri impuri si possono permettere per promuovere gli studi di Umanità a que’ virtuosi, e provetti Personaggi, che senza alcun pericolo della loro purità se ne serviranno.
Queste sono alcune Religiose cautele, e diligenze inventate, e praticate dentro le abitazioni de’ sopranominati Ordini Regolari, per ovviare a’ pericoli che possono nascere contro la purità dal tenere, o leggere i Libri osceni: e chi non le osservasse, credo, meriterebbe qualche penitenza. Per acconcio di che mi ricordo d’aver sentito a raccontare, e lo serve anche Nigrone nel citato luogo, che il Gran Pontefice Clemente VIII. visitando {p. 87bis} con gran zelo sul principio del suo Pontificio governo i Monasteri de’ Religiosi in Roma, a fine d’incitarli alla perfezione propria di ciascuno, diede una penitenza ad un certo Religioso, per aver trovato nella sua cella i versi di Francesco Petrarca Poeta Italiano.
Ma che diremo di que’, o Religiosi, o Secolari Ecclesiastici che non sono applicati né dell’obbedienza, né dalla carità, o necessità ad insegnare ad altri; ma più tosto s’impegnano nel confessare, o nel predicare, o nell’aiutare i prossima con altri ministeri e nondimeno vogliono leggere Libri osceni, e disonesti? Io a questi ricordo il breve avviso di Climaco. « Noli antequam virtute spirituali preditus sis, eos Libros legere, qui menti nocere possint.
»Grad. 28. Non volere prima di essere molto ben fortificato nella Virtù spirituale, leggere que’ Libri, che possono recar all’animo nocumento.
Ricordo anche le gravi parole di S. Girolamo, riposte da Graziano tra’ Canoni. « Nunc Sacerdotes Dei, omissis Evangelis, et Prophetis, videmus Comedias legere, amatoria Bucolicorum versuum verba canere; tenere Virgilium, et id, quod in Pueris necessitatis est, crimen in se facere voluptatis.
» Cioè. Ora vediamo, che i Sacerdoti, lasciando la Lezione de’ sacri Evangeli, e de’ Profeti, leggono le Commedie, e cantano, le parole amorose della Bucolica; e tengono in mano il Poeta Virgilio, prendendo materia di far un peccato di piacere da quello, che a’ Fanciulli è soggetto di necessità.
Contro questi si possono usurpare le pungenti parole di Pietro Blesense. « Priscianus, et Tullius, Lucanus, et Persius: isti sunt Di vestri. Vereor, ne in extreme necessitatis articulo vobis improperando dicatur. Ubi sunt Di tui, in quibus habebas fiduciam? Surgant, et opitulentur tibi, et necessitate protegant.
»ep. 6. ad. Ludimag. Cioè. Questi Libri di Umanità, e questi Poeti tanto stimati da certi Ecclesiastici, che li leggono con molto gusto, e senza necessità, forse cagioneranno loro gran confusione nell’estremo punto della vita, quando moriranno.
Il P. Giulio Nigrone considera quelli, a’quali si concede per l’officio d’insegnare, il leggere que’ Libri, e poi dicereg. 8. cit. pag. 284. ad uno {p. 88bis}, che non è occupato dall’obbedienza in tal Magistero.
« Illis Obedientia Libros exhibet, que eos illi muneri vel docendi, vel scribendi destinanit; tibi tua propria voluta; Moderatoribus abneuntibus, qui optant, ut te totum tuo ministerio tradas, sine concionandi, sine invandorum hominum in confessione: que ministeria Canonum, Ecclesiastice Historia, divine Scriptura et sacrorum Librorum Lectionem exigunt a te, non inutilium, atque profanorum. Quo sito, ut illorum labor ex Obedientia susceptus ob finem bonum placeat Deo, quem congruum est, Obedietie filios peculiari gratia preservare, inuare, defendere a periculis tuus vero plane displiceat, quia in eò invenitur voluntas tua, immo et voluptas.
»
A questi Ecclesiastici, o Religiosi, che senza necessità, e senza altro giusto titolo attendono a gli studi profani, dice il P. Giacomo AlvarezDe Vita spirit. T. 2. l. 5. par. 3. c. 39. pag. 1227.. « Sciant hi istis profanis studis maximam Ecclesie sancte, et conversioni Fidelium tactur am afferre, et sue mentis puritati, ac perfectioni mirum in modum officere.
» Cioè. Sappiamo questi, che con i loro profani studi apportano un grandissimo danno a’ Santa Chiesa, e alla conversione de’ Fedeli: e di più nuocono grandemente alla purità della propria mente, e alla perfezione. Imperoché questi studi (dico io in Italia come dice il P. Alvarez in Latino) negli uomini Religiosi, e che professano la sacra dottrina, e dispiacciono a Dio, e allenano dalle sacre Lettere, le quali lette, e meditate purgano la mente: il che non succede, mentre noi leggiamo cose vane, e le mandiamo a memoria, le quali turbano la tranquillità dell’animo con la loro importunità, e imbrattano la sua nettezza con l’immagini, e Rappresentazioni indegne. E invero come può piacere a Dio quella mente, che dovendo essere Sacrario dello Spirito Santo, si riempie di versi secolari d’istorie gentilesche, e di sentenze inutili, e profane? In qual maniera si possono congiungere insieme in un cristiano, e religioso cuore. « Sacrorum cognitio, et iniquitates falsorum Deorum, et lascivia Poemata?
» La cognizione delle cose sacre, e i peccati de’ falsi Dei, e le disoneste Poesie? Che hanno da fare insieme il Salterio, e l’Opere d’Orazio, l’Evangelio e Virgilio, l’Epistole Apostoliche, {p. 89bis} e Cicerone, e altri Libri infinitamente più vani, la Lezione de’ quali non si scusa sempre bene con l’amore dell’eloquenza; perché molte volte è condannata per lo vizio della Curiosità. È troppo saputo, e ricantato il gran caso avvenuto a S. Girolamo, che posto al Tribunal divino fu rinfacciato con quella riprensione. Tu sei Ciceroniano, e
ne fu anche aspramente flagellato; onde egli fece quella segnalata protesta. « Domine si unquam habuero codices seculares; si legero, te negavi.
» O quanti ora, dice il P. Alvarez, Ecclesiastici, e Religiosi troverebbe Dio, che meritano, più che Girolamo, d’essere flagellati; perché non leggono Tullio, o altro simile Autore per rispetto dell’eloquenza, « quod non multum damnaremus
», il che un sarebbe da noi molto condannato, ma voltano, e rivoltano, leggendo per curiosità l’Opere volgari di verso, e di prosa, non pie, ma profane, non pudiche, ma disoneste; e il Sig. Iddio non li flagella; perché all’errore di consumare inutilmente tanto tempo non basta un’ora di flagellazione; ma vi vuole la gravissima, e lunga pena del Purgatorio.
Aggiunge altre cose quest’Autore, e le dichiara co’ Santi Padri, massimamente con l’autorità di S. Basilio in prova, che indegne sono delle mani de’ Religiosi le Poesie Spagnuole, Italiane, e Francesi, le quali contengono amori impuri, e istorie poco modeste. E alla fine conclude con questa illazione.
« Erubescant ergo mentis Deo consecrare ista legere, imo et ista respicere, Libri vani, quos Respublica ad maiora mala vitanda permittit, funditus a eatibus Religiosis auferantur; et eos vel contingentes seuerissime castigentur, ne studia sacrarum litter arum impediant et puritati mentium religiosarum officiant.
»
Cioè. Adunque i Religiosi si vergognano di leggere, anzi di mirare cose tali. E i vani Libri si levino affatto dalle radunanze Religiose, e si castighino serissimamente quelli, che solo li toccheranno, acciocché non restino impediti gli studi delle sacre lettere, e la purità religiosa non riceva detrimento.
Concludo questa nota replicando quello, che ho detto nel suo principio, cioè, che i Secolari Capi di casa, per mostrarsi vigilanti contro il pericolo de’ Libri lascivi, dovrebbero imitar {p. 90bis} i zelanti Superiori delle Famiglie Religiose, proibendo a’ suoi una Lezione tanto perniciosa all’integrità de’ cristiani costumi.
Nota vigesima.
Continuazione della spiegatura intorno a’ Rimedi.
Ci avvisa. S. Buonaventura di due gran mali, che ci vengono dalla vana Lezione, dicendo. « Vana Lectio vanas generat cogitationes, et estingui mentis devotionem.
»Infor. nov. p. 1. c. 14. Ci estingue la devozione, e ci pone in capo la vanità de’ pensieri: dunque provvediamo a questi mali con molti rimedi.
Ed ecco il terzo notato dal P. Lorino ove scrive. « Documentum hic editur, impuros, e tempio, atque noxios omnes Libros non prohibendi solum, sed etiam concremandi.
»in Act. c. 19. v. 19. Cioè, i Libri impuri meritano non solo la proibizione, ma anche le fiamme, e l’abbruciamento. E questa dimostrazione potrebbe fare, « et in execrationem Autorum, et in detestationem errorum
», dice il medesimo, e per abominare, gli Autori disonesti, e per detestare i loro impudichi errori.
Il ReligiosoNell’Ant. Par. 4. c. 4. p. 328. Teologo Bresciano scrive un argomento, che far si può contro chiunque gode de’ Libri osceni. Se tu, dice, i Libri contrari alla reputazione, e, buona fama de’ tuoi Parenti carnali, e temporali, tutti li bruceresti, se tutti li potessi avere: perché molto maggiormente non brucerai tutti questi impuri, che sono contro l’onore di Dio, e della sua Santissima Madre, tuoi Celesti, e eterni Parenti? E sì come tu non riconosceresti per Figliuolo,né per Figliuola, quello, o quella, che si dilettasse di leggere cose infami contro di te, quanto maggiormente meriti tu, di non esser riconosciuto per Figliuolo, o Figliuola, adesso, e nel tempo della morte da Cristo Gesù, né dalla Beatissima Vergine, se tu gusti di cose contrarissime all’onor loro?
Per animarsi alla pratica di questo rimedio di bruciare l’Opere oscene, gioverà, credo, non poco l’esempio di molti, che già diedero alle fiamme i propri Componimenti; alcuni de’ quali {p. 91bis} sono stati da me nomati di sopra nel Motivo 8. alla Nota 14.
Il quarto Rimedio si propone da molti, e è accennato da Gersone con quelle parole. « Mandarem, plurima, uti obliteraret.
»Ser. 1. in Dom. 4. Advent. Lit. T. Cioè, comanderei, che cancellasse moltissime cose: il che vuol dire purgare dalle impurità un Libro impuro, con separare la paglia dal grano, l’oro dal loto, le gioie dalle immondezze, e il buono da cattivo. « Sicut in legendis rosis, dice S. Basilio, sentes vitamus: sic in talibus sermoni bus quidquid est utile, capientes, noxium vitemus.
» E questa scelta, per purgare i Libri osceni, non la possono fare i Giovanetti, come nota il P. Suarez, dicendo. « Hunc autem dilectum non possunt habere Pueri.
»t. 4. de relig. L. c. 6. n. 7. Anzi il Possevino mostra che il purgar i Libri impuri, è negozio degno dell’impiego di ottimi, e valenti Personaggiin Bibl. P. 1. c. 25. p. 108. ; né ogni purga riesce di compiuta utilità, e piena soddisfazione: E egli propone due maniere di farla: la prima si è questa. Che da un Autore, che scrive cose oneste, e disoneste, si scelgano solo le Operette sue oneste; per atto di esempio, le Ode, gli Epigrammi, e altre, che non hanno alcuna oscenità: e fattone un Volumetto, si pubblichino sotto il titolo del vero Autore: come sarebbe dire. « Selecta quadam ex Horatio, vel ex Catullo.
» Alcune cose scelte dalle Opere d’Orazio, ovvero di Catullo.
La seconda maniera è questa. « Aio, dice egli, confici posse apparatum, in quem multa conferatur ex obscenis Poetis haud obscena citra divini honoris offendam, et citra pietatis jacturam.
» Cioè. Dico, che si può far un Libro, nel quale si pongano molte cose non oscene, prese da’Poeti osceni, senza offesa dell’onor divino, e senza perdita della pietà. E a questo LibroIn Act. c. 19. v. 19. p. 718. si potrebbe porre il nome di qualche buono Autore secondo il parere del P. Lorino, che avvisa. « Non sane magnum sentiret damnum Ecclesia, si bonos a malis Autoribus Libros editos aboleret, vel saparatim melioris Autoris titulo, qua ab is non male sunt prolata, nobis propeneret.
»Plut. in Apoph. Così già avvenne tra Lacedemoni, che una sentenza ottima fu ripudiata, perché aveva un Autore impuro, e cattivo; ma poi .essendo da un virtuoso Senatore {p. 92bis} proferita, subito fu con applauso ricevuta, e approvata.
Il quinto rimedio è la mutazione de’ Libri, cioè in vece degli osceni usarne de’modesti. Parmi qui riferire una cosa, dice Fr. Luigi di Granatapar. 4. del Simb. al fine., che mi narrò un Signor del Consiglio generale della S. Inquisizione del Regno di Portogallo. Contò egli, che andò a chiedere misericordia al S. Officio, di sua propria volontà senza esser accusato, un Uomo, il quale confessò, che dandosi a legger cattivi Libri, venne a perdere in maniera la Fede, che teneva in quanto a se, non v’essere altro,che il nascere,e il morire. Ma che da poi per certa occasione, che si offerse, o perché la divina Provvidenza l’ordinasse; incominciò a leggere i Libri della buona dottrina; e dandosi molto a questa Lezione, venne ad uscir fuori di quella cecità, in cui stava, e chiese perdono di lei, e l’ottenne.
Altra cosa, segue il Granata, mi raccontò D. Fernando di Carillo, essendo Ambasciatore nel Regno di Portogallo, il quale dissemi, che un Macometano Schiavo, nomato Hamete, aveva un Libro dell’orazione, e Meditazione, e lo leggeva molte volte. Di che rideansi i Servitori di casa, e gli domandavano. Hamete che leggi tu ivi? E egli rispondeva. Lasciate il pensiero a me. Finalmente continuando la Lezione, quel Signore, che illuminò l’Eunuco della Regina d’Etiopia, leggendo Esaia, illuminò questo ancora:e egli andò a chiedere il S. Battesimo, e a farsi Cristiano.
A questi Casi del Granata aggiungo io quest’altro. Intesi gli anni passati con mio gusto, che da una virtuosa persona si era, procurato, e ottenuto, che da una sacra, e pubblica abitazione si levassero circa due forme di Libri vani; e ve ne mandò due some di spirituali. Ho letto di Giovanni di Dio, uomo, di santissima vita, e zelantissimo della salute delle anime; che egli per rimediare al meglio, che poteva, con soavità all’abuso dell’oscena Lezione, comprava Libri buoni, e virtuosi, e comunicandogli ad altri, porgeva occasione di leggere cose oneste, e pure in luogo delle impure, e disoneste.
Nella Biblioteca degli Scrittori della Compagnia di Gesù dice {p. 93bis} l’Autore, che è il P. Filippo Alegambe, parlando di Gaglielmo Pretere, che era un Uomo « Zelo Dei plenus, et inconsusibilis operarius: nullum officium, quod animabus ad Deu suum reducendis impendere posset, pratermisit: vir vero strenuus; et post laboreso semper integer, acrecens
» tra le belle, e fruttuose imprese alle quali applicò l’animo, e le forze questo valente Operaio di Cristo, una fu, che procurò, e ottenne, che si stampassero moltissimi Libretti buoni, e accomodati allo stato di ciascun Fedele; acciocché questi li leggessero con frutto e si lasciasse la Lezione de’profani, e perniciosi: imperoche da un zelante Pastore, e Vescovo vigilante, che con la pubblicazione di un suo Decreto si bandissero dalle Scuole tutti i Libri osceni, favolosi, e nocivi alla bontà de’ costumi, e alla purità de’ Giovani Cristiani, e Virtuosi .
Il Teologo Bresciano allude a queste rimedio, dicendo a chi gusta de’ Libri osceni molte cose; alcune delle quali sono queste. Mancano forse Libri vari, in ogni genere oneste, pi, utili, e molto giocondi d’Antichi, e Moderni, co’ quali puoi con gusto, e frutto trattenerti? Se tu vuoi Historie, leggi gli Annali del Mondo, e della S. Chiesa: le Cronache delle Religioni, le vite de’ Santi, e Sante; e ivi troverai cose meravigliose, generosi fatti, eroiche imprese; altre che di Orlando, o di Rodomonte, e somiglianti altre sciocche dicerie, finzioni, favole, sogni, paradossi, che gli Uomini senza giudizio, e senza timor di Dio ammirano.
Dimmi, che bene puoi tu riportare da sapere il ratto di Helena, la presa di Troia, i giri di Enea, i lamenti di Didone, le, genealogie de gli Dei, gli adulteri, e gli omicidi loro? Che utilità ponno recarti gli Orlandi, i Rinaldi, i Rodomonti, i Cavalieri erranti, le guerre finte, le prodezze sognate, le virtù ammantate di vizi, e i vizi per forza d’eloquenza preconizzati?
Basilio Imperatore dell’Oriente con prudenza animò il suo figliuolo Leone alla Lezione, dell’Historie, dicendo. « Evolvere ne unquam cesses Historias veterum: ibi enim reperies sine labore, qua ali magno cum labore congesserunt.
»
Lucullo mandato alla guerra Mitridatica divenne segnalato Capitano {p. 94bis} con l’impiego nell’historica Lezione: tanto utile se ne può raccolse, da chi vi; applica l’animo, e la fatica.
In oltre a chi si diletta di versi, rime, poesie, canzoni, sonetti, madrigali,e altre Composizioni di cotal fatta non mancano i Libri onesti, e Opere pudiche, belle, nobili, e ingegnose: purché tu le voglia cercare, tenere, leggere, e praticare in vece de’ viziosi Componimenti.·Deh dimmi, che gusto vero, e sincero hai tu di volgere per la tua bocca Poesie poco oneste, e lascive, che trattano d’amor pazzi, e vani? Non t’accorgi, che a questo modo ti fai simile alle Bestie immonde, delle quali è propri non gustare d’altro, che di bruttezze, e sporchezze?
Che confusione sarà la tua Cristiano nel giorno del Giudizio, quando vedrai, che nella comodità di tanti efficaci mezzi alla salute, un de’ quali è la Lezione de’ Libri onesti, e spirituali, tu sempre ti sarai nutrito di vanità, pasciuto di disonestà ingrassato di veleno mortale di vizi, e peccati, vissuto a modo d’un Gentile, o d’un Epicureo; e finalmente morto, come un tristo, e disonesto.
Chi attende alla Lezione pudica, e virtuosa, tiene lontano Satanasso dalla sua casa; e fa, che gli manchi il luogo d’apportar la morte spirituale all’anima sua . Il Demonio oppresse i figliuoli di Giobbein cat. Ad illud. c. 2. Iob. Filijs suis, et c., perché attendevano alla Crapula, non alla Lezione buona. « Eos si offendisset legentes, avvisa Origene, et domum non attigisset, et ad interficiendum locus defluisse.
»
Nota vigesima prima.
Di un altro Rimedio molto importante.
La vivezza di un bellissimo ingegno si fa rea di grave colpa, quando s’impiega nell’espressione de’ Componimenti osceni. E se il FilosofoD. Celso Rosini nel Sacro Museo Poetico nel principio A Sophia. insegna, e che con ragione si stabilì già pena contro coloro, che su gli occhi de’ Riguardanti avessero posto una figura potente ad eccitare libidinosi affetti: quanto più, come scrive un moderno, pare dovuta la pena, a que’ Poeti, che tutto giorno pongono ne’ loro Poemi {p. 95bis} mille Ritratti d’impudicizie, e d’atti disonesti. Essi meriterebbero d’essere da’ viziosi Popoli discacciati; come fu già dagli Spartani mandato via quel Mitheco eccellentissimo Artefice di ben condite le vivande: ciò seguì; perché conobbero, che egli non mirava ad altro fine, che di recar al gusto, e alla gola compiacimento. Il Poeta fu già rassomigliato al Cuoco dell’antico Comico Eusirone, quando scrive appresso Athenea que’ versi Greci, che nell’Italiano significano a que’ versi Greci, che nell’Italiano significano.
« Il Poeta è qual Cuoco in ogni parte:Poich’ambidue l’ingegno hanno per arte. »
E a questo paragone alluse Suida, ove disse, che il Poeta era stato nomato Logomagiro, che tanto vale quanto Cuoco, di parole. Si trovano, alcuni cibi, dice Plutarco, i quali non servono punto alle parti spiritose dell’Uomo, ma solamente al senso, e alla carne. E io dico, che le parole dell’Opera oscena sono que’ cibi, che solo attizzano le passioni, e fomentano la sensualità. Ora si come l’Artefice buono delle vivande conviene, che abbia per fine suo principale l’utile, e mantenimento, del corpo, e per accessorio il gusto, e il diletto del senso:così il·buon Poeta non si prefigge per fine il solo dilettare; ma mira principalmente all’utile, alla Virtù, all’onesto, e con l’utile al dolce, e al diletto, conforme al detto volgato.
« Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci,Lectorem delectatio, pariterque monendo. »
Onde Platone fu, solito d’assomigliar il Poeta a chi condiscede Leg. Dial. 2. il, cibo per un languido infermo, e procura, che riesca giocondo al palato, e giovevole alla ricuperazione della desiderata sanità.
Ma che citiamo gli Antichi? Lasciamo tutti, e lasciamo anche i Moderni; e chi gode di leggere il parere di molti ristretto in breve, legga il P. Famiano Strada, che con lunga, dotta, e gentilissima spiegatura dichiara questo punto; e mostra, che chi fatical. 1. Prolus. 4. p. 125., poetizzando, per solamente recar diletto a sé, e ad altri, fatica senza fondata ragione, senza il debito fine, e può temere d’acquistarsi il nome di Poeta vano, leggero, e ridicolo:e le fatiche sue potranno paragonarsi a’ travagli di quel vecchio, insano, che volle far tagliar un’antica selva, e spianar un monte {p. 96bis}, per mirar la casa con diletto un suo ben coltivato campetto, la vista di cui gli era impedita dalla selva frapposta, e dal frapposto monte. Caso riferito a questo proposito da Girolamo Fracastorio:e dal quale possono conoscere la loro vanità que’ Poeti del nostro tempo, che si faticano tutto dì scrivendo e componendo per gustare essi al fine, e far gustar ad altri, una stilla di vana miserabile dolcezza, senza il fine della virtuosa utilità.
Ma quelli poi, che a Componimenti di solo diletto aggiungono le burle oscene, e gli scherzi impudichi, usando o parole poco modeste, o cose molto contrarie all’onestà: quelli, dico, possono, o devono conoscere, e conosciuto correggere il loro errore, tanto pernicioso a’ buoni costumi, che da lui solo cagionati sono i precipizi, e le rovine spirituali d’innumerabili persone, che non vivono molto ben fondate nella cristiana Virtù.
Quelli devono temprar le penne a gloria di Dio, e a difesa, e crescimento della Pudicizia; come l’hanno temprate molto volte a consolazione di Satanasso, ad ingrandimento, e dilatazione della disonestà. Quegli ingegni, che tante volte hanno preparati i veleni per la morte alle anime, ora preparano gli antidoti per la salute delle medesime. Que’ Poeti, che con la Lezione oscena dell’Opere loro sono stati distruttori infernali de’ buoni costumi, siano ora, con la Lezione pudica di altri loro Componimenti, celesti Riparatori di fiorita, e santa purità.
E questo è uno de’ più efficaci, e potenti Rimedi, che per mio sentire applicar si possa contro il pestilente morbo, e abuso della Lezione de’ Libri disonesti: perché il solo nome di un celebre .e accreditato Compositore, posto in fronte della Composizione, subito alletta il curioso Lettore ad applicarvi l’animo, e il pensiero: da che segue, che, essendo, o cosa sacra, o almeno indifferente senza veruna oscenità, porge al Giovane, e ad altri, che legge, occasione di sincero diletto, e di gustosa utilità. O se io avessi presenti tutti i Moderni Accademici, tutti i Professori di belle Lettere, tutti gli Ingegnosi {p. 97bis} Poeti, e Prosatori, quanto volentieri porgerei loro un umilissimo prego distinto ne’ seguenti punti.
1. Signori date alle fiamme tutti quegli osceni Componimenti, che conservate appresso di voi, e de’ quali non avete ancor comunicate le copie a’ vostri Amici. Con le fiamme materiali consumate que’ fogli, che contengono fiamme spirituali, che possono cagionare rovinosi incendi negli animi de’ Fedeli. Così sarete Virtuosi Sacerdoti della Pudicizia, offrendole vittime d’impuri Componimenti.
A questo esorta il P. Sacchino i Compositori dicendo. « Serio resipicant: qua moliti sunt, destruant, lacerentque et obruant pestiferos partus, et omni ope, quos texuere, laquoes amoliantur, quod quam ardui, immensique cuiusdam negoti sit, vel infamis ille Heliodorus ostendit, qui manuit sacris infulis exui, quam, quos condiderat, eiusmodi Libros exurere.
»Orat. cit. E se fu già tempo, in cui « maluisti allium, quam Calum fragrare, come scrisse d’altri Tertulliano, hora fragrate Deum, et divina.
»
2. Signori provocate di recuperare, per quanto potete, da gli Amici, e da altri, tutte l’Opere vostre oscene, che, non pubblicate con le stampe; si conservano in penna appresso molti e sono di non poco scandalo a’ poco virtuosi Conservatori, o Lettori. E quante ne ricuperate, tante n’abbruciate. Ove accenderete il rogo per incenerire l’impurità delle Scritture vostre; ivi comporrete il nido alla Fenice della vostra modesta immortalità.
3. Signori contro il pubblico suono delle vostre impudiche, e stampate Composizioni; fate se altro non potete, che Fama a gloria di Dio, e a vostro onore con giovamento del prossimo, suoni le trombe del vero, e cordiale pentimento, provandolo autenticamente con una, o con molte vostre Retrattazioni. Seguite l’esempio dell’ingegnoso Principe Giovanni Francesco Pico Mirandolano, il quale dice di se stesso. « Contra mea Opera scribere me paratum profitto, si quando me decrrasse, deprehenderem: An ego maior Augustino, qui retractavit, et emendavit sua pi sius iam emissa scripta? An maior Hieronymo semet in suis in Esaiam, et in Abdam Commentaris corrigente? An Joanne {p. 98bis} Pico patruo maior, qui si se olim fesellisse adolescentem in ultimo adversus Astrologos scriptum reliquit? Ingenuum dubio procul est propria tollare, et eliminare, si qua occurrerint errata; quod, et Gentes etiam sape numero observauerunt. Sic enim vetustus antor Hippocrates Medicus, sic Sofigenes Mathematicus, sic Dionysius Rhetor, sic Pollux, sic Cicero, sic Quintilianus, ut Stesichorum, et alios taceam compluert, essecare.
»In Exam. Doctr. Vanit. L. 4. in Proemio p. 1013. Io vi propongo l’esempio di tanti Valent’uomini, che hanno fatto le proprie Retrattazioni: così voi fate le vostre, le quali con le pubbliche stampe correggano i vostri osceni errori pubblicamente stampati; per cagione de’ quali dirò della vostra penna ciò che Lattanzio disse della lingua dell’antico Inventore degli Atomi Leucippo. « Melius fuerat tacere (dico io, "non scribere") quam in usus tam miserabiles, tam inanes habere unguam.
»De Ira Dei c. 10. (dico io, "calamum".) Ma vi è il Rimedio della Retrattazione, con la quale forse in quell’Orizzonte, ove spuntò Aurora di una luce omicida, spunterà il bel mattino di una virtuosa vita.
4. Signori imitate il gran Nazianzeno, che fatto sacro Cantor di Dio, e santo Poeta, disse. « Organum Dei sum, ac bene modulatis Carminibus Dei laudescan.
» Voglio dire. Componete per l’avvenire Opere belle, ingegnose, nuove, graziose, e allettive secondo la finezza del talento vostro; ma siano Opere sacre, o almeno in modo profane, e indifferenti, che nella faccia loro non comparisca neo alcuno, benché minimo, d’impurità.
Ciascuno di voi stimi, che seco ragioni l’addotto Gio. Francesco, dicendo. « Oro stylum vertas ad exornanda veritatem, fabellis explosis, quibus tua carmina dehonstantur magis, quam decorentur. Potes meo iudici, (ne credas, me adulari, ex animo profero) antiquitatem illam, et Vergiliana secula lacessere·, epigrammatis Martialem superare, atque etiam aquare Catullum; cum Tibullo, et Ovidio elegia te posse contendere,et vincere, quis sana mentis addubitaverit? Si prasertim repudiata obscena materia, qua illi gloriam sibs vindicare satagebant, sanctam, et divinam excolveris. Quapropter tibi summopere cavendum, ne divino {p. 99bis} abutaris dono, nove ipsum ingeni talentum a summo illo Patrefamilias, ut rectè negotieris, acceptum deprehendaris, non modo terrena scrobe abscondisse, sed ipso etiam cano mersenisse.
»lib. 3. ep. pag. 1338. Felici quelli, che dotati di grande ingegno compongono secondo l’avviso di questo Valentuomo. E aspettino dal Signor Iddio qualche dimostrazione grande in ricompensa delle oneste, e ingegnose fatiche, oltre il premio essenziale della gloria.
Cesario riferisce, che Riccardo, uomo dotato di bellolib. 12. es. 47., e elevato ingegno, e professore di vita Monacale nella Religione Premonstratense in Asberga, scrisse per sua devozione, e per servire al suo Monastero, opere di buoni, e virtuosi Componimenti. Onde il Signor Iddio volle, che rimanesse a’posteri un chiaro segno, che molto grate gli erano state le fatiche impiegate nel condurre l’Opere di que’ buoni Libri. Se ne morì il Religioso Compositore; e venti anni dopo la morte fu trovato il suo corpo incenerito tutto, eccetto la mano destra, che si manteneva ancor intera, bella e fresca, come un argomento di miracolosa conservazione operata da Dio: onde fu risoluto, che come santa reliquia si conservasse, e fosse onorata.
Piaccia alla Divina misericordia concedere a tutti voi o Signori simile devozione, e di fare Componimenti puri, e Cristiani. Onde a ciascun di voi potrò dire con Gio. Francesco Pico Mirandolano. « Da mihi virum voluntate bene instituta, qui carmina de rebus Cristiano vel credendis, vel sperandis, vel operandis, conficiat, tantum abest, ut damnem, ut accusem, ut etiam magnopere tuter, laudem, venerer, et amplectar: quales apud Veteres nostros suere Prudentius, Sedulius, Danasus, alique nonnulli.
»lib. 1. de stud. div. et hum. Phil. c. 6. Questi fuggirono ogni oscenità e quella ancora, la quale deve allontanarsi, non solo dalle parole; ma anche dalle cose: poiché purtroppo è vero, che alle volte un’Opera Drammatica, abbondante di cose poco modeste, come sono i baci di lascivi Amanti, e altri aggiunti di simil fatta, passa col nome di Opera lecita, bella, e virtuosa; e non con titolo di Componimento illecito, brutto, e vizioso: e la ragione è, perché Venere si veste modestamente, cioè le cose disoneste {p. 100bis} si spiegano con modeste parole. Onde S. Girolamo scrisse, « Solacismus magnus, et vitium est, turpe quid narrare
», benché si faccia con non brutte forme di ragionare. Non è molto tempo, che un Savio, leggendo molto attentamente, un’Opera di un moderno Valentuomo, cioè il Pastorfido, la trovò assai modesta, e pudica nelle parole; ma assai immodesta, e impudica nelle cose: onde finita la Lezione gittò il Libro, e disse. Hanno ragione i zelanti, dotti, e virtuosi Cristiani di biasimare la sostanza di questo Libro, e giudicarlo pernicioso: perché veramente secondo me si può intitolare. Affettuosa, e modesta Sporchezza.
In Roma circa 1620. il P. Angelo Orimbelli Veronese, e famoso Predicatore della Compagnia di Gesù, faceva le Lezioni nella Chiesa della Casa Professa, e un giorno disse, che nello spazio di molti anni, ne’ quali, aveva trattato le Anime, era venuto in cognizione, che molte persone o avevano cominciato a rovinarsi, o si erano rovinate in tutto, con leggere il Pastorfido.
E aggiunse di più. Io ho sentito dire pubblicamente in Ferrara da un Predicatore, che predicava ad un numeroso Auditorio in cui era il Sig. Guarini Autor de Pastorfido, ne ciò sapeva il Predicatore. Quel Libro è molto bello, e però difficilmente sarà levato con la Proibizione: e quindi argomento, che l’Autore deve far gran penitenza in vita: altrimenti o si dannerà in morte, o andando al Purgatorio vi starà sin ai giorni dell’universale Giudizio.
5 Signori esortate i Giovanetti di bello Spirito e inclinati allo studio di belle Lettere, o in vero, o in prosa, che si astengano dalla Lezione de0 Libri osceni: e animateli alla Lezione de Libri modesti: e se vogliono leggere alcuni di que’ Libri, che nomar si possono misti, cioè, ne’ quali si trovano alcune oscenità sparse, come immondezze tra le gioie; queste eleggano per loro Lezione, e quelle fuggano con abominazione; e si persuadano, che potranno giungere alla cima di Parnaso, e di Pindo; e anche d’Olimpo, senza camminar, e ascendere per viottoli, e per sentieri di sdrucciolosa Oscenità: potranno divenire {p. 101bis} gloriosi Valentuomini, e valenti imitatori d’Omero, di Virgilio, del Tasso, e d’altri nobili Eroi tra’dotti, senza che leggano impudicizie. E che? Se Omero se Virgilio, e se il Tasso, non avessero intinta la penna alquanto nel colore dell’impudica, e favolosa Dea, non sarebbero segnalati Poeti, e ingegnosi Fabri di una gloriosa memoria a loro comendazione? Certo sarebbero: anzi che i pochi scherzi amorosi, e osceni, da loro usati, sono stimati da Savi la macchia, che non so come si è fatta nel candido velo de’ loro purissimi Componimenti.
Insomma Signori Accademici vecchi, e consumati; e voi Signori Professori della bella Letteratura, esortate i Giovanetti all’onesto rivolgimento delle pure carte, da farsi « diurna, nocturnaque manu
» : perché mi do a credere, che più efficaci saranno le vostre brevi esortazioni, che le lunghe Prediche de’ Sacri Oratori, e i lunghi discorsi de’ Teologici Scrittori.
Ma se questo mio prego, distinto negli accennati punti, non può essere sentito da chi vorrei: supplico, che almeno sia letto in una, e due volte con riflessione, da chi forse per caso leggendo, in lui s’incontrerà; e se ne serva a beneficio d’altri, con l’ufficio della viva voce; so come io l’ho proposto con l’impiego della mia morta penna.
E in questo, secondo me, dovrebbero più degli altri diligentemente invigilare i Superiori delle comune Radunanze de’ Giovani, i pubblici Maestri, i sacri Predicatori, e i Padri Confessori, non lasciando passar occasione, che comoda si porga loro, di avvisare con amore, e di correggere con piacevolezza chiunque pratica, senza fondata, e bene esaminata ragione, la Lettura oscena degli impudichi, e perniciosi Componimenti, i quali sono una manifesta, e prossima occasione a molti di rovinarsi, e però degna d’essere fuggita, da chi vuole dar segno di vera Compunzione. « Vera compunctionis iudicium, scrive San Bernardo, opportunitatis fuga, subtractio occasionis.
»Ser. 1. de Resurrect.
Nota vigesima seconda. {p. 102 bis}
Intorno al Recitamento Osceno.
Questa è l’ultima cosa delle quattro proposte nel principio della Prima Nota, e con questa finiremo questo lungo discorso de’ Libri osceni.
Beltramenella Supplica c. 51. p. 207. scrive a prova, che l’udir le Mercenarie, e correnti Commedie, fatte da lui, e da suoi pari, sia cosa comportabile: e argomenta « a simili
» dicendo così.
Se è comportabile il perder tempo nel legger Poesie amorose, Favole piacevoli, e Libri di Cavalleria: perché non sarà comportabile l’udir Commedie, ove sempre vi è qualche buon esempio? La ricreazione alle volte è così necessaria, quanto sia il lavorare, mangiare, e dormire. Quanti si pongono a ristrettezza di vita, che sono sforzati col tempo a lasciar l’impresa?
Rispondo. L’argomento è fondato sulla condizionale. Se è comportabile il perder tempo nel leggere Poesie amorose. E io dico, che non è comportabile il perder tempo; perché è peccato almeno veniale: poiché perder tempo significa consumarlo oziosamente, e infruttuosamente; e tale consumazione è peccaminosa anche per sentenza di Beltrame, che dice.
« È vero, che la Commedia è un passatempo; e che il consumar il tempo senza frutto è peccato; ma vi è la distinzione del perder tempo, e del peccato.
»cap. 51.
Io approvo il detto, in quanto alla Commedia, la quale è un passatempo, ma onesto, e virtuoso; e che si può goder con merito dalle persone virtuose. Approvo anche il detto, in quanto che sia peccato il consumar il tempo senza frutto. Ma non approvo già la distinzione del perder tempo, e del peccato: perché non so, che vi sia tal distinzione; e so che, come della parola oziosa converrà render ragione nel tribunal divino, così avverrà d’ogni perdita di tempo, come cosa oziosa, e degna di castigo per la colpa. E però Crisostomo condanna la vanità {p. 103bis} del Teatro; perché, se non vi fossero tanti altri peccati, almeno vi è questo peccar del perdere, spendere, e consumare vanamente il tempo, «temporis impendium». E quindi anche si mosse a riprendere quelli, che frequentavano il Teatro per udir Commedie, dicendo loro. « Diem in tam ridicula voluptate consumitis.
»ho. 62. ad pop. E si fondò, credo, nell’Apostolico avviso di San Paolo « Dum tempus habemus, operemur benum.
»ho. 6. in Mat. Cioè, passiamo il tempo, non con peccati gravi, né con vanità leggeri ma con opere buone, e degne del vero Cristiano. E qui vale il detto del Cancellier Gersone. « Si nihil haberet aliud detrimenti, nisi temporis pretiosissimi consumptionem, abunde Diabolo satis esset.
»Par. 3. trac. de probat. Spirituim. Se l’udir Commedie oscene non avesse altro danno, che la consumazione del tempo; questo basterebbe a un Satanasso abbondantemente.
Ma dato, e non concesso, che vi sia la distinzione del perder tempo, e del peccato: dico, che non è comportabile il perder tempo in leggere Poesie amorose, né altri Libri, ne’ quali siano oscenità, o di cose, o di parole. E per prova del detto bastino l’autorità, le ragioni, i casi seguiti, e l’altre prove, che si sono spiegate diffusamente nelle passate Note; alle quali voglio solo aggiungere un luogo di S. Ambrogio, col quale significar pretendo, che il virtuoso Cristiano deve sentire orrore dal leggere Componimenti poco modesti,·e caso che li vegga, deve subito volgere altrove l’occhio suo, e il pensiero.
« Qui non respicit hac, beatus est, dice il Santo, qui autem respicit, insanus, atq furiosus est: et ideo resipiscat unusquisque a furore secularium cupiditatum, qua ita mentem, animumque perturbant, ut compos sui esse non possit. Si in navigio fluctuante sis constitutus, avertis a sentina oculos, ne vomitum moneat tibi: si in Civitate ambulans, aliquid fatidi odoris offendas, longe refugis, atque declinas: si quid occurrat, quod horreat oculus tuus, clauditur, aut avertitur. In salo seculi huius fluctuas, influit sentina vitiorum; in hoc navigio tui corporis movetur astus cupiditatum; et non avertis oculos anima tua, ne videant sentinam libidinum, ne aspiciant Mundi huius stercora, ne factor immundus nares repleat tua mentis, in quibus Spiritus {p. 104bis} Sanctus esse consuenit, ut possit dicere. Spiritus divinus, qui est in naribus meis? Sume igitur has nares o homo, ut a graveolentibus florulenta secernas, et tunc vivisicabit te Dominus.
»t. 2. in ps. 118. octo. 5. Così discorre santamente quel Santo, e dal suo discorso può bene ogni savio, e intelligente Cristiano stabilire santamente nell’animo suo, non voler in tempo alcun leggere, né mirare quell’Opere di Poesia, o di Prosa, che saranno con il fetore delle oscenità contaminate, e ammorbate.
Ma torniamo a ponderare il parere di Beltrame. Egli domanda. E perché non sarà comportabile l’udir Commedie, ove sempre vi è qualche buono esempio?
Rispondo. È comportabile l’udir Commedie, ma oneste, e non le fatte da Beltrame, le quali per ordinario sono fatte senza la debita moderazione prescritta da’ Teologi; tutto che Beltrame, e altri suoi pari, Uomini di buona intenzione, ma di colpevole ignoranza, stimino di farle moderate bastevolmente. E invero non basta, che vi sia sempre qualche buono esempio, quando vi siano insieme delle oscenità perniciose; perché « bonum ex integra causa
», la Commedia buona deve essere totalmente buona, e non ammette parole brutte, o fatti disonesti, che siano peccati mortali secondo la dottrina di S. Tommaso, e degli altri Teologi. E quando ella è tutta buona, si può godere con virtù, e con merito, come un dolce, e necessario trattenimento, e per sollievo, e ricreazione della Conversazione umana: e in questo accetto come buona, la ragione, che soggiunge Beltrame, dicendo, che la ricreazione alle volte è necessaria, quanto sia il lavorare, mangiare, e dormire.
Ora mi ristringo all’ultima risposta del punto intorno al Recitamento osceno; e dico. Quando anche la Lezione delle Commedie oscene scritte, o stampate, e di altre Composizioni impudiche, e de’ Libri disonesti fosse comportabile, e si potesse permettere; non è comportabile, né si deve, né si può permettere il Recitamento osceno; non solo per le molte ragioni da me spiegate altrove, ma di più per quest’una; che la viva azione de’ Recitanti, come tutti fanno, è molto più efficace, e scandalosa, che non è la morta Lettura de’ Componimenti. Con altra {p. 105bis} maggior forza, e molto più veemente, il Teatro, e la Scena animata da valenti Comici, muovono ogni sorte d’affetti nelle persone, anche Catoniane, e ben composte che mossi non sono dalla lettura di pulite Prose, o d’ingegnose Poesie. Onde scrive il P. Giovanni della Compagnia di Gesù. Se solamente il leggere cose vane, e disonesteNel direttorio spir. c. 6. §. 2. è tanto nocivo a costumi, che sarà vederle rappresentate? Massimamente come al dì d’oggi si rapprendano con tanti balli e danze disoneste, indegno spettacolo degli occhi Cristiani, e degno d’esser pianto con lacrime di sangue tanto più, quanto men si conoscono danni, li quali sono tanto grandi, che può temere un grave castigo di Dio per quelli.
Rimetto il benigno Lettore a ciò che per acconcio di questa Ragione ho detto nel Punto Ottavo del Capo Terzo di questo Libro, trasportando nell’Italiano la Risposta, che D. Francesco Maria del Monaco nella sua dotta Parenesi ha stampato con tenor Latino. Quella è un chiarissimo lampo di dottrina, per rendere più risplendente la bellezza di questa Ragione, con la quale rimane chiuso, quanto sin qui ho scritto secondo la mia debolezza intorno all’oscenità de’ Componimenti, e Compositori, poco regolati dalla Cristiana Modestia, e troppo liberi al compiacimento della sensuale, e umana fragilità, a’ quali accomodo per ultimo, e ricordo la breve sentenza di S. Ambrogio. « Non curare, quod feceris, summa inclementia.
»t. 4. l. 1. offic. .c. 13. È crudele contro contro l’anima sua, chi non cura di far penitenza opportuna per lo peccato commesso nello scrivere poco, modestamente.
GIUDIZIO CHE SI PUO FARE di quelle Commedie, che si rappresentano tal’ora con titolo di onesta ricreazione da persone ascritte in un’osservante Congregazione. §
Il freno troppo stretto rende il piacevole Destriere sfrenato, e disubbidiente. E chi spreme troppo, per aver il latte da una mansueta Pecorella, ne causa tal’ora il sangue, secondo quel saggio avviso. « Qui vehementer eungit, elicit, sanguinem.
»Prov. 30, 33. Si trovano alle volte certi Sopraintendenti al governo di virtuosa Congregazione i quali non devono mostrarsi troppo rigorosi nell’ufficio, vietando, e proibendo a Congregati quegli spassi modesti, da’ quali, come da buona semenza si raccoglie copiosa messe di virtuosissimo frutto. Tale si è lo spasso Teatrale, per cui alcuni Giovani più vivaci, e più talentati si accordano per far ad onesta ricreazione nel tempo dell’anno più pericoloso qualche modesta Commedia, o altra virtuosa Rappresentazione: e se domandano licenza, come ubbidienti Figliuoli di Congregazione, il negarla loro pare una rigidezza più che Catoniana: pare un volere che lo spirito di Uomo sia pure spirito di Angelo; e pure ogn’uno sa, che lo spiriti nostro è congiunto col corpo; onde per diritto di ragione se gli deve concedere qualche corporale sollazzo, e qualche sensibile passatempo. Ora che giudizio si può fare di questo caso?
Io stimo che forse colpirò nel segno di qualche buona risposta {p. 107bis} con lo scrivere fedelmente ciò, che, non sono molti anni, fu trattato per un simile accidente in un Città molto principale d’Italia, cioè in Fiorenza; ove certi Giovani di una Congregazione di virtuosi Artisti, giudicata di molto spirito, e governata da savi Religiosi, desideravano di esercitarsi per fare tra Natale, e Carnevale una modesta Commedia. Uno di loro chiese licenza, e da lui, e da altri furono proposte, molte Ragioni, alcune delle quali giunsero all’orecchio mio, e sono le seguenti, che voglio proporre, e ponderare, per vedere, se sono degne d’impetrar la licenza di far Commedie, e se que’ virtuosi Congregati se ne possono fondatamente prevalere senza pregiudizio della loro comune, e semplice devozione.
Alcune Ragioni addotte da’ Congregati per far una modesta Commedia.
Nota prima.
Della Prima Ragione, cioè
Bisogna dar qualche ricreazione a’ Giovani per tenerli contenti.
È stata proposta molte volte con questa forma la prima Ragione. Bisogna concedere qualche negozio di ricreazione a’ virtuosi Giovani, per mantenerli allegri, e contenti; perché quando vivono mesti, e scontenti, e non hanno lo sfogo di un onesto trattenimento, danno nell’indecenza, e nello sconvenevole. Quel fiume, che si schiude tra la strettezza di troppo anguste ripe, cagiona, che le sue onde, divenute altiere sdegnano i ponti, gli argini, i ripari, quasi risolute di avanzarsi nell’ampiezza de’ campi, e nella profondità delle valli con larga, e profonda inondazione. Cosi avvenir suole il più delle volte nella Gioventù governata con troppa rigidezza. E però chi vuole tener contenti i Giovani, conceda loro qualche consolativo rinfresco di {p. 108bis} gioconda ricreazione. E tale si è quello di una modesta Commedia, fatta da loro con pubblica Rappresentazione.
A questa Ragione si risponde, che merita veramente biasimo, chiunque nel governo della Gioventù si mostra Censore troppo severo. I Gigli si devono difendere con le spine, e non soffocare. Conviene, che la giovanile allegrezza, sia fomentata, e non avvilita; sia ricreata, e non disprezzata. Conviene, che si conceda qualche spasso a’ Giovani di Congregazione: ma non quello spasso, che è sospetto di recar nocumento spirituale, e che non si suole praticar da’ buoni Congregati. Essi per li giorni di lavoro non hanno bisogno di ricreazioni, ma di fatiche per guadagnarsi onoratamente il danaro necessario al mantenimento della loro virtuosa vita, e non da spendersi nelle vanità. Ne’ giorni poi festivi hanno il tempo tanto ben compartito con tanti vari esercizi spirituali, e corporali, che se l’osservano con puntualità, non avanza loro tempo per l’impiego di una vanità, quale si è per ordinario l’esercizio della Commedia.
Contro questo dicono alcuni, che nel tempo di verno le veglie durano fino alle 4. ovvero 5. ore di notte, e che però le sere de’ giorni festivi i Giovani dopo esser stati ad una Congregazione detta la Tornata sino alle 2. ore di notte corrono pericolo di sviarsi con le male Compagnie, e con le cattive radunanze delle veglie: e però è buono rimedi il prevenir quel male, e quel pericolo, procurando, che i Giovani si ritirino insieme, e passino quelle altre due, o tre ore in esercitarsi per fare qualche modesta Rappresentazione.
Si replica a questo detto: che i virtuosi Giovani, finita la Tornata, si ritirano a casa propria, e non cercano altre veglie, per non porsi a qualche pericolo, e per non dar sospetto di mala vita, o di scandalo a’ Parenti, che bramano il loro presto ritorno a casa.
Ho saputo da persona grave, giudiziosa e di molto credito e autorità, che il B. Servo di Dio Hippolito Galatino era solito di dire, che i Giovani forniti di vera modestia, e gli Uomini di virtuosa mortificazione non se ne vanno, né devono andar a cercar passatempi di conversazione in questa, o in quell’altra casa; {p. 109bis} ma deve bastar loro per sufficientissimo passatempo la divina consolazione, dalla quale pienamente soddisfatto resta il cuore, e quietato perfettamente. E quei, che dopo la Tornata tutta spirituale, e fruttuosa, e dopo gli esercizi santi di Congregazione vanno mendicando trattenimenti, e passatempi con giochi, e altre vanità, danno segno molto chiaro a’ giudiziosi, e a’ veri spirituali, che non sono consolati da quel gran Signore, che è « Deus totius consolationibus
».
Si aggiunge: che quando un Giovane ha faticato assai ne’ giorni di lavoro, vegliando di più la sera nelle fatiche sino alle 4. ovvero 5. ore di notte; credo, che nelle sere festive, se egli non è troppo sregolatamente appassionato, volentieri si ritirerà presto a casa, per ristorarsi presto co cibo della mensa, e col riposo del letto. Che se pure vorrà vegliare, potrà consolarsi con qualche domestica ricreazione, quanto gli parerà.
In oltre non si può tacere, che quella ritirata di molti Giovani insieme dopo la Tornata, come fatta, non in Chiesa né in Congregazione, né con la presenza di qualche Superiore, né di altra persona assegnata dal Padre di Congregazione, è pericolosa di dare in qualche difetto considerabile, e indegno di ogni buon, e virtuoso Congregato. La vera Virtù si mantiene, mentre si custodisce con vera diligenza: e la libertà poco difesa molte volte dà nelle scartate della dissoluzione: non per tutto vigilano gli Arghi con cent’occhi: i Destrieri anche domati hanno bisogno di qualche freno; ne essi sogliono servir di freno a se medesimi bastevolmente.
Nota seconda. {p. 110 bis}
Della Seconda Ragione, cioè
S’impediscono molti peccati ne’ Giovani.
La bruttezza del Vizio suona la tromba alla propria distruzione: e chi vivamente apprenda con lo spirito cristiano l’abominevolezza sua, non può ritenersi, che non procuri a tutto sforzo di rovinare ogni minima occasione di viziosa colpa, e di peccato mortale.
Su questi fondamenti di buona spiritualità ergono alcuni la fabrichetta della loro vanità mentre dicono, che con, dare licenza a’ Giovani della Congregazione di far una modesta Commedia, impediscono molti peccati, i quali certo sempre si devono impedire, e allontanare affatto da ogni Congregato.
Si risponde a questa Ragione; che vana riesce la speranza di impedir molti peccati con il mezzo di fare un pubblica appresso Rappresentazione; anzi si può temere fondatamente di non dare con il pubblico Recitamento, e con i preamboli suoi dell’esercizio, colpevole occasione di fare, e di moltiplicare molti peccati, e a’ Recitanti, e a gli Ascoltanti. Forse io parerò a tal’uno di dire cosa impossibile, o almeno confinante con una iperbolica esagerazione, ma non è così; e lo provo discorrendo un poco distintamente.
Dicesi, che s’impediscono molti peccati ne’ Giovani di Congregazione. Ora io domando. Che peccati sono? Forse di brutte disonestà, o di scandalosi giochi, o di mangiamenti epuloneschi, o di scellerate Compagnie, o di altre colpe gravi, e abominevoli? Non credo, che niuno di Congregazione sia tanto rilassato nello spirito, che, se non è impedito con l’esercizio di recitar in Commedia, sia per rompersi il collo in simili precipizi. E certo vivrebbe indegno della Congregazione chi vivesse con tanta rilassazione: non è degno di star tra buoni, chi vi vuol stare nemico della bontà. Io non ho questo vilissimo concetto della Virtù d’alcun de’ Congregati; e credo, che {p. 111bis} chi l’avesse, farebbe un gran torto alla prudenza, e al zelo degli Ufficiali della Congregazione, quasi che essi non sappiano o non vogliano rimediare al grande inconveniente, che segue dal lasciar senza rimedio qualche Pecorella infetta tra le sane, con pericolo d’infettarle a poco a poco tutte. Chi ben governa non è privo di tale accorgimento.
Di più io domando. La radunanza de’ Giovani fatta con una comica allegrezza, e forse con qualche libertà, e senza Superiore di rispetto, è ella mezzo di sua natura proporzionato ad impedir molti peccati, o pure a cagionarne molti? Io mi rimetto a chi praticamente conosce i Giovani anche virtuosi, e santi. Basta un poco di loto per intorbidare la purità d’un cristallino fonte. I Giovani, per li quali si propone, l’esercizio della Commedia, sono avvezzi a rincasarsi a casa, le sere delle feste, finita la Tornata, e se alcun avvezzo non è, deve avvezzarsi. Ora, posto questo; chi non vede, che meglio, e più efficacemente; s’impediscono molti peccati con la ritirata al proprio albergo tra suoi Parenti, e tra domestici, che con la radunata in casa di altri tra’ forestieri? Qui non vale quella Regola. Se non si eserciteranno in Commedia, faranno peggio; perché non sono scapigliati, e vagabondi, ma virtuosi Giovani, che divisi nelle case loro, né fan peggio, né vi trovano occasione di peggiorare.
Si può ben temere, che esercitandosi più volte per rappresentare una Comica Azione, commettano molti, peccati, almeno veniali, o di superflue spese, o di mormorazioncelle, o di gare, e di risse giovanili, o di altre simili imperfezioni. Per non dir poi del pericolo di fare una Commedia, modesta sì in parte, ma non in tutto; e per conseguenza una Commedia oscena, con peccato mortale; essendo cosa nella pratica molto rara che i Giovani liberi rappresentino una Commedia senza veruna oscenità mortale nella stessa Azione, o negli Intermedi suoi. Che se questo sarà, ecco si scopre la manifesta vanità di questa seconda Ragione, la quale con zelo d’impedir peccati, da occasione di commetter peccati.
Orsù diamo lunga la briglia al veloce Corriere e concediamo, {p. 112bis} che molti peccati s’impediscano ne’ Giovani Recitanti con l’impiego, e con l’occasione di provarsi, e esercitarsi comicamente in Scena: certo è che alla fine dopo le molte prove essi verranno al Teatrale Recitamento, e forse reciteranno più, e più volte, non alle sorde mura, né a ciechi scanni ma a numerosi Auditori, e Spettatori: tra’ quali se saranno anche delle Donne Spettatrici, e Auditrici, benché modeste o parenti de’ Recitanti, chi può assicurare, che in quella radunata moltitudine non siano molti, che poco timorati di Dio non colgano spine, ove fioriscono rose? E non mutino con metamorfosi d’Inferno il purissimo sembiante dell’onestà nell’aspetto deforme della disonestà? Ah quella radunanza notturna con quel miscuglio di varie persone ad udire un allegro, e comico Recitamento poche volte, come fanno i pratici, riesce libero dal brutto titolo di Seminari di fornicazioni, di adulteri, e di altre peccaminose impurità.
Non è molto tempo, che in una Città nobilissima, e tra le principali d’Italia una Compagnia di virtuosissimi Giovani recitò nel tempo Carnevalesco una Rappresentazione, non di burle né di buffonerie, ma di virtù, e d’eroiche perfezioni; e fu intitolata col nome di un Santo di vita molto meravigliosa. Or che giudizio si fece dell’Azione, e del concorso ad udirla? L’Azione fu stimata in se stessa onestissima da tutti: e disse un principalissimo Personaggio. Veramente pare una moralissima Predica, ovvero un’efficacissima Concione alla santità. Ma il concorso ad udirla cagionò questo grande inconveniente. Molte Donne onorate vi andarono, per esser cosa di un Santo; e alcune vi condussero le Figliuole che si dovevano monacare; quando ecco tra gli Uditori certi Giovani, troppo liberi di lingua, cominciarono a dire disoneste parolacce, per le quali restarono molto scandalizzate quello onorate Madri, e pentite grandemente d’avervi condotte le Figliuole. Ma seguì poco dopo assai peggio. I virtuosi Recitanti l’avevano fatta due volte di Carnevale: Giunta la Quaresima, la vollero fare la terza volta: e si disse, che la facevano per l’Instanza di un Principe; il che non fu creduto; perché tal {p. 113bis} Principe se n’andò da quella Città sul principio di Quaresima: la vera cagione si stimò, che fosse l’istanza de’ medesimi Recitanti, che vollero, che le Donne parenti loro godessero di quello Spettacolo giocondo, e virtuoso. La fecero, ma con questo disordine nel concorso: l’Auditorio non ebbe la necessaria separazione degli Uomini dalle Donne, ma queste stando vicine, e mischiate con quelli, diedero, anche non volendo, occasione a molte persone deboli di virtù, per non dire, affatto viziose, di far udire parole indegne, di far sentire disonesti Atti, e di far vedere un miscuglio grandemente scandaloso. Ne bastò per frenare quella sfrenata libertà, il ricordare, che era tempo di Quaresima, e giorno di Venerdì sacrato di Marzo. Or vada uno a dire. L’Azione si può fare; perché essendo in se modesta, impedire molti peccati ne’ Giovani: non è degno di credenza un cotal detto.
Concludiamo dunque, che col recitare una Commedia, o non s’impediscono molti peccati ne’ Giovani Recitanti, o se qualcuno s’impedisce in quelli, si porge ad altri probabile comodità di farsi rei di molti, e gravi peccati. Non impedisce assolutamente il male chi, preservando uno, infetta un altro con lo stesso male. Il freddissimo ghiaccio, o sia nel piano, o nel monte, per tutto fa sentire il suo rigore. La Commedia non è per ordinario un preservativo dalle Colpe al parere de’ Cristiani Galeni: ma più tosto è un medicamento di consolazione, il quale, se non è ben corretto; fa comparir scorretti, e gli Attori suoi, e anche gli Uditori.
Nota terza. {p. 114 bis}
Della Terza Ragione, cioè
Altre volte i Giovani di Congregazione hanno fatto le Commedie.
L’occhio mezzo chiuso del Superiore alla permissione non è buono Avvocato per difendere legittimamente la prescrizione: perché talvolta si permette qualche giusto motivo un inconveniente ad uno, senza che da lui si debba, o si possa prescrivere la facoltà di reiterarlo a suo volere. Col soave suono di questa musica, ben’accordata nel coro della verità, scordato si sente il suono, o per meglio dire, lo strepito della terza Ragione, portata da coloro, che argomentano, dicendo. Altre volte i Giovani di Congregazione hanno fatto la Commedia: adunque possono domandar, e pretendere di ottenere licenza di fare una modesta, e Comica Rappresentazione.
Si risponde, che è vero, che altra volta alcuni di Congregazione hanno fatto la Commedia, ma con molti lamenti, e molto gravi degli altri virtuosi, e zelanti Congregati, e senza licenza, o almeno senza indirizzo, e sopra intendenza de’ Superiori, i quali non hanno fatta proibizione, né mostrato gagliardo risentimento, forse per non porre alcuni nel punto di essere licenziati, o di licenziarsi dalla Congregazione, ovvero per non mostrarsi troppo caldi, e frettolosi nelle risoluzioni. Ma dopo che si è veduto per esperienza, che tal permissione è molto nociva, né da tollerarsi in modo alcuno, e che si può con la proibizione prevenir il pericolo de gl’inconvenienti; però si procede con prudenza, e con carità, avvisando, che chiunque è di Congregazione, deponga il pensiero di recitar Commedie, o altra Azione senza domandar, e ottenere licenze, e senza il modo prescritto da’ Superiori; e niuno si vaglia dell’allegata scusa dicendo, che se ne sia fatta qualcuna in altro tempo. L’occasione de gli errori, fatti altre volte, non è patente, per farli di nuovo con liberta, ma più tosto è fondata Ragione d’impedirli con la proibizione.
Nota quarta. {p. 115 bis}
Della Quarta Ragione, cioè
Altre Congregazioni della Città fanno alle volte la Commedia.
L’esempio della virtuosa operazione suol essere una lucente fiamma, per scoprire il sentiero della Virtù a’ seguaci del vero bene; e però saggiamente si anima ad onorate imprese, chiunque si sente stimolato dall’altrui onorate operazioni. Con la forza di questa persuasiva alcuni stimano di provare, e d’ottenere che si debba conceder licenze di recitar qualche Commedia a’ Congregati; perché altre Congregazioni della Città fanno alle volte la Commedia, o altra Rappresentazione.
Ma la risposta a questa Ragione non è un corallo, che si peschi nel fondo del Mare con difficoltà: voglio dire che è facile e si può comodamente spiegare co’ termini del tenor seguente.
Qualche Congregazione piena di soggetti Spirituali, che camminano con perfetta osservanza nel proprio istituto, ha fatto, e fa qualche volta una Rappresentazione con l’impiego di alcuni suoi soggetti, designati da’ Superiori, i quali poi si esercitano, o sono esercitati nel tempo, nel modo, e dalle persone deputate da chi governa il pubblico santamente. E con tutto ciò l’attuale loro Recitamento non si fa in una casa della Città, di notte, con pubblico concorso di molte persone, né con miscuglio di Uomini, e di Donne: ma di giorno, fuori della Città, in qualche luogo ritirato dal popolo, e alla presenza solo de’ soggetti della Congregazione, sì che quella Commedia, o Rappresentazione serve per un poco di virtuosa ricreazione a’ quelle persone spirituali congregate; e non si corre pericolo di scandalosa dissoluzione, né di altro inconveniente. Così procede tal volta, come ho inteso, la virtuosissima, e esemplare Congregazione instituita dal B. Servo di Dio Hippolito Galatino in Fiorenza. Né questo modo di rappresentare merita biasimo alcuno ma lode per sentenza de’ Savi, e de’ zelanti stimatori delle {p. 116bis} cose; poiché serve di un gentilissimo sorso di fresca onda, che ricrea un tantino, chi non ricusa di essere ricreato dalle fatiche dello spirito con una virtuosa consolazione.
Ma per ragionar poi di altre Congregazioni, dico, che io so da persona degna di molta fede, e molto pratica e vecchia, che in un’altra virtuosissima, e principale Congregazione della medesima Fiorenza si è fatta qualche volta un’Azione o Commedia di modesto argomento; ma con l’occasione de’ necessari esercizi, di altri soliti preamboli, e dell’attuale pubblico, e scenico Recitamento, n’è seguito in molti Congregati una tale, e tanta diminuzione di spirito, e di fervore, che appena dopo lo spazio di un anno intiero si sono ridotti a sesto: l’armonia delle Virtù si sconcerta con facilità; e poi difficilmente, anche con lunghezza di tempo, si torna al punto del suo bene aggiustato, e armonioso concento: e però saggiamente i principali, e più savi di quella Congregazione stabilirono tra loro di voler impedire queste Teatrali Ricreazioni, troppo perniciose allo spirituale, e buon governo de’ Congregati. Non sempre l’elemento del fuoco serve solo per scacciare il rigor del freddo dalle membra; alle volte scalda troppo, e col suo cocente ardore abbrucia, consuma, e riduce al nulla un bellissimo soggetto.
Non voglio aggiungere cosa alcuna in riguardo di qualche altra Congregazione, che forse, o non cammina in tutto secondo la sua primiera osservanza; o ha qualche ragione buona per sé, e non buona per noi; perché se tal’una è nella Città, e fa Commedie, l’esempio suo non è sicuro esemplare a noi di santa, professione; non è il costume di deve portar per ottima forma di perfetti costumi, e degni dell’imitazione di coloro, che professano voler sempre avanzarsi nell’accrescimento di più consumata virtù, e santa vita. Molte cose da molti si fanno, che non sono per gli altri Catoniani Precetti, né Platoniche Istruzioni da osservarsi con accurata vigilanza, e con vigilante accortezza.
Nota quinta. {p. 117 bis}
Della Quinta Ragione, cioè
I Chierici, e i Convittori del Seminario Romano, gli Alunni d’altri Collegi, e i Giovani delle Congregazioni, o delle Dozine, o d’altri luoghi fanno spesso qualche modesta Commedia, o altra Rappresentazione.
A tempo di burrascosa Fortuna si veleggia, come si può; e il voler combattere con il furor de’ Venti, è una battaglia da Guerriero insano. La Ragione prescrive, che si provegga, come si può, a’ pericoli, quando non si può procedere, come si vuole. Alcuni Congregati si vagliono per buona Ragione di far Commedie dell’esempio di que’ Giovani studenti che vivono ne’ Seminari, e Collegi di Roma, o in altri Convitti d’altre Città; e dicono. Come quelli nel tempo di Carnevale, o d’altra stagione dell’anno, fanno alee volte qualche modesta Rappresentazione: così i Giovani della Congregazione di Artisti possono di Carnevale, e di Estate ricrearsi modestamente con l’impiego di qualche scenico, e pubblico Recitamento.
Ma si risponde, che questa Ragione manca di buon fondamento, e è molto difettosa nella forza del suo paragone; perché a que’ Giovani studenti, e rispetti nella stessa Casa, si concede saggiamente da’ Superiori quel teatrale impiego, o per quasi evidente necessità, o per molto efficace Ragione di schifare l’incontro di maggiore, o almeno grave inconveniente: da’ quali scogli naviga molto lontano, chi presiede quasi provvido Nocchiere al timone, e al governo spirituale di una Congregazione di Persone, che ne’ giorni di lavoro travagliano a pro del loro vitto; e, nelle Feste possono goder, se vogliono, la quiete, e la devozione con un aggiustato compartimento dell’ore per tutto il giorno. Ma pure per meglio soddisfar in questo punto, voglio ponderar una sola Ragione, per la quale si concede a’ Giovani del Seminario Romano l’esercitarsi in qualche Azione in tempo di Carnevale. E quel, che dirò di quel {p. 118bis} luogo, si potrà intendere di altri Convitti, ne’ quali si attende ad una virtuosa educazione di Giovani Studenti.
Ogni Uomo fornito di senno, e di prudenza conosce, che molto ben fatto si è, che nel tempo della Carnevalesca dissoluzione que’ Giovani non vadano liberamente a spasso per la Città, in cui dalle Maschere, da’ Corsi, e da altro potrebbero aver qualche disturbo corporale, o spirituale. E però saggiamente si trattengono in Casa, quanto più si può. Ma la Casa in fine non è un Oratorio, per dimorarvi in continui esercizi di devozione; né è una Scuola, per starvi con assidua applicazione alle fatiche della Letteratura. E il tempo Carnevalesco porge occasione alla Gioventù di bramar qualche intermissione da gli studi, e qualche onesta, e gioconda ricreazione; e se non si concede, si può temere di turbazione, d’inquietudine, e di sollevamento con molto scapito della domestica disciplina, e obbedienza. Quindi fu costumato già, molti, e molti anni sono, che per ricreare la Gioventù del Seminario in tempo di Carnevale, si facessero venir i Mercenari Commedianti a fare alcune modeste, e virtuose Commedie: ma perché ne seguivano, inconvenienti, e i Comici abituati all’oscenità, non serbavano gli ordini prescritti loro da’ Superiori circa la modestia, si lasciò quel costume, e si diede a’ Giovani stessi comodità di recitare: e questo tutt’ora si continua, e riesce bene. Vero è, che pochissime volte si fa una sola Azione da tutto il Seminario, nella quale intervengano gli Attori presi da diverse Camerate: ma per lo più; anzi quasi sempre ciascuna Camerata co’ suoi Giovani Attori rappresenta la sua Azione: per la quale si esercitano prima tra loro con la presenza del loro Prefetto, o di altro Superiore; e senza mai trattar con Giovani di altra Camerata. Né per questo recitate si fa molto scapito nello studio; perché si comincia, non subito dopo Natale, ma al più tardi, che sia possibile, l’esercizio necessari al pubblico Recitamento: e per ordinario si fa del tempo assegnato per la solita ricreazione d’ogni giorno. Senza che io dica, che chi recita, guadagna non poco nell’addestrarsi all’azione del dire con pubblica franchezza; nel mandar a memoria una buona, virtuosa, e morale Composizione, {p. 119bis} e sopra tutto nel tenere la mente lontana da peccati carnevaleschi, e occupata nella felice riuscita di un giudizioso Recitamento per guadagnarsi, applauso, e farsi onore.
Questa Ragione così brevemente spiegata non è un patrocinio per dar calore al desiderio, che hanno alcuni della Congregazione degli Artisti, di far Commedie nel tempo da Natale a Carnevale: ma è bensì un’efficace arringo, per correr l’asta contro di loro; perché la necessità costringe a far alcune Azioni nel Seminario, altrimenti non si può tener a segno, e governar quella Gioventù con regolata obbedienza in quel tempo carnevalesco, e tanto esposto alle giovanili disobbedienze; e quando si provano, o si fanno dette Azioni; si usa ogni possibile diligenza, e industria da’ vigilanti Superiori, acciocché non segua veruno inconveniente. Ma per governare in spirito virtuosi Giovani Artisti di una Congregazione, non si scorge necessità di far Commedie: e se si facessero, seguirebbe almeno questo, che si giudica disordine, cioè, che molti Giovani tra loro si radunerebbero senza Superiore ad esercitarsi; forse anche con pericolo di far altro con tale occasione. Il suono di questa tromba non stuona punto all’orecchio di quel savio, e provvido Congregazionista, che a modo di generoso Combattente professa militar sotto la bandiera della vera, e perseverante Virtù a sconfitta dell’esercito de’ peccati, crudelissimi omicidi delle anime comprate dalla morte col sangue del Redentore, Principe, e Re della nostra eterna vita
Nota sesta. {p. 120 bis}
Della Sesta Ragione, cioè
Alcuni si convertono stando alla Commedia.
È un lampo di bella luce di cortesia il credere tal volta certe proposizioni, le quali se non sono strettissimi nodi, almeno hanno grande apparenza di stretta difficoltà. Tale si e quella proposizione. Alcuni si convertono, o sino convertiti dalla scapigliatura alla spiritualità; perché sono stati Spettatori, e Uditori di una modesta Commedia. Io certo facilmente credo, che quando già in altri tempi i Comici Santi facevano le loro sante Commedie, tutte piene di pietosi affetti, di santi pensieri e di spirituali, e sacri documenti; molti peccatori si compungevano, e si convertivano.
E anche ne’ moderni tempi succede, che da un’Azione rappresentata da virtuosi Giovani, con l’indirizzo di Maestri, uomini veri spirituali, e ottimi Istruttori si cagiona spesso la Conversione di molti. E so, che quando in Roma nel passato secolo si recitò dentro il magnifico, e gran Palazzo degli Eccellentissimi Signori Colonnelli la grave, e maestosa Tragedia del finale Giudizio, opera del P. Stefano Tucci Siciliano, Sacerdote della Compagnia di Gesù, e uomo di ottimo ingegno, e grandemente amato, e stimato per la bontà, e per la dottrina dal prudentissimo Pontefice Clemente VIII. molti si compunsero di modo, che risolsero d’abbandonare i belli, e graziosi pomi d’oro del mondano Giardino, e d’entrare nel penoso deserto della santa penitenza, abbracciando la Croce di Cristo per mezzo della vita mortificata, e della Religiosa Professione.
Ma che Giovani, forniti di Virtù ordinaria, facciano una Commedia, se ben modesta, non però santa, ne spirituale, e che Peccatori si convertano con udirla; io certo difficilmente lo credo. Con tutto ciò lo voglio credere; e voglio dire, che un tale evento si è un’ottima occasione di lodar grandemente la, Divina {p. 121bis} Maestà, la quale può, sa, e tal volta anche vuole operare stupore, e meraviglie per mezzo di mezzi molto sproporzionati secondo l’umano intendimento.
So, che molto grande è la forza delle Rappresentazioni: in prova di che Beltrame nel suo Discorso al c. 41. scrive con questa forma. Il veder un Giovane discolo, che per suoi mali portamenti sia esiliato dalla casa del Padre, e abbandonato dagli Amici, e si trovi senza aiuto alcuno, e che egli non sappia, ove girarsi, e che dopo molti pensieri si disponga mutar vita, è di voler chieder perdono al Padre; e che incontrandosi in quello, gli si getti a’ piedi, e dopo l’ aver sospirato a capo chino, si rivolga pietoso verso quello con gli occhi colmi di lacrime, e dica in fioca voce. Padre. Solamente questa voce, portata con singhiozzi, e affettuosi sospiri, è atta a cavare le lacrime fino dalle radici del cuore a’ Circostanti: e però le Rappresentazioni imprimono assai più, che i semplici ragionamenti, e fanno colpo fin in que’capi sventati, che non vogliono sentire gli spirituali discorsi; poiché si trovano ridotti alla Commedia per ridere; e alle volte conviene loro piangere, non potendo fare resistenza alla sinderesi, che gli violenta: e molte volte in simili luoghi alcun fa buona deliberazione, ed alcun la pone ad effetto; poiché in ogni luogo opera il Cielo: e perciò dico, che gli altri trattenimenti sono inferiori alla Commedia; poiché sono privi di così nobili avventure. Sin qui discorre il Comico.
Ma io ricordo, che tali venture succedono molto di rado, e sono come le cose miracolose, e molto straordinarie: onde non veggo, con quanta prudenza, o con quanta probabilità di buono esito si regolerebbe un uomo zelante delle anime, se per convertir peccatori, usasse il mezzo di una profana Commedia, benché modesta: massimamente potendo usare tanti altri mezzi, da’ Santi approvati concordemente, e praticati fruttuosamente: come sono la vita esemplarissima, e lontana da ogni teatrale passatempo; l’orazione frequente, e affettuosa al Sig. Iddio; l’offerta di molti digiuni, discipline, e altre penitenze; la correzione fraterna fatta con affetto di cordialissima destrezza e con arte di dolcissima destrezza; l’ingegnosa diligenza di condurre {p. 122bis} ad udir la diurna parola nelle Chiese, negli Oratori, e nelle Tornate; il ricorso all’impetrazione de’ Santi e alla pietosissima Avvocata de’ peccatori, Maria nostra Signora.
E tanti altri mezzi di simil fatta, che la servente carità, e il santo zelo suol suggerire a’ veri Servi di Dio, e agli amatori della salvezza altrui. Ma dato, e concesso, che con l’occasione di un modesto Recitamento si convertissero alcuni. Chi può far sicurtà, che molti non convertiti non si scontentano? E chi può dire, che non sia maggiore i numero di quelli che si convertono? Il Teatro profano, benché modesto, dubito, che abbia forza maggiore, per ingenerare nel cuore lo spirito di vanità, che per farvi nascer le brame, e i propositi di santità.
E poi se alcuni si sono convertiti, bisogna nutrirli delicatamente, come tanti Fanciulli di latte, bisogna allevarli, e fomentarli nel bene con altri mezzi spirituali, e non con la vanità delle Commedie; acciocché conoscano vivamente il bisogno che hanno di piangere amaramente i peccati della passata vita, e d’incamminarsi per l’angusto sentiero della vera penitenza, che « plangit preterita, et plagenda non committit
». Dico questo per rispondere a chi forse giudica poter replicare, aggiungendo. Oh alcuni si sono convertiti con la Commedia; dunque con la Commedia si deve procurare la loro perseverante conversione. Io credo, che le spirituali ferite di quelli convertiti, per sanare bene hanno bisogno di altro impiastro, che del comico lenitivo: essi devono pregar il Signore con S. Agostino, dicendo spesso, con devoto affetto di contrito cuore. « Hic unt, hic seca, ut in eternum parcas.
» Qui usa meco il fuoco, e qui il ferro, acciocché io goda poi l’eterno tuo perdono in Paradiso. Essi devono aggiustar molto bene i conti del Libro di coscienza, e soddisfar, per quanto possono, e largamente, alla grossa e importante somma de’ loro debiti con un continuo, e intero pagamento penitenziale. E se porranno l’occhio, regolato dalla ragione, a questo bersaglio, non si cureranno di scoccar le saette de’ loro pensieri alla vanità del gusto teatrale. Dunque {p. 123bis} concludiamo, che né per li convertiti, né per quelli pochi, li quali forse si convertirebbero, si deve applicar l’animo, e la fatica all’esercizio di Commedia; poiché il guadagno può essere a guisa di quattro gocciole, e lo scapito a modo di copioso fonte, o di fiume grosso, e traboccante fuori dalle sponde dell’onesto, e convenevole trattenimento.
Nota settima.
Della Settima Ragione, cioè
La Congregazione non è, come era nel suo principio, una radunanza di persone di santissima vita, che attendevano solo alla spiritualità, e al zelo dell’Anime, ma è di persone buone, e virtuose.
La confessione del difetto deve servir di freno per la sua correzione: e chi conosce scaduto dal primiero capitale della vera Virtù, deve procurar di ridursi alle prime ricchezze, e non avventurarsi ad altra fortuna con pericolo di urtar nello scoglio di un totale, e disonorato fallimento di bontà. Che strana ragione è quella, che a favor del far Commedie, recano alcuni dicendo. La Congregazione non è, più quella dj prima cioè non è tutta santa, tutta spirituale, e tutta attenta a far solo grande, e prezioso il capitale della perfezione. O miseria de’ miseri nostri tempi: o mutazione degna di copiose lacrime, e di doloroso compatimento. O oro cangiato dal suo splendore, e oscurato.
Si può ben dire con l’afflitto Profeta. «Quomodo obscurandum est aurum: mutatus est color optimum? Fili inclyti, et amicti auro primo, quomodo reputati sunt invasa testea? »c. 41. Thr.. Ma forse tal’uno risponderà è questa Ragione con un’ardita, e franca negativa, dicendo, che la sostanza spirituale della Congregazione non è mutata; né il primiero spirito è punto scaduto dal suo antico, e primogenito fervore: tuttoche si sia fatta qualche accidentale mutazione, come di numero più copioso di Congregati; di alcuni Giovani che portano i zazzaroni; di on andare unitamente {p. 124bis} tutti al luogo di ricreazione, e di altre simili circostanze; dalle quali non si arguisce mutazione essenziale, ma solo accidentale. E però la proposta Ragione, come che si appoggia sopra un falso fondamento, non deve riceversi come buona, e efficace; e da se medesima se ne cade senza l’impulso di altra oppugnazione.
Come se poi alcun volesse concedere, che veramente sia vero lo scapito dello spirito, e la mancanza della perfezione ne’ Congregati; io dico, che non è buono mezzo per lo ristoro spirituale l’esercizio della Scena, e il pubblico Recitamento di una profana Commedia; anzi è mezzo per ordinario nocivo, e pernicioso. Non si riscalda il freddo focolaro con i pezzi di ghiaccio: né si ristora la sanità languente con il cibo di vana, o di niuna sostanza: il fervore della carità si recupera con fervorosi esercizi di spirito. A che proposito dunque voler con la comica freddura far fuggire da’ Congregati la tiepidità? I Pigmei non suonano la tromba per la guerra de’ Giganti: bisogna, che con il mezzo sia proporzionato al fine: se la Congregazione ha vera mancanza di spirito, procuri di riacquistarlo con i mezzi spirituali, non teatrali; quelli sono di proporzione, questi di sproporzione: si consideri, che alle volte si accresce il danno, ove si stima riparar alla rovina.
Nota ottava.
Della Ottava Ragione, cioè
I Religiosi hanno le loro Ricreazioni ordinarie, e straordinarie: e alcuni fanno anche qualche volta la Commedia, o altra Piacevole Rappresentazione.
Pericle, quel famoso Alunno uscito dalla Scuola d’Anassagora, stimò degna di gran lode la sapienza de’ maggiori, come scrive Ticidite, perché trovarono maniere di ricreare dolcemente l’animo dopo l’amara tolleranza delle fatiche. E Licurgo, uomo tanto severo, e determinato Sacrificio al Dio del Riso, e volle, che ognuno fosse astretto all’atto di scarificare, forse a fine che s’intendesse {p. 125bis}, che ogni persona deve dopo i travagli ristorarsi alquanto con il gusto, e sapore di una gioconda Ricreazione. Anche Aristotele stimò necessario all’umana vita « jocum, et quietem, laborumque remissionem
». Eth. c. 14. ?, il gioco, e la quiete, e il cessamento delle fatiche, perché, come disse contro se stesso a S. Giovanni Evangelista quel Cacciatore; si spezzerebbe l’arco mio, se seguitassi troppo a scoccar le saette. Onde poi anche poetizzò colui, l’arco è di tempra tale, che,
« Si numquam cesses tendere, mollis erit. »
Se tu non lo rallenti mai, non farà colpo. Quindi l’antico Savio Catone lasciò quel celebre avviso.
«Interpone tuis interdum gaudia curis;Ut possit animo quemuis perferre laborem.
E San Gregorio Nisseno scrisse « tempestivam remissionem esse ad corporis incolumitatem necessariam.
»de Opif. Hom. c. 13- Che l’opportuna Ricreazione era necessaria per lo mantenimento della corporale salute. E la Ragione è questa; perché l’Uomo è composto d’anima, e di corpo; le quali due sostanze essendo finite, e determinate, hanno la loro virtù, e forza parimente finita, e determinata, e però impotente alla continua fatica; e per conseguenza bisognosa di requie, e di riposo. E perché la fatica è parte corporale nell’impiego delle cose materiali, e parte spirituale nelle speculazioni, e negozi di mente; però il corpo ha bisogno di riposo, che è la quiete non faticando; e l’anima ha bisogno della sua quiete, che è la dilettazione; e questa prende da’ Giochi, e dalle Ricreazioni. Di questa ragione si serve Scipionel. 4. degli errori popolari c. 7. 2. 2- q. 168- Mercuri; Professore di Filosofia, e di Medicina: la chiama bellissima. Onde riceviamo pure, come certa la dottrina di S. Tommaso, il quale approva insieme con Aristotile e Agostino. « Eutropeliam ludi moderatricem, vittutem in iocis, et recreatione
», una virtù nomata da’ Greci Eutropelia, che per officio tiene il moderar il Gioco, e porre una ferma, e giudiziosa regola nella Ricreazione. Che meraviglia dunque, che i Religiosi abbiano le loro Ricreazioni onestissime ordinarie, e straordinarie? Così hanno giudicato prudentemente, e stabilito santamente i Fondatori, e i Superiori. E in riguardo a questo punto {p. 126bis} i Congregati non hanno anche essi le loro ricreazioni? Si per certo, e molto più libere, e molto più lunghe e molto più spesse, e molto più abbondanti delle cose ricreative, che non hanno i Religiosi. I Congregati parlano tutto il girono; sen vanno dove vogliono, usano il vitto, e il vestito a loro gusto, per quanto comporta la loro condizione: né lasciano di
ricrearsi in altre maniere secondo il proprio volere, benché regolato come suppongo, dall’onesto dettame della Ragione. Ma i Religiosi di Osservanza godono le loro poche Ricreazioni secondo la misura della discreta, e necessaria concessione del Superiore. E molte volte vanno a ricrearsi spinti più dall’obbedienza, che dal proprio gusto, o dall’elezione. In quanto poi al far Commedie, o altra piacevole Rappresentazione per diletto carnevalesco, e passatempo, io so, che tutti sanno che molte Religioni di perfetta osservanza non le fanno, tutto che prendano qualche poco di modesta Ricreazione.
Scrive Zaccaria Boveriot. 1. Ann. Capucc. an. 1562. n. 39. pag. 599.. « Mas est olim apud Sanctos Patres, atque etiam num in Minorum Religione, antiquo usus receptus: ut tribus Anni temporibus, que maiora, tum Adventus, tum Epiphanie, tum etiam maioris. Quadragesima, ieiunia precedunt; per tres, aut quativior dies, antequam ieiunia inchoentur, onesta queda animiremissiones Fratribus a Superioribus indulgeantur: qua cum eo potissimum tendant, ut mentem assiduis exercitatiinibus defatigatam, animumque maioribus curis velut obrutum sublevent, recreent, instaurent, atque ad preclariora facnora obeunda parent; eique quodammodo vires, c robur ministrant: ea moderatione, ac temperanttia suscipienda sunt; ut in his nihil, nisi honestum, nisi modestum, nisi virtute dignum appareat: denique ita animum relaxare debent, ut gravioribus tantum curis, non virtute Religiosum hominem exuant, melioremque et ad omne virtùtis opus peragendum promptiorem efficient. Que enim ita animum dissolunt, ut omnem ab eo modestia, ac temperantia franum excutiant; nihilque eum virtutis integrum habere sinant; haud perfecto in earum numero, qua ab Eutrapelia commendatur; quæque hominem Religiosum decent, connumeranda sunt; sed potius inter turpes animi dissolutions, ac vitia {p. 127bis}, qua omni studio a sacris presertium viris fugienda sunt, regicienda. Hinc apud nos, non modo qua Sacris Canonibuso prohibentur: veluti Aleas, aut pictas chartas, auto aliud simile ludiere; verum et qua vel illiberale, seu petulant, aut vitiosum aliquod quod Ioci genus preseferunt, Lege lara, a nostris animi remissionibus, expelluntur: quale est Scurram ugere, in Scenam Histrionum more prodire, cachinnis quemquam prosequi: baculo, vel manu cum alio digladiari; sarcasmis aliquem infectari; mundanas cantilenas occinere: aliaque huiusmodi prestare; qua cum a virtute absint, onestam Recreationem per imunt.
» Vuol dire in breve questo Autore, che la
sua Religione concede a’ Soggetti, che in certi tempi godano un poco di modesta, e virtuosa Ricreazione: ma non permette già, che facciano Commedie: né essi costumano d’andar a sentire quelle, che altri Religiosi fanno; tutto che siano modeste, morali, e virtuose.
Or questi Religiosi ritirati dalle teatrali, e carnevalesche vanità delle Commedie possono essere imitati da’ Giovani Artisti Congregati; e l’imitazione sarà soggetto di molto merito, e di soda, e spirituale consolazione. Imitino ogni Religioso nel bene, che opera; e non in altro, se vi commette errore. Ma qui io non pretendo per penna, o lingua di Censore intorno alle Commedie fatte tal volta da’ Religiosi; perché mi rimetto alla prudenza, e alla santità di chi li governa, e di chi deve render ragione al Giudice Divino de governo loro.
Dico solo questo, che avendo io mostrata questa mia Risposta ad un virtuoso, e pratico Secolare. me la restituì, dopo averla diligentemente letta, e aggiunse in iscritto Alcune Religioni Padre mio Carissimo n’avrebbero grandemente bisogno, dal cui esempio i poveri Secolari spropositano. E io dico, che tal volta in qualche Città è succeduto, che alcuni Religiosi hanno fatto una Commedia con invito, e con venuta di Secolari gravi e giudiziosi ad udirla, i quali si sono offesi non poco udendo le qualità di quel Recitamento: non spiego caso particolare come potrei, per lo rispetto, che porto ad ogni Religione: e dico, che un fiore putrefatto non deroga alla perfezione di tutti i fiori: né il vizioso recitar d’alcuni pochi deve servir {p. 128bis} di sfregio alla virtù di molti Recitanti.
Il Comico Beltrame scrive, che recitano Religiosi il Carnevale per assuefare la Gioventù a ragionar in pubblico. E io ho saputo, che una volta occorse, che dopo essere stata rappresentata un’Azione da molti Recitati, Soggetti di un Convento, al fine uno comparve in Scena a fare la sua scusa, e disse. Molti di questi Padri devono ire a predicare la prossima Quaresima, e però con questo Comico Recitamento si sono un poco assicurati di comparire a ragionare, e ad atteggiare pubblicamente. Ma quella scusa non fu accettata per buona da molti savi, e con ragione; perché il recitar in una carnevalesca Commedia non è buona disposizione per la Predica Quaresimale; anzi è d’impedimento; e questo mi disse già un Religioso Predicatore, figliuolo di un valente Comico, affermando, che alcune volte gli era stato ordinato da’ suoi Superiori, che recitasse in certe loro private Azioni; e che avendolo fatto, n’aveva sentito notabile nocumento, per poi applicarsi alla santa funzione predicatoria- Onde io dico. Né Momo, né Graziano, né altro Comico, serve di buon Maestro, a chi professa di essere Discepolo di Cristo nel predicare, o nel vivere da buon Ecclesiastico: e può ricordarsi, per ponderar fruttuosamente, che dal Graziano si pigliano alcuni Capitoli, come che siano di un Concili Cartaginese, ma non si sa se del primo, o del secondo, o del terzo; e nel quinto di detti Capitoli si legge. « Si quis Clericus, aut Monachus verba scurrilia, ioculatoria, risumque munentia loquitur acerrime, corripiatur.
»To. 1. Concil. pa. 509. col. 1. fine. Faccia per se il commento a queste parole ogni savio Religioso, e Ecclesiastico, e non avrà bisogno d’alcuna mia preghiera, per ritirarsi da’ridicoli Recitamenti teatrali. « Ipse Doctor, Monitorque sibi
».
Nota nona. {p. 129}
Della Nona Ragione, cioè
Alcuni Giovani si partiranno dalla Congregazione nostra, e andranno ad altra, ove si concede il Recitar qualche modesta Commedia.
Il buon Soldato non deve abbandonar la Bandiera, perché viene dal Comandante astretto a combattere secondo il costume e il debito di fedele Guerriero: anzi deve rallegrarsi, e godere, che chi comanda, vigili con diligenza, acciocché la militare disciplina punto non perda del suo vigore. L’osservanza non scema gli eserciti, né gli squadroni; ma li rende più forti e li dispone più felicemente alle vittorie. Che se alle volte alcuni mutano casacca; non per questo migliorano sempre la Fortuna, e forse dalle spine si lanciano nelle spade; e tardi poi si avveggono dell’errore, quando all’errore non possono rimediare.
La Legge di santa carità ci stringe alla compassione verso alcuni, che forse tal volta partono da una Congregazione per andare, ove si concede l’attendere all’esercizio di far Commedie, ma questa compassione mira, temo io, lo scapito del loro fervore, e il pericolo di abbandonarsi nell’imperfezione: perché invero è argomento di scemata carità, e di tiepida perfezione, partirsi dalla sua squadra di Guerrieri spirituali, e lasciar la sua Bandiera di Cristiana bontà, per impiegarsi nel vano, e fallace trattenimento di far Commedie. Ma questa partita, e questo abbandonamento, non deve recar molto travaglio a quelli, che come veri, e perseveranti Figliuoli di una Congregazione vogliono guerreggiar contro i Vizi senza mai scostarsi dalla solita loro Bandiera di santità.
Si può anche far congettura, che tal partenza sia per essere cagione di maggior utilità ne’Congregati, che restano; poiché non sentiranno più, o almeno poco stimolo da parole, né provocarsi da’ vicini, e presenti, li quali possono in parte impedire la loro fervente devozione, e commuovere l’animo e {p. 130bis} il desiderio alla vana compiacenza della Comica Rappresentazione. E ben vero, che se alcuni già partiti, con lasciar di se fondato sospetto di voler attendere al vano gusto delle Commedie, volessero poi ritornare alla Congregazione, sarebbe necessario procedere molto cautelamente nel concedere loro una tal grazia; perché forse riuscirebbe di gran pregiudizio alla comune osservanza, e di grave danno a molti Congregati; senza che si correbbe pericolo molto probabile di dar giusta cagione a’ nuovi, e a’ vecchi, e zelanti Fratelli di scandalizzarsi. Concludo, che la partita di questi tali meglio stabilirà il santo costume di negar la licenza di attentere alle comiche vanità. E ricordo il motto di chi disse. « Uno avulso, non deficit alter
» : se mancheranno alcuni senza giusta ragione, altri senza giusta ragione, altri molti ne verrannocon santa vocazione. Onde la Congragazione non patirà detrimento, governandosi con santo spirito di vera osservanza.
Nota ultima.
Di un Ricordo giovevole a’ Congregati.
Chiunque abbraccia l’istituto di una buona, e santa Congregazione, deve sforzarsi di far gran progresso nella Virtù a giovamento della propria; e dell’altra salvezza, o perfezione: e deve procurare di conservarsi, e di crescere in quella semplicità, carità, schiettezza, con che i primi Fratelli fondarono la Congregazione, quando niuno dava segno di voler punto dilungarsi dalla norma di vita, prescritta loro da’ Superiori e ciascuno nelle difficoltà, e ne’ desideri suoi comunicava con molta confidenza tutto l’interno suo, e il suo cuore per essere indirizzato; e corretto, ove mancasse, e fosse trovato difettoso; e allora la correzione, e l’avvertimento del difetto non generava mai amaritudine, ma sempre cordialissimo amore e gratitudine.
Questo santo costume, e questo modo santa di procedere si ricorda di presente a tutti i Congregati, tra quali se uno, o più {p. 131bis} si trovassero, che persistessero nell’opinione, che sia tratto di prudenza, e cosa buona, che i Giovani di Congregazione si esercitino in qualche Commedia, devono tenere il lor giudizio per molto sospetto, e molto pericolodi; e però devono riportarsi in tutto, e per tutto al parere di chi governa la Congregazione.
Pensino anche e si ricordino, quanto sia facile il passare da una modesta Ricreazione ad una modesta dissoluzione, caso che si permettesse l’introdurre l’uso di recitare forse ne’ primi anni (come avviene in altre cose) si reciterebbe con il debito riguardo di modestia; ma poi col tempo facilissimamente si darebbe nello sconvenevole, e nell’indecente. Il tempo alle volte apre la strada all’assalto contro la Virtù, e si dichiara traditore della modestia. I fiumi grandi nell’originario fonte loro per lo più si saltano, o si guazzano con facilità, ma poi nel corso, e col tempo vanno a ingolfarsi, che recano rovina alle campagne, e guerra al mare. La Conversazione del vero, e virtuoso Congregato deve regolarsi; e aggiustarsi con due misure; cioè con l’osservanza delle Regole, e con l’uso antico, e solito della Congregazione. E tutto questo, e ogni altra cosa, secondo la sopraintendenza, indirizzo, e beneplacito de’ Superiori, e massimamente del principale.
Che se la conversazione di qualche Fratello è discordante da queste misure, credo che si possa nomare con S. Basilio perniciosa a gli altri Fratelli. « Qui huismodi est, huius conversatiointer vetiquos Frateros perniciosa erit.
»in Regul, Brev. n. 159- E la ragione si è perché come aggiunge il Santo, « siquidem exemplo suo a suscepta certamine ceteros abducit
» rimuove gli altri con l’esempio suo all’onorato, e preso certame contro i Vizi, e contro le difficoltà, che sono incontrate da chi brama trionfare dopo la vittoria nel glorioso Campidoglio della perfezione in terra, e della consolazione in Paradiso. Concludo con questo avviso dato l’anno 1642. a un nobile, virtuoso Fiorentino da un Padre spirituale molto dotto, e molto sperimentato, e disse. Io so per certa esperienza, che molti spirituali, con recitare in Scena Commedie anche modeste, hanno patito, delle cascate con rovina {p. 132bis} delle anime loro. Volle dire secondo me, che la Scena, anche modesta molte volte per certe cattive circostanze serve di trabocco a’ Virtuosi: adunque chi conserva in se il tesoro della vera Virtù, fugga ogni ombra di pericolo di essere, rubato. Non è ardito, ma temerario, chi senza ben fondata ragione s’espone al gran periglio dell’eterna dannazione.
Spero, che tra poco uscirà il quarto Libro di questa Cristiana Moderazione del Teatro, al quale perché s’intitola. Le Ammonizioni a’ Recitanti, premetto qui l’avviso dato da S. Agostinot. 9. tract. 7. de Vit. Chris. Initio. alla sua Sorella, e al quale io accomodo all’Anima d’ogni nostro Fratello cristiano mentre si degni d’esser Lettore benigno, curioso, e virtuoso di quell’Operetta, piccola sì sua stessa, ma fatta con non piccola speranza di giovare all’anima d’ogni Recitante, che gode esercitarsi nel Teatro, rappresentando Commedie, Tragedie, e altre Drammatiche Composizioni secondo il Decoro necessario alle Azioni di ogni Professore dell’Evangelica osservanza. « In donec peritier, scrive il Santo, tibi appavere posset, et melior, ruaibus admonitionibus nostres interi m est contendat: et chiarita da veniam, cuius est, non considerare, quid offerat, sed quod habet, liberter impertitur: nec illum, satis esurire credo, qui cum cibarios panes habeat, nitidos expectat, ei candidos: ita, e Dulcissima Soror, cibarios mande panes, donec similagines, et candentes invenias nec tibi panis incultior esse videtur, sed fortior, et celerius similagineus detur, et nitidus. Nunc ergo dicam sermone, preut valeo; et quid Christianum agere conveniat (recitando in Teatro) ut petero, explicabo.
»
Indice delle note contenute nella Censura, e nel Giudizio. §
Nota 1. della Censura. Si propone la materia, e molti Autori, che biasimano, chi compone cose impure. Pag.1
N. 2. 3. e 4. Si portano molti altri, che scrivono contro gli osceni compositori. Pag. 4. sino alla pag. 19.
N. 5. Si dichiara che cosa sono le Composizioni, e i Libri poco modesti. 20.
N. 6. Che cosa contengono, e che effetti fanno le Composizioni, e i Libri osceni. 23.
N. 7. Si continua a mostrar gli effetti, che fanno. 29.
N. 8. Segue lo stesso. 32.
N. 9. Alcuni esempi in questa materia. 34.
N. 10. Intorno alla Lezione delle Composizioni oscene, e Libri disonesti. 38.
N. 11. Della Prima Ragione di chi vuole leggere Libri impuri, cioè non è peccato, né nuoce all’anime. 43.
N. 12. Della Seconda Ragione, cioè si trovano cose, belle, gustose, e buone. 47.
N. 13. Della Terza Ragione, che è perché molti non sanno, o non curano di sapere i motivi di non leggere Libri impuri. 51 e sono molti. 53.
N. 14. Si continua la materia di tali motivi. 56.
N. 15. Sene aggiungono altri. 64.
N. 16. Della Quarta Ragione di leggere Libri osceni, cioè perché sono in sostanza facezie usate da moltissimi. 71.
N. 17. Si discorre intorno alle Ragioni proposte, e altre. 75.
N. 18. De’ Rimedi contro la Lezione oscena. 81.
N. 19. Intorno al Secondo Rimedio. 85.
N. 20. Si continua la spiegatura de’ Rimedi. 90.
N. 21. Di un altro Rimedio, che è composto di molti virtuosi avvisi da praticarsi da chi è stato Compositore impuro. 94.
N. 22. Intorno al Recitamento osceno. 102. {p. 134bis}
Nota 1. Intorno al Giudizio, che si può, e Dela Prima Ragione addotta a Congregati per fare una Commedia modesta. Cioè bisogna dar qualche Ricreazione a Giovani per tenerli contenti. 107.
N. 2. Della 2. Ragione, cioè, S’impediscono peccati ne’ Giovani. 110.
N. 3. Della 3. Ragione. Altre volte hanno fatta la Commedia. 114.
N. 4. Della 4. Ragione. Altre Congregazioni fanno alle volte la Commedia. 115.
N. 5. Della 5. Ragione. I Chierici, e i Convittori del Seminario Romano, gli Alunni d’altri Collegi, e i Giovani della Congregazioni, delle Dozine, o d’altri luoghi fanno spesso qualche modesta Commedia, o altra Rappresentazione. 117.
N. 6. Della 6. Ragione. Alcuni si convertono alla Commedia. 120.
N. 7. Della 7. Ragione. La Congregazione non è, come era nel suo principio, una Radunanza di persone di santissima vita che attendevano solo alla spiritualità, e al zelo dell’Anime ma è di persone buone, e virtuose. 121.
N. 8. Della 8. Ragione. I Religiosi hanno le loro Ricreazioni ordinarie, e straordinarie, e alcuni fanno qualche volta la Commedia, o altra piacevole Rappresentazione. 124.
N. 9. Della 9. Ragione. Alcuni Giovani si partiranno dalla Congregazione nostra, e andranno ad altra, ove si concede il Recitare qualche modesta Commedia. 129.
N. Ultima. D’un Ricordo giovevole a’ Congregati.
IL FINE.
Approvazioni. §
Il Sig. Girolamo, Rosati veda se nella presente Opera si contenga cosa, che repugni allo Stampare, e referisca appresso il dì 2.di Marzo 1646.
D’ordine dell’Illustris. Monsig. Rabatta ho visto il presente Libro, e non solamente non ho trovato cosa, che repugni a stamparsi, ma lo giudico utilissimo alla Cristianità. In Fede.
Errori più notabili : Correzioni §
Pag. 20. libitu : habitu.
30. altro : alto.
36. merzo : mezzo.
43. avvenimento : avvertimento.
51. put : erit.
62. pure : prove.
68. intersere : interserere.
74. obscienne : le coscienze.
98. faces : faces.
103. e affligera : che affligerà.
105. interesset : interessent.
106. sea : sua.
106. determinsi : determina.
149. dabit : dabis.
201. Epist. ad Historiarum : Epist. ad Harmonium. [n.p.]
Approvazioni di tutti i Signori Deputati alle revisioni de’ Libri. §
Il Molto Rever. Sig.Girolamo Rosati veda se nella presente Opera si contenga cosa che repugni alla stamparla, e referisca appresso. D. il dì 9. di Aprile 1647.
Vincenzio Rabatta Vic. Di Firenze.
Illustrissimo Signore.
Ho letto la presente Opera, ne vi ho trovato che cosa di utilità, e degna d’essere stampata.
In fede di che scrissi di propria mano questo di 16. Aprile. 1647.
Si stampi l’Opera, osservati li soliti ordini. D. il dì 21. Aprile 1647.
Stante la relazione del Sig.Girolamo Rosati, Consultore di questo S. Offizio di Fiorenza, si stampi questo dì 21. d’Aprile 1647.
Per l’Illustrissimo Sig.Senatore Alessandro Vettori Aud. di S. A. S.