Il furore divino che invasava la Pizia era l’effetto delle esalazioni naturali o artificiali che uscivano dalla voragine ; le mistiche parole che essa proferiva erano vocaboli sconnessi, detti a caso e senza alcun senso, che i sacerdoti cercavano di connettere in frasi ambigue, ossia con doppio senso ; e il sacro orrore che investiva i creduli devoti ammessi a queste fantasmagorie era la paura prodotta dalla tetraggine del luogo e dalla alterazione della loro fantasia285). […] Quest’Oracolo cominciò ad esser poco frequentato appena che acquistò fama quello di Delfo, che era il più centrale della Grecia e rendeva responsi in un modo più solenne e soddisfacente. […] Quel che di Orfeo dice Orazio nella Poetica è applicabile a tutti i fondatori delle antiche religioni ; dal che deducesi che il governo teocratico fu il primo governo regolare e il primo cemento della civil società288). […] E nessuno sarà mai sì pazzo, o sì savio, o sì tristo, o sì buono, che propostagli la elezione delle due qualità d’uomini, non laudi quella che è da laudare e biasimi quella che è da biasimare. » (Discorsi, lib. […] Perchè loro facilmente credevano che quello Dio che ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potesse ancora concedere.
Da sì lieve causa e somiglianza, che doveva sembrare anche più grande alla robusta e sbrigliata immaginazione degli Antichi, ebbe origine la favola delle Sirene, abbellita dall’arte dei poeti nel modo che abbiam detto. […] Perciò supposero che fossero animali carnivori che divorassero gli uomini e tanto più volentieri le donne ; e credettero che talvolta uscisser dal mare, e sulle terre vicine facessero stragi e devastazioni. […] Per altro si capisce che quelle così terribili Orche non erano altro che Balene. […] « Come si può, poi che son dentro al muro « Giunti i nimici, ben difender rocca, « Così difender l’Orcá si potea « Dal paladin che nella gola avea. […] In fatti di diverso vi è soltanto la fantastica invenzione ariostesca, che Orlando fosse così ardito (e che inoltre gli riuscisse) di entrar nella bocca dell’ Orca con tutta la nave, e che ficcasse l’ancora « E nel palato e nella lingua molle ; » mentre è noto che si scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina nella pelle del cetaceo, che è grossa circa un pollice, e si fa penetrare nel sottoposto strato di grasso che è alto almeno quindici pollici.
Dopo di che lo consegnò alle figlie di Atlante perchè lo allevassero. […] Anzi per indicare non tanto la forza del vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza che ne deriva in chi ne abusa, si aggiungevano sulla fronte di Bacco le corna198 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il che significa che non era sempre ubriaco. Coloro però che vogliono attribuir dignità o importanza a questo Dio dicono che le corna son simbolo della potenza di lui, ossia della forza del vino. […] In italiano poi dal nome di Bacco è derivata la parola baccano che significa rumore strepitoso e selvaggio di gente che sembra impazzata. E questo era il rumore che facevano i seguaci di Bacco, e specialmente le donne che furon chiamate Baccanti ; e in tal modo clamoroso e impudente celebravansi in Roma le feste di questo Dio che furon dette Baccanali, di cui gli eccessi giunsero anticamente tant’oltre in Roma che il Senato dovè proibirle.
XXVIII che i Campi Elisii erano il soggiorno dei buoni dopo la morte, e il Tartaro, dei malvagi. […] Aggiunsero infatti i mitologi che tutte quelle anime così dette beate si esercitavano nell’altro mondo in quelle stesse arti ovvero occupazioni che erano state per loro più gradite in questo252. […] Vero è che queste stesse monete si ritrovarono anche dopo 100 e 1000 anni nei teschi dei sepolti cadaveri, o fra le loro ceneri, e ne furon trovate anche in bocca alle Mummie egiziane : il che dimostrò che Caronte non era tanto inesorabile quanto gli agenti delle tasse e i riscuotitori dei pedaggi e delle gabelle. […] Inoltre lo stesso poeta alla solita pena di Tantalo aggiunge il timore continuo di essere schiacciato da una rupe che sta sempre per cadergli addosso, e il tormento di sapere che egli è immortale, e che perciò la sua pena durerà eternamente. […] Dicesi ancora che soffron la pena di Tantalo coloro che non contenti dell’aurea mediocrità, si macerano desiderando in vano ciò che non possono ottenere.
Questa invenzione è bella e sapiente, e consuona con la dottrina della Bibbia, ove dice che lo spirito di Dio abbandonò il re Saul disobbediente, e subito dopo lo invase lo spirito maligno che lo rese alternativamente malinconico e furibondo. […] E riguardo al morale, ognun sa che vi sono uomini e popoli più o meno malvagi, ma non è cangiata o guasta l’umana natura in generale, poichè non meno la storia che la comune esperienza dimostrano che gli uomini e i popoli possono correggersi dei loro vizii e difetti. […] Il serpente poi che mordendosi la coda forma un circolo, appella soltanto al tempo che è la continua successione dei momenti35. […] Aveva in una mano una chiave, e nell’altra una verga : la prima significava non solo che Giano era il celeste portinaio, ma ancora il custode delle case ; e colla verga si voleva far supporre che egli indicasse ai viandanti la strada. […] È Orazio stesso che lo dice nella ix Satira del lib.
XI) che agli Dei davasi il titolo di Padre in segno di affettuosa venerazione ; e l’Oceano lo merita al par di Giove, e pei grandi benefizii che arreca agli uomini colle innumerevoli e maravigliose produzioni ; ed anche, secondo la Mitologia, pel gran numero dei suoi figli, che Esiodo fa ascendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. […] E Cuvier assegnò il nome di Amfitrite a un genere di Annelidi della famiglia dei Tubicoli, che abitano in tubi leggieri che questi animali si fabbricano da sè stessi e seco trasportano. […] Gli fu conservato il nome di Glauco che significa verde-azzurro, bene adatto ad indicare il colore che riflettono le onde del mare. […] Proteo conosceva qualunque segreto degli Dei e ciò che fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarlo ad essi bisognava che vi fosse costretto : così la materia contiene in sè tutti i segreti della Natura, ossia le leggi che regolano il mondo fisico, ma non le rivela, se non costretta. […] Altri mitologi fanno derivare il nome di Nettuno dal greco niptein che significa lavare.
S’intende subito che questo montone è favoloso, e perciò convien cercarne l’origine nei precedenti tempi mitologici. […] La nave fu chiamata Argo, e quindi Argonauti gli Eroi che navigarono in quella. Se le fosse dato questo nome da quello dell’architetto che la costruì, o dall’esser fabbricata in Argo, oppure da un greco vocabolo, che secondo alcuni etimologisti significa veloce, o da altro ortograficamente poco dissimile, ma che significa l’opposto, lascerò deciderlo ai solenni filologi : con tante idee poetiche e storiche che desta questa spedizione, non mi sento disposto ad arrestarmi a quisquilie filologiche. […] Pelia non osando di dargli un aperto rifiuto, lo seppe talmente allucinare colle idee della gloria e dell’onor nazionale, che lo impegnò a riconquistare il vello d’oro che ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restituirgli il regno al suo ritorno, ma sperando in cuor suo che sarebbe perito in quella impresa. […] Per quanto cercasse, non lo trovò più ; e fu detto dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe che era annegato in quella fonte ov’egli andò ad attingere l’acqua.
Esiodo poi lasciò scritto che Venere nacque dalla schiuma del mare. […] Con questo strano mito voleva significarsi che la Bellezza è figlia del Cielo, e che nel globo terraqueo manifestasi più che altrove sul mare. […] Il solo punto di contatto fra queste due opinioni, e che serve di transizione dall’una all’altra è questo, che essendo Dione una Dea marina, e Venere sua figlia nata nel mare, e comparsa per la prima volta nel mondo alla superficie delle onde spumanti, fu detto figuratamente che era nata dalle onde del mare per dire che era uscita da quelle. […] Così venne a significarsi che la Bellezza, l’Amore e le Grazie avevano strettissima parentela, e che le Grazie erano il necessario complemento della Bellezza e dell’Amore. […] Cupido che sposa Psiche significa che l’amore è un sentimento dell’anima : ecco in due parole la spiegazione del mito.
Inoltre per bellezza e comodo si moltiplicheranno sempre gli orologi ; e si può asserire che anche i girarrosti a macchina son più utili degli automi di animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare. […] Di che era simbolo Vulcano ? […] Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità fossero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti che avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo che ciascuna aveva speciali attributi per distinguersi dall’altra. […] Erravano però nel credere che il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natura diversa da quello terrestre, non sapendo essi che risulta egualmente da combustione o ignizione di materie più o meno infiammabili ; e soltanto gli astronomi moderni colle loro analisi spettroscopiche hanno dimostrato sinora, che nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altrettanti Soli generalmente molto più grandi del nostro, ma composte presso a poco degli stessi elementi. Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ?
Ora sono i soccombenti ed oppressi Titani che tentano colla forza di ricuperare il perduto possesso del celeste regno. […] Il diritto, che ora chiamerebbesi legittimo, al trono del Cielo apparteneva veramente ai Titani come figli e discendenti di Titano, che cedè il regno a Saturno sotto condizione che questi non allevasse figli maschi ; e non essendo adempiuta l’apposta condizione sine qua non, la dinastia divenne da quel momento in poi usurpatrice ; e Giove in appresso fu soltanto un invasore fortunato che fece valere il diritto del più forte (jus datum sceleri) come vera e propria ragione. […] Ed ecco l’origine e la causa della Gigantomachia ; la qual guerra è cantata dai poeti preferibilmente alla Titanomachia, perchè parve agli Antichi che in quella il miglior diritto fosse degli Dei che rimasero vincitori, mentre in questa era più veramente dei Titani che furono vinti. […] L’idea generale che ciascuno suol farsene si è che fossero uomini di grandezza e di forza straordinaria ; e i mitologi aggiungono che molti d’essi erano anche di struttura mostruosa. […] Alcuni per altro di quelli che Dante non accenna di aver veduto nel suo viaggio all’Inferno, eran molto più lunghi e più grossi, come per esempio il gigante Tizio che si estendeva per nove jugeri, ed Encelado che era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo che toccava il cielo col capo.
Tutte le opere d’arte (qual che si fosse lo maestro che le fece, come dice Dante), furono eseguite secondo le regole architettoniche e le proporzioni matematiche in modo così esatto e preciso, che i più dotti commentatori della Divina Commedia dalle indicazioni che ne ha date l’autore hanno potuto determinarne in numeri concreti le dimensioni geometriche di lunghezza, larghezza e profondità237. […] Inoltre colle analisi spettrali che dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior parte delle sostanze che si conoscono sul nostro globo239, si venne a confermare i raziocinii dei geologi, che cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizione come il Sole, e che a poco a poco raffreddandosi avesse formato le rocce ignee, acquee, metamorfiche, ecc. ; insomma tutti i diversi strati, sull’ultimo dei quali abitiamo. Questo è quel che asserisce la scienza moderna a proposito delle regioni sotterranee. […] Alcuni mitologi e poeti antichi hanno detto che i Campi Elisii, non erano nel seno della terra, ma nelle Isole Fortunate, che ora si chiamano Le Canarie ; ma gli Antichi dovevan conoscerle soltanto di nome e non averle vedute che da lontano, poichè credevano che vi abitassero le anime dei Beati. […] Quando si trova un gesuita tra i più zelanti antesignani di una ipotesi scientifica, anche il devoto femmineo sesso può rassicurarsi che non vi è nulla che offenda la Religione.
Batto si lasciò vincere da insaziabile cupidigia e manifestò quel che sapeva e avea promesso di tacere. […] I filosofi naturali chiamaron Mercurio il solo metallo che sia liquido a temperatura ordinaria, e che si solidifica soltanto a 40 gradi di gelo. […] La più comune dicesi volgarmente Marcorella, che è una corruzione del termine mercuriale. […] Dice Quintiliano che passa difficilmente al cuore ciò che subito inciampa nell’orecchio : Nihil potest intrare in affectum, quod in aure, velut in quodam vestibulo, statim offendit. […] Per altro questo modo di dire è incluso nelle regole di quel traslato che chiamasi metonimia.
Ecco il carattere distintivo della vera poesia e del Nume che ad essa presiede. […] Inventarono i mitologi che le Muse fossero inseguite da Pireneo re della Focide, e che per salvarsi dalle violenze di lui, che le aveva raggiunte nell’alto di una torre, mettessero le ali e volassero via. […] E i poeti non ne fanno mistero ; son gente franca ed aperta, e dicono liberamente quel che sentono e quel che credono, o vogliono che si creda. […] Aggiunsero i poeti che Apollo sdegnato con Giove, e non potendo vendicarsi contro di esso, perchè era suo padre e più potente, uccise i Ciclopi che fabbricavano i fulmini. […] Si sa dalla geografia che il monte Parnaso ha due cime o culmini che poeticamente diconsi gioghi : e cosi il poeta affermando che nella Cantica del Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i gioghi di Parnaso, vuol significare che ha bisogno di tutte le forze della più sublime poesia.
Noi abbiamo già detto nel corso di questa Mitologia che la Ninfa Carmenta era madre di Evandro, e che esulando insieme col figlio venne nel Lazio e fissò la sua dimora su quel monte che poi fu detto il Palatino. […] Deor. ci dice che la rappresentavano con una pelle di capra sulle spalle, con un’asta e un piccolo scudo e i calzari rovesciati ; ma che questa non era nè la Giunone Argiva, nè la Giunone Romana. […] Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di Numa, era divenuto inintelligibile a loro stessi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare. […] Clodio travestito da donna, egli fu stimato sacrilego ; e questo scandalo fu causa che Cesare ripudiò la propria moglie, dicendo che sulla moglie di Cesare non dovevan cadere nemmeno sospetti. […] Noterò inoltre che l’illustre grecista e filologo prof.
Tutto ciò che si riferisce a Diana in comune col suo fratello Apollo, vale a dire i genitori, il luogo di nascita e i nomi che da quello le derivarono, l’abbiamo detto nel N° XVI. […] Sappiamo infatti che anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i popoli della Tessaglia facevano alti rumori con stromenti ed utensili di metallo per liberar di travaglio la Luna, credendo così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ; che un esercito perdè la battaglia fuggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si oscurasse e rasserenasse la faccia della Luna. […] Anzi di quel primo che osservò e descrisse il corso lunare raccontano i mitologi che si era invaghita la Luna stessa. […] La qual’orsa fu poi da Giove trasformata in una costellazione per impedire un matricidio, vale a dire che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, bravo cacciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sapendo che fosse sua madre, stava per trafiggerla con un dardo. E questa costellazione fu detta Orsa maggiore ed anche Elice per distinguerla dall’altra vicinissima ad essa che chiamasi Orsa minore ed anche Cinosura dal nome di una di quelle Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, e che per benemerenza fu trasformata in questo gruppo di stelle.
Parrebbe dunque che l’argomento delle Ninfe dovesse essere esaurito. […] Ammettevano per altro i Mitologi un grande assurdo, che cioè queste Divinità potessero morire ; il che è una contradizione in termini teologici. […] La Ninfa Eco se ne afflisse tanto, e si consumò talmente dal dolore, che di essa vi rimase la voce sola che ripeteva appena le ultime parole altrui. […] Quanto poi all’orgoglioso amor proprio di Narciso, la Mitologia inventò molto a proposito che egli ne fu punito coll’essersi innamorato della propria immagine, veduta nello specchio delle acque di una fonte, e che credendola una Ninfa stette tanto a guardarla che ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore che porta il suo nome. […] Gli Dei cangiarono Aci in fiume che scorre nella Sicilia.
Cerere figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), era considerata come la Dea delle biade che in sua stagiòne (in tempore suo), producevansi dalla terra. […] Inventarono i Greci che Cerere avesse prima che agli altri insegnato l’agricoltura a Trittolemo figlio di Celeo re d’ Eleusi, (antica città greca fra Megara e il Pireo), e che questi sul carro di Cerere tirato da draghi volanti avesse percorso gran parte della terra per insegnar quell’arte agli altri popoli. […] Raccontano i mitologi che Proserpina come dea di secondo ordine stava sulla terra e precisamente in Sicilia con diverse ninfe sue compagne od ancelle ; che mentre essa coglieva fiori alle falde del monte Etna fu rapita da Plutone Dio dell’inferno, per farla sua sposa e regina de’ sotterranei regni ; che questo ratto fu eseguito con tal prestezza che neppur le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e non poteron dire alla madre che fosse avvenuto della perduta Proserpina. […] Cerere allora ricorse a Giove, che per questo caso strano consultò il libro del Fato, nel quale trovò il decreto irrevocabile, che se Proserpina avesse mangiato o bevuto nell’ Inferno, non avrebbe potuto esser libera e ritornar colla madre. […] Quest’ultimo distintivo le fu dato, perchè goffamente credevasi che avesse avuto bisogno di un decotto di papaveri che Giove le somministrò per liberarla dall’insonnio cagionatole dall’afflizione di aver perduto la figlia.
Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] Eppure Socrate viveva 4 in 5 secoli prima che incominciasse il Cristianesimo ! […] Euclide filosofo socratico asserisce che ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro al male. […] IIª Andare a genio, che vale piacere, aggradire. IIIª Dar nel genio che vale compiacere.
Acrisio credè invece che bastasse rinchiuder la sua in una torre di bronzo per impedire che prendesse marito. […] Cresceva Perseo e si dimostrava degno figlio di Giove per valore e per senno, talchè Polidette cominciò a temere che potesse detronizzarlo : quindi per dargli occupazione e allontanarlo dalla sua reggia lo eccitò, coll’allettamento della gloria che ne acquisterebbe, ad una impresa stranissima e pericolosissima da eseguirsi nelle isoleGorgadi, situate nell’Oceano Atlantico presso il promontorio che tuttora dicesi Capo verde ; le quali perciò sembra che debbano corrispondere alle isole dette ora di Capo verde. […] I poeti antichi dicono che Medusa aveva due sorelle chiamate Stenio ed Euriale, e che da prima eran tutte bellissime, e poi divennero mostruose in punizione della lor vanità, e furon chiamate le Gorgoni dalla voce gorgon che era il nome di un orribile mostro affricano. […] Inoltre questo cavallo dando un calcio al terreno presso il monte Elicona nella Beozia, fece sgorgare una fonte che fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene, che vuol dir fonte del cavallo. […] I genitori che eran presenti diedero in premio al liberatore la figlia in isposa, e il regno per dote.
È una eccezione al mio metodo, che mi par giustificata dall’ufficio eccezionale e dalla forma particolare di questo Dio. […] Quantunque abbiamo trovato prima d’ora, e troveremo anche in appresso, qualche Divinità che, a giudicarne dalla forma, si prenderebbe piuttosto per un mostro di natura che per un essere soprannaturale, il Dio Pane richiama maggiormente la nostra attenzione per gli uffici che gli furono attribuiti, e per quanto ragionan di lui non solo i poeti, ma anche gli storici e i filosofi. […] Non contenti di eredere che le sette canne simboleggino i sette toni della musica, o, come ora direbbesi, le sette note musicali, immaginarono che rappresentassero l’armonia delle sfere, secondo le idee di Pitagora. Dante rammenta la favola di Siringa nel Canto xxxii del Purgatorio ; e, com’è suo stile di esser concisissimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso che altrove, poichè con una sola similitudine e in soli due versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib. […] Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panicus terror est).
Tutti però, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa le arti utili alla vita (il quale ingegno perciò può dirsi poeticamente una scintilla del fuoco celeste) ; e inoltre la punizione di esso significa le traversie e le persecuzioni immeritate che per lo più si ricevono dai grandi inventori invece del meritato premiò. Aggiungono però che la pena di Prometeo non fu perpetua, perchè Ercole lo liberò, ed uccise l’avvoltoio che gli rodeva il fegato : il che vuol significare che la forza d’animo, ossia la costanza, vince tutti gli ostacoli, e che gli utili effetti finali fanno dimenticare le pene sofferte83). […] Un uguale effetto deriva ancora talvolta per la prolungata agitazione del vento, che confricando tra loro in una selva selvaggia diversi rami degli alberi, produce estesissimi e spaventevoli incendii ; ed anche il fulmine (che credevasi venir dal Cielo e dalla mano stessa di Giove) comunica il fuoco alle materie combustibili che trovansi sulla Terra. […] Quanto poi al vaso di Pandora, onde, uscirono tutti i mali di questa Terra, l’espressione mitologica è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro che eruditissime. […] È poi molto notabile e filosofica l’interpretazione di Bacone da Verulamio che Pandora, unita in matrimonio coll’improvvido Epimeteo, significhi la voluttà e il mal costume che spasso derivano dalla raffinatezza delle arti e dal lusso nelle anime spensierate ed improvvide : dal che nascono tutti i mali che rovinano gli uomini e gli Stati85).
Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice, la quale in quelle pugne in cui prendevano parte anche gli Dei, come nella guerra di Troia, si metteva sempre dalla fazione contraria a Marte. […] E inoltre Dante ricorda che Firenze, quand’era pagana, aveva per suo protettore Marte, che cangiò nel Battista, allorchè divenne cristiana, facendo dire (nel Canto xiii dell’Inferno) a quell’anima, che fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui della città che nel Batista « Cangiò il primo padrone, ond’ei per questo « Sempre coll’arte sua la farà trista. » E-aggiunge che vi rimaneva ancora a quel tempo sul ponte vecchio l’antica statua un po’guasta del Dio Marte : « E se non fosse che sul passo d’Arno « Rimane ancor di lui alcuna vista, « Quei cittadin che poi la rifondarno « Sovra ’l cener che d’Attila rimase178 « Avrebber fatto lavorare indarno. » A Marte era sacro il gallo, animale vigile e pugnace, emblema della vigilanza e del coraggio necessario nelle battaglie. […] Ecco perchè (dicon sul serio i poeti) il gallo canta prima dell’apparir del Sole, per avvertir Marte che si guardi dall’essere un’altra volta scoperto. […] Dalla luce rossastra e quasi sanguigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che si diletta del sangue e delle stragi. […] « E falso che Attila rovinasse Firenze, non avendo mai passato l’Appennino ; ma forse Totila re dei Goti fu quegli che molto la guastò nelle guerre che ebbe a sostenere contro i generali di Giustiniano.
Abbiamo già detto altrove che Ino fu cangiata nella Dea marina Leucotoe, e che Semele fu madre di Bacco. […] Di lui ci dicono i Mitologi che si ritirò insieme colla moglie in una solitudine, e che ivi furono ambedue cangiati in serpenti, e posti da Plutone a guardia degli Elisii. […] Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e che perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo che la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo che Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come afferma Pausania. […] È però fuori di controversia che la civiltà non meno che la popolazione sia venuta dall’Asia in Europa, o vogliam dire dall’Oriente in Occidente. […] Ma che diremo di quegli eruditi che volevano abolir questi nomi per sostituirvi quello di grammaticario ?
Tale è l’antica statua di Sileno col piccolo Bacco nelle braccia, che trovasi nella villa Pinciana, e di cui una copia in bronzo esiste nel primo vestibolo della Galleria degli Uffizi in Firenze ; e come vedesi pure nel quadro dei Baccanali di Rubens, che è parimente nella stessa Galleria. […] Poco o nulla hanno scritto di lui i Classici latini ; e tra i Greci, dopo Esiodo che creò questo bel tipo di maldicente, gli fece le spese Luciano ne’suoi dialoghi a schernire gli Dei ; ma gli fa dire tante freddure che sono una miseria e uno sfinimento a sentirle. […] I Naturalisti per altro sin dal tempo di Linneo pare che li considerassero più bestie che uomini, poichè usarono a guisa di nome collettivo la Fauna per indicare complessivamente tutti gli animali che vivono in una data regione, nel modo stesso che dicono la Flora per significare tutti i fiori che si trovano nella regione medesima. […] Ma gli aneddoti sconci ed abietti che raccontano di lui servono tutti a ispirar dispregio anzi che venerazione per esso. […] Una delle più celebri statue di Fauno è quella che vedesi nella Tribuna della Galleria degli Uffizi.
Se null’altro avessero aggiunto, era questa, com’è veramente, la più bella e sapiente allegoria, significando essa che la sapienza è figlia del supremo dei Numi e che uscì dalla divina mente di lui. […] Altri però dicono che deriva dal verbo monere (ammonire) ; e che perciò verrebbe invece a significare la Dea del consiglio, ossia della sapienza. […] Aggiungono che nacque gara fra gli Dei per darle il nome ; e Giove per troncar le questioni decretò che avrebbe questo privilegio quel Nume che producesse una cosa più utile al genere umano. […] Perchè poi fosse sacro a Minerva quell’animale notturno, rispondono i poeti, perchè le recava notizie di quel che accadeva di notte ; e si voleva significare che l’ingegno vede e scuopre le cose che agli altri restano oscure ed ignote. […] Anche nell’antichissima città di Troia aveva un tempio ed una celebre statua che i Romani pretendevano salvata da Enea e trasportata in Italia, e che fosse quella stessa che essi facevano gelosamente custodire nel tempio di Vesta come pegno della salvezza di Roma.
Giove, avuta notizia di questa general corruzione del genere umano, volle assicurarsene personalmente sulla faccia del luogo : il che dimostra che egli non aveva l’onniscienza e l’onnipresenza, attributi essenziali alla Divinità. […] Trovò che la fama era minore del vero, poichè alla crudeltà ed alla barbarie univasi l’empietà ed ogni altra scelleraggine più nefanda ; e se egli non era un Dio, sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte di quei miseri ospiti che lo avevano preceduto. […] Questo fatto mitologico, per quanto strano, trovò anche un pittore che lo ritraesse e disegnatori e incisori che lo riportassaro nelle stampe o incisioni. […] Mitologica secondo la favola di Deucalione e Pirra che trasformarono le pietre in uomini e donne ; biblica secondo la Genesi, che Adamo fu composto di terra, ed alcuni commentatori aggiungono ancora precisamente di terra rossa ; filosofica per l’uguaglianza dei diritti che deriva dalla comune origine. […] Cosi roccie vulcaniche s’intende che debbono esser quelle che hanno subito l’azione del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto che Vulcano era il Dio del fuoco e aveva le sue fucine sotto i monti ignivomi, come l’Etna, lo Stromboli ecc. detti perciò Vulcani.
Di Marte e di Vulcano che furono Dei superiori si dovrà parlare separatamente. […] Ottenutala, la diede in custodia ad Argo che aveva cento occhi, cinquanta dei quali erano sempre aperti e vigilanti anche quando Argo dormiva. […] Gli Egiziani perciò adoravan gli Dei sotto la figura di quelle bestie nelle quali credevano che questi si fossero trasformati. […] Era questa una Ninfa o Dea inferiore, figlia di Taumante ; e credevasi che essa per discender sulla terra ad eseguire gli ordini di Giunone passasse per quella splendida via che è contrassegnata nel cielo dall’arcobaleno. […] Newton sullo scorcio del secolo xvii fu il primo a distinguere che la luce solare era composta di un infinito numero di raggi di differenti gradi di rifrangibilità, e che allorquando questa luce è fatta cadere sopra un prisma, i raggi che la compongono son separati, e presentano per ordine questi sette colori, cominciando da quello meno refratto, cioè : rosso, arancio, giallo, verde, turchino, indaco e violetto.
Perciò converrà contentarsi di conoscere quel che ne accennano i Classici e principalmente Virgilio e Cicerone, e starcene a quel che essi ne credevano e ce ne lasciarono scritto ; e tutt’al più deducendone quelle illazioni che ne derivano razionalmente. — Per chi non è idolatra o politeista sembra che possa bastare. Virgilio che nell’Eneide ha eternato co’suoi impareggiabili versi le origini mitologiche del popolo romano secondo le più comuni credenze antiche, fa derivare da Troia gli Dei Penati ; e da quel che egli ne scrive s’intende chiaramente che questi erano speciali Dei protettori della città, poichè fa dire ad Enea dall’ombra di Ettore, che Troia affida ad esso i suoi Penati ; e inoltre gli comanda che cerchi loro altre terre, erga altre mura 32. […] Ecco tre esempi che dimostrano il concetto generale di Virgilio, che cioè i Penati fossero gli Dei protettori di Troia e della Troade. […] Vedemmo altrove che lo stesso Dante rammenta Marte come il primo patrono di Firenze, che poi i cittadini divenuti cristiani cangiarono nel Battista 36. […] E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti, ovvero alla parte più interna dei tempii e delle case ove questi Dei erano adorati37.
Racconta lo stesso Tito Livio che i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai Greci vennero in Italia seguendo il loro Duce Enea principe troiano, creduto figlio di Venere e di Anchise ; che Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lunga ; che dalla dinastia dei re Albani discesi in linea retta da Enea, nacque il fondatore di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. […] Lo stesso Numa Pompilio che inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ninfa Egeria. […] I sacerdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di che facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tutto il popolo ; ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano che si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo ne faceva maravigliosa festa. Con queste stravaganti cerimonie volevasi alludere alla favola o tradizione Egizia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello Osiride ; e che questi poi fosse trasformato in bove. Aggiungono inoltre che Iside insieme con suo figlio Oro uccidesse Tifone in battaglia.
Per dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato che presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi del Caos ; e siccome il fuoco nulla produce, fu detto che Vesta minore non prese marito e fu Dea della castità. […] Il culto di Vesta per altro è antichissimo, poichè Virgilio asserisce che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. E che questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse adorata in Alba e vi avesse un tempio e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non che da tutti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo zio Amulio a farsi Vestale. […] Il che non conferiva di certo alla loro felicità, nè a quella del marito e dei parenti. […] Il Palladio Troiano, che dicevasi trasportato da Enea in Italia, era affidato alla custodia delle Vestali, che lo tenevano chiuso ed invisibile ad ogni occhio profano.
Riconobbero però facilmente che la maggior parte di questi Dei eran molto turbolenti, producendo in mare orribili tempeste, e sulla terra bufere e devastazioni ; e che perciò v’era bisogno che fossero sottoposti a qualche altra più potente divinità che li raffrenasse ; diversamente, come dice Virgilio, « ….. […] Il nome stesso di Eolo, che deriva da un greco vocabolo significante vario o mutabile, allude alle successive mutazioni dei venti che predominano in quelle isole. […] Di Zeffiro abbiamo già detto altrove che egli sposò la Dea Flora e le diede potestà sui fiori ; e questa favola significa soltanto che il tepido vento chiamato Zeffiro o Favonio favorisce la vegetazione delle piante fanerogame, cioè che producono fiori. […] 44 In Esiodo si trova rammentato il vento Argeste (che vuol dir sereno, e secondo altri grecisti veloce) ; e siccome in quel poeta non si trova nominato il vento Euro, alcuni Eruditi hanno detto che è sinonimo di questo., Ma Plinio il Naturalista afferma che l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei Latini, ossia al ponente-maestro (nord-ovest). […] È da notarsi però che talvolta gli Autori e specialmente i poeti, nominano l’un per l’altro quei Venti che spirano tra lor più vicini, ossia usano i loro diversi nomi come sinonimi di uno stesso Vento.
V, che Vesta Prisca moglie di Urano era considerata come la Dea della Terra : ora aggiungiamo che anche due altre Dee, cioè Cibele e Tellùre, avevano la stessa rappresentanza. — Eran forse uguali e comuni i loro uffici, oppure diversi e disgiunti ? […] Chiamavasi in greco e in latino Rhea (nome che fu poi dato anche alla madre di Romolo, Rhea Sylvia), da un greco verbo che significa scorrere, perchè dalla Terra scorrono, ossia provengono tutte le cose. […] S’interpetrò che si dovesse far venire a Roma la Dea Cibele adorata in Asia nella città di Pessinunte. […] La veste ornata di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele, che presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava che quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortificar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone come il re degli animali terrestri. […] Il nome di Coribanti deriva da due parole greche che significano cozzanti col corno ; il che appella ai loro furori per cui sembravano tori infuriati che tra lor si cozzassero.
Quali fossero queste Divinità, e come i pianeti che ne prendono il nome fossero situati e girassero, secondo che gli Antichi credevano, intorno alla Terra, lo abbiamo già detto nel Cap. […] Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di questi due Numi figli di Giove e di Latona, il Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai che era regolato da un Titano di nome Iperione. […] 98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva prima della nascita di Diana chiamavasi, con greco nome Selene, che significava Luna, figlia essa pure d’Iperione, e perciò sorella di Elio99). […] In Francia e in Svizzera ve n’erano una volta molte più che al presente. […] « Quand’io senti’ come cosa che cada « Tremar lo monte : onde mi prese un gielo « Qual prender suol colui che a morte vada.
Dell’ Oracolo di questo tempio parleremo in un capitolo a parte, spiegando in che consistessero gli Oracoli dei Pagani. […] Si unirono anche gli astronomi antichi a rendere onore a Giove dando il nome di esso a quel pianeta che apparisce ed è maggiore degli altri veri e proprii pianeti, e gli dedicarono quel giorno della settimana che tuttora chiamasi Giovedì. […] Ma disgraziatamente ci fu tramandato ancora il racconto della vita privata di questo Dio, indegna d’un uomo non che d’un nume. […] Questo titolo è divenuto in oggi tanto comune e familiare, che anche i giornalisti più prosaici fanno lusso e spreco dell’espressione mitologica e poetica di Giove Pluvio tutte le volte che parlano di pioggie troppo continuate. […] L’oasi in cui fu eretto il tempio di Giove Ammone era quella che ora si chiama Dakhel, che resta all’ovest della Grande Oasi, sui confini dell’ Egitto, nel deserto anticamente detto di Barca.
Sebbene i Mitologi la considerino un’impresa secondaria (ed è tale se riguardisi soltanto lo scopo di uccidere una belva feroce), e perciò ne parlino soltanto incidentalmente, è per altro di somma importanza per la cronologia degli Eroi, dimostrando essa che furon contemporanei coloro che vi presero parte. […] Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divennero anche più celebri in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace e Laerte di Ulisse ; dei quali tutti dovremo parlare anche in appresso. […] I cacciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità che quella acquistata con questa trista fine ; ma, come dice un moderno poeta : « Trar l’immortalità dalla sua morte « È una sorte meschina, o non è sorte. » Dopo altre vicende che poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la gloria di atterrare quell’immane belva ; e il diritto che egli avea di prender per sè il teschio e la pelle del cinghiale lo cedè ad Atalanta. […] Di che Meleagro irritato, e dalle parole venendo ai fatti, li uccise ambedue. […] La madre, che non si sa per qual privilegio o grazia speciale potè vederle e udirle, corse a levar dal fuoco quel tizzo che già ardeva dall’ un de’ capi, lo spense e lo chiuse fra le cose più care e più preziose.
Il suo vero nome primitivo era Ipponoo ; ed è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte, che gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller suo fratello ; di che rimase poi sempre dolente e mesto52. […] Credendo che nulla gli fosse impossibile, montato sul caval Pegaso, lo spinse verso il Cielo, presumendo che gli Dei dovessero accoglierlo nel loro consesso ed alla loro mensa. […] Quindi è che anco nelle Belle Arti è raro il trovar dipinta o sculta la figura della Chimera. […] Quindi è che i Latini chiamavano con perifrasi mitologica Bellorophonteus morbus l’ipocondria, che altrimenti direbbesi ægritudo. […] Anche i poeti latini, quando volevano significare che una cosa era impossibile o incredibile, o almeno che essi la stimavano tale, dicevano : « Crederò prima che esista la Chimera. » Cosi, per esempio, Ovidio nelle Elegie : « …..
Spiacemi che il mio umile assunto e lo scopo principale a cui è diretto questo lavoro m’impediscano di estendermi in osservazioni generali, e mi obblighino invece di aggiunger soltanto spiegazioni al racconto dei molteplici fatti particolari che più ne abbisognano ; ma ho voluto premetter questi brevi cenni per far conoscer la necessità di studiare i tempi eroici, che sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Storia, e che perciò hanno la stessa importanza per le origini storiche dei popoli antichi che il Medio Evo per le origini della moderna civil società. […] Inoltre di quegli Eroi che non son rammentati o compresi in nessuna di quelle spedizioni, e che pure compierono memorabili gesta, separatamente narrate dai Mitologi, dobbiamo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in cui avvennero quelle, e già divenuti Indigeti Dei, oppure discesi nel regno delle Ombre. […] Degli altri dirò a mano a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e di quelli che si trovarono insieme in una data spedizione prima accennerò brevemente le particolari qualità di ciascuno di essi, e poi li metterò in azione tutti insieme ; parlando più a lungo del capo o protagonista di quella impresa nel narrare l’impresa stessa. Prima di por termine a questo Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria, anche una lunghissima vita a tutti gli Eroi, non devesi calcolare la loro media e la loro probabile esistenza secondo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti. […] Vedasi l’epigramma del Giusti, che ha per titolo : Il Poeta e gli Eroi da poltrona.
Supposero che questi Dei abitassero negli antri donde usciva la sorgente del fiume, la quale chiamavasi poeticamente il capo. […] Inoltre la corona o ghirlanda del fiume è composta di canne, come del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o che sono particolari alla regione nella quale scorre quel fiume. […] E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero. […] « Or vuole il Fato che sommerso io pera « D’oscura morte, ohimè ! […] E da notarsi che in Omero si trovano spesso due nomi dati all’istesso oggetto o alla medesima persona.
Gli studii eruditissimi che ora si fanno da’ filologi germanici sulle origini dei miti, potrà dar vita, col tempo, ad una nuova scienza che starà alla Mitologia greca e romana come la Paleontologia alla storia naturale, e che perciò potrà chiamarsi la Paleontologia mitologica. […] È da osservarsi peraltro che nè Dante nè gli altri poeti nostri adottarono i più strani, oscuri o assurdi miti dei Greci e dei Latini, e invece hanno preferito e trascelto quelli soltanto che racchiudevano le più belle immagini e i più chiari e notabili simboli dell’antica sapienza. […] Per tutti gli altri che son principianti o. […] Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitologici molte delle loro denominazioni, la cui etimologia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione della Mitologia. E poichè oggidì è riconosciuto e voluto, più che dai programmi governativi, dalla sana opinione pubblica, che non debbano andar disgiunti gli stùdii letterarii dagli scientifici, nè questi da quelli, confido che il mio tentativo di farne conoscere le molteplici relazioni con lo studio della Mitologia non debba essere stimato affatto privo di pratica utilità.
È questa una osservazione generale che non convien dimenticare, perchè verrà molte volte a bisogno nel progresso della Mitologia. […] Ed io aggiungerò che raramente trovasi rammentata e rappresentata come Dea, e per lo più confondesi coll’ Abbondanza di tutte le cose naturali. Vedremo però in appresso che essa Natura fu goffamente e bizzarramente simboleggiata nel Dio Pan (che in greco significa tutto), Dio secondario e campestre, mezzo uomo e mezzo capro. […] Di più nella lingua italiana, oltre il verbo naturare che è antico, si è formato modernamante il verbo naturalizzare, che è stato introdotto ancora nel linguaggio delle nostre leggi, forse ad imitazione e per copia conforme del Codice Napoleone13. […] Il poeta Ennio ci ha trasmesso in due versi latini i nomi dei dodici Dei superiori che formavano il consiglio di Giove.
Da questi studi scientifici traggono in oggi le più belle immagini quei pochi eletti che hanno intelletto a poetare4. […] Dopo che Esiodo aveva asserito che il Caos esisteva prima di tutti gli Dei, vennero altri a dire che il Caos stesso era un dio, ed aggiunsero che egli era stato l’ordinatore dell’Universo ; ed una volta che lo avevano personificato, dìssero ancora che aveva figli e che la sua moglie era la Notte. […] Infatti dice espressamente Ovidio che nel Caos l’aria era priva di luce. […] Sembra che voglia dire a chi ha orecchi da intendere : Vedete ! anche gli Antichi ci hanno trasmesso come in nube molti di quei principii che l’età moderna ci presenta sotto altre forme !
E qui mi basterà rammentare, a proposito di quanto ho accennato di sopra, che il vescovo d’Ippona (S. Agostino) asserisce che i Pagani erano giunti ad assegnare quattordici Divinità alla vegetazione del grano. […] Plinio asserisce che era questi un re d’Italia deificato per sì utile insegnamento3. […] III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui scriveva S. […] I Grammatici noteranno in questo verso il pronome egli invece di eglino per troncamento della sillaba finale, che nella metrica latina e greca direbbesi apocope ; come pure il verbo orate per adorate, che è una licenza poetica chiamata aferesi.
Poi deificarono per gratitudine coloro che li seppero governare, che fecero buone leggi, che assicurarono la pace ed aumentarono l’incivilimento ed il bene dell’ uman genere. […] Ma in effetto cotesti impostori erano segretamente governati nei loro presagi dal volere dei principi, dei legislatori o dei faziosi, secondo che ad essi premeva che il popolo fosse animato a sperare o a disperar d’una impresa. […] Tanto è vero che è più facile perpetuare dieci errori o dieci pregiudizi che stabilire una verità ! […] Aveva il diritto di accordare sicuro asilo ai colpevoli che appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli che, andando al supplizio, erano da lui incontrati per via. […] Perciò è probabile che il loro nome derivasso da faciendo fœdere.
Non deve dunque recar maraviglia, leggendo il titolo soprascritto, che vi sia nel Politeismo una divinità più potente di Giove, che pure è conosciuto comunemente come il supremo dei Numi, il re del Cielo, il padre degli uomini e degli Dei. […] Onde che con questo sistema (adottato dai Turchi come principio religioso), si veniva a toglier dal mondo la moralità e l’imputabilità delle azioni. […] « Onde pognam che di necessitate « Surga ogni amor che dentro a voi s’accende, « Di ritenerlo è in voi la potestate. […] E poichè credevasi che spesso portasse prosperi eventi, quindi non le mancavano e immagini e tempii e adoratori, tanto in Grecia quanto in Italia, e in Roma stessa più che altrove. […] La parola Fato deriva dal verbo latino fari che significa parlare, pronunziare ; (e la parola italiana favella ha la stessa latina etimologia).
Perciò queste Divinità non erano soltanto astrazioni filosofiche o personificazioni poetiche, ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare che quando si stabilì il loro culto pubblico e fintantochè si mantenne, il popolo credeva nell’esistenza della Virtù ; e solo dopo le orribili guerre civili, allo spegnersi della repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la bestemmia che egli per disperato dolore proferì nell’atto di uccidersi : « O Virtù, tu non sei che un nome vano ! […] Dicemmo, parlando di Mercurio, che i mercanti romani, secondo quel che afferma Ovidio nei Fasti, pregavano questo Dio a proteggerli nell’ingannare il prossimo senza essere scoperti, e a potersi godere tranquillamente il frutto delle loro ruberie. […] Non è noto però che la Dea Laverna avesse un pubblico tempio in Roma ; e degli Dei superiori adoravansi pubblicamente i pregi e le virtù, e non i vizii che erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti. Ma della Dea Nèmesi, Dea della vendetta, era pubblico il culto ; e fu generale tra i Pagani il sentimento che lo ispirava. […] Vero è che in Roma nel culto pubblico e nel tempio che erale stato eretto, questa Dea fu adorata come figlia di Giove e della Giustizia, e perciò come rappresentante la giusta vendetta, ossia la punizione di quelle colpe che non cadono sotto la sanzione penale delle comuni leggi umane : riferivasi dunque piuttosto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo della guerra, che alle vendette particolari dei privati cittadini.
Infatti in Grecia richiedevasi 1° che l’eroe da considerarsi come un Dio fosse figlio di una Divinità o per padre o per madre ; 2° che vivendo avesse compiute imprese straordinarie per valore o per ingegno a prò dell’umanità ; e 3° che solo dopo la morte, e quando in lui si riconoscessero le due precedenti condizioni fosse considerato e adorato qual Nume. […] A tempo dei re di Roma fu deificato soltanto Romolo, ma per gherminella politica dopo che i Senatori lo ebbero segretamente ucciso ; i quali non sapendo poi come acquietare il popolo che ricercava il suo re guerriero, gli fecero credere per mezzo di Procolo che fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e che bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. Il popolo che credeva Romolo figlio di Marte, credè facilmente questa nuova impostura come una teologica conseguenza della prima ; e il Senato fu ben contento di adorar come Dio colui che non avea potuto tollerar come re. […] Quasi 700 anni corsero dalla morte di Romolo a quella di Cesare, nel qual tempo il popolo romano divenne conquistatore del mondo, senza che pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più celebri generali che a tanta gloria e potenza lo guidarono. […] Basti dunque il sapere che si fingeva che l’imperatore non fosse morto, ma soltanto malato ; e per aiutar questa finzione ponevasi in un gran letto di avorio la statua di cera del defunto invece del suo cadavere, il quale era seppellito o arso segretamente.
V Urano e Vesta Prisca avi di Giove Dal prospetto genealogico del N° III sappiamo che Urano sposò Vesta Prisca, e che loro figli furono Titano, Saturno e Cibele. […] Ma siccome fu dato il nome di Urano al Cielo, così fu dai Greci assegnato alla Terra il nome di Estia, che dai Latini fu cangiato in Vesta, significante, secondo Ovidio, che di sua forza sta, alludendosi in ambedue le lingue all’apparente e creduta immobilità della Terra18. […] Fu nonostante convenuto, ad istanza della madre Vesta Prisca, che regnasse Saturno ; ma Titano vi acconsentì soltanto a patto che Saturno non allevasse figli maschi, intendendo di riserbarsi, non meno di diritto che di fatto, aperta la strada al trono o per sè o per i propri figli Titani, quando Saturno a sua volta fosse stanco di regnare. […] I moderni astronomi, che seguendo il sistema Copernicano abolirono anche le sfere, non che il loro movimento intorno al nostro globo, diedero il nome di Urano al pianeta scoperto da Herschel nel 1781, imitando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini al centro del loro sistema planetario avevano dato il nome dei principali figli di Giove, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono il nome del padre di questo, cioè di Urano. Anche il nome di Vesta fu attribuito al 4° piccolo pianeta o asteroide scoperto da Olbers nel marzo del 1807 : ma poichè il segno simbolico che nelle carte uranografiche rappresenta questo pianeta è un’ara sormontata da viva fiamma, convien dedurne che gli astronomi abbiano inteso di rappresentar Vesta giovane, Dea del fuoco, anzi che Vesta Prisca moglie di Urano.
Anche ai tempi di Silla era celebrata in Atene una festa che ricordava questo fatto. […] Fabbrica una piccola città, detta Cecropia, che fu poi l’Acropoli (città alta). […] Una terribili inondazione che devastò le sue terre fu l’origine di questo diluvio. […] Gli storici congetturano, con molto fondamento, che questo Menete sia lo stesso che Misraim, figlio di Cam. […] Sembra che il padre delle famiglie, che andarono ad abitare la Grecia ai tempi della dispersione dei popoli, fosse Javan figlio di Jafet.
Riconobbero dunque che il loro sistema storico non spiegava tutto in Mitologia, e confessarono implicitamente che la massima parte delle Divinità del paganesimo erano personificazioni degli affetti dell’animo o buoni o rei. […] Fu questa pur anco la religione dei Persiani, come sappiamo dallo Zend-Avesta, che è il loro libro sacro, attribuito a Zoroastro. […] Il Sabeismo sarebbe stato anch’esso, com’era in origine, una specie di Feticismo, benchè meno goffo, non meno però materiale (poichè anche gli astri son composti di materia cosmica), se ben presto non fosse invalsa l’idea e la credenza che gli astri fossero regolati e diretti nel vero o nell’apparente lor corso da Esseri soprannaturali che vi presiedevano. Così al feticismo, ossia all’ apoteosi degli oggetti materiali, fu sostituita l’apoteosi di Esseri soprannaturali rappresentanti le forze o leggi della Natura fisica che producono il movimento della materia, e che poi furono dette scientificamente di attrazione e di repulsione. […] Chi conosce la Filosofia del Gioberti sa bene che quel sistema filosofico è fondato sul principio che l’Ente crea le esistenze.
Contemporaneamente a queste prime apoteosi sorgeva e ben presto diffondevasi una nuova religione, i cui seguaci destarono l’ammirazione di tutti per la bontà e santità della vita : e questo parve un gran miracolo in mezzo a società così corrotta ; questo richiamò l’attenzione di tutti sulla nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime che essa insegnava. […] « E mentre che di là per me si stette, « Io gli sovvenni, e lor dritti costumi « Fer dispregiare a me tutt’altre sette. » Un ragionamento simile a quello del poeta Stazio condusse alla stessa conseguenza di farsi Cristiani tutti quei politeisti che non erano affatto privi del lume della ragione ; e se alcuni furon trattenuti dalla paura delle persecuzioni, molti altri si esposero ai tormenti ed anche alla morte, e suggellaron col sangue l’attestazione della loro novella Fede. […] I più ostinati a conservare il culto dei falsi Dei furono gli abitanti delle campagne e dei villaggi o borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato da pagus che significa borgo o villaggio), e perciò il politeismo stesso fu detto il Paganesimo ; il qual termine divenne poi, tanto in prosa quanto in poesia, più comune e più usato che gli altri due di politeismo e di gentilesimo 169. Ma poichè la religione dell’Evangelo ai più santi precetti di morale univa la principal massima sociale che tutti gli uomini sono eguali, e perciò favoriva e comandava l’abolizione della schiavitù, anche i più rozzi ed ostinati contadini cominciarono ad apprezzare se non la sublimità, che non potevano intendere, almeno l’utilità di questa nuova religione ; e tutto l’impero romano, abiurato il paganesimo, divenne cristiano. […] Negli scrittori ecclesiastici i politeisti son detti ancora Ethnici e Gentiles, vocaboli che sono sinonimi, il primo in greco e il secondo in latino ; onde è derivata in italiano la parola gentilesimo che si può usare indifferentemente per paganesimo ; ma non così la parola gentili per pagani, perchè il vocabolo gentili ha due altri diversi significati : uno più usato e comune invece di cortesi ; e l’altro legale, che sta ad indicare le persone della stessa famiglia, la quale in latino dicevasi più comunemente gens, mentre familia significava anche i servi o schiavi.
Epilogo Abbiamo veduto, parlando sin qui degli Dei Superiori soltanto, che la cognizione della Mitologia greca e romana è lo studio delle principali idee religiose, politiche e scientifiche dei due più celebri popoli dell’Europa che fenno le antiche leggi e furon sì civili, e della cui civiltà è figlia la nostra. […] Infatti risalendo alla Cosmogonia dei Pagani, la materia era eterna, il Caos era un Dio, ed erano Divinità anche gli elementi che lo componevano, cioè il Fuoco ossia la Luce, l’Aria, l’Acqua e la Terra. […] anche la Notte, ossia l’oscurità, l’assenza della Luce, era una Dea ; e tutti questi Dei e Dee avevano figli e figlie che erano altrettante Divinità ; le quali venivano a rappresentare i diversi effetti o fenomeni speciali, che, secondo le antiche idee (vere o false che fossero), dalla combinazione di quei principali elementi si producevano. […] Oggidì che hanno sì gran credito gli studii preistorici sugli uomini primitivi dell’età delle armi di pietra e delle abitazioni lacustri, di quel tempo cioè in cui i nostri antenati Europei eran forse più rozzi dei selvaggi dell’America scoperti da Colombo, non potrà stimarsi meno importante lo studio intorno alle origini delle idee morali che ebbero tanta efficacia sulla civiltà greca e romana. […] Passata quest’epoca, che è la più poetica e che ha dato origine e materia ai più celebri poemi epici, si continua la personificazione di nuove idee astratte, non solo delle virtù, ma pur anco dei vizii, e si termina con l’apoteosi degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo.
Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutte le altre parole che ora vi si leggono ; e non si contentò di dirmelo a voce in familiare conversazione, ma lo ripetè in una delle lettere ch’egli ebbe occasione di scrivermi ; e poi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo della Nuova Antologia, che egli mi suggeriva di adottare il soprascritto titolo. Fece anche di più : voile proporre spontaneamente l’anno scorso la stampa di questa Mitologia ad un editore milanese con una sua lettera, che egli, abbondando meco di cortesia, mi mandò perchè la leggessi e la spedissi io stesso ; e tra le altre benevole e squisite espressioni mi scriveva : Vegga se questa lettera che io scriverei, possa correre. E la lettera correva di certo, ed io la spedii subito, e qui la riporto per copia conforme : « Il saggio di Mitologia in uso delle Scuole, che sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compiuto, e che da esperti nell’insegnare ebbe lode ; e io, proponendoglielo, ne dico assai ; e meglio di me lo raccomanda il Compendio di Cosmografia, lavoro dell’autore medesimo, accettato da più di una Scuola in Toscana, e di cui l’avveduto signor Barbèra credette utile farsi editore. Ella, signore, proponga che condizioni farebbe per il diritto a certo termine, o per l’intera proprietà. » Il contratto non potè aver luogo, perchè all’editore milanese impegnato in molte altre pubblicazioni mancava il tempo, com’ egli rispose direttamente a me stesso, di pubblicare anche questo libro prima della riapertura delle Scuole ; e allora il Tommasèo mi consigliò di stamparlo l’anno appresso per associazione. Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che hanno favorevolmente accolti e adottati nelle loro Scuole gli altri miei libri, vorranno accogliere e proporre ai loro scolari ed ai loro amici la soscrizione a questa Mitologia ; la quale spero che possa esser utile non solo agli scolari, ma ancora ad ogni colta persona, poichè voile il Tommasèo che cosi fosse detto nel titolo della medesima.
Convien sapere prima di tutto che Saturno era considerato come il Dio del Tempo, e perciò in greco chiamavasi Cronos 21 che appunto significa tempo. Questa notizia ci sarà utile per la spiegazione di alcuni strani miti che a lui si riferiscono per tale attributo ed ufficio. […] Il qual fatto, inteso letteralmente, è peggio che bestiale, poichè anche le bestie allevano ed amano la loro prole. […] Cibele dipoi, per salvare gli altri figli maschi che nacquero in appresso, li mandò nascostamente nell’isola di Creta, e diede ad intendere al marito di aver partorito una pietra che gli fece presentare invece di ciascun neonato. […] Feto deriva dal latino foetus che significa parto, frutto, prodotto.
« Nel 1838 fu pubblicata a Parigi la quinta edizione del Corso di Mitologia dei signori Noël e Chapsal, che è stato sempre favorevolmente accolto dal pubblico, e che riesce molto utile nelle scuole. […] Ma supponendo che la pura traduzione di esso non avrebbe pienamente soddisfatto al bisogno dei primi studj letterarj, abbiamo accresciuto non poco le notizie mitologiche, tenendoci sempre nei limiti di un libro elementare. […] Così possiam dire che il nostro libro comprenda una specie d’Antologia Mitologica opportunissima anche ai cultori delle Belle Arti. » Ci siamo poi studiati di render profittevole alla morale questa lettura, eccitando i giovinetti a ricavare utili avvertimenti da ciò che per lo più era di solo pascolo alla curiosità giovanile. […] Bensì abbiamo avuto cura, per ciò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune interpretazioni che non ci parvero troppo superiori all’ intelligenza comune. » Ora, per aderire alle ricerche che ne vengono fatte, ristampiamo il Corso di Mitologia, riveduto e migliorato con aggiunte del traduttore, ed ornato di stampe fatte da valenti artisti, utilissime a dar meglio a conoscere le cose descritte, pregevoli perchè ricavate dai celebri monumenti dell’arte antica.
La favorevole accoglienza ottenuta dalle nostre due antecedenti edizioni del Corso di Mitologia dei Signori Nöel e Chapsal, ci ha confortati a mettere al la luce questa terza edizione, che abbiamo cercato rendere anche migliore delle altre per esattezza nella correzione, e per un numero maggiore d’incisioni in legno intercalate nel testo. Giovi poi ripetere come la traduzione di quest’opera non sia un semplice volgarizzamento, giacchè il Signor Pietro Thouar l’ha in gran parte rifusa e vi ha fatte delle notabili aggiunte le quali consistono in molte e nuove illustrazioni poetiche dei fatti mitologici, cavate da alcuni dei nostri più valenti poeti ; in una Cronologia mitologica, ossia indicazione delle più notabili epoche storiche alle quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice che contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo. […] La descrizione delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure, che sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili, finchè rimane disgiunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire che ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani. Ma a volere che sia parte proficua della storia dell’umano incivilimento, e che vada immune da qualsivoglia rischio d’ingenerare [ILLISIBLE]nelle menti inesperte dei giovani, è mestieri che la ce[ILLISIBLE]ità dell’idolatria e del politeismo sia posta a confronto della Verità Divina del Cristianesimo, e che sia fatto conoscere il passaggio dalla civiltà antica basata su falsi fondamenti, alla civiltà nuova sostenuta dall’ opera della Redenzione.