Si vede bene che Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spiega in che consista il fulmine stesso, perchè nè egli, nè Dante, nè alcun dotto dell’antichità o del medio evo poteva saperlo. […] Evidentemente del fuoco, senza del quale sarebbe impossibile eseguire i lavori di metallurgia. […] Infatti è generalmente dagli Antichi venerato Vulcano come Dio del fuoco193 e del fabbrile ingegno. […] e che noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fenomeni del lampo e del fulmine, benchè in piccole proporzioni, colla macchina elettrica ? […] La loro stirpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di Urano e di Vesta Prisca.
Ora sono i soccombenti ed oppressi Titani che tentano colla forza di ricuperare il perduto possesso del celeste regno. […] Claudiano, del quale esiste un frammento di 127 versi della Gigantomachia, non ci fa molto rimpiangere la perdita del rimanente di questo suo mitico poema ; ma il titolo soltanto dimostra che egli cantò dei Giganti e non dei Titani. […] Erano infatti i Titani di origine divina, non che di regia stirpe e della linea del primogenito di Urano ; e invece i Giganti, esseri mostruosi e di origine terrestre, erano affatto estranei al fondamento e al titolo della contesa. La prima guerra poteva anche riguardarsi come una collisione di diritti o di pretese fra due famiglie dinastiche ; ma la seconda era stimata, come direbbesi modernamente, una irruzione del Comunismo a distruzione del Gius Costituito, ossia dell’ordine sociale di fatto ; e gli antichi la considerarono come una lotta del principio del male contro quello del bene, e perciò celebrarono la vittoria di questo72. […] Nella Teogonia di Esiodo vi è un bell’episodio sulla battaglia dei Titani coi Saturnii, che fu tradotto in versi da quel sommo ingegno del Leopardi.
Tutti questi distintivi ed emblemi di Bacco lo manifestano chiaramente come il Dio del vino e della intemperanza. […] Coloro però che vogliono attribuir dignità o importanza a questo Dio dicono che le corna son simbolo della potenza di lui, ossia della forza del vino. […] La qual voce Evoe fu adottata come esclamazione e nello stesso senso tanto dai poeti latini201) quanto ancora dagl’italiani, come troviamo, per esempio, nell’Orfeo del Poliziano, e nel Ditirambo202) del Redi, intitolato Bacco in Toscana. […] Imperocchè poco vale il piantare e il coltivar le viti dove i raggi del Sole non conducono le uve a maturità e non ne cangiano in vino il primitivo acido umore. […] Si noti però che la vite non ama neppure l’eccesso del caldo ; e i limiti naturali fra cui prospera sono dal 30° al 50° di latitudine.
Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] A queste stesse conclusioni io giunsi per altra via, quando nel N° IV parlai del Fato e del Fatalismo. […] Così nella colonna Traiana si vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano al di sopra del carro di Diana ; e perciò non è possibile crederlo un Angelo. […] Io citerò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in cui trovasi usato il vocabolo Genio in più e diversi significati ; e confinerò qualche prosaica osservazione filologica in una nota, essendo più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalmente gradita che non la filologia. […] Nel Dizionario del Manuzzi, oltre le eccezioni approvate dalla Crusca, se ne trovano altre 6 ; tra le quali è da notarsi il genio della lingua, espressione che il Manuzzi ammette, citando due esempii, uno del Salvini, e l’altro del Magalotti ; ma il Fanfani riportando nel suo Dizionario questa stessa espressione dichiara che è francese affatto.
« Su via, ciò lascia ; e del mio figlio illustre « Parlami invece. » (Odiss. […] La prescienza del futuro non li allettava quanto la reminiscenza del passato, e principalmente di quei luoghi e di quelle persone che resero loro più cara e gioconda la terrena esistenza. […] Quindi in appresso si cessò dall’insistere sulla necessità del pagamento di quest’obolo, ma si confermò indispensabile la sepoltura del cadavere, affinchè l’anima potesse esser traghettata da Caronte all’altra riva, e non andare errando per 100 anni lungo lo Stige nella penosa incertezza della sede che erale destinata. […] Essi in fatti nelle dispute non adducevano altra ragione che l’Ipse dixit, cioè le parole del loro maestro : ipse autem erat Pythagoras, come dice Cicerone. […] L’ obolo (in greco obolos e in latino obolus) fu la prima moneta dei Greci, e valeva 15 in 16 centesimi di franco o lira italiana, poichè fu considerata in appresso come la sesta parte della dramma, greca moneta d’argento del peso di 4 grammi e 363 milligrammi, e del valore di 92 in 93 centesimi.
Esiodo poi lasciò scritto che Venere nacque dalla schiuma del mare. […] Cupido che sposa Psiche significa che l’amore è un sentimento dell’anima : ecco in due parole la spiegazione del mito. […] Imene o Imeneo, l’altro figlio di Venere era il Dio delle Nozze, o vogliam dire del Matrimonio ; ed anche in italiano si usa elegantemente il nome di imeneo per significar le nozze, ossia la celebrazione del matrimonio. Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre. […] Esiste anche in Firenze nella Galleria degli Uffizi una vaghissima pittura del Botticelli rappresentante Venere nel modo qui sopra descritto.
Eoo, cavallo del Sole, 110. […] Età (le) dell’Oro ; — dell’ Argento ; — del Rame ; — del Ferro, 34. […] Etone, cavallo del Sole, 110. […] Latino, re del Lazio, 614. […] Sogni, figli del Sonno, 241.
È quella l’immagine del Dio Mercurio, il più affaccendato di tutti gli Dei dell’Olimpo, essendo egli il Messaggiero di Giove e degli altri Numi superni. […] Son due trasformazioni, cioè quella del pastor Batto in pietra di paragone e di Aglauro in livido sasso. […] Mercurio che non aveva tempo da perdere, per levar di mezzo quest’impaccio, la cangiò in livido sasso, simbolo del livore, ossia dell’invidia. […] La più comune dicesi volgarmente Marcorella, che è una corruzione del termine mercuriale. […] A tempo di Dante i messaggeri di pace avean per costume di incoronarsi d’olivo, come accenna Dante stesso in una similitudine del Canto ii del Purgatorio.
XXVI Nettuno re del mare e gli altri Dei marini Gli Antichi non conoscevano neppure la decima parte della estensione del mare e neppur la parte millesima delle maraviglie che esso racchiude nel suo seno. […] Secondo Omero, l’Oceano ha il suo palazzo nelle acque del mare agli estremi confini delle Terra, e questo palazzo, secondo altri poeti, è d’oro. […] Gli fu conservato il nome di Glauco che significa verde-azzurro, bene adatto ad indicare il colore che riflettono le onde del mare. […] Il volgo bolognese chiama la statua di Nettuno il Gigante e il volgo fiorentino il Biancone ; e mentre si l’un volgo che l’altro tien bene a memoria ed usa spesso il nome del Dio del vino, poco si cura di rammentarsi o di rammentare quello del Dio dell’acqua. […] Vedi il principio del Canto xxx dell’Inferno.
Fra tutti quanti gli Oracoli, il più celebre del mondo pagano era senza dubbio quello di Delfo ; e Apollo a cui attribuivansi quei responsi fu perciò chiamato Delfico 283) ; e troviamo anche in Dante la perifrasi Delfica deità invece del nome di Apollo284). […] Gli Oracoli si rendevano in un sotterraneo del tempio, inaccessibile a tutti i profani, ed ove ammettevasi soltanto qualche devoto che ne avesse ottenuto dai sacerdoti il permesso. […] Quanto all’origine del tempio e dell’Oracolo di Giove Ammone nella Libia parlammo a lungo nel N° XI : ora basterà dire che in quest’Oracolo i responsi deducevansi dalle osservazioni degli smeraldi e delle altre pietre preziose, di cui era formata l’immagine del Nume, come asseriscono Diodoro Siculo e Q. […] Orazio nell’Ode vii del lib. […] Sta scritto nei libri sacri del Cristianesimo : Fides sine operibus mortua est ; e parimente : A fructibus eorum cognoscetis eos.
Ed è questa l’opinione non solo dei commentatori della Bibbia, ma pur anco del sommo Alighieri, il quale nel Canto xxviii del Purgatorio, descrivendo le bellezze del Paradiso terrestre, fa dire alla celeste Matelda : « Quelli che anticamente poetaro « L’età dell’oro e suo stato felice « Forse in Parnaso esto loco sognaro. […] » All’età dell’oro successe quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro, di mano in mano che gli uomini peggiorarono. […] I chimici chiamano sal di Saturno l’acetato di piombo, e i medici colica saturnina una nevralgia cagionata dall’assorbimento del piombo o delle sue emanazioni : la luce pallida o plumbea del pianeta Saturno può aver suggerito quelle scientifiche denominazioni. […] Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano stesso due singolari privilegi, quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato. […] È Orazio stesso che lo dice nella ix Satira del lib.
Lo stesso Omero dice chiaramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orrore anche agli Dei. […] Allora non compariva più come l’avvenente e delicata Ninfa che sceglieva fior da flore alle falde del monte Etna, e a cui Dante assomigliò la bella e cortese giardiniera del Paradiso terrestre ; ma come una matrona molto seria, in regie vesti, ma tutt’altro che lieta del grado di regina : allora confondevasi invece con Diana triforme, o con Persefone (chè questo era il nome che davasi dai Greci alla regina dell’Inferno) ; e di più credevasi che anch’essa si fosse adattata ai gusti del marito, e li secondasse attirando nei regni infernali più gente che potesse ; e perciò si trova chiamata dai poeti la crudel Proserpina. […] Da quanto leggesi scritto e narrato intorno alle Parche si deduce che esse erano indipendenti da Plutone ; e perciò dovrebbero chiamarsi piuttosto ministre del Fato che del re dell’Inferno. […] Non soltanto Ovidio tra gli antichi e l’Ariosto tra i moderni hanno fatto bellissime descrizioni della Casa del Sonno, ma quasi tutti i poeti parlano del Sonno e dei Sogni ; ed anche Dante racconta diversi sogni ch’egli ebbe nel suo viaggio allegorico. […] Ma io credo che nell’invenzione dantesca sia da ammirarsi principalmente la facoltà poetica del quidlibet audendi e la potenza del Genio di rendere accette e gradite a tutta la poster ita le sue più strane fantasie.
La Dea Fornace fu un’invenzione del re Numa Pompilio. […] Le aggiunsero il titolo di Perenna perchè era considerata come una Ninfa del fiume Numicio. […] Questa è la stessa che la Dea Fauna moglie del Dio Fauno, di cui abbiamo parlato nel Cap. […] Bellona, il cui nome è di origine tutta romana, derivando da bellum cioè dalla guerra, era creduta sorella del Dio Marte ed auriga del medesimo nelle battaglie, quando egli combatteva dal suo carro. […] Marziano Capella, poeta latino del quinto secolo dell’ E.
Lo scopo della spedizione era la conquista del Vello d’oro ; e perciò di questo convien prima di tutto parlare. […] Orfeo interrompeva la monotonia del viaggio rallegrando i compagni col canto e col suon della cetra : tutti gli altri Eroi costituivano la ciurma che eroicamente remava. […] A questo punto l’Ariosto lascia l’imitazione degli Antichi, e con le invenzioni del Medio Evo, di cui si era valso in altri luoghi del suo poema, narra la liberazione del Senàpo dalle Arpie in modo più maraviglioso di quello dei poeti classici greci e latini. […] « Rumor di vento e di tremuoto, e ‘l tuono, « Al par del suon di questo, era nïente. » (Or. […] Anche i poeti latini del secolo di Augusto rammentano con maraviglia e con orrore gl’incantesimi e i veleni Colchici.
Era detto ancora Ospitale, perchè gli Antichi attribuirono a Giove l’invenzione e la protezione della ospitalità ; Tonante perchè era creduto signore del fulmine. […] Omero aggiunge che ai lati del suo trono teneva Giove due coppe, l’una del bene e l’altra del male, per versarle a suo beneplacito sopra i mortali. […] viii, trad. del Monti.) […] Vedendosi l’alta cima del monte Olimpo spesso cinta di nubi, dicevano gli Antichi che ve le stendesse Giove, allorquando vi soggiornava, per nascondersi agli occhi dei mortali. […] Da questa quadriennale solennità della Grecia ebbero il nome le Olimpiadi, divisione del tempo tutta particolare ai Greci e significante lo spazio di quattro anni.
Erravano dunque meno del famoso astronomo Tolomeo (vivente nel secondo secolo, dell’êra volgare), il quale fantasticò e spacciò per verità scientifica l’esistenza di tante sfere di solido cristallo negli spazii del cielo. […] Qual mai poteva esser la moglie del Cielo ? La Terra : non v’era da sceglier molto fra i quattro elementi, poichè avevan considerato il Giorno e l’ Aria come genitori del Cielo, e volevano serbar l’Acqua per farne la moglie di Nettuno Dio del mare. […] Le fu aggiunto in appresso l’aggettivo di Prisca, per distinguerla da un’altra Vesta sua nipote, Dea del fuoco del culto delle Vestali in Roma. […] Titano in prima, e poi un suo figlio chiamato Iperione ebbero l’ufficio di guidare il carro del Sole per distribuire la luce al mondo ; perciò i nomi di Titano e di Iperione si trovano usati in poesia come sinonimi del Sole.
Le Sirene, credute figlie del fiume Acheloo e della ninfa Calliope, erano rappresentate dalla testa ai fianchi come donne e nel rimanente del corpo come mostruosi pesci con doppia coda224. […] Queste e simili notizie sulle Balene non potevano averle non solo i più antichi mitologi greci e latini, ma non le avevano neppure i poeti classici e i dotti del secolo di Augusto232, e neppure lo stesso Plinio il Naturalista che morì l’anno 79 dell’era cristiana il 2° giorno della prima eruzione del Vesuvio. […] Infatti l’uomo ha saputo ridurre l’elefante alla condizione del più umil somiero, e uccider balene di più di 20 metri di lunghezza, di dieci o undici di larghezza e del peso di più di 100 mila chilogrammi ; e così dimostrar coi fatti che non già la forza brutale, ma l’intelligenza, madre delle arti e delle scienze, è la dominatrice dell’Universo. […] Orazio nell’ Epist. 4ª del lib. […] I naturalisti la distinguono col nome di Balœna Mysticetus ; ed è la Balena detta della Groenlandia, perchè si trova nelle acque del mare che circonda quell’isola.
Ecco il carattere distintivo della vera poesia e del Nume che ad essa presiede. Apollo è dunque il simbolo del poetico ingegno, che non si compra coll’oro, nè si usurpa colle brighe e colle consorterie, ma è gratisdato dalla natura e perfezionato dall’arte. […] Dalla somiglianza del nome ebbe origine questa trasformazione. […] Neppure i poeti latini del secol d’oro usaron mai la parola estro per l’ispirazione poetica : solo nel secolo d’argento, trovasi nella Tebaide del poeta Stazio in quello stesso significato che talvolta gli si dà in italiano. […] Vaticinari in latino è lo stesso che fata canere, frase usata anche da Orazio nell’ Ode 15 del lib.
Il Lete poi aveva il suo corso fra i due dipartimenti del Tartaro e degli Elisii, e le sue acque piacevoli a beversi producevano l’oblio del passato e perfino della propria esistenza ; e queste davansi a bevere a quelle anime, che, secondo la dottrina della Metempsicosi di cui parleremo in appresso, dovevano ritornare nel mondo a dar vita a nuovi corpi. […] Dante pur conservando le credenze e i principii teologici del Cristianesimo, e introducendo i diavoli a tormentare i dannati, non ha voluto rinunziare a valersi di alcune delle invenzioni mitologiche dei Pagani, che potevan meglio servire alla immaginata allegorìa del suo poema. […] Tutte le scienze da qualche tempo congiurano amichevolmente ad ottenere lo stesso fine ed effetto, di scuoprire cioè l’origine del nostro pianeta e la fisica costituzione di esso anche internamente. […] Orazio ne fa poeticamente una splendida descrizione nell’ Ode 16ª del lib. […] « Nel dritto mezzo del campo maligno « Vaneggia un pozzo assai largo e profondo, « Di cui suo loco dicerà l’ordigno.
La produzione dei serpenti dal sangue della testa anguicrinita di Medusa è meno difficile a spiegarsi che quella del caval Pegaso nato dal corpo di essa. […] Su questi dati mitologici i romanzieri del Medio Evo e i poeti romanzeschi fantasticarono l’ippogrifo e l’abbagliante e stupefaciente scudo del mago Atlante50. […] Si crede opera degli scolari di Giovan Bologna, del quale è di certo la statua colossale del Grande Oceano, che ivi si ammira. […] Vedasi la bellissima Ode 16ª del lib. […] « Disse la donna : o glorïosa Madre, « O re del Ciel, che cosa sarà questa ?
Come poi in questo nome tanto del borgo di Atene quanto del tribunale vi entrasse Marte, lo dice la Mitologia. […] Ecco perchè (dicon sul serio i poeti) il gallo canta prima dell’apparir del Sole, per avvertir Marte che si guardi dall’essere un’altra volta scoperto. […] Al Dio Marte fu dedicato il martedì, del qual giorno conservasi ancora lo stesso nome nelle lingue affini alla latina. Di Marte diedero il nome gli astronomi antichi a quel pianeta visibile ad occhio nudo, che resta più della Terra lontano dal centro del nostro sistema planetario, vale a dire del Sole. Dalla luce rossastra e quasi sanguigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che si diletta del sangue e delle stragi.
Da queste idee pagane del Fato e della predestinazione derivò in filosofia il Fatalismo, il creder cioè e l’asserire che le nostre azioni non sono libere, ossia non dipendono dalla nostra libera volontà, ma da legge irrevocabile e da forza insuperabile del destino, come i fenomeni fisici. […] Anche in altri luoghi ritorna il sommo Poeta sullo stesso argomento, o indirettamente vi allude : tanto gli stava a cuore d’imprimer bene nella mente dei suoi lettori questa fondamentale dottrina del libero arbitrio, da cui dipende la moralità delle azioni, e quindi il merito o il demerito delle persone, e la giustizia del conferimento dei premii e della irrogazione delle pene ! […] Dante ha fatto poeticamente dipinger la Fortuna nel Canto vii dell’ Inferno da Virgilio poeta pagano, e perciò quella dipintura ha tinte più proprie del paganesimo che del cristianesimo. […] Nella Mitologia greca per altro si dà il potere del Fato alle Mire, cioè alle Parche. […] Nei moderni ritratti della Fortuna ai frutti ed ai fiori del cornucopia son sostituite le monete d’oro e d’argento ; e i moderni tempii, in cui è esposta l’immagine della Fortuna ad allettamento dei devoti cultori della medesima ; seno i Botteghini del Lotto, ove per altro, se l’aritmetica non falla, è cento mila volte più probabile perdere che guadagnare.
Ma la spiegazione che soglion dare delle diverse parti della figura del Dio Pane, e più specialmente delle corna, dei velli e degli zoccoli caprini, non solo i Mitologi quanto ancora il celebre filosofo Inglese, potrà sembrare ai dì nostri piuttosto uno sforzo d’immaginazione, che una indubitabile interpretazione, poichè dicono sul serio che le corna significano i raggi del Sole e la Luna crescente, i velli gli alberi e i virgulti del nostro suolo, e i solidi zoccoli caprini la stabilità della Terra. […] Siccome Siringa in greco significa canna, la somiglianza del nome potè aver dato origine a questa favola, come dicemmo dei nomi di Dafne, di Giacinto, di Ciparisso ecc. […] Il matrimonio del Dio Pane con questa Ninfa sembra significare che solo ai detti suoi l’Eco rispose. […] È però da notarsi che gli aneddoti riferibili alle voci miracolose del Dio Pane, raccontati da Erodoto, da quel miracolaio di Plutarco e da altri scrittori di minor conto, sono la relazione delle popolari credenze prevalenti a quei tempi, e non la storica dimostrazione della verità dei fatti. […] E per non chiudere il capitolo con queste quisquilie filologiche, terminerò esponendo una solenne osservazione filosofica del celebre Bacone da Verulamio sul timor pànico.
Saturno memore del patto di famiglia convenuto col fratello maggiore Titano, di non allevar cioè figli maschi, il primo che gli nacque da sua moglie Cibele, lo divorò. […] Ma questo racconto è un mito, ossia un simbolo del Tempo che produce e distrugge tutte le cose ; e politicamente significa che l’ambizione del regno fa porre in non cale e violare anche i più stretti vincoli del sangue22. […] Quando Giove fu adulto, coll’aiuto de’ suoi fratelli Nettuno e Plutone fece guerra allo zio Titano, lo vinse e lo cacciò dal trono e dalle celesti regioni con tutta la famiglia dei Titani ; liberò di carcere i suoi genitori, ma prese per sè il regno del Cielo e diede ai fratelli i regni del Mare e dell’ Inferno. Saturno invece di esser grato al figlio e di contentarsi del secondo rango nel Cielo, quello di ex-re padre del regnante, s’indispettì perchè il figlio non lo rimise sul trono, e quindi congiurò contro di lui. […] Non vi si parla di stragi e di morti, perchè gli Dei degli Antichi, come le Fate del medio evo25) non potevano morire.
Tra queste sono meritamente celebrate l’Aminta del Tasso e il Pastor fido del Guarini, in ciascuna delle quali Favole trovasi un Satiro, che sebbene parli elegantissimamente, e spesso anche troppo leziosamente, ragiona però bestialmente, come « …. […] Era in fatti spregevolissimo come fannullone e maldicente ; e molto a proposito fu creduto figlio del Sonno e della Notte. […] Oltre l’esecrazione religiosa, corrispondente alla scomunica maggiore, v’era la pena della deportazione in un’isola e la confisca del bestiame e di una terza parte dei beni del condannato. […] Così solennizzavano contemporaneamente i più preziosi diritti del cittadino, la proprietà e la libertà. […] Il Varchi nella sua elaboratissima Orazione funebre in morte del Buonarroti, la quale egli recitò nella Chiesa di S.
Giove, avuta notizia di questa general corruzione del genere umano, volle assicurarsene personalmente sulla faccia del luogo : il che dimostra che egli non aveva l’onniscienza e l’onnipresenza, attributi essenziali alla Divinità. […] Trovò che la fama era minore del vero, poichè alla crudeltà ed alla barbarie univasi l’empietà ed ogni altra scelleraggine più nefanda ; e se egli non era un Dio, sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte di quei miseri ospiti che lo avevano preceduto. […] Mise in discussione soltanto se per mezzo del fuoco o dell’acqua ; e fu deliberato il diluvio. […] Per lo scopo nostro, cioè in relazione al diluvio, basta il parlare delle roccie acquee per conoscere come la scienza ammette e dimostra il gran cataclisma del diluvio. […] Cosi roccie vulcaniche s’intende che debbono esser quelle che hanno subito l’azione del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto che Vulcano era il Dio del fuoco e aveva le sue fucine sotto i monti ignivomi, come l’Etna, lo Stromboli ecc. detti perciò Vulcani.
Nè sanno assicurarci se ciò fu per opera di un Dio o del caso : le loro opinioni sono divise, e il dubbio e l’incertezza predominano sempre. […] Tra le più celebri tuttora esistenti si citano quelle del Mississipì e del lago Chelco nel Messico ; le quali son coltivate e producono alberi, piante di fiori e legumi. […] Dante adottò questa stessa idea di Pindaro, e se ne valse stupendamente per una bellissima similitudine nel raccontare che egli sentì uno spaventevole terremoto nella montagna del Purgatorio. […] Altri mitologi invece raccontano che l’isola di Delo fu sollevata da Nettuno con un colpo di tridente dal fondo del mare ; e questo racconto pure si può spiegare con un fatto geologico, che cioè per la forza del fuoco centrale del nostro globo si sollevano le montagne sulla terra e le isole dal fondo del mare. […] I geologi poi, collo studio degli strati del nostro globo e delle materie componenti i diversi terreni, sanno dire non solo l’origine delle montagne, ma perfino l’età, ossia l’epoca geologica in cui esse si sollevarono.
Se null’altro avessero aggiunto, era questa, com’è veramente, la più bella e sapiente allegoria, significando essa che la sapienza è figlia del supremo dei Numi e che uscì dalla divina mente di lui. […] Altri però dicono che deriva dal verbo monere (ammonire) ; e che perciò verrebbe invece a significare la Dea del consiglio, ossia della sapienza. […] Quegli fece nascere il cavallo e questa l’olivo ; e fu stimato più utile l’uso dell’olio che quello del cavallo. […] Anzi a Parigi fu costruita sul disegno e le dimensioni del Partenone la chiesa della Maddalena, guasta recentemente e quasi rovinata dagli anarchici furori della Comune. […] È questa una delle tante metamorfosi che furono inventate per la somiglianza del nome.
Questo mito del ratto di Proserpina è tanto amplificato ed abbellito di straordinarie fantasie da tutti i poeti antichi e moderni, che troppo lungo sarebbe il voler tutte riportarle. […] Cerere indispettita gettò a costui sulla faccia l’acqua del fiume Flegetonte, e lo cangiò in gufo o barbagianni, uccello di cattivo augurio. […] Forse la somiglianza del nome, che in latino è omonimo con quello di questo piccolo rettile, diè motivo ad inventare una tal trasformazione. […] Per questa stessa ragione è asserito dagli eruditi legali che il nome del giureconsulto Caio deve pronunziarsi Gaio. […] Anche i pittori hanno trattato questo soggetto : basti il rammentare il bel quadro del Ratto di Proserpina, dipinto dal Turchi soprannominato L’ Orbetto.
Quindi il culto di tali Dei, chiamati giustamente dall’Alighieri falsi e bugiardi, doveva cadere in dispregio e dileguarsi col progresso del buon senso e del raziocìnio, come avvenne difatti. […] Prometeo col favore di quegli Dei che eran più amanti e protettori dell’ingegno e delle arti, rapì dal Cielo, o come altri dicono, dal carro del Sole, una divina scintilla di fuoco, e con essa animò le sue statue, e le fece divenire uomini viventi e parlanti. Giove che intendeva riserbato esclusivamente a sè stesso il potere di crear gli uomini, punì crudelmente Prometeo col farlo legar da Vulcano ad una rupe del monte Caucaso, e di più col mandare ogni giorno un avvoltoio a rodergli il fegato, che di notte gli rinasceva e cresceva, per render perpetua la pena di lui. […] In tutto questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio che giova, del Dio benefico, ma quella d’invidioso, maligno e malefico. […] Tutti però, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa le arti utili alla vita (il quale ingegno perciò può dirsi poeticamente una scintilla del fuoco celeste) ; e inoltre la punizione di esso significa le traversie e le persecuzioni immeritate che per lo più si ricevono dai grandi inventori invece del meritato premiò.
Di venti Dei superiori, dodici formavano il supremo consiglio celeste a cui presiedeva Giove come re del Cielo ; e questi erano Giove, Giunone, Vesta Prisca, Cibele, Venere, Minerva, Diana, Apollo, Nettuno, Marte, Mercurio e Vulcano. […] La Genealogia degli Dei, ossia la loro filiazione e parentela (almeno dei principali), è necessaria a conoscersi nella Mitologia pel doppio scopo, che da quella si deducono spesso i rapporti di causa e di effetto considerati dagli antichi nei fenomeni del mondo, e poi perchè frequentemente i poeti, invece di rammentare una divinità col suo nome principale e più conosciuto, fanno uso del patronimico, ossia di un vocabolo derivato o composto dal nome del padre di quella data divinità. […] Il suo greco nome significa Cielo, e perciò credevasi figlio del Giorno e dell’ Aria, ossia di due dei quattro elementi del Caos. […] E in questo stesso significato si usa nelle scienze anche oggidì, per non star sempre a rammentare il nome di Dio : e non solo nelle scienze fisiche, ma pur anco nelle scienze morali, come per esempio, dove si tratta del diritto naturale. […] Nel Codice civile del Regno d’Italia, promulgato nel 1865, si trova usata la parola naturalità, alla quale si aggiunge concessa per legge o per decreto reale (Art. 10).
Figli di essa e di Giove furono Ebe dea della gioventù, Vulcano dio del fuoco e della metallurgia e Marte dio della guerra. […] Aggiungono alcuni mitologi, che un giorno questa Dea nell’esercizio del suo ministero cadde sconciamente e destò l’ilarità degli Dei, e d’allora in poi non volle più servirli a mensa ; e Giove le sostituì un coppiere di stirpe dei mortali, Ganimede figlio di Troo re di Troia, facendolo rapire dalla sua aquila e rendendolo immortale. […] Quindi il nome di Iride per figura rettorica di metonimia sta a significare l’arco celeste prodotto dalla refrazione dei raggi del sole. […] Perciò la dea Iride dal nome del padre è detta poeticamente Taumanzia ; e lo stesso Alighieri con frase mitologica chiama figlia di Taumante l’Iride, ossia l’arcobaleno, allorchè nel Purgatorio (C. […] Per quanto tutti i poeti antichi abbiano parlato magnificamente della dea Iride, descrittane la bellezza e chiamatala, come Virgilio96, fregio ed onore del cielo, eran per altro ben lungi dal conoscere le vere cause di questo splendido fenomeno.
Lettisterni, banchetti sacri dei Romani in tempi di pubbliche calamità, per placare lo sdegno del cielo. […] Questa cerimonia e questi divertimenti miravano a distrarre l’attenzione del popolo dallo spettacolo delle pubbliche calamità, ed a guarire il corpo ricreando lo spirito. […] Ancorchè la storia nol dica, possiamo tener per fermo che il rimedio deve essere stato peggiore del male. […] Oltre al vino adoperavano nelle libazioni anche il latte, il miele, l’olio, l’acqua delle fonti o del mare ed il sangue degli animali. […] La lustrazione di un campo consisteva nel condurvi tre volte all’intorno una vittima scelta, e nel bruciare i profumi sul luogo stesso del sacrifizio.
Supposero che questi Dei abitassero negli antri donde usciva la sorgente del fiume, la quale chiamavasi poeticamente il capo. […] Si rappresentano generalmente seduti in un terreno alquanto declive e colle gambe stese per indicare il corso del fiume e la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di essi presso di sè un’urna da cui esce l’acqua per significar la sorgente ; e se il fiume è navigabile, si pone in mano alla figura del Dio un remo : se poi il suo corso si dirama in due o più alvei, si aggiungono sulla fronte del Nume due corna. Inoltre la corona o ghirlanda del fiume è composta di canne, come del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o che sono particolari alla regione nella quale scorre quel fiume. Modernamente, per indicar meglio qual Fiume sia rappresentato, gli si pone appresso, o nella sinistra, uno scudetto coll’arme o stemma di quel popolo pel territorio del quale scorrono le sue acque. […] I fiumi abbandonati a sè stessi per tanti secoli spesso mutano direzione e si aprono un nuovo corso, o perchè restò colmato il loro antico alveo dalle piene, o per fenomeni geologici che abbiano alterato la superficie e la pendenza del terreno.
Soltanto del più impetuoso e del più mite fra loro, cioè di Borea e di Zeffiro, narrano brevemente qualche fatto. […] La spiegazione più semplice e più naturale del ratto di Orizia è, secondo Platone, che questa infelice principessa rimanesse vittima di una tempesta o di un uragano. […] Egli infatti colle indicazioni astronomiche ci fa conoscere non solo i giorni del suo viaggio allegorico, ma pur anco le ore diverse di quei giorni. Quand’egli dice nel Canto xi dell’Inferno, « Che i Pesci guizzan su per l’orizzonta « E’l Carro tutto sovra’l Coro giace, » accenna con precisione astronomica che eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo che aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora che egli voleva significare appariva la costellazione dei Pesci sulorizzonte, e inoltre la costellazione del Carro, ossia dell’Orsa maggiore giaceva tutta sovra’l Coro, cioè fra settentrione ed occidente, ossia presso a poco a ponente-maestro o nord-ovest, come ora direbbesi. […] Perciò i poeti latini usano il patronimico Hippotades, invece del nome di Eolo, come per es.
Erano meno assurdi i romanzieri del Medio Evo, che avendo inventato le Fate con potenza soprannaturale benchè limitata, credevano che non morissero mai : « Morir non puote alcuna fata mai, » disse l’Ariosto, che di Fate se ne intendeva. […] La qual capra fu poi da Giove trasportata in Cielo e cangiata nella costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e che rifulge di sessantaquattro stelle. […] La Ninfa Eco figlia dell’ Aere e della Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio della Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza che non amava che sè stesso e disprezzava superbamente ogni persona. […] A questa favola allude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi : « A guisa del parlar di quella vaga (la Ninfa Eco) « Ch’amor consunse come Sol vapori ; » e fa questa similitudine per dar la spiegazione che quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come dice Dante : « Due archi paralleli e concolori « Nascendo di quel d’entro quel di fuori, » ciò avviene per riflessione dei raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon della voce. […] Infatti, anche gli Scienziati trovarono da far nuove applicazioni del significato di questo nome e da formarne vocaboli derivati e composti.
Riconobbero dunque che il loro sistema storico non spiegava tutto in Mitologia, e confessarono implicitamente che la massima parte delle Divinità del paganesimo erano personificazioni degli affetti dell’animo o buoni o rei. […] Per me dunque il parlare separatamente delle Apoteosi è un riassunto della parte fondamentale del mio lavoro, è una conferma di quanto ho dichiarato dal principio alla fine di questa Mitologia. […] Il culto più antico di cui si trovi memoria negli scrittori fu quello del Sole e della Luna e quindi degli altri Astri ; e questo culto fu chiamato il Sabeismo, perchè ridotto a regolar sistema religioso dai Sabei, antico popolo dell’ Arabia meridionale. […] Fu questo il ponte di passaggio dal culto materiale del feticismo al Panteismo mitologico, in cui si fece l’apoteosi di tutte le forze e leggi della creazione non solo del mondo fisico, ma pur anco del mondo morale. […] Chi conosce la Filosofia del Gioberti sa bene che quel sistema filosofico è fondato sul principio che l’Ente crea le esistenze.
LXXI Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. […] « E mentre che di là per me si stette, « Io gli sovvenni, e lor dritti costumi « Fer dispregiare a me tutt’altre sette. » Un ragionamento simile a quello del poeta Stazio condusse alla stessa conseguenza di farsi Cristiani tutti quei politeisti che non erano affatto privi del lume della ragione ; e se alcuni furon trattenuti dalla paura delle persecuzioni, molti altri si esposero ai tormenti ed anche alla morte, e suggellaron col sangue l’attestazione della loro novella Fede. Quando poi cessarono le persecuzioni, e i re stessi e gl’imperatori divenner cristiani, si dileguò ben presto il politeismo dal mondo romano, e il Cristianesimo si diffuse pur anco fra i popoli barbari, fuor dei confini del romano impero. Ai primi del secolo IV dell’era cristiana, Costantino Magno fu il primo imperatore cristiano ; ma soltanto negli ultimi anni dello stesso secolo furono officialmente aboliti da Teodosio il Grande quasi tutti i sacerdozii del Politeismo, incluso quello delle Vestali.
Calidone o Calidonia era la capitale dell’Etolia a tempo del re Oeneo, circa un secolo prima della guerra di Troia. […] Fin qui il racconto potrebbe parer vera storia, toltane l’esagerazione della prodigiosa forza e ferocia del mostruoso cinghiale. […] Ma quando seppe che Meleagro aveva ucciso gli zii, all’amor materno cominciò a prevalere la pietà dei fratelli uccisi e l’orrore per la scelleraggine del figlio ; e dopo molti e strazianti contrasti vinse finalmente l’ira, e preso il fatal ramo lo gettò tra le fiamme. […] Quelli che gli apprestavano i suoi affettuosi compagni furono affatto inutili, e la vita del misero Meleagro si estinse allo spengersi dell’ ultima scintilla del tizzo fatale. […] I posteri conservarono per molti secoli come una preziosa reliquia il teschio e la pelle del cinghiale di Calidonia.
Nel Medio Evo dopo la caduta del romano Impero e le irruzioni dei Barbari, se non si rinnovò precisamente un circolo similare di tutte le antiche fasi sociali, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato della greca e della romana civiltà, come dice il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritornò per altro colla dissoluzione di tutti gli ordini sociali il predominio della forza in tutto il suo furibondo vigore e il così detto diritto della privata violenza. […] E a far questo ci aiuteranno diverse celebri imprese a cui intervennero quasi tutti gli Eroi contemporanei, che i Mitologi ed i Poeti si son dati cura di rammentare : tali sono la caccia del cinghiale di Caledonia, la spedizione degli Argonauti, la guerra di Tebe o dei 7 Prodi, e finalmente la guerra di Troia. […] Inoltre di quegli Eroi che non son rammentati o compresi in nessuna di quelle spedizioni, e che pure compierono memorabili gesta, separatamente narrate dai Mitologi, dobbiamo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in cui avvennero quelle, e già divenuti Indigeti Dei, oppure discesi nel regno delle Ombre. […] Degli altri dirò a mano a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e di quelli che si trovarono insieme in una data spedizione prima accennerò brevemente le particolari qualità di ciascuno di essi, e poi li metterò in azione tutti insieme ; parlando più a lungo del capo o protagonista di quella impresa nel narrare l’impresa stessa. […] Vedasi l’epigramma del Giusti, che ha per titolo : Il Poeta e gli Eroi da poltrona.
E tra i filosofi Platone e Cicerone parlano del sonno di Endimione, paragonando a quello il sonno della morte138. […] xxxi del Paradiso : « Se i Barbari venendo da tal plaga, « Che ciascun giorno d’Elice si cuopra, « Rotante col suo figlio ond’ella è vaga ; » ecc. E al nome di Orsa maggiore preferì quello del Carro nel C. […] Orazio in tre odi che han per soggetto le streghe e le stregonerie non rammenta mai Ecate, e solo nella Sat. 8 del lib. […] Diana aveva in Efeso un famoso tempio, considerato come una delle 7 maraviglie del mondo, che fu arso, pur d’acquistar fama ancorchè infame, da Erostrato Efesio la notte in cui nacque Alessandro Magno, cioè il 6 di giugno, 356 anni avanti l’era cristiana.
Può riuscir piacevole e divertente per chi intende bene le lingue dotte il leggere nei poeti greci e latini le fantastiche descrizioni del contrasto continuo dei quattro elementi di così diversa natura confusi e misti fra loro nel caos ; ma divengono pedanterie e freddure le imitazioni che talvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue moderne, ora specialmente che le scienze fisico-chimiche hanno scoperto e percorso un sì vasto campo di maraviglie vere e reali della natura. […] La confusione del Caos immaginato dagli antichi ingenerò confusione anche nelle loro menti circa l’origine del mondo e l’esistenza degli Dei. […] Ma intanto è notabile la spiritosa invenzione della sposa del Caos, la quale ora chiamerebbesi con termine dantesco la Tenebra anzichè la Notte5, poichè questa suppone l’esistenza del giorno, e giorno vero e proprio, ossia presenza del sole sull’orizzonte, esser non vi poteva, finchè gli elementi eran confusi e misti. […] Par dunque che gli Antichi ammettessero la generazione spontanea degli Dei dalla materia, come i naturalisti moderni ammettono la generazione spontanea di certi insetti ed altri animaluzzi ; e che i mitologi andassero anche più oltre del Darwin e compagni antropologi ; poichè mentre questi suppongono la successiva trasformazione della materia nei diversi esseri organizzati, compreso l’uomo (il quale perciò verrebbe ad essere una scimmia perfezionata), quelli facevano nascere ad un tratto dagli elementi del Caos gli stessi Dei, come nascono da un giorno all’altro i funghi dalla terra. […] Dimostrano di sentir poco l’armonia delle parole e del verso italiano quei poeti che invece di caos usano la licenza di scrivere caòsse e cào.
Per dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato che presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi del Caos ; e siccome il fuoco nulla produce, fu detto che Vesta minore non prese marito e fu Dea della castità. […] Nel tempio di Vesta non vedevasi alcuna statua o immagine della Dea ; ma soltanto un’ara col fuoco perpetuamente acceso, come simbolo della creduta perpetuità del romano impero47. […] Se poco hanno avuto da inventare e da raccontarci i mitologi sulla vita semplice e monotona che attribuirono a questa Dea, molto ci hanno narrato gli storici romani sulla importanza del culto di Vesta e dell’ufficio delle Vergini Vestali in Roma. […] I due punti principali erano : primo, la conservazione perpetua del fuoco sacro, che simboleggiava, come abbiam detto, la perpetua durata di Roma e del suo impero ; e secondo, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio della Dea della castità. […] Il che non conferiva di certo alla loro felicità, nè a quella del marito e dei parenti.
Anche alla Dea Mente, ossia al Senno, fu eretto un tempio dopo la infelice battaglia del Trasimeno. […] » Per lo contrario nei migliori tempi della Repubblica non troviamo facilmente che fossero eretti tempii e prestato culto pubblico a divinità viziose o credute protettrici del vizio. […] Anche Orazio mette in versi la preghiera di un ladro a Laverna, Dea dei ladri, in cui alla furfanteria è congiunta la ipocrisia colle parole da justum sanctumque videri, perchè cioè quel ladro non si contentava di rimanere impunito, ma voleva anche apparire agli occhi del mondo uomo santo e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo. […] Vero è che in Roma nel culto pubblico e nel tempio che erale stato eretto, questa Dea fu adorata come figlia di Giove e della Giustizia, e perciò come rappresentante la giusta vendetta, ossia la punizione di quelle colpe che non cadono sotto la sanzione penale delle comuni leggi umane : riferivasi dunque piuttosto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo della guerra, che alle vendette particolari dei privati cittadini. […] E se nei pubblici monumenti non vedonsi che personificazioni di Virtù e di novelli pregi derivati dall’incremento e dal perfezionamento delle Scienze e delle Arti, nei poeti moderni trovansi ancora descritti e personificati i Vizii del loro secolo ; e basterà per tutti citare il Giusti, che ci rappresentò quelli predominanti a tempo suo (cioè nella prima metà del presente secolo) facendone poeticamente l’apoteosi mitologica nei seguenti versi : « Il Voltafaccia e la Meschinità « L’Imbroglio, la Viltà, l’Avidità « Ed altre Deità, « Come sarebbe a dir la Gretteria « E la Trappoleria, « Appartenenti a una Mitologia « Che a conto del Governo a stare in briglia « Doma educando i figli di famiglia, « Cantavano alla culla d’un bambino, « Di nome Gingillino, « La ninna nanna in coro, « Degnissime del secolo e di loro. »
Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a cui vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro « Che co’rami all’altar facea tribuna, « E coll’ombra a’Penati opaco velo35. » Ma se il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famiglia avessero ricevuto un simil culto. Infatti non è proibito nemmeno nella religion cristiana l’eriger private cappelle in onore del santo patrono della città o dello Stato. […] La questione per altro verte intorno all’etimologia del nome ed alla origine di questi Dei, poichè v’è chi li crede così chiamati, perchè figli della Ninfa Lara o Larunda, ed altri ne derivano il nome da Lar antica parola etrusca che significa capo o principe. […] v della Repubblica, ov’egli parla, per dirlo colla frase del Romagnosi, dei fattori dell’ Incivilimento. […] Perciò, oltre al distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decider così la question mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di famiglia ; senza dei quali, come egli sapientemente dichiara, non può esser buona una repubblica, nè ben viversi in essa 39.
Quasi 700 anni corsero dalla morte di Romolo a quella di Cesare, nel qual tempo il popolo romano divenne conquistatore del mondo, senza che pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più celebri generali che a tanta gloria e potenza lo guidarono. Solamente dopo la proditoria uccisione di Giulio Cesare, il desiderio di sì cara esistenza, a cui era dovuta la prostrazione del partito aristocratico e inoltre tanti vantaggi a favore del popolo, fece nascere ed accoglier con entusiasmo l’idea di venerarlo qual Nume. […] Basti dunque il sapere che si fingeva che l’imperatore non fosse morto, ma soltanto malato ; e per aiutar questa finzione ponevasi in un gran letto di avorio la statua di cera del defunto invece del suo cadavere, il quale era seppellito o arso segretamente. […] Nell’interno del rogo eravi una stanza riccamente ornata di tappeti di broccato d’oro, di quadri e di statue : ivi deponevasi il feretro. […] Vi appiccava il fuoco l’erede del trono tenendo altrove volta la faccia.
I Romani infatti che per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato negli animi loro e impiantarono officialmente nella loro città, sin dalla sua fondazione, il Politeismo Troiano e Greco. […] E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. […] Anche il culto di Ercole Tebano fu introdotto nella stessa regione da Evandro ed accolto dai popoli limitrofi in ringraziamento dell’averli Ercole liberati da quel mostro dell’assassino Caco, « Che sotto il sasso di monte Aventino « Di sangue fece spesse volte laco. » Della qual liberazione e del qual culto non solo ragionano a lungo Virgilio nel lib. […] Sono tuttora soggetto d’interminabili dispute non solo il feticismo e l’interpretazione dei geroglifici, ma pur anco le piramidi, gli obelischi, l’istmo, le oasi, il delta, le bocche o foci del Nilo e la stessa sorgente di questo fiume. […] Nel tempio d’Iside e di Seràpide ponevasi la statua del Dio Arpòcrate che era considerato come Dio del silenzio, e perciò rappresentavasi in atto di premer le labbra col dito indice della mano destra, segno usitatissimo ed espressivo d’intimazione di silenzio.
Questa triplice distinzione richiama al pensiero l’ipotesi dei geologi e degli astronomi moderni sull’origine della Terra, che cioè essendo essa in principio una massa di materia incandescente, o in fusione ignea, non era atta alla produzione e conservazione dei vegetabili e degli animali ; che in appresso, in centinaia di secoli, a poco a poco raffreddandosi aveva formato la solida crosta del globo terrestre con tutti i diversi suoi strati ; e gradatamente prodotto tutti gli oggetti dei tre regni della Natura nelle diverse e successive epoche geologiche. […] Le era particolare il titolo di Gran Madre, tanto in greco (megale meter,) quanto in latino (magna mater,) perchè oltre ad esser la madre di Nettuno Dio del Mare, di Plutone Dio dell’Inferno, di Giunone regina del Cielo, era anche la madre di Giove re supremo, del quale eran figli la maggior parte degli altri Dei. […] Eran detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44, che li faceva divenire furibondi ; nel quale stato di concitazione o di orgasmo urlavano, battevano gli scudi e i tamburi, e si percuotevano fra loro con armi taglienti sino a ferirsi e mutilarsi. […] Infatti questo vocabolo tellùre è l’ablativo del nome latino tellus, telluris, che significa la Terra ; e da quella voce latina son derivate in chimica più e diverse denominazioni scientifiche, come per sempio il tellurio, che è un corpo elementare elettro negativo, scoperto nel 1772 da Muller, e che per molti suoi caratteri imita le sostanze metalliche. […] L’ Ariosto nella 1ª ott. del C.
Per gli usi del sacrifizio avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte che trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecitare quei primi ; ma non vedendo tornare nè questi nè quelli, vi andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte, che finiva di divorarsi l’ ultimo di essi. […] In quanto poi ai guerrieri nati dai denti del serpente ucciso da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque che sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e popolare la città di Tebe ; e i loro nomi son questi : Echione, Udeo, Ctonio, Peloro e Iperènore. […] A questa questione si collega l’altra sull’ origine dell’ Alfabeto in Europa, del quale si attribuisce a Cadmo che portasse in Grecia le prime sedici lettere60. […] Dante rammenta questa favola del ratto di Europa nel Canto xxvii del Paradiso, dicendo : « Si ch’ io vedea di là da Gade il varco « Folle di Ulisse, e di qua presso il lito « Nel qual si fece Europa dolce carco. » 58. […] È noto che la parola alfabeto è composta dal nome delle due prime lettere (alfa e beta dell’alfabeto greco ; e che in italiano trovasi anche chiamato l’abbiccì dal nome delle prime tre lettere del nostro alfabeto.
Credesi che questo diluvio fosse un’inondazione prodotta dallo straripamento del lago Copaide. […] Quindi le dodici borgate che Teseo riuni in una sola città, col nome d’Atene. — Instituzione del Senato e dell’Areopago. […] Gli Argonauti nella Colchide, condotti da Giasone alla conquista del Vello d’oro, ec. […] — Pelope, figlio di Tantalo re di Frigia, invade una parte del Peloponneso. […] Altri assegna alla caduta di Troia l’epoca del 1210-1209 ; e quindi al 1207 l’arrivo d’Enea in Italia.
Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia. Cicerone specialmente, in questa parte, è più esplicito ed aperto degli altri ; e perciò i suoi libri sulla Natura degli Dei, sul Fato e sulla Divinazione furon considerati dai più scrupolosi Pagani siccome contrarii alla religione del Politeismo, mentre all’opposto i Santi Padri dei primitivi tempi del Cristianesimo citarono i detti di Cicerone forse più spesso di quei della Bibbia. […] La più evidente interpretazione dei miti abbiamo veduto esser quella di considerare le Divinità del Gentilesimo come altrettante personificazioni o deificazioni dei fenomeni fisici e delle passioni degli uomini, e perfino delle idee non solo concrete, ma anche astratte, come noteremo più specialmente nelle seguenti parti di questa Mitologia. […] Quindi, per esempio, alla causa mitologica delle eruzioni vulcaniche abbiamo aggiunto la spiegazione della causa fisica delle medesime ; alla formazione favolosa del fulmine la causa vera di questo fenomeno ; e così di tante altre. […] Passata quest’epoca, che è la più poetica e che ha dato origine e materia ai più celebri poemi epici, si continua la personificazione di nuove idee astratte, non solo delle virtù, ma pur anco dei vizii, e si termina con l’apoteosi degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo.
XXXIII Osservazioni generali Nella classazione generale delle Divinità del Paganesimo (vedi il N. […] Abbiamo notato nel principio del N. […] Agostino) asserisce che i Pagani erano giunti ad assegnare quattordici Divinità alla vegetazione del grano. […] Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Politeismo, come per esempio, il Dio Robigo, la Dea Ippona, il Dio Locuzio, la Dea Mefiti, ecc. ecc. ; e basta conoscere l’etimologia e il significato di questi vocaboli per intendere qual fosse l’ufficio di tali Dei. Non dovrà dunque recar maraviglia che il dottissimo Varrone, contemporaneo ed amico di Cicerone, abbia annoverati trentamila Dei del Paganesimo, come dicemmo nel N.
La favorevole accoglienza ottenuta dalle nostre due antecedenti edizioni del Corso di Mitologia dei Signori Nöel e Chapsal, ci ha confortati a mettere al la luce questa terza edizione, che abbiamo cercato rendere anche migliore delle altre per esattezza nella correzione, e per un numero maggiore d’incisioni in legno intercalate nel testo. Giovi poi ripetere come la traduzione di quest’opera non sia un semplice volgarizzamento, giacchè il Signor Pietro Thouar l’ha in gran parte rifusa e vi ha fatte delle notabili aggiunte le quali consistono in molte e nuove illustrazioni poetiche dei fatti mitologici, cavate da alcuni dei nostri più valenti poeti ; in una Cronologia mitologica, ossia indicazione delle più notabili epoche storiche alle quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice che contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo. […] Ma a volere che sia parte proficua della storia dell’umano incivilimento, e che vada immune da qualsivoglia rischio d’ingenerare [ILLISIBLE]nelle menti inesperte dei giovani, è mestieri che la ce[ILLISIBLE]ità dell’idolatria e del politeismo sia posta a confronto della Verità Divina del Cristianesimo, e che sia fatto conoscere il passaggio dalla civiltà antica basata su falsi fondamenti, alla civiltà nuova sostenuta dall’ opera della Redenzione.
La spiegazione più plausibile che suol darsi della Chimera è questa : che invece di essere un mostro fosse un monte ignivomo della Licia, nella parte più alta del quale soggiornassero i leoni, a mezza costa le capre selvagge e alle falde i serpenti. […] Su queste stesse idee di Iobate eran fondati nei secoli barbari del Medio Evo i così detti Giudizi di Dio, pretendendosi che la Divinità dovesse sempre intervenire a dar la vittoria all’innocente e a far perdere il reo. Quest’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso. […] Non ci vuol molto a immaginare i più strani mostri formati di membra diverse di ogni genere di animali ; ma ne deriva, invece dell’ ammirazione e del diletto, il disgusto e il ridicolo, come dice Orazio al principio dell’Arte Poetica : « Humano capiti cervicem pictor equinam « Jungere si velit, et varias inducere plumas « Undique collatis membris, ut turpiter atrum « Desinat in piscem mulier formosa superne, « Spectatum admissi risum teneatis, amici ?
« Nel 1838 fu pubblicata a Parigi la quinta edizione del Corso di Mitologia dei signori Noël e Chapsal, che è stato sempre favorevolmente accolto dal pubblico, e che riesce molto utile nelle scuole. » Il maggior pregio di questo libro elementare consiste, a parer nostro, nella distribuzione delle materie, le quali sono ordinate in paragrafi numerati, e non contengono le ripetizioni inevitabili nei così detti Dizionarj della Favola, nè gl’ inconvenienti ormai a tutti noti del metodo per dimande e per risposte. » — Il racconto non interrotto, dicono gli Autori di questo Corso, offre all’ alunno una lettura più gradevole e più istruttiva, mentre la divisione in paragrafi somministra le dimande più opportune, e risparmia le ripetizioni, additando al lettore con un semplice numerò tra due () i particolari dei fatti già narrati nei paragrafi antecedenti o nei successivi. — » « Volendo noi pubblicare un Corso di Mitologia pei giovinetti, abbbiamo stimato dover preferire questo a molti altri, in grazia della sperimentata bontà del metodo. […] Bensì abbiamo avuto cura, per ciò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune interpretazioni che non ci parvero troppo superiori all’ intelligenza comune. » Ora, per aderire alle ricerche che ne vengono fatte, ristampiamo il Corso di Mitologia, riveduto e migliorato con aggiunte del traduttore, ed ornato di stampe fatte da valenti artisti, utilissime a dar meglio a conoscere le cose descritte, pregevoli perchè ricavate dai celebri monumenti dell’arte antica.
I La Cosmogonia mitologica La parola Cosmogonia significa generazione, ossia formazione del mondo. […] Per altro si è creduto e si crede generalmente che sotto la forma delle più strane invenzioni miracolose si nascondessero elevati principii scientifici, noti soltanto ai sacerdoti e ai loro adepti o iniziati ; e finchè prevalse lo spirito di casta, ossia di preeminenza e predominio dell’una classe sociale sull’altra, furono censurati, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo la dottrina segreta. […] (Osservazione del Tommasèo, a me comunicata per lettera, e da lui riportata nella Nuova Antologia, dicembre 1873).