/ 74
15. (1836) Mitologia o Esposizione delle favole

Pare quindi molto più adattato all’ intendimento, ed al profitto degli scolari, per quanto la Mitologia il comporta, un metodo isterico; siccome quello, che collegando le idee di luogo, di tempo, e di soggetti, oltre che riesce alla mobile fantasia loro più facile a ritenersi, ne eccita e sostiene la curiosità per modo, che vi si applicano più seriamente. […] Il più sontuoso era quello di Giove Capitolino fondato nel Campidoglio dal re Tarquinio Prisco, e più volte in seguito riedificato. […] Era tenuto come il più lascivo fra tutti gli Dei. […] I Geni delle donne più comunemente erano detti Giunoni. […] I più famosi tra questi erano: 1.

16. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

L’Oceano fu dunque considerato come il più antico degli Dei marini, perchè era il mare stesso, come Urano il più antico degli Dei celesti, perchè era lo stesso Cielo. […] Le statue di questo Dio si vedono in molte fonti pubbliche e private ; e la più celebre come opera d’arte è quella di Giovan Bologna in Bologna ; ed una delle più goffe è quella dell’Ammannato nella fonte di Piazza della Signoria di Firenze215). […] E fu saggio consiglio l’affidar la protezione dei naviganti e le due cose più da loro desiderate, cioè la calma del mare ed il ritorno in porto, a due Divinità che avevan provato le più terribili procelle di questo mare infido della vita222. Di Glauco poi raccontano uno dei più strani e singolari miti, unico nel suo genere ; e di cui nulladimeno seppe valersi Dante come di similitudine per dare idea di uno dei suoi più straordinarii e sublimi concetti. […] A questo Nume costituito in sì umile ufficio attribuirono una prerogativa degna dei più grandi Numi e dello stesso Giove, quella cioè di prevedere il futuro ; ed inoltre di poter prendere qualunque forma che più gli piacesse.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

La qual credenza religiosa rese più pii i superstiti ai mortali avanzi degli estinti. […] Nella descrizione delle pene del Tartaro l’immaginazione degli Antichi era stata un poco più feconda che in quella delle beatitudini dell’ Elisio, avendo ideato diversi generi straordinarii di pene inflitte ad alcuni dei più famosi scellerati. […] Di Tantalo è anche più straordinaria la colpa non meno che la pena. […] Delle Danaidi o Belidi è alquanto più lungo il racconto. […] « Ma perchè frode è dell’uom proprio male, « Più spiace a Dio ; e però stan di sutto « Gli frodolenti, e più dolor gli assale.

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

Era inoltre al pari degli altri Dei sottoposto al Fato, ed anche al suo maggiore e più potente fratello Giove. […] Appartenevano perciò alla classe dei Semidei ; e di loro dovremo parlar nuovamente e più a lungo nel ragionare dei secoli eroici, che sono il medioevo fra la Mitologia e la Storia. […] « Corron chi qua chi là, ma poco lece « Da lui fuggir veloce più che ’l Noto. […] Anche i poeti latini trovarono più poetiche le Parche che il Fato ; e assegnarono ad esse lo stesso ufficio. […] Talvolta nelle poesie italiane si trova usato il nome di Plutone, secondo i più antichi mitologi.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

Varcati questi sterpi filologici, avanziamoci in più aperta e vasta campagna e in più spirabil aere, e diamo uno sguardo fugace alla remota Età eroica, che spunta fra le caligini mitologiche e si estende sino alle serene regioni della Storia. I tempi eroici anche più dei mitologici formarono il soggetto delle meditazioni dei più grandi filosofi e pubblicisti (e basti rammentar fra questi il Vico e Mario Pagano), perchè vi si trovano le origini storiche dei più celebri popoli antichi, frammiste a racconti favolosi, dai quali bisogna distinguerle e sceverarle. A quest’epoca si riferiscono le più straordinarie imprese condotte a termine colla forza e col senno degli uomini, assistiti e protetti dalle Divinità. Principalmente si rammenta e si celebra il liberar la Terra dai mostri e dai tiranni, e sgombrar così la via dai più grandi ostacoli all’incivilimento dei popoli. […] Ora in queste diverse imprese trovansi rammentati quasi tutti gli Eroi di cui si ha notizia, e talvolta in una son nominati i padri e nell’altra i figli ; e di qualche eroe che intervenne a più d’una è detto in quale di esse egli era più giovane, in quale più vecchio : dal che deducesi senza tema di errare l’ordine cronologico di quelle imprese.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Sommati giungeranno a più di quaranta oracoli. […] Quest’Oracolo cominciò ad esser poco frequentato appena che acquistò fama quello di Delfo, che era il più centrale della Grecia e rendeva responsi in un modo più solenne e soddisfacente. […] E questo è argomento di più alta indagine, sul quale piacemi un poco di trattenermi. Che i più celebri Oracoli abbiano avuto origine nei tempi preistorici è asserito non solo dai mitologi, ma da tutti i più antichi scrittori. […] Che più ?

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9

Dunque lo studio della Mitologia greca e romana sarà utile sempre, ed anche sempre più necessario, quanto maggiori progressi verranno a farsi nella Paleontologia mitologica, secondo le eruditissime elucubrazioni dei germani filologi. Inoltre la Mitologia greca e romana è necessaria pure a coloro che non sanno nè le lingue dotte nè le orientali, se voglion leggere e intendere un libro di poesia italiana, poichè tutti i nostri poeti più grandi e più sommi hanno adottate nel loro linguaggio le immagini e le frasi dei poeti greci e latini. […] È da osservarsi peraltro che nè Dante nè gli altri poeti nostri adottarono i più strani, oscuri o assurdi miti dei Greci e dei Latini, e invece hanno preferito e trascelto quelli soltanto che racchiudevano le più belle immagini e i più chiari e notabili simboli dell’antica sapienza. […] privi affatto della cognizione delle lingue dotte, vi è bisogno di libri più facili e più alla portata della comune intelligenza. […] Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitologici molte delle loro denominazioni, la cui etimologia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione della Mitologia.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Anzi poichè la seconda fu più terribile e più decisiva della prima, e da quella in poi non corse più pericoli il regno di Giove, fu più celebrata la Gigantomachia ; e della guerra dei Titani poco o nulla si parlò dalla maggior parte dei poeti67. […] Ma Dante, che ci assicura di aver trovati parecchi di questi Giganti nel fondo dell’inferno, non ne vide alcuno di quelli più mostruosi. […] Questa vittoria di Giove fu rammentata e celebrata da tutti i più illustri poeti antichi e moderni. Lo stesso Dante la rammenta più e più volte nel suo poema sacro, e fa nascere l’opportunità di parlarne perfino nel Purgatorio, immaginando che ivi esistessero dei bassirilievi rappresentanti i fatti veri o allegorici di superbia punita. […] Una delle più impossibili ed incredibili era tanto famigerata, che la eternò nei suoi mirabili versi lo stesso Virgilio.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

Cicerone specialmente, in questa parte, è più esplicito ed aperto degli altri ; e perciò i suoi libri sulla Natura degli Dei, sul Fato e sulla Divinazione furon considerati dai più scrupolosi Pagani siccome contrarii alla religione del Politeismo, mentre all’opposto i Santi Padri dei primitivi tempi del Cristianesimo citarono i detti di Cicerone forse più spesso di quei della Bibbia. Andando su queste traccie, riesce più facile o almeno più probabile la spiegazione di molte idee mitologiche degli antichi Pagani ; e facendo tesoro delle interpretazioni che hanno date alle medesime, non solo i nostri poeti, e principalmente l’Alighieri, ma pur anco i filosofi di maggior fama, possiamo almeno conoscere quale opinione avessero dell’antica sapienza contenuta nella Mitologia gli uomini più grandi e più sommi. […] Che più ? […] Se negli Dei superiori di cui abbiam parlato in questa prima Parte troviamo personificate le più grandi leggi fisiche e le più notabili idee della vita morale e sociale, procedendo alla seconda Parte vi troveremo l’applicazione di quelle ai casi più speciali ed anche individuali. […] Passata quest’epoca, che è la più poetica e che ha dato origine e materia ai più celebri poemi epici, si continua la personificazione di nuove idee astratte, non solo delle virtù, ma pur anco dei vizii, e si termina con l’apoteosi degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

E per farne distinguere gli ufficii, gli pongono in mano un martello e presso a lui un’incudine, e qualcuno dei suoi più celebri lavori di metallo. […] Perciò in oggi si stimano, e sono veramente più utili gli automi che lavorano più e meglio degli uomini e risparmiano loro la fatica materiale e meccanica, come fanno le macchine da filare, da tessere, da cucire, ecc. […] Avevano sì gli antichi osservato l’elettricità che si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal cui greco nome di electron fu appunto denominato questo fenomeno e l’elettricità stessa), ma si fermarono per secoli e secoli a questa prima osservazione, e non andaron più oltre191, lasciando ai moderni, e specialmente agli italiani, (Galvani e Volta), la gloria delle più grandi scoperte e delle più utili applicazioni della elettricità 192. […] Se ne trovano principalmente in Grecia e in Italia ; e le più antiche sono per lo più attribuite ai Pelasgi. […] Automa è voce composta di due parole greche che significano spontaneo movimento, o come direbbesi anche più precisamente con vocabolo derivato dal latino : semovente.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-

Soltanto del più impetuoso e del più mite fra loro, cioè di Borea e di Zeffiro, narrano brevemente qualche fatto. […] La spiegazione più semplice e più naturale del ratto di Orizia è, secondo Platone, che questa infelice principessa rimanesse vittima di una tempesta o di un uragano. […] È da notarsi però che talvolta gli Autori e specialmente i poeti, nominano l’un per l’altro quei Venti che spirano tra lor più vicini, ossia usano i loro diversi nomi come sinonimi di uno stesso Vento. […] Più esatto di tutti è Dante, perchè più scienziato, e inoltre impareggiabile anche in astronomia. […] E quando nel Canto xxxii del Purgatorio vuole affermare che i 7 celesti candelabri ardenti non li spengerebbero i più opposti e gagliardi venti, egli dice « Che son sicuri d’Aquilone e d’Austro, » nominando i venti più opposti e più procellosi.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

Questa più strana e prodigiosa origine, creduta a preferenza della prima che era più semplice e naturale, fece dare a questa Dea il greco nome di Afrodite, che significa appunto nata dalla schiuma. […] Con questo strano mito voleva significarsi che la Bellezza è figlia del Cielo, e che nel globo terraqueo manifestasi più che altrove sul mare. […] Ma se a quasi tutte le Divinità pagane ed allo stesso Giove furono attribuiti difetti e vizii, a Venere più che mai. […] Servivasi Venere del cèsto per le solenni occasioni ; e non mancò di adornarsene quando si presentò a Paride che doveva decidere chi fosse la più bella tra le Dee. […] Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre.

27. (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62

Abbiamo non meno tolto alcuni concetti, come scorgerassi dalle annotazioni, dagli antichi classici greci e latini, spigolati con lungo studio nel campo dovizioso delle opere di loro, e per impromettere a questo dettato più lunga erudizione, e per più copiosamente interpetrarlo. […] A lui si innalzavano simulacri per lo più nudi, volendosi esprimere gli animi degli ebrii andar del tutto aperti ed in nulla simulati. […] Altri poi lo ricercano nell’aria, e vogliono esser l’aere densissimo più vicino alla terra. […] Da ciò fu creduto come il precettore e l’antiste delle Muse ; e gli si consacrava il cigno, chè non v’ha uccello più vocale e più candido di questo. […] Per Melpomene μελπη canto, indicavasi lo insinuarsi de’melodiosi concenti per le vie più secrete del cuore.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Più terribile era Medusa per la fatal proprietà di cangiar gli uomini in pietra. […] Con questi due potentissimi aiuti, il Pegaso e il teschio di Medusa, divenne Perseo il più formidabile eroe dell’antichità, perchè egli solo più di qualunque esercito fornito di qualsivoglia arme più micidiale e diabolica valeva per velocità e potenza di mezzi di distruzione delle umane esistenze. […] Infatti la Cronologia greca più comunemente seguita, ed anche adottata dallo stesso Cantù (Ved. i Documenti alla sua Storia Universale), pone Inaco per primo re d’Argo, e come vissuto più di 1900 anni avanti l’era volgare ; e perciò almeno tre secoli più antico di Mosè. […] Ma ai poeti parve più bella e più poetica la torre. […] « Calossi, e fu tra le montagne immerso : « E come dicea l’oste (e dicea il vero), « Quell’era un negromante, e facea spesso « Quel varco, or più da lungi, or più da presso.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

Egli aveva sempre l’aspetto di giovane197, con volto reso più rubicondo dalle copiose libazioni di vino ; in testa una corona di ellera e di corimbi, ed anche di pampini con grappoli d’uva pendenti ; in mano un tirso (cioè una verga a cui era attortigliata l’ellera, oppure i pampini) ; una pelle di tigre o di pantera gli ricuopriva in parte le membra, nude in tutto il resto ; e viaggiava in un carro tirato da animali feroci, per lo più tigri o pantere. […] I Latini intendevano la parola Bacco in questo secondo e peggior senso, poichè ne formavano il verbo bacchari che significa infuriare, e in più mite accezione abbandonarsi a smodata allegria. […] Gli altri nomi eran questi : Lenèo, Tionèo, Jacco, Bromio, Bassareo, Evio, tutti derivati dal greco, e molto in uso anche nei poeti latini, e qualcuno di questi, benchè più raramente, nei poeti italiani. […] In questo senso l’usò anche il Petrarca in uno dei suoi più celebri sonetti : « L’avara Babilonia ha colmo il sacco « D’ira di Dio, e di vizii empi e rei « Tanto che scoppia ; ed ha fatti suoi Dei « Non Giove e Palla, ma Venere e Bacco. » Alcuni mitologi antichi confusero Bacco con Apollo, cioè col Sole, o almeno lo fecero suo compagno ed amico ; e questi mi sembrano più ingegnosi e più filosofi naturali che gli altri. […] Quasi tutti i poeti lodano il vino ; ed anche gli astemii se ne fingono amantissimi : vale a dire adottano e celebrano, come è uso dei più, gli errori e le fantasie popolari predominanti.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

In questa comune e nazionale impresa per altro il solo Giasone è quello di cui si raccontano fatti straordinarii e maravigliosi, degni di poema ; gli altri Eroi vi rappresentan soltanto una parte molto secondaria ; ma appunto per questo vi è maggiore unità e si rende più facile e più breve la narrazione. […] Convenne far diverse fermate per prender, come suol dirsi, paese, ossia per avere a mano a mano opportune notizie riferibili al luogo e allo scopo del loro viaggio, ed anche per rinnovare le loro provvisioni da bocca, perchè Ercole, oltre ad essere il più forte e robusto eroe, era anche il più gran divoratore, e mangiava per cinquanta, bevendo ancora in proporzione ; e perciò gli avevan messo il soprannome di Panfago, che vuol dir mangia-tutto. […] Troppo lungo e monotono sarebbe il racconto di tutti e singoli gl’incidenti, che per lo più son comuni alla maggior parte dei viaggi marittimi narrati dai poeti, come, per esempio, qualche tempesta, qualche combattimento coi popoli delle coste marittime o delle isole, qualche pericolo di scogli o di sirti ; in quella vece ci arresteremo piuttosto a riferire un episodio di nuovo genere, imitato anche dall’Ariosto, e rammentato più d’una volta dall’Alighieri, cioè la liberazione del re Fineo dalle Arpie. […] Per quanto cercasse, non lo trovò più ; e fu detto dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe che era annegato in quella fonte ov’egli andò ad attingere l’acqua. Gli Argonauti non furon troppo dolenti di perder la compagnia del loro carissimo Panfago, perchè poteron procedere più speditamente, alleggerita di quel grave peso la nave, e senza doversi così spesso fermare a far nuove provvisioni da bocca.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

Trovò che la fama era minore del vero, poichè alla crudeltà ed alla barbarie univasi l’empietà ed ogni altra scelleraggine più nefanda ; e se egli non era un Dio, sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte di quei miseri ospiti che lo avevano preceduto. […] Giove tornato in Cielo radunò il consiglio degli Dei Superiori, narrò tutti gli orribili delitti degli uomini, e si mostrò risoluto di esterminare tutta quella razza bestiale più che umana. […] Trovansi infatti nell’interno del nostro globo strati di arena, di creta e di marmo che contengono conchiglie e frantumi di vegetabili ; e se ne deduce razionalmente che questi strati doveron formarsi sott’acqua nel modo stesso che vediamo accadere anche oggidì nel fondo dei laghi e nelle inondazioni dei fiumi. — Così una scienza che due secoli indietro non esisteva neppur di nome, e non supponevasi nemmeno che potesse esistere, ha fatto e va tuttodì facendo i più mirabili progressi, e risolve i più ardui problemi dei tempi preistorici, non già interpetrando le più o meno antiche tradizioni, le più o meno veridiche cronache o istorie, ma studiando i materiali stessi del nostro globo travolti e seppelliti da migliaia e milioni di anni per le forze irresistibili della Natura negli strati sottoposti a quello sul quale abitiamo. […] Ho notato più di una volta, e tornerò ancora a notare, che i termini mitologici sono adottati in quasi tutte le scienze ; e che la cognizione della Mitologia aiuta molto ad intendere il significato generale di quelle denominazioni scientifiche. […] Questa denominazione fu proposta da sir Carlo Lyell, il più celebre dei geologi inglesi.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Giove, il supremo degli Dei pagani, era più vizioso di molti mortali ; e perciò usurpava, o gli era dato immeritamente il titolo di Ottimo. […] Fra i più celebri si annoverano Prometeo ed Epimeteo, di cui ora occorre parlare. […] In tutto questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio che giova, del Dio benefico, ma quella d’invidioso, maligno e malefico. […] Aggiungono di più che egli sposò Pandora, la quale gli portò in dote quel vaso pieno di tutti i mali. […] Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo che a Pandora e al genere umano, non fa la più bella figura, come abbiam notato di sopra, nei suoi doveri poi, che diremmo domestici, vale a dire di marito e di padre, è anche più biasimevole.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

E a render più facile il còmpito di chi vuole imparar la Mitologia contribuisce ancora il non avere inventato i Pagani molti miti o fatti miracolosi riferibili a questi Dei Inferiori, perchè molto limitata credevano la loro potenza. […] IV che, ammessi più Dei, nessuno di loro poteva essere onnipotente, perchè il poter di ciascuno era limitato dalle speciali attribuzioni degli altri ; e se ciò era vero per gli Dei Superiori e per lo stesso Giove, come ci è accaduto di narrare più volte, tanto più è presumibile e conseguente per gli altri Dei che furon detti e considerati Inferiori. […] Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio, che schiverei di rammentare, se, oltre Lattanzio, non ne parlasse anche Plinio il Naturalista ; ed era il Dio Sterculio o Stercuzio, così detto perchè aveva inventato il modo di render più fertili i terreni col fimo o concime. […] » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vulgus, e da spacciarsi in massa, (o come taluni dicono in blocco) e con poche e generali considerazioni sul loro comune appellativo, procediamo senza spaventarci ad osservare anche altre fantasmagorie preistoriche dei nostri più remoti Antenati. […] I più dotti commentatori di Dante, e tra essi anche il canonico Bianchi di onorata memoria, interpretano questo passo cosi : « per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto al numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e moltiplicandolo per cento, come dice Dante, ne verrebbero 3 milioni di Dei, adorati dai Simoniaci.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

In Omero e negli altri poeti greci le idee su tal proposito furono anche più incerte e confuse, e perciò non vi si trova unità nel disegno, nè regolarità nella esecuzione. […] La più bella fabbrica dell’Inferno è quella che Dante ha delineato in modo sì mirabile da superare l’abilità di qualsivoglia architetto. […] Con una periferia di 21,600 miglia geografiche pari a 40,000 chilometri, e per conseguenza con una superficie di più di 500 milioni di chilometri quadri ed una capacità per più di 3000 milioni di chilometri cubi, vi possono star comodamente non solo migliaia, ma anche milioni di materie e di sostanze diverse, solide, liquide e aeriformi. […] Secchi, gesuita, nel suo libro intitolato Il Sole : io ne citai le espressioni più chiare e precise nella Cosmografia al cap.  […] Quando si trova un gesuita tra i più zelanti antesignani di una ipotesi scientifica, anche il devoto femmineo sesso può rassicurarsi che non vi è nulla che offenda la Religione.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

IV Una Divinità più potente di Giove Ammessi più Dei, ne vien di conseguenza che nessuno di essi può essere onnipotente, ma ciascuno ha un potere limitato e temperato dalle speciali attribuzioni degli altri. […] Non deve dunque recar maraviglia, leggendo il titolo soprascritto, che vi sia nel Politeismo una divinità più potente di Giove, che pure è conosciuto comunemente come il supremo dei Numi, il re del Cielo, il padre degli uomini e degli Dei. E questo Dio più potente di Giove era il Fato. […] Non v’è termine nelle lingue moderne europee, che più di questo di Fato o Destino sia comune e frequente sulle labbra stesse del volgo ; e tutti l’usano nello stesso senso di legge suprema inevitabile. […] E poichè credevasi che spesso portasse prosperi eventi, quindi non le mancavano e immagini e tempii e adoratori, tanto in Grecia quanto in Italia, e in Roma stessa più che altrove.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

Gli Artisti per lo più nel rappresentare i Satiri non seguono servilmente le descrizioni dei Mitologi, e studiansi di renderne meno sconcie le figure riducendole presso a poco alla forma ordinaria degli uomini ; ma però con fattezze più proprie della razza etiopica o malese, che della caucasica, e coi lineamenti caratteristici delle persone rozze e impudenti. […] Le sue feste si celebravano nell’ottobre quasi in ringraziamento della già compiuta maturità dei più utili frutti dell’anno. […] Molti poeti latini, tra i quali Orazio e Marziale, si sbizzarrirono a dileggiar talmente questo Dio, che peggio non avrebbero fatto nè detto contro il più vil dei mortali23. […] Così solennizzavano contemporaneamente i più preziosi diritti del cittadino, la proprietà e la libertà. […] Una delle più celebri statue di Fauno è quella che vedesi nella Tribuna della Galleria degli Uffizi.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

Tal’altra volta poi di più divinità se ne fece una sola, amalgamando in essa tutti gli attributi di quelle che anticamente erano distinte9. […] Ed io aggiungerò che raramente trovasi rammentata e rappresentata come Dea, e per lo più confondesi coll’ Abbondanza di tutte le cose naturali. […] Così Dante nel descrivere i Giganti, che ora fortunatamente più non esistono, dice : « Natura certo, quando lasciò l’arte » Di sì fatti animali, assai fe’ bene. […] Infatti troviamo negli antichi mitologi e nella stessa Genealogia Deorum del Boccaccio (che raccolse tutte le diverse e più disparate opinioni degli autori antichi), molte divinità dello stesso nome, distinte col numero d’ordine, come Giove primo, Giove secondo ecc. […] Questo compenso preso dai più celebri poeti latini, e adottato dai poeti italiani, rese possibile il formarsi qualche idea meno confusa della classica Mitologia.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] Perciò sembra più di tutte probabile la interpretazione della parola Dèmone derivandola da daimon che significa intelligente 272). […] Anche i più celebri filosofi della Grecia, anzi del mondo, cioè Socrate, Platone e Aristotele, espressero la loro opinione su questi Dèmoni, o spiriti, o genii. […] Per altro i Genii delle persone con caratteri e distintivi pagani furono ammessi anche nell’arte cristiana, e si vedono per lo più nei monumenti sepolcrali in atto mesto e colla face rovesciata o spenta, simbolo di morte. […] Io citerò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in cui trovasi usato il vocabolo Genio in più e diversi significati ; e confinerò qualche prosaica osservazione filologica in una nota, essendo più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalmente gradita che non la filologia.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

Quegli fece nascere il cavallo e questa l’olivo ; e fu stimato più utile l’uso dell’olio che quello del cavallo. […] Tutti i migliori poeti delle più culte nazioni hanno accolta gradevolmente questa invenzione e riprodotta a gara con splendide forme. […] Il più bel tempio però e la più famosa statua di questa Dea erano in Atene : la statua distinguevasi col nome di Parthenos (la vergine), cioè statua della vergine, e il tempio chiamavasi il Partenone, cioè sacro alla vergine, sottinteso Atena, vale a dire Minerva. […] Tanto è vero che qualunque più illustre città moderna non ambisce un maggior titolo d’onore che di esser chiamata l’Atene di quella nazione a cui appartenga. […] Tra questi periodici il più accreditato e diffuso è l’Ateneo inglese che si pubblica in Londra da molti anni.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-

iv e nel xxxix della sua storia ; anzi non si adottarono neppure i più strani ed assurdi miti della greca mitologia inventati da quelle fervide e sbrigliate fantasie dei greci poeti e dei greci sacerdoti. […] Ma quando la romana costanza che trionfò di tutti gli ostacoli e di tutte le più dure prove non fu abbastanza forte contro le prosperità e le ricchezze, e si lasciò vincer da queste, le idee morali cominciarono ad esser neglette ed obliate, e la religione stessa perdè il suo prestigio e la sua dignità, e non servì più allo scopo altamente sociale per cui fu istituita. In Roma insiem coi vizii penetrarono le più strane idee religiose contrarie affatto alla buona morale. […] I più ostinati a conservare il culto dei falsi Dei furono gli abitanti delle campagne e dei villaggi o borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato da pagus che significa borgo o villaggio), e perciò il politeismo stesso fu detto il Paganesimo ; il qual termine divenne poi, tanto in prosa quanto in poesia, più comune e più usato che gli altri due di politeismo e di gentilesimo 169. Ma poichè la religione dell’Evangelo ai più santi precetti di morale univa la principal massima sociale che tutti gli uomini sono eguali, e perciò favoriva e comandava l’abolizione della schiavitù, anche i più rozzi ed ostinati contadini cominciarono ad apprezzare se non la sublimità, che non potevano intendere, almeno l’utilità di questa nuova religione ; e tutto l’impero romano, abiurato il paganesimo, divenne cristiano.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Perciò il loro numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto che non sono stati a contar sul globo tutte le fonti, e tanto meno tutti i boschi e boschetti, a cui pur presiedevano almeno altrettante Ninfe. […] Perciò si trovan sempre rappresentate come giovinette ingenue, semplicemente vestite, e tutt’al più ornate di fiorellini campestri come le pastorelle. […] Molte di quelle Ninfe a cui fu dato un nome proprio dai Mitologi e dai poeti furono da noi rammentate sinora : qui torna in acconcio di far parola di qualche altra che non troverebbe luogo più opportuno altrove. […] I pittori hanno gareggiato a rappresentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella che vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze. […] Tanto più dunque, concluderemo, in soggetti profani.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Tibullo si maravigliava che il Padre Nilo nascondesse il suo capo in ignote terre26 ; e per quanto i Geografi e i più arditi viaggiatori si sieno affaticati a cercarlo, non son riusciti ancora ben bene, dopo circa 2000 anni, a levarsi questa curiosità : sembra che il Padre Nilo si diverta a far capolino tra i monti dell’Abissinia e si ritiri sempre un poco più in là. […] E di questa pugna dovremo parlare altrove più a lungo. […] Oh foss’io morto « Sotto i colpi d’Ettorre, il più gagliardo « Che qui si crebbe ! […] Il nome più antico è attribuito dal poeta al linguaggio degli Dei, e il più moderno a quello degli uomini. Nel caso di cui si parla nel testo il Xanto è il nome più antico, e lo Scamandro il più moderno.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

Questa etimologia e la conseguente spiegazione, furono adottate nei dizionari etimologici delle lingue dotte e in quelli enciclopedici più moderni9. […] Di questi tre distintivi non sarà inutile dar la spiegazione, perchè riesce più concludente. […] Dante rammenta la favola di Siringa nel Canto xxxii del Purgatorio ; e, com’è suo stile di esser concisissimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso che altrove, poichè con una sola similitudine e in soli due versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib.  […] Son celebri nella storia romana i Lupercali dell’anno 710 di Roma, poichè in quel giorno offrì Marc’Antonio il regio diadema a Cesare che lo ricusò ; e Cicerone rammenta questo fatto più volte nelle sue opere, e specialmente nelle filippiche contro lo stesso Marc’Antonio. […] Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panicus terror est).

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Poichè Urano significa Cielo, il suo nome stesso serve a manifestare qual parte dell’ Universo egli rappresenti ; e inoltre l’esser creduto figlio del Giorno e dell’Aria indica l’opinione degli antichi mitologi che il Cielo fosse composto di questi due più leggieri e più puri fra i 4 elementi del Caos. […] Ma le opinioni e le scoperte dei dotti antichi eran tenute nascoste al volgo, e costituivano la scienza segreta, colla quale cercavano d’imporre rispetto alle moltitudini e di tenerle soggette ; e con false immagini e miracolose, quanto più strane e tanto più credute dagl’ignoranti, li pascevano di vane illusioni e li dominavano, « Forse con intenzion casta e benigna, » per rimuoverli dalla vita selvaggia e vincolarli in un più umano consorzio. Così, trovando il terreno preparato e disposto al fantastico e al maraviglioso, personificarono quasi tutti gli oggetti e i fenomeni dell’Universo, e primo d’ogni altro il Cielo, che perciò fu detto il più antico degli Dei. […] Siccome Urano era un Dio, e perciò immortale, ed essendo inoltre il più antico degli Dei, e perciò lo stipite della celeste dinastia, poteva a suo beneplacito regnare eternamente ; ma poichè egli aveva più figli, supposero i mitologi che gli fosse piaciuto abdicare in favore di essi. […] I moderni astronomi, che seguendo il sistema Copernicano abolirono anche le sfere, non che il loro movimento intorno al nostro globo, diedero il nome di Urano al pianeta scoperto da Herschel nel 1781, imitando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini al centro del loro sistema planetario avevano dato il nome dei principali figli di Giove, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono il nome del padre di questo, cioè di Urano.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

Questa per verità apparisce una opinione più filosofica e biblica28) che mitologica. […] Ecco uno dei molti casi mitologici in cui più e diversi attributi ed uffici si riunivano in uno stesso soggetto, che inoltre era considerato e come uomo e come Dio. […] Celebre era in Roma il suo tempio, che stava chiuso in tempo di pace ed aperto in tempo di guerra ; il quale in più di settecento anni fu chiuso soltanto, e per poco tempo, tre volte, come sappiamo dalla storia romana. […] Gli antichi scrittori latini, e principalmente Cicerone ed Orazio, fanno più volte parola di questi Giani, che corrispondevano pel loro scopo alle moderne Borse, o palazzi della Borsa. […] Cicerone dice a suo figlio nel De Officiis, che certi ottimi negozianti di Borsa eran più bravi di qualunque filosofo per saper far denari e impiegarli bene.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

Il volgo peraltro vi credeva di certo, perchè l’ignoranza fu sempre un terreno fertilissimo da allignarvi e crescervi qualunque più bestiale errore ; e la storia di tutti i tempi lo prova. […] Il volgo però vi presta va pienissima fede, e tanto più allora quando in alcuni luoghi invalse l’uso nei trivii di offrir delle cene ad Ecate, che lasciate intatte da questa Dea eran poi ben volentieri divorate dai poveri. In tempi più civili si rappresentò Ecate con tre faccie, ma tutte di donna ; e questa triplice immagine ponevasi nei trivii, ond’ebbe ancora il nome di Trivia 143. […] XV) è più confacente a Diana, perchè Lucina, come dice Cicerone, deriva a lucendo, ed appella più propriamente alla Luna145. […] ii) Ovidio chiama pigra la Costellezione di Boote, perchè è vicina al polo, « …..dove le stelle son più tarde, « Siccome ruota più presto allo stelo. » (Dante, Purg., viii, 86.)

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

Perciò il re invitò tutti i più coraggiosi e prodi giovani della Grecia a prender parte a questa caccia, e ne fe’capo il suo figlio Meleagro. Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divennero anche più celebri in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace e Laerte di Ulisse ; dei quali tutti dovremo parlare anche in appresso. Degli altri eroi intervenuti a questa caccia, dei quali non si conoscono fatti più celebri di questo, ne diremo qui brevemente quanto è necessario a sapersi. […] Ciò dispiacque ai suoi zii, mal tollerando che una donna con tal distintivo di onore potesse vantarsi di essere stata più valente degli uomini ; e volevano toglierle quell’insigne trofeo62. […] La madre, che non si sa per qual privilegio o grazia speciale potè vederle e udirle, corse a levar dal fuoco quel tizzo che già ardeva dall’ un de’ capi, lo spense e lo chiuse fra le cose più care e più preziose.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Oltre i preaccennati nomi proprii, avevano le Muse anche degli appellativi comuni a tutte loro, derivati dai luoghi ov’esse abitavano ; i quali termini son più usati dai poeti greci e latini che dagl’italiani. […] « Sai che là corre il mondo ove più versi « Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Odesi spesso chiamar estro la poetica ispirazione. […] Le figlie di Pierio re di Tessaglia sfidarono al canto le Muse, credendosi più valenti di loro ; ma furono facilmente vinte, e in pena di lor presunzione cangiate in piche, ossia gazze. […] Aggiunsero i poeti che Apollo sdegnato con Giove, e non potendo vendicarsi contro di esso, perchè era suo padre e più potente, uccise i Ciclopi che fabbricavano i fulmini. […] Si sa dalla geografia che il monte Parnaso ha due cime o culmini che poeticamente diconsi gioghi : e cosi il poeta affermando che nella Cantica del Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i gioghi di Parnaso, vuol significare che ha bisogno di tutte le forze della più sublime poesia.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

La Divinità non ebbe mai in alcuna lingua un nome etimologicamente più bello, poichè anche più della giustizia e della clemenza è bella la beneficenza. […] La dignità e maestà di Giove era descritta dai poeti più grandi e più sommi con espressioni veramente sublimi. Virgilio imitando Omero dice che Giove con un cenno faceva tremar tutto l’Olimpo (Æneid., ix), e Orazio non lascia da aggiunger nulla di più affermando, che facea muover tutto a un balenar di ciglio (Od., iii, 1). […] Ecco un’altra scienza, e delle più recenti, in cui non è disprezzato l’uso antico di adottare nel linguaggio scientifico i termini della Mitologia. […] Questo titolo è divenuto in oggi tanto comune e familiare, che anche i giornalisti più prosaici fanno lusso e spreco dell’espressione mitologica e poetica di Giove Pluvio tutte le volte che parlano di pioggie troppo continuate.

50. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

È quella l’immagine del Dio Mercurio, il più affaccendato di tutti gli Dei dell’Olimpo, essendo egli il Messaggiero di Giove e degli altri Numi superni. […] Noi avremo occasione più volte di rammentare fatti mirabili compiutisi coll’assistenza e col favore di Mercurio, narrati splendidamente dallo stesso Omero : qui basterà parlare di due soli che si riferiscono alla vita privata di questo Dio. […] La più comune dicesi volgarmente Marcorella, che è una corruzione del termine mercuriale. […] È una delle più eleganti e più svelte figure di Mercurio, perchè sta in atto di prendere il volo e riposa soltanto con l’estremità del piede sinistro in un piccolissimo punto d’appoggio. […] In latino la pietra di paragone chiamasi Lydius lapis, perchè queste pietre trovansi più comunemente nella Lidia ; e per la stessa ragione qualche naturalista moderno l’ha chiamata Quarzo lidio.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

Seì di quei giudici condannarono Marte, e gli altri sei lo assolsero ; e la parità dei voti fu tenuta per favorevole all’imputato, tanto più che per l’assoluzione era dato il voto di Minerva, Dea della sapienza173. […] Di Marte diedero il nome gli astronomi antichi a quel pianeta visibile ad occhio nudo, che resta più della Terra lontano dal centro del nostro sistema planetario, vale a dire del Sole. […] Dante aveva osservato che gli astri riflettono una luce più rossa quando si vedono sul limite estremo dell’orizzonte, e specialmente dalla parte di ponente, ove son più spessi i vapori dell’atmosfera ; e tanto più questo fenomeno si manifesta nel pianeta di Marte, che per natura sua è sempre più rosso di tutti gli altri. […] Chi conosce o studia la lingua latina sa bene che i Romani usavano l’aggettivo bellus, a, um nel significato non di pulchrum, cioè bello, ma più comunemente di comodo e utile. […] In Chimica si dicono più comunemente e semplicemente sostanze ferruginose, preparati ferruginosi.

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Questa Dea ha dunque due bellissimi nomi nelle lingue dotte, ed inoltre il più alto rango fra le Dee, essendo essa sorella e moglie di Giove92). […] Aggiungono alcuni mitologi, che un giorno questa Dea nell’esercizio del suo ministero cadde sconciamente e destò l’ilarità degli Dei, e d’allora in poi non volle più servirli a mensa ; e Giove le sostituì un coppiere di stirpe dei mortali, Ganimede figlio di Troo re di Troia, facendolo rapire dalla sua aquila e rendendolo immortale. […] Il tema più vasto per altro e l’eterno argomento della vita di Giunone è quello delle gelosie, delle stizze e delle persecuzioni di questa Dea. Favoriva sì e proteggeva essa quei popoli che le erano più devoti, come gli Argivi, i Samii, i Cartaginesi ; ma guai a coloro che avessero la disgrazia di dispiacerle, specialmente poi se Giove o qualche Dea sua nemica li proteggesse, o fossero parenti od anche soltanto connazionali di qualche donna preferita da Giove. […] Nei poeti più eleganti, invece di Iride, trovasi anche Iri, che è voce più simile al nome greco e latino, e perciò preferita nel linguaggio poetico.

53. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-

Tanto è vero che è più facile perpetuare dieci errori o dieci pregiudizi che stabilire una verità ! […] Le ferie latine furono le più solenni. Tarquinio il superbo le istituì per assuefare tutti i popoli latini a tener Roma in conto di città più ragguardevole e di capo luogo del Lazio, sì rispetto alla religione che alla politica. […] Ogni divinità aveva le sue vittime diverse, ed erano scelte fra le più belle. […] In Roma furono prima tre auguri islituiti da Romolo ; poi quattro, e più ; Silla no creò fin quindici, per accrescere appoggi alla sua tiranuide.

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Di Cibele per altro convien parlare molto più a lungo. […] Quello di Cibele è il più noto e comune : derivò dal nome di una città e di un monte omonimo nella Frigia, ove questa Dea fu prima che altrove adorata. […] xxix, cap. 14) che ad incontrarla accorse la popolazione fino ad Ostia ; l’accolse e le dedicò un tempio Scipione Nasica, giudicato il più sant’uomo di Roma ; la portarono sulle spalle le matrone e le vergini Vestali. […] I sacerdoti di questa Dea si chiamavano Galli, Coribanti, Cureti e Dattili : i primi due nomi son più comuni e più frequentamente usati. […] In Roma conservarono più comunemente questo nome di Galli ; e poichè facevano vita comune e non avevano moglie, somigliavano in questo i monaci o frati.

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

LXIX Di alcune Divinità più proprie del culto romano A render più completa la spiegazione della classica Mitologia, accennerò brevemente alcune feste che celebravansi più specialmente in Roma che altrove. […] E poichè i Consoli furono conservati, almeno di nome, anche sotto gl’Imperatori e sino agli ultimi tempi del romano impero, le stesse cerimonie descritte da Ovidio nel libro i dei Fasti si mantennero in Roma per più di mille anni. […] Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di Numa, era divenuto inintelligibile a loro stessi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare. […] Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse. […] Non ha fatto dunque il Preller una nuova scoperta, ma soltanto ha dimostrato con qualche altro documento esser la più vera l’asserzione di Plinio168.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

Dante stesso fa dire a Virgilio esservi « ……. chi creda « Più volte il mondo in caos converso, » cioè ritornato nella prima mistura e confusione di tutti i suoi elementi2. I corpi elementari, secondo gli antichi, non erano più di quattro, cioè : terra, aria, acqua e fuoco 3 ; mentre i fisici e i chimici moderni colle loro analisi, ne hanno per ora distinti e caratterizzati più di 60 ; e non si stancano di cercarne, nè disperano di trovarne molti altri. […] Da questi studi scientifici traggono in oggi le più belle immagini quei pochi eletti che hanno intelletto a poetare4. […] Sotto questo punto di vista nelle lingue moderne affini della latina, e specialmente nella italiana, furono accolti e adottati dai nostri poeti i miti dei Greci e dei Romani, non però tutti alla rinfusa e senza discriminazione, ma quelli soltanto o principalmente, che presentavano una più evidente, o almeno probabile spiegazione dei fenomeni fisici o morali. Dante più degli altri poeti ci rivela un simil concetto in tutta la Divina Commedia con un sistema parallelo di confronti tratti alternativamente dalla Teologia e dalla Mitologia, dalle Storie sacre e dalle profane.

57. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

Perciò converrà contentarsi di conoscere quel che ne accennano i Classici e principalmente Virgilio e Cicerone, e starcene a quel che essi ne credevano e ce ne lasciarono scritto ; e tutt’al più deducendone quelle illazioni che ne derivano razionalmente. — Per chi non è idolatra o politeista sembra che possa bastare. […] Infatti, la voce Penati è soltanto un attributo o aggettivo che corrisponde, non già per l’etimologia, ma pel significato e per l’effetto creduto, alla parola protettori, o patroni : quindi per tale ufficio poteva scegliersi qualunque Nume dei più noti e celebri. […] E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti, ovvero alla parte più interna dei tempii e delle case ove questi Dei erano adorati37. […] Quindi l’espressione rituale dei politeisti i sacri penetrali corrisponde al sancta sanctorum dei monoteisti ; quindi il comun verbo penetrare significa lo spingersi addentro nei più riposti recessi dei luoghi o dei pensieri. […] Sappiamo poi che nelle case dei più ricchi politeisti romani v’era il Larario, ossia la cappella dei Lari ; e nelle altre, almeno un tabernacolo colle statue o immagini di questi Dei, le quali spesso ponevansi ancora dentro certe nicchie nei focolari, parola questa che alcuni etimologisti notano come composta colla voce Lari 38.

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492

E poichè i moderni filosofi, e tra questi il Pestalozza, discepolo e seguace fidissimo del Rosmini, danno alla religione pagana il titolo di Panteismo Mitologico, è questo un altro motivo di credere che il sistema da me prescelto sia il più opportuno a spiegare i miti dei Greci e dei Romani. […] La parola Apoteòsi, secondo la greca etimologia, significa deificazione, e consiste nel considerare e adorare come Dei gli esseri della Natura, le esistenze create166 ; e in un significato più ristretto si riferisce particolarmente alla deificazione degli uomini dopo la morte167. Il culto più antico di cui si trovi memoria negli scrittori fu quello del Sole e della Luna e quindi degli altri Astri ; e questo culto fu chiamato il Sabeismo, perchè ridotto a regolar sistema religioso dai Sabei, antico popolo dell’ Arabia meridionale. […] Furono allora immaginati e splendidamente dipinti con stile impareggiabile dai Greci e dai Romani i più celebri e graziosi miti di cui non perirà mai la memoria, finchè si leggeranno e s’intenderanno i loro poetici scritti e quelli dei moderni poeti che li imitarono. Ma quando nella pagana religione si giunse ad abusare dell’apoteosi col deificare per vile adulazione i potenti della Terra non solo dopo la loro morte, ma pur anco in vita, si cadde allora nell’abiezione del feticismo, si tolse tutto il prestigio al culto degli altri Dei ; e gli uomini ragionevoli sentirono il bisogno di una religione più pura e più razionale.

59. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Per gli usi del sacrifizio avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte che trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecitare quei primi ; ma non vedendo tornare nè questi nè quelli, vi andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte, che finiva di divorarsi l’ ultimo di essi. […] Da quella strana sementa vide Cadmo con sua gran maraviglia uscir poco dopo una quantità di uomini armati che si misero subito a combattere fra loro, finchè i più rimasero estinti, e i soli cinque sopravvissuti lo aiutarono a fabbricare la città. […] E quanto alla sua sorella Europa, della quale dicono i Mitologi che ebbe da Giove il privilegio di dare il nome alla terza parte dell’antico continente che noi abitiamo, gli storici non sanno dire nulla di più nè di diverso. […] Ma poichè in oggi non si ammettono più le origini mitologiche e miracolose, quindi il Giusti, molto satiricamente, defini la Nobiltà : « Gente che incoccia maledettamente « D’esser di carne come tutti siamo, « E vorrebbe per padre un altro Adamo. » (La Vestizione.) […] Diremo per lo meno che qui è davvero applicabile la massima attribuita da Fedro a Giove : « Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. » Non è per verità molto utile neppure il conoscere quali furono le lettere inventate da Palamede, e quelle aggiunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’ al più può essere una curiosità letteraria il sapere questa opinione degli Antichi : ma fu una vera pedanteria e ridicolezza il pretendere di distruggere il vocabolo alfabeto adottato nella lingua latina e in tutte le più colte lingue moderne, con tutti i suoi derivati e composti (alfabetico, alfabetare, analfabeta ecc.) per sostituirvene un altro di nuova formazione o etimologia.

60. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — I. La Cosmogonia mitologica » p. 10

Gli uomini di tutti i tempi, dai più antichi ai più moderni, hanno sempre mostrato curiosità di sapere l’origine di questo mondo, o vogliam dire dell’ universo ; e non solo tutte le religioni antiche degl’idolatri inventarono a modo loro una Cosmogonia, ma spesso anche i poeti e i filosofi ne hanno foggiate diverse l’una più strana dell’altra, a gara coi sacerdoti delle varie religioni1. Per altro si è creduto e si crede generalmente che sotto la forma delle più strane invenzioni miracolose si nascondessero elevati principii scientifici, noti soltanto ai sacerdoti e ai loro adepti o iniziati ; e finchè prevalse lo spirito di casta, ossia di preeminenza e predominio dell’una classe sociale sull’altra, furono censurati, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo la dottrina segreta. […] Ma perchè non pochi dei miti, o simboli religiosi dei greci e dei romani politeisti furono espressi con splendide e bellissime immagini e in uno stile impareggiabile dai loro più sublimi poeti, e in appresso accolti e adottati nel linguaggio poetico degl’italiani, nasce quindi il bisogno di conoscerli ed illustrarli, e, quando è possibile, decifrarli.

61. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli. […] I due punti principali erano : primo, la conservazione perpetua del fuoco sacro, che simboleggiava, come abbiam detto, la perpetua durata di Roma e del suo impero ; e secondo, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio della Dea della castità. […] Il numero delle Vestali non fu mai più di sette. […] Ebbero luogo pur troppo, e più d’una volta ; ed anche in Tito Livio ne troviamo il ricordo e la narrazione49. […] Assuefatte perciò sin da bambine ad una vita così dignitosa, splendida e principesca non deve recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e che fosse stimato di cattivo augurio il sottoporsi o alla patria potestà degli agnati, o alla perpetua tutela e al predominio di un marito quanto si voglia illustre e discreto.

62. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

La più celebre e memorabile di queste imprese fu quella della Chimera, mostro che avea la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente, ed inoltre gettava fiamme dalla bocca e dalle narici. […] La spiegazione più plausibile che suol darsi della Chimera è questa : che invece di essere un mostro fosse un monte ignivomo della Licia, nella parte più alta del quale soggiornassero i leoni, a mezza costa le capre selvagge e alle falde i serpenti. […] Questo stesso significato che suol darsi comunemente alla parola chimera dimostra che di tutte le cose favolose ond’ è piena la Mitologia, questa è stimata la più favolosa di tutte, appunto per lo stranissimo accozzo animalesco ond’ è composto questo mostro56. […] Non ci vuol molto a immaginare i più strani mostri formati di membra diverse di ogni genere di animali ; ma ne deriva, invece dell’ ammirazione e del diletto, il disgusto e il ridicolo, come dice Orazio al principio dell’Arte Poetica : « Humano capiti cervicem pictor equinam « Jungere si velit, et varias inducere plumas « Undique collatis membris, ut turpiter atrum « Desinat in piscem mulier formosa superne, « Spectatum admissi risum teneatis, amici ? 

63. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

XVI La dea Latona Parlando del Caos, dissero i mitologi che i 4 elementi di cui esso era composto si divisero ; e divisi che furono, il fuoco, come più leggiero degli altri tre, salì più in alto e venne a formare il Sole, la Luna e le Stelle. […] Il Sole era detto dai Greci anche Elios, e Dante lo rammenta più d’una volta con questo nome. […] Tra le più celebri tuttora esistenti si citano quelle del Mississipì e del lago Chelco nel Messico ; le quali son coltivate e producono alberi, piante di fiori e legumi. In Francia e in Svizzera ve n’erano una volta molte più che al presente.

64. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) «  Avviso. per questa terza edizione.  » pp. -

Giovi poi ripetere come la traduzione di quest’opera non sia un semplice volgarizzamento, giacchè il Signor Pietro Thouar l’ha in gran parte rifusa e vi ha fatte delle notabili aggiunte le quali consistono in molte e nuove illustrazioni poetiche dei fatti mitologici, cavate da alcuni dei nostri più valenti poeti ; in una Cronologia mitologica, ossia indicazione delle più notabili epoche storiche alle quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice che contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo. […] La descrizione delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure, che sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili, finchè rimane disgiunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire che ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani.

65. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Avvertimento. » pp. 1-2

» — Il racconto non interrotto, dicono gli Autori di questo Corso, offre all’ alunno una lettura più gradevole e più istruttiva, mentre la divisione in paragrafi somministra le dimande più opportune, e risparmia le ripetizioni, additando al lettore con un semplice numerò tra due () i particolari dei fatti già narrati nei paragrafi antecedenti o nei successivi. — » « Volendo noi pubblicare un Corso di Mitologia pei giovinetti, abbbiamo stimato dover preferire questo a molti altri, in grazia della sperimentata bontà del metodo. […] » Ci siamo poi studiati di render profittevole alla morale questa lettura, eccitando i giovinetti a ricavare utili avvertimenti da ciò che per lo più era di solo pascolo alla curiosità giovanile.

66. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30

Ma questo racconto è un mito, ossia un simbolo del Tempo che produce e distrugge tutte le cose ; e politicamente significa che l’ambizione del regno fa porre in non cale e violare anche i più stretti vincoli del sangue22. […] Il feticismo però non prevalse nella religione dei Greci e dei Romani, ma sì di altri popoli o più antichi o più rozzi, e fu proprio più specialmente degli Egiziani, come abbiamo altrove accennato.

67. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393

Cecrope, fondatore dei Greci, e più specialmente degli Ateniesi. […] Più antichi re di Corinto sono Efira sorella d’Inaco, Maratone, Corinto, Polibio che accolse Edipo bambino, Creonte, appo cui rifugiaronsi Giasone e Medea. […] Emigrazioni di colonie greche nelle più lontane parti d’Europa, d’Asia e d’Affrica. […] Fiorisce Esiodo,164 il più valente degli imitatori d’Omero, autore della Teogonia o genealogia degli Dei, dello Scudo d’Ercole, poema descrittivo, e di un poema didattico sull’agricoltura, intitolato le Opere e i Giorni.

68. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Dopo aver notato questi miti sarà più facile riconoscere le immagini sculte o dipinte della dea Cerere dagli emblemi coi quali è sempre rappresentata. […] Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone. Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare. […] Ripeterò in questo scritto più d’una volta che senza la cognizione della Mitologia non si possono interpretar bene i poeti, e neppure le vere o probabili origini storiche.

69. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

Da Tito Livio e da Cicerone sappiamo che esistevano in Roma sino dai primi secoli della Repubblica più e diversi tempii dedicati alla Pietà, alla Fede, alla Libertà, alla Speranza, alla Concordia, alla Pudicizia, alla Virtù militare, all’Onore, alla Vittoria ed alla Salute pubblica, cioè alla più felice conservazione dello Stato. […] Anche Orazio mette in versi la preghiera di un ladro a Laverna, Dea dei ladri, in cui alla furfanteria è congiunta la ipocrisia colle parole da justum sanctumque videri, perchè cioè quel ladro non si contentava di rimanere impunito, ma voleva anche apparire agli occhi del mondo uomo santo e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo.

/ 74