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16. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

Ma il paese, ove pareva che la superstizione si rinverdisse con fecondità straordinaria, era l’Egitto. […] Non però trovano tanti discepoli le loro parole, quanti ne trovano i Cristiani, insegnando con le opere. […] Nutriamo la fede con le sante cantilene, innalziamo la speranza, stabiliamo la fudicia, e nondimeno, anche con reiterati ricordi, inculchiamo la dottrina de’maestri. […] Che maraviglia, se con tanta carità da noi si fanno de’conviti ? […] Con un altro titolo ingiurioso noi siamo accusati, cioè come inutili per ogni affare.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

La sola Issipile, figlia del re Toante, con pietosa frode salvò la vita a suo padre ; e meritava perciò una miglior sorte di quella che si racconta di essa, poichè giunto in quell’isola insieme cogli altri Argonauti Giasone, « Ivi con segni e con parole ornate « Issifile ingannò la giovinetta, « Che prima tutte l’altre avea ingannate ; » e poi traditane la buona fede la lasciò alle persecuzioni delle sue crudeli compagne, che scoperta la sua pietà filiale, le tolsero il trono e la cacciarono dal regno. […] « Con lui sen va chi da tal parte inganna. » Dopo questo episodio, poco cavalleresco a dir vero, proseguirono gli Argonauti il loro viaggio. […] « E così in una loggia s’apparecchia « Con altra mensa altra vivanda nuova. […] Con tale aiuto potè egli solo compier l’impresa, rimanendo spettatori e pieni di maraviglia gli stessi Eroi suoi compagni. […] Anche i poeti latini del secolo di Augusto rammentano con maraviglia e con orrore gl’incantesimi e i veleni Colchici.

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

Raccontano che Giunone essendosi accorta che Giove prediligeva Semele, figlia di Cadmo re di Tebe, volle vendicarsi della medesima, e trasformatasi nella vecchia Beroe nutrice di Semele, suggerì a questa di farsi promettere con giuramento da Giove di comparirle innanzi con tutta la maestà e tutti i distintivi con cui si mostrava in Cielo agli Dei. […] Ma qui cederò la parola al Poliziano, che maravigliosamente in due sole ottave di versi endecasillabi sdruccioli non solo descrive, ma dipinge il corteo di Bacco : « Vien sopra un carro, d’ellera e di pampino « Coperto, Bacco il qual duo tigri guidano ; « E con lui par che l’alta rena stampino « Satiri e Bacche ; e con voci alte gridano. […] Generalmente hanno pur anco il mantello o la veste di pelli di daino o di cervo, le quali pelli diconsi nebridi con voce greca adottata da alcuni poeti latini204) e italiani. […] Fu poi generosissimo co’suoi devoti cultori, ma i suoi doni erano pericolosi per la sovrabbondanza stessa con cui li accordava, talchè divenivano facilmente dannosi, come avvenne a Mida figlio di Gordio re dei Frigii. Avendo questo re lietamente e sontuosamente accolto in ospizio Bacco con tutto il suo corteo, gli fu data in premio dal Nume la facoltà di scegliere un dono di suo piacere.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

Plutone era rappresentato assiso in un trono di zolfo, con viso arcigno e sguardo truce, con una mano sostenendosi il mento e coll’altra impugnando lo scettro, che era una forca bicorne : in capo avea la corona ; un manto ricuoprivalo dai fianchi in giù ; e ai piedi aveva il tricipite Can Cerbero. […] Anche Plutone aveva altri nomi ; e in principio chiamavasi Pluto, ma poi si distinse con questo nome il Dio delle ricchezze ; e Plutone re dell’Inferno fu chiamato frequentemente Orco e Dite dagli antichi poeti. […] Ebbero anche il titolo di Eumenidi, che vorrebbe dire benevole o placabili, dopo che scongiurate con sacri riti lasciarono quieto Oreste. […] E poichè queste roccie (principalmente i graniti e alcuni porfidi), sono in parte affini alle formazioni vulcaniche, prescelsero per esse una denominazione derivata da Plutone Dio infernale che aveva maggiore affinità con Vulcano, Dio del fuoco. […] « Tutti che lo veggiam, con faccia smorta « In fuga andiamo ove il timor ne caccia.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Come Dio della Poesia rappresentavasi Apollo con una corona di lauro, pianta a lui sacra ; e come Dio della Musica, con una cetra nelle mani, in atto di trarne suoni ; e generalmente questi due simboli si trovano riuniti nelle sue immagini sculte o dipinte, perchè le due arti sorelle non andavano anticamente disgiunte, come abbiam detto. […] Quindi si rappresentano con emblemi distintivi del loro speciale ufficio : Calliope con volto maestoso, cinta la fronte di una corona d’ellera, e in mano l’epica tromba. […] Erato con una corona di rose e di mirto, tenendo in una mano la lira e nell’altra il plettro. […] Terpsicore con vèsti corte e in atto di danzare, aveva inoltre la lira. […] All’opposto gli egregi poeti adorano e invocano le Muse con entusiasmo senza pari.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

che con le fiaccole e co’bronzi « E con lo scalpitar de’suoi ronzini, « I tuoni, i nembi, i folgori imitava, « Che imitar non si ponno. […] Son queste le sue parole : « D’ogni malizia ch’odio in cielo acquista « Ingiuria è il fine ; ed ogni fin cotale « O con forza o con frode altrui contrista. […] « A Dio, a sè, al prossimo si puone « Far forza ; dico in loro ed in lor cose, « Come udirai con aperta ragione. » Procede infatti con lo stesso metodo a render ragione delle diverse categorie di dannati che egli ha posti in tre diversi cerchi, gironi o bolge infernali sottoponendoli con giusta proporzione a pene diverse per qualità o intensità. Mirabile è poi in sommo grado, e al tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra che usura offende la divina bontade ; e perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno. […] Delle Danaidi fu dato il nome dagli Zoologi a certe farfalle che hanno nera la testa e il corpo con alcuni punti bianchi, e le ali di color di fulvo o biondo, contornate di nero e sparse esse pure di punti bianchi ; e dai Botanici si chiamò Danaide un genere di piante rampanti della famiglia delle rubiacee, con fiori rossi che spandono piacevole odore.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

I cavalli si chiamano con greci nomi Eoo, Piroo, Eto e Flegone, che significano orientale, focoso, ardente, fiammante, qualità caratteristiche, bene attribuite ai cavalli del Sole108). […] Questa zona del cielo fu detta con greco nome Zodiaco, cioè zona di animali, perchè le costellazioni che vi si trovano (meno una sola) hanno il nome di diversi esseri animati. […] Tutti i poeti fanno a gara a descriverla di bellezza maravigliosa e immortale, con le bianche e le vermiglie guance 111), colla fronte di rose e coi crin d’ oro. […] Discorrendo di nobiltà di sangue 112) con un vanerello par suo, cioè con Epafo figlio di Giove e della Ninfa lo, già vacca e poi Dea, si trovò impegnato per fanciullesco puntiglio a dimostrare ad Epafo ed al mondo che egli era figlio di Apollo col guidar per un giorno il carro della luce. […] Apollo fu celebrato ancora come infallibile arciero, ed ecco perchè rappresentasi spesso con l’arco e con gli strali ; e noi abbiamo veduto nel N° XIII che egli nella guerra dei Giganti non fu uno di quei Numi paurosi che fuggirono e si nascosero, ma costantemente aiutò il padre e i fratelli saettando i nemici.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

Con questo strano mito voleva significarsi che la Bellezza è figlia del Cielo, e che nel globo terraqueo manifestasi più che altrove sul mare. […] Giove così volle premiar Vulcano di averlo aiutato efficacemente nella battaglia di Flegra fabbricandogli i fulmini con cui atterrò e vinse i Giganti. […] Quando Vulcano sposò Venere le regalò un bel cinto, che elegantemente con voce greca e latina chiamasi il cèsto. […] Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre. […] Ma quando era considerata come moglie e madre, dipingevasi splendidamente vestita con aurei ornamenti e col cinto donatole da Vulcano.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

Con questo concetto e sotto questo punto di vista furono introdotti i Satiri nelle Belle-Arti, quando cioè si volle rappresentare qualche cosa di giocoso e di bizzarro. […] In pittura e in scultura neppur Sileno si rappresenta mezzo capro, ma con forme ordinarie d’uomo, e solamente vi si aggiunge qualche distintivo, come l’ellera, i corimbi, l’uva, i pampini, il tirso, ecc. […] Era rappresentato con un berretto frigio coi sonagli, un bastone ed una maschera in mano, distintivi significanti che egli con sfrenata licenza plebea e con modi da pazzo censurava tutti, pretendendo di smascherarne i vizii. […] I Romani ponevano la statua di Priapo nei loro orti o giardini, ma per far soltanto da spauracchio agli uccelli ; e a tal fine ed effetto nell’alto della testa gli piantarono una canna con stracci in balìa del vento. […] Con tali feste terminavano anticamente il loro anno i Romani ; e queste coincidevano in appresso con quelle della cacciata dei re24.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Sarebbe perciò troppo lungo discorso e monotono il parlar di tutti particolarmente ; ed io credo che invece basterà descriverne tre o quattro dei principali e più famosi, e passar leggermente sugli altri con qualche osservazione che sia ad essi comune. […] Il governo era aristocratico o più veramente oligarchico, dipendendo con assoluta autorità da cinque Sommi Sacerdoti, che eran chiamati i cinque Santi. […] Le più belle massime antiche morali e filosofiche eran credute responsi degli Oracoli ; e la più sapiente e mirabile di tutte, espressa con queste poche parole : conosci te stesso, leggevasi scritta sul pronao del tempio di Apollo in Delfo. […] Narra Erodoto che la Pizia terminò il suo responso con queste parole che in greco eran comprese in due versi : Divina Salamina, tu perderai i figli delle donne, o Cerere si disperda, oppure si unisca. […] Cicerone lo interpreta egregiamente con queste parole : « Quum igitur, Nosce te, dicit, hoc dicit : Nosce animum tuum.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

Scipione Africano partì dalla Sicilia andando con una flotta a fiaccare in Affrica la potenza cartaginese, fece dall’alto della nave una pubblica preghiera a tutti gli Dei e le Dee del mare, come lo stesso Tito Livio riferisce nella sua Storia, trascrivendo o componendo di suo le solenni frasi rituali. […] È rappresentata questa Dea come un’avvenente giovane con una reticella da capelli che le cinge la testa, – probabilmente a significare la pesca colla rete. Le si dà ancora un carro a conto suo, simile a quello di Nettuno, con un particolar corteo di Ninfe e di Tritoni. […] Ai naturalisti, per quanto pare, è molto piaciuto questo nome mitologico di Nereidi, poichè si trova che più e diversi di loro lo hanno assegnato (al solito con qualche aggettivo di specificazione) a molti generi e famiglie di Annelidi e simili animali marini. […] Proteo che si trasforma in tutti gli esseri, ossia corpi dei tre regni della Natura, rappresenta la materia che prende tutte le forme, la qual materia perciò con allusione mitologica elegantemente è chiamata proteiforme.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Ne seguì la guerra di Giove e fratelli contro lo zio ed i cugini con la sconfitta e l’esilio di questi. […] Giove rimase a combattere con due figli soltanto, cioè con Apollo e con Bacco ; e tutto al più con quattro, secondo altri poeti, e tra questi anche Dante, che vi aggiunge Marte e Minerva. […] Non troverà nulla da opporre neppure lo stesso sir Carlo Lyell, il principe dei geologi, con tutta la sua nuova teoria dei vulcani. […] Chiunque legge con attenzione e riflette su quel che ha letto, quntunque egli sia nuovo alle scienze, pure facendo uso soltanto del lume naturale della ragione, dirà a sè stesso o a qualche chimico : Ma dunque se dite che v’è lo zolfo nativo, parrebbe che vi dovesse essere anche lo zolfo non nativo, ossia procurato con mezzi artificiali per l’industria dell’uomo ! — Mai si, mai si, risponderà qualunque chimico ; lo zolfo nativo è quello derivato dai vulcani, come già sapete ; ma questo corpo elementare si trova in molte combinazioni con altre sostanze.

28. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-

.), deificazione ; cerimonia con la quale gli eroi, gl’ imperatori e i poeti eran collocati dopo morte fra i Numi. […] Il feciale tornava allora sul territorio nemico, e vi lanciava una picca insanguinata, intimando guerra con cerimonie religiose. […] Egli benediva gli eserciti ; e portava in capo una berretta fatta con la pelle di una pecora bianca, e con in cima un ramoscello d’ulivo legato con un nastro. […] Magia, fu l’ arte di fingere cose soprannaturali con l’ajuto di spiriti immaginari, con parole cabalistiche e cerimonie misteriose. […] Con la Negromanzia pretendevano di richiamare in vita i morti per consultarli intorno alle eose future.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

Questa invenzione è bella e sapiente, e consuona con la dottrina della Bibbia, ove dice che lo spirito di Dio abbandonò il re Saul disobbediente, e subito dopo lo invase lo spirito maligno che lo rese alternativamente malinconico e furibondo. […] Con tutti questi diversi emblemi s’intende facilmente che sta a simboleggiare il Tempo ; e secondariamente si vuol considerarlo come uno degli Dei dell’agricoltura, perchè la falce può significare egualmente che il tempo atterra ossia distrugge tutte le cose ; e indicare pur anco la principale operazione della mietitura. […] Davasi, come si dà tuttora, il nome di Saturno al più distante dei pianeti visibili ad occhio nudo37), e inoltre a quel giorno della settimana che noi con vocabolo derivato dall’ebraico chiamiamo sab ato. […] Giano era rappresentato con due faccie, e talvolta con quattro : con due, dicevano i pagani, per simboleggiare le due prerogative accordategli da Saturno, di prevedere il futuro e di non dimenticarsi del passato, ed anche come portinaio del cielo, affinchè potesse vedere e invigilare da per tutto senza bisogno di voltarsi. […] La statua di Giano con due faccie ponevasi nei bivii, e con quattro nei quadrivii (pei trivii o trebbii essendo riserbata quella di Ecate triforme, ossia con tre faccie).

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

E perciò si rappresenta come le vergini Tirie140, con veste corta che appena le giunge al ginocchio, i coturni sino alla metà della gamba, pendente alle spalle il turcasso cogli strali, in una mano l’arco e nell’altra un guinzaglio con cui trattiene un levriero che si volta a guardarla ; e perchè si distingua che questa cacciatrice è Diana, le si aggiunge sull’alto della fronte un aureo monile in forma di luna crescente. […] Discacciò dal suo coro di ninfe e cangiò in orsa la giovane Callisto (il cui nome significa bellissima), perchè si accorse che amoreggiava con Giove. La qual’orsa fu poi da Giove trasformata in una costellazione per impedire un matricidio, vale a dire che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, bravo cacciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sapendo che fosse sua madre, stava per trafiggerla con un dardo. […] Su questo terzo attributo son molto incerti e discordi fra loro i mitologi ; ed urta il senso comune e il buon gusto il sentire che confondessero l’argentea Luna e la svelta saettatrice Diana con la mostruosa Ecate. […] In tempi più civili si rappresentò Ecate con tre faccie, ma tutte di donna ; e questa triplice immagine ponevasi nei trivii, ond’ebbe ancora il nome di Trivia 143.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Il nome di Mercurio ha evidente relazione etimologica, tanto in latino quanto in italiano, con mercatura e con merce, e vien quindi a significare il Dio del Commercio. […] Talvolta era rappresentato Mercurio con una catena d’oro che gli usciva dalla bocca e pendevagli dalle labbra, a significare l’efficace e gradito potere dell’eloquenza ; e come a Dio della medesima gli si offrivano le lingue degli animali. […] Le ali di Mercurio non formavano parte del suo corpo come quelle degli uccelli, ma due eran fissate in un cappello da viaggio chiamato con greco nome il petaso (termine adottato in latino e in italiano) ; e ciascuna delle altre due in un paio di stivaletti o ghette che si chiamano con termine latino talari dal porsi ai talloni. […] Virgilio imitando Omero descrive con elegantissimi versi nel lib.  […] È una delle più eleganti e più svelte figure di Mercurio, perchè sta in atto di prendere il volo e riposa soltanto con l’estremità del piede sinistro in un piccolissimo punto d’appoggio.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

Ma comunque credessero formati gli Astri, non seppero immaginare come potessero muoversi in figure geometriche regolari e con matematica precisione, se un Ente soprannaturale non li dirigesse continuamente. […] Le Stelle poi vere e proprie stimaron che fossero incastonate e quasi inchiodate nella volta del Cielo, e perciò le chiamarono fisse ; e diedero l’ufficio ad Urano, e poi come sostituto anche a Giano, di far girare questa vôlta o callotta sferica celeste e con essa tutte le stelle. […] Il Sole era detto dai Greci anche Elios, e Dante lo rammenta più d’una volta con questo nome. Anzi Dante considerando forse che un simil vocabolo trovasi anche in Ebraico in significato di eccelso (poichè deriva da El, uno dei nomi ebraici di Dio), l’adoprò con questa doppia allusione per indicare l’ eccelso Sole, cioè Dio, quando nel C.  […] Altri mitologi invece raccontano che l’isola di Delo fu sollevata da Nettuno con un colpo di tridente dal fondo del mare ; e questo racconto pure si può spiegare con un fatto geologico, che cioè per la forza del fuoco centrale del nostro globo si sollevano le montagne sulla terra e le isole dal fondo del mare.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

La dignità e maestà di Giove era descritta dai poeti più grandi e più sommi con espressioni veramente sublimi. Virgilio imitando Omero dice che Giove con un cenno faceva tremar tutto l’Olimpo (Æneid., ix), e Orazio non lascia da aggiunger nulla di più affermando, che facea muover tutto a un balenar di ciglio (Od., iii, 1). Rappresentavasi con molta maestà seduto in trono, coi fulmini nella destra, lo scettro sormontato dalla statua della dea Vittoria nella sinistra, e ai piedi l’aquila ministra del fulmine, vale a dire che gli portava i fulmini dalla fucina di Vulcano. […] Parlando il Vico di questa Catena nel libro secondo de’ suoi Principii di Scienza Nuova, riferisce che in essa Dionigi Longino ammirava la maggior sublimità di tutte le favole omeriche ; e quindi aggiunge le seguenti osservazioni : « La qual Catena se gli Stoici vogliono che significhi la serie eterna delle cagioni, con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il Mondo, vedano che essi non vi restino avvolti ; perchè lo strascinamento degli uomini e degli Dei con sì fatta Catena egli pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto al Fato. Si fatta Autorità divina portò di seguito l’ Autorità umana con tutta la sua eleganza filosofica di proprietà di umana natura, che non può esser tolta all’uomo nemmen da Dio, senza distruggerlo. »

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti dai loro littori prendevano possesso dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. […] Deor. ci dice che la rappresentavano con una pelle di capra sulle spalle, con un’asta e un piccolo scudo e i calzari rovesciati ; ma che questa non era nè la Giunone Argiva, nè la Giunone Romana. […] Si tenevano tutti custoditi con molta cura, e solo una volta all’anno nel mese di marzo i sacerdoti del Dio Marte li portavano per le vie della città cantando e saltando secondo il rito. […] Peraltro i moderni Filologi che rivaleggiano coi Paleontologi a ricostruire con frammenti fossilizzati gli esseri preistorici, si sono impossessati di questo vocabolo Summanus, e raccogliendo qualche altra indicazione che si trova di questo Dio e in Varrone e in Festo e negli Acta fr. […] Non ha fatto dunque il Preller una nuova scoperta, ma soltanto ha dimostrato con qualche altro documento esser la più vera l’asserzione di Plinio168.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Questo Dio è rappresentato in pittura e in scultura come un uomo robusto e con folta barba, ma non però tanto brutto quanto dicono i poeti ; e il difetto di essere zoppo da un piede è appena accennato. […] « Ed una allor n’avean parte polita, « Parte abbozzata, con tre raggi attorti « Di grandinoso nembo, tre di nube « Pregna di pioggia, tre d’acceso foco, « E tre di vento impetuoso e fiero. […] Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ? […] A spiegar la favola dell’unico occhio fu detto che i Ciclopi eran soliti di portare in guerra una visiera con un sol foro circolare in direzione degli occhi, uso inventato dai tre aiutanti di Vulcano per ripararsi la faccia nel lavorare i metalli incandescenti. […] Automa è voce composta di due parole greche che significano spontaneo movimento, o come direbbesi anche più precisamente con vocabolo derivato dal latino : semovente.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

………………………… « Non v’è forse sistema di teologia presso gli antichi, sia che si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Romani, che non ammetta il dualismo del principio benefico e del principio maligno. » Vien poi a concludere giustamente che con questo sistema si libera l’uomo da ogni responsabilità, sottomettendolo al cieco destino. […] Così nella colonna Traiana si vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano al di sopra del carro di Diana ; e perciò non è possibile crederlo un Angelo. […] Per altro i Genii delle persone con caratteri e distintivi pagani furono ammessi anche nell’arte cristiana, e si vedono per lo più nei monumenti sepolcrali in atto mesto e colla face rovesciata o spenta, simbolo di morte. […] Finalmente il Giusti usò, benchè ironicamente, la parola Genii a significare scrittori di ingegno straordinario : « Con che forza si campa, « In quelle parti là ! […] Quindi egregiamente l’illustre Tommaseo nel suo celebre Dizionario dei Sinonimi determina il significato del vocabolo Genio con queste parole : « Genio, nel senso moderno, è la forza dell’ingegno che crea : la forza dell’animo motrice di grandi azioni. » 273.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

I cacciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità che quella acquistata con questa trista fine ; ma, come dice un moderno poeta : « Trar l’immortalità dalla sua morte « È una sorte meschina, o non è sorte. » Dopo altre vicende che poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la gloria di atterrare quell’immane belva ; e il diritto che egli avea di prender per sè il teschio e la pelle del cinghiale lo cedè ad Atalanta. Ciò dispiacque ai suoi zii, mal tollerando che una donna con tal distintivo di onore potesse vantarsi di essere stata più valente degli uomini ; e volevano toglierle quell’insigne trofeo62. […] Ma la scena termina con una favola di nuovo genere, invenzione che Dante stesso rammenta nella Divina Commedia. […] Dopo aver narrato che i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame canina resa più acuta dal vedersi dinanzi agli occhi, come Tantalo nell’ Inferno pagano, i pomi e l’acqua senza poterne gustare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime, che « Negli occhi era ciascuna oscura e cava, « Pallida nella faccia e tanto scema « Che dall’ossa la pelle s’informava, cominciò a pensare « Alla cagione ancor non manifesta « Di lor magrezza e di lor trista squama ; » e non potendo trovarla da sè, finalmente, fattosi coraggio, domandò a Virgilio : « ……Come si può far magro « Là dove l’uopo di nutrir non tocca ? » E Virgilio a lui : « Se t’ammentassi come Meleagro « Si consumò al consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a te sì agro. » Ma accorgendosi Virgilio che con questo esempio pretendeva di spiegare un mistero con un altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico : « E se pensassi come al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostra image, « Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. » E per quanto anche il poeta Stazio, a richiesta di Virgilio, gli desse bellissime spiegazioni scientifiche sulla generazione dell’uomo, sull’unione dell’anima col corpo e lo stato di essa dopo la morte, nulladimeno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta che Virgilio gli disse : « A sofferir tormenti e caldi e geli « Simili corpi la Virtù dispone « Che come sia non vuol che a noi si sveli. » E così con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere che spesso s’incontrano nelle umane cognizioni misteri inesplicabili.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

L’adoravano ancora e le facevano splendidissime feste sotto il nome di Tesmòfora, cioè legislatrice, sapientemente considerando quel che anche oggidì ammettono tutti i pubblicisti e gli storici filosofi, che gli uomini solivaghi e nomadi, pescatori e cacciatori conduc endo una vita errante e senza dimora fissa, mal potevano assoggettarsi al consorzio sociale e vincolarsi con leggi ; e che solo allorquando per mezzo dell’agricoltura si fissarono su quei terreni che avevano coltivati, potè cominciare la civil società retta dal Governo e dalle leggi. […] Raccontano i mitologi che Proserpina come dea di secondo ordine stava sulla terra e precisamente in Sicilia con diverse ninfe sue compagne od ancelle ; che mentre essa coglieva fiori alle falde del monte Etna fu rapita da Plutone Dio dell’inferno, per farla sua sposa e regina de’ sotterranei regni ; che questo ratto fu eseguito con tal prestezza che neppur le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e non poteron dire alla madre che fosse avvenuto della perduta Proserpina. […] Per maggior distinzione fu rappresentata ancora talvolta con una doppia fila di mammelle, per cui le si dava il titolo di Mammosa. Non è però possibile scambiarla o confonderla con altre Dee, quando si vede rappresentata in un carro tirato da serpenti alati, o vogliam dire draghi volanti, ed avente in mano una o due faci accese : si riconosce subito Cerere che va in cerca della smarrita Proserpina. […] Forse la somiglianza del nome, che in latino è omonimo con quello di questo piccolo rettile, diè motivo ad inventare una tal trasformazione.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

Risparmierò al cortese lettore altre simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in principio, i distintivi che gli si davano perchè non si confondesse con altre inferiori divinità di forme presso a poco così graziose come quella di lui. […] E il Dio Pane gareggiando con Apollo ad onorare in quella pianta la prediletta Ninfa, formò di sette canne di diversa lunghezza, unite fra loro colla cera, un musicale stromento, che in greco chiamavasi col nome stesso della Ninfa, cangiata in canna, cioè Siringa, in latino fistula e in italiano sampogna 11. […] Il matrimonio del Dio Pane con questa Ninfa sembra significare che solo ai detti suoi l’Eco rispose. […] Anche Cicerone nelle sue Opere usa almeno due volte, per quanto mi ricordi, l’aggettivo pànico riferito a timore o romore, ma lo scrive con lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo credeva un neologismo che non avesse ancora acquistato la cittadinanza romana. […] E per non chiudere il capitolo con queste quisquilie filologiche, terminerò esponendo una solenne osservazione filosofica del celebre Bacone da Verulamio sul timor pànico.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

S’intende facilmente che l’oro col quale furon comprate le guardie da un ricco principe aprì le porte della torre di bronzo, per la stessa ragione che fece dire a Filippo padre di Alessandro Magno non esservi fortezza inespugnabile alla quale potesse accostarsi un asinello con una soma d’oro48. Acrisio prese allora un’altra mezza misura : fece chiuder la madre e il figlio in una cassa di legno e gettarli nel mare ; ma e figlio e madre illesi, dopo varii pericoli che poco importa il descrivere, furon trasportati con tutta la cassa nell’isola di Serifo (una delle Cicladi nel mare Egeo), e ospitalmente accolti dal re Polidette. […] Con questi due potentissimi aiuti, il Pegaso e il teschio di Medusa, divenne Perseo il più formidabile eroe dell’antichità, perchè egli solo più di qualunque esercito fornito di qualsivoglia arme più micidiale e diabolica valeva per velocità e potenza di mezzi di distruzione delle umane esistenze. […] Questa mirabile liberazione di Andromeda fu espressa da Benvenuto Cellini nel bassorilievo di bronzo fuso che vedesi nella base del Perseo ; ma l’eroe vi è rappresentato volante col petaso e i talari di Mercurio e non sul caval Pegaso ; con la scimitarra nella destra, e senza la testa di Medusa nell’altra mano. […] Le feste per le nozze di Perseo con Andromeda furono disturbate negli ultimi giorni da una improvvisa invasione delle truppe del re Fineo, a cui Andromeda era stata promessa in isposa, ma che però non si era mosso per liberarla dal mostro marino, e quindi avea perduto qualunque titolo ad ottenerla.

41. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Indice alfabettico. » pp. -424

Ajace, eroe greco, figlio di Telamone, 561 ; — sue gesta all’assedio di Troja, 563 ; — contesa con Ulisse, 564 ; — sua morte, 565. […] Sue avventure con Ulisse, 577, 578. […] Enea, figlio d’Anchise e di Venere, 608 ; — fuggendo da Troja perde Creusa sua moglie, 609 ; — suoi amori con Didone, 610 ; — suo stabilimento in Italia, 614. […] Sua nascita, 597 ; — giudizio della bellezza, 600 ; — rapisce Elena, 601 ; — combatte con Menelao, 602 : — è ucciso con una freccia d’Ercole, 603. […] Titano, 30 ; — sue avventure con Giove, 30, 31 ; — si rifugia in Italia, 32 ; — ricompensa Giano, 33 ; — suo regno in Italia, detto Età dell’oro, 34 ; — feste in onor suo, 38 ; — come vien rappresentato, 39.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Prometeo col favore di quegli Dei che eran più amanti e protettori dell’ingegno e delle arti, rapì dal Cielo, o come altri dicono, dal carro del Sole, una divina scintilla di fuoco, e con essa animò le sue statue, e le fece divenire uomini viventi e parlanti. […] Parve esorbitante e tirannico questo supplizio agli stessi Dei, che inoltre rimasero indispettiti delle pretese di Giove di arrogarsi per sè solo la facoltà di creare gli uomini ; ma invece di protestare con parole o con dimostrazioni clamorose, asserirono il loro diritto, esercitandolo di fatto e creando una donna fornita di tutte le più rare doti di corpo e di spirito, la quale chiamarono Pandora, che in greco significa tutto dono, perchè tutti avevano contribuito a darle qualche particolar pregio. Giove finse di non sdegnarsene, anzi disse di voler farle un dono anch’egli, e le diede un vaso chiuso con ordine di portarlo ad Epimeteo perchè l’aprisse. […] Anzi nella modernissima scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il Sole che n’ è fisicamente la causa prima), produce il lavoro meccanico delle macchine a vapore e dà la forza anche alle braccia degli uomini. — Felice chi potè conoscer le cause delle cose 84), diceva Virgilio ; e in oggi spingendosi le scienze sempre più arditamente e con prospero successo a far mirabili conquiste nelle regioni del vero, posson chiamarsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle ! […] Peggio poi che bestiale non che disumana fu la condotta di questo Dio nel precipitar dal Cielo in Terra con un calcio Vulcano figlio suo e di Giunone, non per altro motivo se non perchè gli parve brutto e deforme : per la qual caduta il misero Vulcano ebbe di più la disgrazia di rimaner perpetuamante zoppo, e di esser perciò il ludibrio di quelle stravaganti Divinità del Paganesimo, come vedremo a suo luogo.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Il fiume Acheloo fu battagliero quanto Rodomonte, e osò venir tre volte a singolar tenzone con Ercole per ottenere a preferenza di lui Deianira in isposa. […] Omero ci racconta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi che Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta, suo fratello, di annegar quell’Eroe nelle loro acque ; ed avrebbe ottenuto l’intento, se non accorreva Vulcano con una gran fiamma a vaporizzarle. E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero. […] corri « Veloce in mio soccorso, apri le fonti, « Tutti gonfia i tuoi rivi, e con superbe « Onde t’innalza, e tronchi aduna e sassi, « E con fracasso ruotali nel petto « Di questo immane guastator, che tenta « Uguagliarsi agli Dei. […] « Disse, ed alto insorgendo, e d’atre spume « Ribollendo e di sangue e corpi estinti, « Con tempesta piombò sopra il Pelide.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

Aggiungono dunque i mitologi che Giove per tre mesi sentì un gran dolor di testa, e non potendo più a lungo tollerarlo, mandò a chiamare Prometeo, o secondo altri, lo stesso Vulcano suo figlio, per farsi spaccare con un ferro tagliente il cranio ; e ne uscì Atena, ossia Minerva. […] Tutti i migliori poeti delle più culte nazioni hanno accolta gradevolmente questa invenzione e riprodotta a gara con splendide forme. […] Minerva rappresentavasi con volto serio e maestoso, e quasi sempre armata, coll’elmo in testa, nella sinistra lo scudo detto l’egida e nella destra un’asta ; e ai piedi una civetta o un gufo, animale a lei sacro. Secondo alcuni poeti l’egida era un’armatura del petto con la figura della mostruosa testa anguicrinita di Medusa ; e secondo altri questa orribile figura era sculta nello scudo per opera di Vulcano. […] Qui però dobbiamo riportare un racconto mitologico, che non si collega con quegli altri importanti e celebri avvenimenti.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Il padre di lei non sapendo che ne fosse avvenuto, mandò il figlio Cadmo a cercarla, con ordine di non tornare a casa finchè non avesse trovato la sorella. […] Allora per vendicare la morte dei compagni rischiò la propria vita combattendo con quel drago che era sacro a Marte, e con sforzi prodigiosi lo uccise. […] Da quella strana sementa vide Cadmo con sua gran maraviglia uscir poco dopo una quantità di uomini armati che si misero subito a combattere fra loro, finchè i più rimasero estinti, e i soli cinque sopravvissuti lo aiutarono a fabbricare la città. […] Ma Orazio nella poetica avverte che non si debbono dare tali spettacoli, che riescono sconvenevoli nel teatro, perchè, sottoposti all’occhio fedele, divengono risibili59 ; mentre, come osserva il Tasso, convenevolmente son narrati dai poeti antichi e moderni, e son letti volentieri e con maraviglia nell’epopea. […] Diremo per lo meno che qui è davvero applicabile la massima attribuita da Fedro a Giove : « Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. » Non è per verità molto utile neppure il conoscere quali furono le lettere inventate da Palamede, e quelle aggiunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’ al più può essere una curiosità letteraria il sapere questa opinione degli Antichi : ma fu una vera pedanteria e ridicolezza il pretendere di distruggere il vocabolo alfabeto adottato nella lingua latina e in tutte le più colte lingue moderne, con tutti i suoi derivati e composti (alfabetico, alfabetare, analfabeta ecc.) per sostituirvene un altro di nuova formazione o etimologia.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

Racconta lo stesso Tito Livio che i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai Greci vennero in Italia seguendo il loro Duce Enea principe troiano, creduto figlio di Venere e di Anchise ; che Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lunga ; che dalla dinastia dei re Albani discesi in linea retta da Enea, nacque il fondatore di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. […] Lo stromento sacro per le cerimonie religiose era il sistro, formato di una larga lamina di metallo piegata in figura ellittica, nella quale inserivansi diverse bacchette mobili parimente di metallo ; e se ne traeva un suono musicale con studiati e regolari colpi e movimenti. […] I sacerdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di che facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tutto il popolo ; ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano che si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo ne faceva maravigliosa festa. Con queste stravaganti cerimonie volevasi alludere alla favola o tradizione Egizia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello Osiride ; e che questi poi fosse trasformato in bove. Aggiungono inoltre che Iside insieme con suo figlio Oro uccidesse Tifone in battaglia.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Erano meno assurdi i romanzieri del Medio Evo, che avendo inventato le Fate con potenza soprannaturale benchè limitata, credevano che non morissero mai : « Morir non puote alcuna fata mai, » disse l’Ariosto, che di Fate se ne intendeva. […] Alcuni Mitologi dicono che anche la Ninfa Amaltea fosse cangiata insieme con la sua capra in quella costellazione25. […] Dante allude più d’una volta a questa favola, come, per esempio, nel Canto xxx dell’Inferno, ove un dannato dice ad un altro : « Che s’io ho sete, e umor mi rinfarcia, « Tu hai l’arsura e ‘l capo che ti duole, « E per leccar lo specchio di Narcisso (cioè l’acqua) « Non vorresti a invitar molte parole. » E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate che egli vide nel globo lunare, dice che gli eran sembrate immagini riflesse dall’ acque nitide e tranquille, anzi che esseri di per sè esistenti, conchiudendo con la seguente osservazione tratta dalla favola di Narciso : « Perch’io dentro l’error contrario corsi « A quel che accese amor tra l’uomo e ‘l fonte ; » cioè tra Narciso e l’immagine sua reflessa dall’acqua. […] Gli Zoologi nello studiarsi d’indicare con nomi diversi le successive metamorfosi di certe specie di animali, e principalmente degli insetti, presero dalla Mitologia il vocabolo di ninfa per significare l’insetto nello stato intermedio fra quello di larva e lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso che le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità, ma in una condizione media fra quella degli uomini e quella degli Dei supremi. […] Questa costellazione, invece di esser chiamata la Capra, è detta il Capricorno ; la qual parola composta starebbe a significare il corno della capra, o la capra con un corno, per alludere alla favola, che alla capra nutrice di Giove essendosi rotto un corno, Giove ne fece un regalo alle Ninfe che ebbero cura della sua infanzia, attribuendo al medesimo il mirabil prodigio di versar dalla sua cavità qualunque oggetto desiderato dalla persona che lo possedeva.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-

Il mar, la terra, e ‘l cielo « Lacerati da lor, confusi e sparsi « Con essi andrian per lo gran vano a volo. « Ma la possa maggior del padre eterno « Provvide a tanto mal ; serragli e tenebre « D’abissi e di caverne e moli e monti « Lor sopra impose ; ed a re tale il freno « Ne diè, ch’ei ne potesse or questi or quegli « Con certa legge o rattenere o spingere. […] « Tutto il palagio, finchè il giorno splende, « Spira fragranze, e d’armonie risuona ; « Poi, caduta sull’isola la notte, « Chiudono al sonno le bramose ciglia « In traforati e attappezzati letti « Con le donne pudiche i fidi sposi. » Alcuni Mitologi dissero che Eolo era figlio di Giove e di Segesta figlia d’Ippota troiano ; e che i Venti fossero figli di Astreo, uno dei Titani, e dell’Aurora ; e quelle loro genealogie furono accolte dai più. […] Quand’egli dice nel Canto xi dell’Inferno, « Che i Pesci guizzan su per l’orizzonta « E’l Carro tutto sovra’l Coro giace, » accenna con precisione astronomica che eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo che aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora che egli voleva significare appariva la costellazione dei Pesci sulorizzonte, e inoltre la costellazione del Carro, ossia dell’Orsa maggiore giaceva tutta sovra’l Coro, cioè fra settentrione ed occidente, ossia presso a poco a ponente-maestro o nord-ovest, come ora direbbesi. […] E finalmente terminerò col rammentare che Dante non ha dimenticato d’introdurre nella Divina Commedia anche un cenno della favola di Eolo re dei Venti, secondo ciò che ne scrive il suo maestro Virgilio nei versi da noi citati in principio di questo Numero, poichè invece di dire prosaicamente che soffia o spira il vento di Scirocco, orna ed abbellisce il suo concetto con questa perifrasi mitologica : « Quand’Eolo Scirocco fuor discioglie. » 40.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

È questa una campagna « Con un aer più largo, e con la terra « Che d’un lume di porpora è vestita, « Ed ha ’l suo sole e le sue stelle anch’ella »236. […] Oltre i quattro fiumi dell’Inferno Pagano, cioè l’Acheronte, lo Stige, il Flegetonte e il Cocìto si trovano nell’ Inferno di Dante cascate d’acqua, paludi, pantani, un gran lago gelato, argini, ponti, torri, un castello « Sette volte cerchiato d’alte mura, « Difeso intorno da un bel fiumicello, » e finalmente, tralasciando ogni altra singolarità, la città di Dite, ossia del fuoco con mura ferruginose, e dentro, invece di case, cassoni di ferro rovente, pieni di dannati. […] Con una periferia di 21,600 miglia geografiche pari a 40,000 chilometri, e per conseguenza con una superficie di più di 500 milioni di chilometri quadri ed una capacità per più di 3000 milioni di chilometri cubi, vi possono star comodamente non solo migliaia, ma anche milioni di materie e di sostanze diverse, solide, liquide e aeriformi.

50. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

Quivi fu calunniato malignamente dalla regina Stenobea ; e Preto per le accuse della perfida moglie (volendo per altro schivare l’odiosità di farlo morire egli stesso senza apparente motivo), lo mandò da suo suocero Iobate re di Licia, con una lettera chiusa, che consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli che era una commendatizia, mentre invece conteneva la commissione di far morire il latore di quella. […] Gli Dei protettori dell’innocenza perseguitata favorirono quell’Eroe, sottoponendo ai suoi servigi il caval Pegaso posseduto prima da Perseo ; e con tale efficacissimo aiuto egli potè velocemente schermirsi da qualunque pericolo e vincere ed uccidere la Chimera. […] È lunga circa un metro e di color giallastro con macchie nere. […] Quindi è che i Latini chiamavano con perifrasi mitologica Bellorophonteus morbus l’ipocondria, che altrimenti direbbesi ægritudo.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

LXVII L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii I Greci ed i Romani politeisti, oltre all’aver deificato tutti i fenomeni fisici e morali, come abbiam detto, attribuirono a queste Divinità pregi e difetti, virtù e vizii come agli esseri umani ; quindi vi furono divinità benefiche e divinità malefiche, come vi sono uomini buoni e malvagi ; ed anche le migliori divinità ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ottenuto, si unì con Giunone a perseguitare per dispetto Paride ed i Troiani. […] Quegli antichi Romani per altro che tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù gli stessi Padri della Chiesa, non conobbero le assurdità della greca fantasia ; e gli antichi precetti religiosi riportati da Cicerone con antico stile nel libro ii delle Leggi, sono ben lontani dalle aberrazioni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo della repubblica, che studiarono e imitarono la greca mitologia. […] Questa facoltà poetica di rappresentare con descrizioni o con immagini sculte o dipinte qualunque virtù, qualunque vizio, qualunque idea astratta non è già spenta negli uomini dei nostri tempi ; anzi vedesi sempre rinnuovata non solo nelle moderne poesie, ma pur anco nei monumenti ove le Virtù civili e militari, ed anche le religiose, sono rappresentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici che ne suggeriscono il significato ed il nome, senza bisogno di scriverlo sulla base delle medesime o in qualche parte delle loro vesti o dei loro ornamenti.

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Onde che con questo sistema (adottato dai Turchi come principio religioso), si veniva a toglier dal mondo la moralità e l’imputabilità delle azioni. […] E altrove trattando lo stesso argomento aveva detto con non minore eloquenza : « Color che ragionando andaro al fondo, « S’accorser d’esta innata libertate, « Però moralità lasciaro al mondo. […] Rappresentavasi come una donna stante in equilibrio con un sol piede sopra una ruota o un globo, per indicare la facile sua mutabilità. […] Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani « Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni della Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mortali.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

Scendendo ora a parlare dei principali Eroi, e Semidei e Indigeti di quest’epoca, convien prima di tutto determinare l’estensione, o vogliam dire la durata dell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca. » Volendo poi determinare cronologicamente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso della distruzione di Troia, poichè si trova in taluni Autori la differenza di più di un secolo ; ma seguendo la Cronologia greca più accreditata colle modificazioni di Petit-Radel nel suo Examen critique, troveremo almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia. […] Prima di por termine a questo Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria, anche una lunghissima vita a tutti gli Eroi, non devesi calcolare la loro media e la loro probabile esistenza secondo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti.

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Questa triplice distinzione richiama al pensiero l’ipotesi dei geologi e degli astronomi moderni sull’origine della Terra, che cioè essendo essa in principio una massa di materia incandescente, o in fusione ignea, non era atta alla produzione e conservazione dei vegetabili e degli animali ; che in appresso, in centinaia di secoli, a poco a poco raffreddandosi aveva formato la solida crosta del globo terrestre con tutti i diversi suoi strati ; e gradatamente prodotto tutti gli oggetti dei tre regni della Natura nelle diverse e successive epoche geologiche. […] Con questo nome di Rhea la rammenta anche Dante nel Canto xiv dell’ Inferno, ov’egli parla dell’isola di Creta e del monte Ida : « Rhea la scelse già per cuna fida « Del suo figliuolo, e per celarlo meglio, « Quando piangea, vi facea far le grida ; » alludendo evidentemente alla favola già da noi raccontata dell’infanzia di Giove e de’suoi fratelli. […] Fu rappresentata come una matrona con lunga veste ornata di piante e di animali ; in capo aveva una corona turrita, ossia in forma di torri ; presso di sè un disco ossia tamburo ed un leone ; e spesso le si dava ancora un carro tirato da due leoni. […] Eran detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44, che li faceva divenire furibondi ; nel quale stato di concitazione o di orgasmo urlavano, battevano gli scudi e i tamburi, e si percuotevano fra loro con armi taglienti sino a ferirsi e mutilarsi.

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Ebe oltre ad esser la dea della gioventù, mesceva il nettare agli Dei, quando erano a convito con Giove ; perciò si rappresenta come una giovanetta ingenua e gentile con un’idria in mano ed in atto di mescer da quella la celeste bevanda. […] Mercurio però col canto, col suono e con un soporifero fece completamente addormentare Argo, gli chiuse tutti i cento occhi, e poi gli tagliò la testa e liberò la vacca. […] Perciò la dea Iride dal nome del padre è detta poeticamente Taumanzia ; e lo stesso Alighieri con frase mitologica chiama figlia di Taumante l’Iride, ossia l’arcobaleno, allorchè nel Purgatorio (C. 

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

Solamente dopo la proditoria uccisione di Giulio Cesare, il desiderio di sì cara esistenza, a cui era dovuta la prostrazione del partito aristocratico e inoltre tanti vantaggi a favore del popolo, fece nascere ed accoglier con entusiasmo l’idea di venerarlo qual Nume. Ma spenta con Marco Bruto la libertà e perduta affatto anche l’ombra di essa sotto Tiberio, le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici non furono altro che solennità comandate dal Principe e servilmente festeggiate dal popolo, come abbiam detto di sopra ; e nel frasario stesso degl’Imperanti l’esser trasformati in Dei significava morire. […] Intanto si ergeva nel Campo Marzio un grandioso rogo di legni intagliati in forma di edifizio a quattro o cinque piani, sull’ultimo dei quali ponevasi un carro dorato con la statua dell’Imperatore.

57. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

In greco, chaos significa confusione, e si riferisce perciò principalmente alla confusa massa di tutta quanta la materia bruta ed informe, supposta esistente nello spazio prima che con essa fosse plasmato il mondo ; e in questo significato si adopra quella parola anche dai nostri poeti. […] Ma intanto è notabile la spiritosa invenzione della sposa del Caos, la quale ora chiamerebbesi con termine dantesco la Tenebra anzichè la Notte5, poichè questa suppone l’esistenza del giorno, e giorno vero e proprio, ossia presenza del sole sull’orizzonte, esser non vi poteva, finchè gli elementi eran confusi e misti. […] Dante più degli altri poeti ci rivela un simil concetto in tutta la Divina Commedia con un sistema parallelo di confronti tratti alternativamente dalla Teologia e dalla Mitologia, dalle Storie sacre e dalle profane.

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

Sappiamo poi dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del Cristianesimo (i quali studiavano con gran premura ed attenzione la Mitologia per dimostrare le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità che non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2, che posteriormente furon perduti o distrutti nelle successive invasioni dei Barbari. […] Anche Dante confrontando, nel Canto xix dell’Inferno, il numero degli Dei degl’ Idolatri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando che questi Dei son cento volte più numerosi di quelli, accetta per lo meno il computo di Varrone, poichè così rimprovera i Simoniaci stessi5 : « Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ; « E che altro è da voi all’ Idolatre6 « Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vulgus, e da spacciarsi in massa, (o come taluni dicono in blocco) e con poche e generali considerazioni sul loro comune appellativo, procediamo senza spaventarci ad osservare anche altre fantasmagorie preistoriche dei nostri più remoti Antenati.

59. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

Questa trasformazione è fondata sopra due somiglianze, quella cioè del nome di Licaone che deriva dal greco licos che significa lupo, e l’altra degl’istinti feroci di questo animale con quelli di quel re bestiale, primo modello dei più efferati tiranni. […] E poichè il tentarne la prova a nulla nuoceva, vi si provarono ; e poco dopo videro con maraviglia che le pietre scagliate dietro di sè da Pirra erano divenute donne e quelle di Deucalione uomini. […] In tal modo ben presto con molte coppie di coniugi fu ripopolato il mondo.

60. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

Perciò i Greci, che nelle loro celebri guerre contro lo straniero invasore opraron molto co senno e con la mano, e vinsero aiutando l’eroico valore colla strategia e cogli strattagemmi di guerra, preferivano il culto di Minerva a quello di Marte ; e lasciarono che lo adorassero, devotamente i Traci, i quali, come dice Orazio, avevano il barbaro costume di terminar con risse e pugne anche i conviti. […] Rappresentavasi Marte tutto armato, e con aspetto fiero ; ma talvolta anche nudo ; specialmente nelle statue di marmo e di bronzo (chè il nudo è il campo della statuaria), però sempre almeno coll’elmo in testa e coll’asta nella destra.

61. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Avvertimento. » pp. 1-2

» — Il racconto non interrotto, dicono gli Autori di questo Corso, offre all’ alunno una lettura più gradevole e più istruttiva, mentre la divisione in paragrafi somministra le dimande più opportune, e risparmia le ripetizioni, additando al lettore con un semplice numerò tra due () i particolari dei fatti già narrati nei paragrafi antecedenti o nei successivi. — » « Volendo noi pubblicare un Corso di Mitologia pei giovinetti, abbbiamo stimato dover preferire questo a molti altri, in grazia della sperimentata bontà del metodo. […] Bensì abbiamo avuto cura, per ciò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune interpretazioni che non ci parvero troppo superiori all’ intelligenza comune. » Ora, per aderire alle ricerche che ne vengono fatte, ristampiamo il Corso di Mitologia, riveduto e migliorato con aggiunte del traduttore, ed ornato di stampe fatte da valenti artisti, utilissime a dar meglio a conoscere le cose descritte, pregevoli perchè ricavate dai celebri monumenti dell’arte antica.

62. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30

Ma Titano si accorse della frode e della violazione dei patti, e insiem co’ suoi figli mosse guerra a Saturno, lo detronizzò e lo chiuse con Cibele in una oscura prigione. Quando Giove fu adulto, coll’aiuto de’ suoi fratelli Nettuno e Plutone fece guerra allo zio Titano, lo vinse e lo cacciò dal trono e dalle celesti regioni con tutta la famiglia dei Titani ; liberò di carcere i suoi genitori, ma prese per sè il regno del Cielo e diede ai fratelli i regni del Mare e dell’ Inferno.

63. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Ma le opinioni e le scoperte dei dotti antichi eran tenute nascoste al volgo, e costituivano la scienza segreta, colla quale cercavano d’imporre rispetto alle moltitudini e di tenerle soggette ; e con false immagini e miracolose, quanto più strane e tanto più credute dagl’ignoranti, li pascevano di vane illusioni e li dominavano, « Forse con intenzion casta e benigna, » per rimuoverli dalla vita selvaggia e vincolarli in un più umano consorzio.

64. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Il tempio era piccolo e di figura circolare o vogliam dire cilindrica, con colonne esterne che sostenevano il tetto o la vôlta. […] Al secondo modo era simile la pena detta della propaginazione, che davasi nel Medio Evo agli assassini, seppellendoli vivi in una fossa cilindrica, stretta e profonda : alla qual pena allude Dante con una celebre similitudine nel descriver la terza bolgia dell’ Inferno, nella quale son puniti i Simoniaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte cessa, » e in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco al perfido assassino.

65. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9

Tali favole o miracolose supposizioni di cui son piene tutte le antiche istorie, specialmente nelle loro origini, non esclusa quella di Roma, furon dette con greco vocabolo miti ; quindi Mitologia significa etimologicamente racconto dei miti, ossia delle favole delle antiche religioni dei Politeisti o Idolatri. […] E poichè oggidì è riconosciuto e voluto, più che dai programmi governativi, dalla sana opinione pubblica, che non debbano andar disgiunti gli stùdii letterarii dagli scientifici, nè questi da quelli, confido che il mio tentativo di farne conoscere le molteplici relazioni con lo studio della Mitologia non debba essere stimato affatto privo di pratica utilità.

66. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

A chiunque studia con attenzione la Mitologia deve certamente recar maraviglia che la Natura non sia considerata tra le divinità di prim’ordine. […] I moderni, dopo l’invenzione del telescopio, scoprirono molti altri pianeti, e ai primi e principali da loro scoperti diedero il nome degli altri Dei superiori, esclusi soltanto l’Orco, ossia Plutone, Bacco e il Genio ; e poi ricorsero anche ai nomi delle divinità secondarie o inferiori ; e ora a quei pianeti che scuoprono di mano in mano quasi tutti gli anni, e qualche volta più d’uno all’ anno, attribuiscono un nome pur che sia ; e qualcuno dei più celebri scienziati, a preghiera dell’ astronomo scopritore, propone il nome da darsi al neo-scoperto pianeta ; il qual nome è subito comunicato a tutto l’orbe scientifico che lo registra premurosamente in tutti i suoi periodici e in tutte le carte uranografiche coi connotati caratteristici e distintivi, ossia con tutti quegli elementi astronomici che furono sino allora osservati e calcolati.

67. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Indice alfabetico » pp. 516-

I termini derivati son distinti con caratteri italici, e posti subito dopo quei nomi da cui derivano. […] Archèmore 335 Argeste 299 Argìa 397, 399 Argo (con 100 occhi) 81 Argo (nave) 332, 342 Argonauti 341 e seg.

68. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — I. La Cosmogonia mitologica » p. 10

Ma perchè non pochi dei miti, o simboli religiosi dei greci e dei romani politeisti furono espressi con splendide e bellissime immagini e in uno stile impareggiabile dai loro più sublimi poeti, e in appresso accolti e adottati nel linguaggio poetico degl’italiani, nasce quindi il bisogno di conoscerli ed illustrarli, e, quando è possibile, decifrarli.

69. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -

Fece anche di più : voile proporre spontaneamente l’anno scorso la stampa di questa Mitologia ad un editore milanese con una sua lettera, che egli, abbondando meco di cortesia, mi mandò perchè la leggessi e la spedissi io stesso ; e tra le altre benevole e squisite espressioni mi scriveva : Vegga se questa lettera che io scriverei, possa correre.

70. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

Passata quest’epoca, che è la più poetica e che ha dato origine e materia ai più celebri poemi epici, si continua la personificazione di nuove idee astratte, non solo delle virtù, ma pur anco dei vizii, e si termina con l’apoteosi degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo.

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