Dagli astronomi fu dato pensatamente il nome di Mercurio al pianeta più vicino al centro del nostro sistema planetario, perchè compie con maggior celerità di tutti gli altri pianeti primarii il suo movimento di rivoluzione intorno al Sole, vale a dire in 87 giorni, 23 ore e 15 minuti. […] Ebbero il nome di Mercurio sin dal 1672 alcuni giornali ed altre pubblicazioni a stampa, perchè furon considerati quei fogli come messaggieri veloci al par di Mercurio. […] Si noti quell’epiteto di jocoso dato al furto, il quale significa che Mercurio rubava per ischerzo, sottintendendosi perciò che poi restituiva ai proprietarii gli oggetti rubati. […] « La sua forma invisibil d’aria cinse, « Ed al senso mortal la sottopose. […] Dice Quintiliano che passa difficilmente al cuore ciò che subito inciampa nell’orecchio : Nihil potest intrare in affectum, quod in aure, velut in quodam vestibulo, statim offendit.
Ciascuna di esse presiedeva ad un’ arte speciale, cioè : Calliope al poema eroico ; Polinnia all’ode ; Erato alle poesie erotiche, ossia amorose ; Clio alla storia ; Talia alla commedia ; Melpomene alla tragedia ; Euterpe al suono degl’ istrumenti ; Terpsicore al ballo e Urania all’ astronomia127. […] Urania coronata di stelle, cogli occhi rivolti al cielo, avendo presso di sè un globo celeste e in mano qualche stromento matematico. […] Questo è un vocabolo greco (come dice Virgilio nel iii delle Georgiche) corrispondente al latino asilus, che in italiano significa assillo o tafano. […] Le figlie di Pierio re di Tessaglia sfidarono al canto le Muse, credendosi più valenti di loro ; ma furono facilmente vinte, e in pena di lor presunzione cangiate in piche, ossia gazze. […] « Io vo’cantare al suon d’un campanaccio « La leggenda d’un Nano impertinente.
Dicono però costoro : Non è buona cosa, perchè questa setta molti tira al suo partito, mentre quanti sono gli scellerati, quanti quelli che dal retto sentiero traviano ! […] Le guardie del fuoco stan vigilanti al gran fumo delle serapiche cene. […] Abbiamo in mente quanto siamo tenuti a Dio, al Signore e Creatore nostro. […] Le arti e le opere nostre accomuniamo al vostro uso. […] Non può calcolarsi quanti secoli sarebbero bisognati al genere umano per uscire da quella ignoranza e da quella corrotta barbarie, nelle quali si sarebbe trovato sepolto.
XII La Titanomachia e la Gigantomachia Per intender bene le vere cause di queste guerre convien risalire al patto di famiglia fra Titano e Saturno, la cui violazione produsse nel Cielo la prima guerra fraterna che terminò colla prigionia di Saturno e di Cibele (vedi il n° VI). […] Erano infatti i Titani di origine divina, non che di regia stirpe e della linea del primogenito di Urano ; e invece i Giganti, esseri mostruosi e di origine terrestre, erano affatto estranei al fondamento e al titolo della contesa. […] Gli antichi mitologi aborrivano le minuzie aritmetiche e geometriche, e spacciavano tutto all’ingrosso ; e ci danno un’idea, secondo loro, sublime della grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per dar la scalata al cielo posero tre monti uno sopra l’altro, cioè sul monte Olimpo il monte Ossa e su questo il monte Pelio 73). […] Giove rimase a combattere con due figli soltanto, cioè con Apollo e con Bacco ; e tutto al più con quattro, secondo altri poeti, e tra questi anche Dante, che vi aggiunge Marte e Minerva. […] Si riferisce ad Encelado seppellito vivo nella Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi che giungevano sino al promontorio Lilibeo e le mani sotto agli altri due promontori Pachino e Peloro.
………………………… « Non v’è forse sistema di teologia presso gli antichi, sia che si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Romani, che non ammetta il dualismo del principio benefico e del principio maligno. » Vien poi a concludere giustamente che con questo sistema si libera l’uomo da ogni responsabilità, sottomettendolo al cieco destino. […] Così nella colonna Traiana si vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano al di sopra del carro di Diana ; e perciò non è possibile crederlo un Angelo. […] Euclide filosofo socratico asserisce che ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro al male. […] Si trovano talvolta rammentati i Genii femmine, che spingevano al bene o al male le femmine ; ma avevano il particolar nome di Junones. […] La voce diabolus deriva dal greco e significa calunniatore e accusatore, ed era il titolo che si dava soltanto al principe delle tenebre, come deducesi da queste parole di sant’Agostino : « Diabolus et angeli eius in scripturis sanctis manifestati sunt nobis, quod ad ignem æternum sint destinati. » Anche il Forcellini nello spiegar la parola Diabolus aggiunge : Cognomen proprium est principis Dœmoniorum ; e cita Tertulliano e Lattanzio.
I Romani infatti che per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato negli animi loro e impiantarono officialmente nella loro città, sin dalla sua fondazione, il Politeismo Troiano e Greco. […] E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. […] Lo stesso Numa Pompilio che inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ninfa Egeria. […] Quantunque i Greci sotto Alessandro Magno, e trecento anni dopo di loro i Romani sotto Cesare, Marc’ Antonio ed Augusto, avessero conquistato l’Egitto, poche e sconnesse notizie ci hanno tramandato gli scrittori di ambedue quelle nazioni relativamente al feticismo Egiziano ed alle idee religiose che quel popolo annetteva al suo stravagantissimo culto. […] Quest’atto è anche segno di stare attenti, come abbiamo in Dante : « Perch’io, acciò che ‘l Duca stesse attento, « Mi posi il dito su dal mento al naso. » I Latini poi, e fra questi Catullo, usarono la frase reddere aliquem Harpocratem per significare ridurre qualcuno al silenzio.
Pelia non osando di dargli un aperto rifiuto, lo seppe talmente allucinare colle idee della gloria e dell’onor nazionale, che lo impegnò a riconquistare il vello d’oro che ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restituirgli il regno al suo ritorno, ma sperando in cuor suo che sarebbe perito in quella impresa. […] « Non può trovarsi al mondo un cor sì buono, « Che non possa fuggir come lo sente. […] « Viene al duca del corno rimembranza, « Che suole aitarlo ai perigliosi passi ; « E conchiude tra sè, che questa via « Per discacciare i mostri ottima sia. […] Sarebbe dunque rimasta vana ed inutile la spedizione degli Argonauti, quanto al fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse trovato una Maga che lo aiutasse a superare ogni ostacolo soprannaturale. […] Nella sua schiavitù ebbe Issipile a custodire il piccolo figlio di Licurgo, chiamato Ofelte, o altrimenti Archemore ; ed avendolo lasciato solo in un prato per mostrare ad Adrasto e a’suoi compagni la fontana Langia non molto distante, al suo ritorno trovò il bambino morto pel morso velenoso di un serpente ; ed oltre al dispiacere provato avrebbe dovuto subire anche la morte, se non la di fendevano Adrasto e i suoi compagni.
Gli astronomi diedero il nome di Nettuno al più lontano pianeta del nostro sistema solare, preconizzato da Leverrier dietro le osservazioni ed i calcoli sulle perturbazioni di Urano, e veduto per la prima volta da Galle a Berlino il 23 settembre 1846. E coerentemente al nome mitologico, il simbolo o segno astronomico di questo pianeta è un circolo sormontato da un piccolo tridente. […] Anche la moglie di Nettuno ebbe onori celesti dagli astronomi, i quali diedero il nome di Amfitrite al 29° pianeta telescopico scoperto da Marth il 1° marzo 1854. […] Ai naturalisti, per quanto pare, è molto piaciuto questo nome mitologico di Nereidi, poichè si trova che più e diversi di loro lo hanno assegnato (al solito con qualche aggettivo di specificazione) a molti generi e famiglie di Annelidi e simili animali marini. […] Volle provare anch’egli a gustar di quell’erba, che subito gli fece lo stesso effetto, e sentendosi spinto e sollevato da forza soprannaturale, si trovò in un istante senza avvedersene in mezzo al mare, accolto dalle Divinità marine e trasformato in un Dio protettore della navigazione.
Da essa cominciava il suo corso diurno, e la sera andava a riposare da Teti, dea marina, in un palazzo di cristallo in fondo al mare. […] Di un altro figlio di Apollo convien qui parlare, perchè il mito o fatto mitologico che di lui si racconta è relativo al Sole. […] E coll’approvazione dell’ ambiziosa sua madre Climene andò nella sublime reggia di Apollo e chiese al padre una grazia, prègandolo a giurare per le acque del fiume Stige che non glie l’avrebbe negata. […] Esculapio era rappresentato con volto maestoso e in atto di meditare ; lunga avea la barba che scendeagli a mezzo il petto ; sulle spalle il pallio, ossia mantello alla greca, e in mano un bastone al quale era attortigliato un serpente, simbolo della prudenza, virtù necessaria principalmente ad un medico. […] Allude al lamento ed alla preghiera che si trova rettoricamente amplificata da Ovidio nel ii lib. delle Metamorfosi.
« Perciò di purga han d’uopo, e per purgarle « Son dell’antiche colpe in varii modi « Punite e travagliate : altre nell’aura « Sospese al vento, altre nell’acqua immerse, « Ed altre al foco raffinate ed arse : « Chè quale è di ciascuno il genio e ’l fallo, « Tale è il castigo. […] « Quest’alme tutte, poichè di mill’anni « Han volto il giro, alfin son qui chiamate « Di Lete al fiume, e ’n quella riva fanno, « Qual tu vedi colà turba e concorso. […] Si aggiunge ancora che gli Dei resero la vita al figlio di Tantalo ricòmponendone le cotte membra, e facendogli d’avorio la spalla mancante. […] La sola Ipermestra salvò la vita al suo sposo Linceo ; e questi poi compì quanto aveva predetto l’oracolo, uccidendo il suocero in battaglia. […] Mirabile è poi in sommo grado, e al tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra che usura offende la divina bontade ; e perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno.
L’adoravano ancora e le facevano splendidissime feste sotto il nome di Tesmòfora, cioè legislatrice, sapientemente considerando quel che anche oggidì ammettono tutti i pubblicisti e gli storici filosofi, che gli uomini solivaghi e nomadi, pescatori e cacciatori conduc endo una vita errante e senza dimora fissa, mal potevano assoggettarsi al consorzio sociale e vincolarsi con leggi ; e che solo allorquando per mezzo dell’agricoltura si fissarono su quei terreni che avevano coltivati, potè cominciare la civil società retta dal Governo e dalle leggi. […] Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone. […] Ma in italiano in questo senso figurato è poco usata la parola Cerere, e invece si preferisce l’aggettivo latino cereale, cioè appartenente a Cerere ; e si usa al plurale in forza di nome, dicendosi i cereali per significar le biade o le granaglie. In astronomia il nome di Cerere fu dato al primo degli asteroidi (pianeti telescopici situati fra Marte e Giove), scoperto dal Piazzi nel primo giorno del primo anno di questo secolo. […] Queste due ottave son poste dall’ Ariosto a modo di similitudine, come s’intende dall’ottava che segue : « Se in poter fosse stato Orlando pare « All’ Eleusina Dea come in desio, « Non avria, per Angelica cercare, « Lasciato o selva o campo o stagno o rio « O valle o monte o piano o terra o mare, « Il Cielo e ’l fondo dell’eterno oblìo ; « Ma poichè ’l carro e i draghi non avea, « La gìa cercando al meglio che potea. » Un’infinità di esempii, simili a quelli sopra citati di Dante e dell’ Ariosto, dimostrano come e quanto graziosamente i nostri sommi poeti si servano della Mitologia per ornamento del linguaggio poetico.
I più credono che fiorisse l’età dell’oro in quel tempo che Saturno stette nel Lazio31, sebbene altri la riferiscano al regno di Saturno nel Cielo, e non all’esilio di lui. […] E riguardo al morale, ognun sa che vi sono uomini e popoli più o meno malvagi, ma non è cangiata o guasta l’umana natura in generale, poichè non meno la storia che la comune esperienza dimostrano che gli uomini e i popoli possono correggersi dei loro vizii e difetti. […] Il serpente poi che mordendosi la coda forma un circolo, appella soltanto al tempo che è la continua successione dei momenti35. […] Dopo qùalche anno di esilio Saturno fu riammesso da Giove nel cielo fra gli Dei maggiori, ma destinato soltanto a presiedere al tempo. Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano stesso due singolari privilegi, quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato.
Infatti i mitologi latini adoprano quest’aggettivo al plurale, e intendono regioni al di sotto della superficie della Terra, perchè supponevano che nel seno di essa esistessero due inferne regioni molto diverse tra loro per l’uso a cui erano destinate. […] I Pagani sapevano molte vie per andare all’Inferno ; ma ne rammentavano principalmente due : una sotto il promontorio di Tenaro (ora capo Matapan al sud della Morea) ; e l’altra sulle sponde del lago Averno in Italia. […] La reggia e la residenza di Plutone non era negli Elisii. ma nel Tartaro, ove più si manifestava il bisogno di raffrenar coll’impero sovrano le anime dei malvagi, e vegliar che i suoi ministri non mancassero al loro dovere di tormentare i dannati. […] Peraltro fra i cerchi 6°, 7°, 8° e 9° vi son tre baratri o abissi, nei quali conviene scendere in un modo straordinario e pericoloso per giungere al centro. […] Secchi, gesuita, nel suo libro intitolato Il Sole : io ne citai le espressioni più chiare e precise nella Cosmografia al cap.
Per dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato che presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi del Caos ; e siccome il fuoco nulla produce, fu detto che Vesta minore non prese marito e fu Dea della castità. […] Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli. […] I due punti principali erano : primo, la conservazione perpetua del fuoco sacro, che simboleggiava, come abbiam detto, la perpetua durata di Roma e del suo impero ; e secondo, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio della Dea della castità. […] La Vestale che avesse lasciato spengere il fuoco sacro, era battuta pubblicamente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato al voto di castità era seppellita viva, in un campo, detto scellerato, fuori di Roma. […] Assuefatte perciò sin da bambine ad una vita così dignitosa, splendida e principesca non deve recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e che fosse stimato di cattivo augurio il sottoporsi o alla patria potestà degli agnati, o alla perpetua tutela e al predominio di un marito quanto si voglia illustre e discreto.
È una eccezione al mio metodo, che mi par giustificata dall’ufficio eccezionale e dalla forma particolare di questo Dio. […] Risparmierò al cortese lettore altre simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in principio, i distintivi che gli si davano perchè non si confondesse con altre inferiori divinità di forme presso a poco così graziose come quella di lui. […] Dante rammenta la favola di Siringa nel Canto xxxii del Purgatorio ; e, com’è suo stile di esser concisissimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso che altrove, poichè con una sola similitudine e in soli due versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib. […] Anche a tempo di Cicerone, com’egli racconta nelle sue epistole familiari, esisteva sotto quel colle un antro consacrato da Evandro al Dio Pane. […] Anche Cicerone nelle sue Opere usa almeno due volte, per quanto mi ricordi, l’aggettivo pànico riferito a timore o romore, ma lo scrive con lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo credeva un neologismo che non avesse ancora acquistato la cittadinanza romana.
I Romani chiamaron ferie (feriœ da ferire, colpire, immolar la vittima) i giorni sacri al riposo ed ai sacrifizj in onor degli Dei. […] Flamini,4 sacerdoti istituiti da Numa, e destinati al culto di qualche deità in particolare. […] Aveva il diritto di accordare sicuro asilo ai colpevoli che appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli che, andando al supplizio, erano da lui incontrati per via. […] Oltre al vino adoperavano nelle libazioni anche il latte, il miele, l’olio, l’acqua delle fonti o del mare ed il sangue degli animali. […] Flamines u Filamines forse perchè purtavano avvultu al capo un filu di laua.
Virgilio inoltre si dà premura di presentarci ancora il ritratto del Dio Tevere, « ….. che già vecchio al volto « Sembrava. […] E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero. […] « ………………… « Levò lo sguardo al Cielo il generoso « Ed urlò : Giove padre, adunque nullo « De’numi aita l’infelice Achille « Contro quest’onda ! […] Tibullo ne dimanda al Nilo stesso : « Nile pater, quanam possum te dicere causa, « Aut quibus in terris occuluisse caput ? […] Il nome più antico è attribuito dal poeta al linguaggio degli Dei, e il più moderno a quello degli uomini.
Aggiungono che nacque gara fra gli Dei per darle il nome ; e Giove per troncar le questioni decretò che avrebbe questo privilegio quel Nume che producesse una cosa più utile al genere umano. […] Questa Dea era venerata al par di Giove da tutti i popoli civili, o almeno non affatto barbari e selvaggi. […] Infatti Suida, lessicografo greco, scrive nel suo dizionario che la parola Aracne al femminile significa tela, e al maschile ragno, e Plinio asserisce che una donna chiamata Aracne inventò le tele, e Clostère, figlio di lei, i fusi. […] Dagli astronomi fu dato il nome di Pallade al secondo asteroide o pianeta telescopico, scoperto da Olbers il 28 maggio 1802. […] Così fu lieta Firenze di esser detta l’Atene d’Italia, dopo che sorsero in essa i più grandi scrittori, che il suo dialetto meritò di divenire la lingua comune de popolo Italiano, e che al pregio della lingua seppe unire pur anco quello delle scienze e delle arti.
XLIII Cadmo Non appartiene Cadmo al novero dei Semidei, e neppur divenne un Indigete Dio ; ma è considerato un Eroe e per l’epoca in cui visse e per quanto oprò. […] La trasformazione di Cadmo in serpente fu narrata così egregiamente da Ovidio, che sembrò mirabile, nonchè al Tasso, anche a Dante. […] Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e che perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo che la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo che Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come afferma Pausania. […] Sino al presente secolo non se ne dubitava, ed oltre al dirsi precisamente quali erano le sedici lettere importate da Cadmo, si notavano ancora le quattro inventate da Palamede al tempo dell’assedio di Troia, e le altre quattro aggiuntevi da Simonide cinque secoli dopo ; che in tutte vengono a formar l’alfabeto greco di ventiquattro lettere61. […] Diremo per lo meno che qui è davvero applicabile la massima attribuita da Fedro a Giove : « Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. » Non è per verità molto utile neppure il conoscere quali furono le lettere inventate da Palamede, e quelle aggiunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’ al più può essere una curiosità letteraria il sapere questa opinione degli Antichi : ma fu una vera pedanteria e ridicolezza il pretendere di distruggere il vocabolo alfabeto adottato nella lingua latina e in tutte le più colte lingue moderne, con tutti i suoi derivati e composti (alfabetico, alfabetare, analfabeta ecc.) per sostituirvene un altro di nuova formazione o etimologia.
Anche a tempo di Augusto i Persiani adoravano come loro Nume supremo il Sole ; e Ovidio ci dice che gli sacrificavano il cavallo per offrire una veloce vittima al celere Dio (ne detur celeri victima tarda Deo). Dal culto dei corpi celesti si passò presto a quello dei corpi terrestri, ossia dei prodotti della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeismo, e fu principalmente professato dagli Egiziani, i quali anche al tempo di Mosè adoravano come loro Dio il bue Api, la qual goffa idolatria fu imitata dagli Ebrei nel deserto col vitello d’oro, che costò la vita, per ordine di Mosè, a tante migliaia di quegli stupidi imitatori del culto Egiziano. […] Così al feticismo, ossia all’ apoteosi degli oggetti materiali, fu sostituita l’apoteosi di Esseri soprannaturali rappresentanti le forze o leggi della Natura fisica che producono il movimento della materia, e che poi furono dette scientificamente di attrazione e di repulsione. Fu questo il ponte di passaggio dal culto materiale del feticismo al Panteismo mitologico, in cui si fece l’apoteosi di tutte le forze e leggi della creazione non solo del mondo fisico, ma pur anco del mondo morale. […] Ma quando nella pagana religione si giunse ad abusare dell’apoteosi col deificare per vile adulazione i potenti della Terra non solo dopo la loro morte, ma pur anco in vita, si cadde allora nell’abiezione del feticismo, si tolse tutto il prestigio al culto degli altri Dei ; e gli uomini ragionevoli sentirono il bisogno di una religione più pura e più razionale.
XLI Perseo Questo antichissimo Eroe apparteneva al novero dei Semidei, poichè fu creduto figlio di Giove e di Danae, la quale era figlia di Acrisio re degli Argiesi. […] Inoltre questo cavallo dando un calcio al terreno presso il monte Elicona nella Beozia, fece sgorgare una fonte che fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene, che vuol dir fonte del cavallo. […] I genitori che eran presenti diedero in premio al liberatore la figlia in isposa, e il regno per dote. […] Collegata la Mitologia allo studio delle origini storiche, forma la necessaria introduzione al Corso della Storia Antica ; e quanto poi alla Letteratura classica ed alla Archeologia è fondamento indispensabile ; « E non è impresa da pigliare a gabbo, « Nè da lingua che chiami mamma e babbo. » 48. […] « E vede l’oste e tutta la famiglia, « E chi a finestre e chi fuor nella via, « Tener levati al ciel gli occhi e le ciglia, « Come l’ecclisse o la cometa sia.
Agli antichi Mitologi non bastò l’avere assegnato tre Dee al globo terrestre, come notammo nel N. VIII, ed anche altre Divinità Superiori ai principali prodotti della Terra, cioè Cerere alle biade, Bacco al vino, Vulcano alla metallurgia, ecc. ; e lasciando libero il freno alla immaginazione videro Divinità da per tutto, nei monti, nei fiumi, nelle fonti, nelle selve e perfino nelle piante, come col microscopio si vedono da per tutto brulicar gl’insetti e gl’infusorii. […] III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui scriveva S. […] » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vulgus, e da spacciarsi in massa, (o come taluni dicono in blocco) e con poche e generali considerazioni sul loro comune appellativo, procediamo senza spaventarci ad osservare anche altre fantasmagorie preistoriche dei nostri più remoti Antenati. […] I più dotti commentatori di Dante, e tra essi anche il canonico Bianchi di onorata memoria, interpretano questo passo cosi : « per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto al numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e moltiplicandolo per cento, come dice Dante, ne verrebbero 3 milioni di Dei, adorati dai Simoniaci.
La qual capra fu poi da Giove trasportata in Cielo e cangiata nella costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e che rifulge di sessantaquattro stelle. […] Tant’è vero che Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali, che sotto forma ed abito femminile accompagnavano Beatrice ; e fa dire alle medesime nel canto xxxi del Purgatorio : « Noi sem qui Ninfe e nel Ciel semo stelle : « Pria che Beatrice discendesse al mondo. […] Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso. […] Stabilita la base, e lieti della prima applicazione bene appropriata, presero coraggio a metterne fuori anche altre, e diedero il nome di Ninfale a un genere di Lepidotteri diurni della tribù dei Papilionidi ; e poi al Ninfale del pioppo (N. populea) assegnarono anche un altro nome più familiare e comune, tratto parimente dalla Mitologia, vale a dire Gran Silvano. […] Questa costellazione, invece di esser chiamata la Capra, è detta il Capricorno ; la qual parola composta starebbe a significare il corno della capra, o la capra con un corno, per alludere alla favola, che alla capra nutrice di Giove essendosi rotto un corno, Giove ne fece un regalo alle Ninfe che ebbero cura della sua infanzia, attribuendo al medesimo il mirabil prodigio di versar dalla sua cavità qualunque oggetto desiderato dalla persona che lo possedeva.
In Roma per altro, la cui fondazione ebbe luogo tre in quattro secoli dopo l’eccidio di Troia, il culto di Marte fu il più solenne e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore della loro città fosse figlio di Marte, come narra lo stesso Tito Livio. […] All’opposto i Romani ne moltiplicarono le statue e le pitture, perchè al favore di questo Dio attribuivano le loro conquiste. […] Essendo la guerra il fondamento e la causa della loro potenza, e’ la chiamavano bellum, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino al termine della repubblica e ai primi tempi dell’impero, perchè a fin di guerra riuscivan sempre vincitori e conquistatori176. […] 179 In onore di Marte fu dato da Romolo il nome al mese di marzo che era in quel tempo il primo mese dell’anno. […] Modernamente per altro nei tribunali collegiali si procura che il numero dei giudici sia dispari ; ed in alcune società amministrative o di privati, ove il numero dei votanti è variabile, si accorda nei casi di parità il doppio voto al Presidente.
Il nome di Ebe fu dato dagli astronomi al sesto pianeta telescopico che fu scoperto da Hencke il 1° luglio 1847. […] Giove prediligendo la Ninfa Io figlia d’Inaco re d’Argo, per sottrarla alle investigazioni ed alle persecuzioni di sua moglie, la trasformò in vacca ; ma Giunone non vedendo più in alcun luogo la figlia di Inaco, sospettò di qualche frode, e chiese in dono al marito quella giovenca, che Giove non potè negarle per non scuoprirsi. […] Nei poeti più eleganti, invece di Iride, trovasi anche Iri, che è voce più simile al nome greco e latino, e perciò preferita nel linguaggio poetico. […] Una bella descrizione di iridescenza e di cangiamento di colori secondo l’incidenza dei raggi e i diversi punti di vista, si legge nella seguente ottava della Gerusalemme Liberata del Tasso : « Come piuma talor che di gentile « Amorosa colomba il collo cinge « Mai non si scorge a sè stessa simile, « Ma in diversi colori al sol si tinge ; « Or d’accesi rubin sembra un monile, « Or di verdi smeraldi il lume finge ; « Or insieme li mesce, e varia e vaga « In cento modi i riguardanti appaga. » (Gerus. lib., xv, 5.) […] Gli astronomi però non avevano trascurato di rendere onore alla regina degli Dei anche prima che ad Iride sua ancella, e furon solleciti di dare il nome di Giunone ad uno dei primi asteroidi scoperti in questo secolo, e precisamente al 3°, veduto per la prima volta da Harding il 1° settembre 1804.
Col solo nome di Diana era considerata come Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei avevan rinunziato a prender marito, passasse il tempo nei boschi ad inseguire ed uccider le fiere. E perciò si rappresenta come le vergini Tirie140, con veste corta che appena le giunge al ginocchio, i coturni sino alla metà della gamba, pendente alle spalle il turcasso cogli strali, in una mano l’arco e nell’altra un guinzaglio con cui trattiene un levriero che si volta a guardarla ; e perchè si distingua che questa cacciatrice è Diana, le si aggiunge sull’alto della fronte un aureo monile in forma di luna crescente. […] E al nome di Orsa maggiore preferì quello del Carro nel C. […] Una più terribile punizione inflisse Diana al cacciatore Atteone, il quale essendo penetrato in un boschetto ov’era una fonte in cui si bagnava Diana colle sue Ninfe, la Dea gli gettò dell’acqua sulla faccia e lo trasformò in cervo, che nel fuggire fu raggiunto dai suoi propri cani e da essi miseramente dilaniato. […] ii) Ovidio chiama pigra la Costellezione di Boote, perchè è vicina al polo, « …..dove le stelle son più tarde, « Siccome ruota più presto allo stelo. » (Dante, Purg., viii, 86.)
Ma poichè ammettevasi nella classica Mitologia una Divinità più potente di Giove, il Fato, agli inesorabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi al Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. […] A Vulcano infatti attribuivansi i più mirabili lavori in metallo, dal carro e dalla reggia del Sole al cinto di Venere ; e Omero aggiunge che tutti gli Dei possedevan palagi « ……che fabbricati « A ciascheduno avea con ammirando « Artifizio Vulcan l’inclito zoppo. […] « Queste al fianco del Dio spedite e snelle « Camminavano. » (Iliade, xviii.) Tranne l’infonder la vera vita e l’intelligenza alla materia bruta (privilegio non accordato all’arte umana), hanno saputo i meccanici fino ab antico formare automi maravigliosi, dalla colomba volante di Archita al giuocator di scacchi del barone di Kempelen. […] Nel medio evo, al risorger delle lettere e delle scienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella, e quando le persone entravano le salutava.
Demostene in una delle sue celeberrime Orazioni disse pubblicamente al popolo di Atene, che la Pizia filippeggiava, vale a dire che l’Oracolo di Delfo era corrotto dall’oro del re Filippo padre di Alessandro Magno. […] Di qui nascevano i tempii, di qui i sacrifizii, di qui le supplicazioni ed ogni altra cerimonia in venerarli, perchè l’oracolo di Delo, il tempio di Giove Ammone ed altri celebri Oracoli tenevano il mondo in ammirazione e devoto. » Da tutte le preaccennate autorità e da altre molte che si potrebbero citare, e delle quali ciascun che legge queste pagine avrà facilmente præ manibus più d’una, si può dedurre con sicurezza di non errare, che gli Oracoli e gli altri modi d’interpretazione della volontà degli Dei furono inventati da prima con intenzion casta e benigna per uno scopo altamente sociale, e che essendo diretti al pubblico bene furono utilissimi, e divennero, come direbbe il Romagnosi, uno dei primi fattori dell’Incivilimento. […] Finchè dunque i sacerdoti che facevan parlare gli Oracoli furon dotti e sapienti e amarono la libertà e il pubblico bene, anche i dotti e i sapienti del mondo ammirarono ed encomiarono la loro santa impostura 291), e ben si guardavano dallo svelarne al popolo l’artifizio e screditarla. Ma però…… e qui cedo la parola al Machiavelli, « come costoro cominciarono dipoi a parlare a modo dei potenti, e questa falsità si fu scoperta nei popoli, divennero gli uomini increduli ed atti a perturbare ogni ordine buono. » Fu allora che venne fuori Demostene a dire pubblicamente che la Pizia filippeggiava, e in appresso Cicerone a dimostrare filosoficamente che la Divinazione era immaginaria e insussistente, e Catone ad asserire che gli Oracoli eran buoni soltanto per le donne, i fanciulli e gl’ignoranti. […] Anche il Giusti chiama santa impostura l’artifizio di Numa nel dare ad intendere al popolo romano che le sue prescrizioni religiose e civili gli erano suggerite dalla Dea Egeria : « Con aspri precetti « Licurgo severo « Corresse i difetti « Del Greco leggiero ; « E Numa con arte, « Di santa impostura « La buccia un po’ dura « Del popol di Marte. » (Apologia del Lotto).
E altrove trattando lo stesso argomento aveva detto con non minore eloquenza : « Color che ragionando andaro al fondo, « S’accorser d’esta innata libertate, « Però moralità lasciaro al mondo. […] Dunque Fato (in latino fatum, participio del verbo fari) significa ciò che fu pronunziato ossia decretato irrevocabilmente ; e in senso filosofico corrisponde al Verbum dei Latini, e al Logos dei Greci.
Anzi ne deriva al tempo stesso la spiegazione come avvenga che talvolta in qualche Classico latino si annoverano tra gli Dei Penati taluni degli Dei superiori o maggiori, come Giove, Marte, Nettuno ecc. […] E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti, ovvero alla parte più interna dei tempii e delle case ove questi Dei erano adorati37. […] Quindi l’espressione rituale dei politeisti i sacri penetrali corrisponde al sancta sanctorum dei monoteisti ; quindi il comun verbo penetrare significa lo spingersi addentro nei più riposti recessi dei luoghi o dei pensieri. […] Perciò, oltre al distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decider così la question mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di famiglia ; senza dei quali, come egli sapientemente dichiara, non può esser buona una repubblica, nè ben viversi in essa 39.
La più bella e sublime immagine della potenza di Giove, e della dipendenza della Terra dal Cielo e dal supremo suo Nume, fu ideata da Omero, attribuendone l’invenzione a Giove stesso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei : « D’oro al cielo appendete una catena, « E tutti a questa v’attaccate, o Divi, « E voi Dee, e traete. […] Questa invenzione dell’aurea catena che lega la Terra al Cielo è sempre sembrata sì bella e sapiente, che non solo fu accolta con plauso dai poeti e dai letterati, ma commentata pur anco splendidamente dai filosofi, e tra questi da quel potente e straordinario ingegno del nostro Giovan Battista Vico66. […] M. non solo nelle iscrizioni dei documenti storici delle chiese e di altre fabbriche addette al culto, ma pur anco ne’ monumenti e nelle epigrafi delle sepolture. […] Parlando il Vico di questa Catena nel libro secondo de’ suoi Principii di Scienza Nuova, riferisce che in essa Dionigi Longino ammirava la maggior sublimità di tutte le favole omeriche ; e quindi aggiunge le seguenti osservazioni : « La qual Catena se gli Stoici vogliono che significhi la serie eterna delle cagioni, con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il Mondo, vedano che essi non vi restino avvolti ; perchè lo strascinamento degli uomini e degli Dei con sì fatta Catena egli pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto al Fato.
Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di questi due Numi figli di Giove e di Latona, il Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai che era regolato da un Titano di nome Iperione. […] 98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva prima della nascita di Diana chiamavasi, con greco nome Selene, che significava Luna, figlia essa pure d’Iperione, e perciò sorella di Elio99). […] In Francia e in Svizzera ve n’erano una volta molte più che al presente. […] Inoltre in questo secolo, e precisamente nel 1831, formossi per sollevamento nel mare al sud-ovest della Sicilia un’isoletta che fu chiamata Ferdinandea, la quale pochi mesi dopo cominciò a riavvallare, e disparve nuovamente sott’acqua.
41 » Questa regione dell’Eolia non è già quella dell’Asia Minore situata fra la Troade e l’Ionia, e detta più anticamente la Misia, ma corrisponde al gruppo delle isole chiamate ancora oggidì Eolie, o di Lipari, nel mar Tirreno fra la Sicilia e l’Italia. […] « Tutto il palagio, finchè il giorno splende, « Spira fragranze, e d’armonie risuona ; « Poi, caduta sull’isola la notte, « Chiudono al sonno le bramose ciglia « In traforati e attappezzati letti « Con le donne pudiche i fidi sposi. » Alcuni Mitologi dissero che Eolo era figlio di Giove e di Segesta figlia d’Ippota troiano ; e che i Venti fossero figli di Astreo, uno dei Titani, e dell’Aurora ; e quelle loro genealogie furono accolte dai più. […] 44 In Esiodo si trova rammentato il vento Argeste (che vuol dir sereno, e secondo altri grecisti veloce) ; e siccome in quel poeta non si trova nominato il vento Euro, alcuni Eruditi hanno detto che è sinonimo di questo., Ma Plinio il Naturalista afferma che l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei Latini, ossia al ponente-maestro (nord-ovest).
Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti dai loro littori prendevano possesso dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. […] Era giorno solenne e lieto, come lo chiama Ovidio, non però tutto festivo, ma, come ora direbbesi, di mezza festa, e allora dicevasi intercisus o endotercisus, perchè dopo i riti solenni religiosi e civili ciascuno attendeva al proprio ufficio, o professione nelle altre ore del giorno. […] Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse.
Cibele dipoi, per salvare gli altri figli maschi che nacquero in appresso, li mandò nascostamente nell’isola di Creta, e diede ad intendere al marito di aver partorito una pietra che gli fece presentare invece di ciascun neonato. […] Saturno invece di esser grato al figlio e di contentarsi del secondo rango nel Cielo, quello di ex-re padre del regnante, s’indispettì perchè il figlio non lo rimise sul trono, e quindi congiurò contro di lui. […] Da questo greco termine Cronos son derivati e composti i vocaboli Cronaca, Cronologia, Cronometro, ecc., tutti relativi al tempo.
I Romani sino al termine della seconda guerra punica furono i puritani della pagana religione, e considerarono sin dal tempo di Numa il sentimento religioso e morale come il primo fattore dell’incivilimento ; e perciò ebbero cura di tenerne lungi qualunque elemento che tendesse a viziare la moralità delle azioni, senza la quale non può esistere vera civiltà. […] Aggiungendovisi poi le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo che essi potessero accogliere nel loro numero e nel loro consesso qualunque mortale benchè scellerato ed empio, come furono i più degli Imperatori romani. […] Perciò Dante fa dire al poeta Stazio nel C.
Il Pegaso continuò il volo sino al Firmamento, ove fu cangiato nella costellazione che porta il suo nome, come dicemmo. […] Quest’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso. […] Non ci vuol molto a immaginare i più strani mostri formati di membra diverse di ogni genere di animali ; ma ne deriva, invece dell’ ammirazione e del diletto, il disgusto e il ridicolo, come dice Orazio al principio dell’Arte Poetica : « Humano capiti cervicem pictor equinam « Jungere si velit, et varias inducere plumas « Undique collatis membris, ut turpiter atrum « Desinat in piscem mulier formosa superne, « Spectatum admissi risum teneatis, amici ?
Io dunque non intendo di scrivere un trattato di Mitologia appositamente per gli studiosi delle lingue greca e latina ; chè sarebbe un portar vasi a Samo e nottole ad Atene, mentre sì fatti libri di antichissima e minuta erudizione esistono in tutte le lingue e specialmente in latino, e se ne trovano ancora tradotti in italiano dal francese e dal tedesco ; ma son libri troppo eruditi e di una erudizione troppo antiquata, e contengono un cibo non solo difficile alla assimilazione, ma talvolta ancora ostico, o almeno poco soave al gusto. […] E poichè in questa classe si trovano i più degl’italiani e quasi tutte le donne italiane, ho creduto che un libro facile e popolare di cognizioni mitologiche, non aggravato da una pesante mole di peregrina e non necessaria erudizione antica, possa riuscire accetto al maggior numero dei lettori. […] Considerando poi che le Arti Belle non hanno mai cessato da tremila anni, neppur dopo la caduta della religione pagana, di rappresentare in tavole e in tele, in bronzi e in marmi le più poetiche e leggiadre personificazioni delle idee mitologiche ; e che di tal genere trovansi antichi e moderni capi d’opera di scultura e di pittura, non solo nelle pubbliche gallerie e nei palagi dei maggiorenti, ma pur anco nelle piazze e nelle strade, non in Roma soltanto, ma per tutta Italia, la cognizione della Mitologia si rende necessaria non solo ai cultori delle Arti Belle, ma altresì a chiunque non ami di apparir rozzo ed insensibile al bello artistico, che tanti stranieri richiama dalle più lontane regioni in Italia ad ammirarlo.
La favola si riferisce al destino della vita di Meleagro. […] » E Virgilio a lui : « Se t’ammentassi come Meleagro « Si consumò al consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a te sì agro. » Ma accorgendosi Virgilio che con questo esempio pretendeva di spiegare un mistero con un altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico : « E se pensassi come al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostra image, « Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. » E per quanto anche il poeta Stazio, a richiesta di Virgilio, gli desse bellissime spiegazioni scientifiche sulla generazione dell’uomo, sull’unione dell’anima col corpo e lo stato di essa dopo la morte, nulladimeno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta che Virgilio gli disse : « A sofferir tormenti e caldi e geli « Simili corpi la Virtù dispone « Che come sia non vuol che a noi si sveli. » E così con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere che spesso s’incontrano nelle umane cognizioni misteri inesplicabili.
Cominciarono a dire che questa Dea, per la sua singolare e impareggiabil bellezza, era ambita in isposa da tutti gli Dei ; e questo è naturale e probabilissimo, e non sta di certo a disdoro di Venere ; ma poi vi aggiunsero che per voler di Giove suo padre fu data in moglie al più brutto, e che per di più era zoppo e tutto affumicato e fuligginoso per l’esercizio della sua professione di fabbro. […] Sino al secolo passato non celebravasi un matrimonio tra persone che sapesser leggere, che subito un poeta qualunque non componesse un epitalamio 188, in cui v’era sempre Imene con le catene, per rima obbligata, a unire gli sposi. […] Si aggiogavano al carro di Venere le colombe, perchè sono affettuosissime e feconde ; e la favola aggiunge che erano sacre a questa Dea, perchè fu cangiata in colomba una Ninfa sua prediletta chiamata Peristeria, per un infantile vendetta di Cupido su questa Ninfa che aveva aiutato Venere a vincere una scommessa a chi coglieva più rose.
» — Il racconto non interrotto, dicono gli Autori di questo Corso, offre all’ alunno una lettura più gradevole e più istruttiva, mentre la divisione in paragrafi somministra le dimande più opportune, e risparmia le ripetizioni, additando al lettore con un semplice numerò tra due () i particolari dei fatti già narrati nei paragrafi antecedenti o nei successivi. — » « Volendo noi pubblicare un Corso di Mitologia pei giovinetti, abbbiamo stimato dover preferire questo a molti altri, in grazia della sperimentata bontà del metodo. Ma supponendo che la pura traduzione di esso non avrebbe pienamente soddisfatto al bisogno dei primi studj letterarj, abbiamo accresciuto non poco le notizie mitologiche, tenendoci sempre nei limiti di un libro elementare.
Nell’Impero Romano all’opposto l’apoteosi degl’Imperatori e delle Imperatrici era divenuto un vile atto di adulazione al potere assoluto e dispotico del supremo imperante o dei suoi eredi e successori, non già come in Grecia un atto spontaneo delle popolazioni memori delle virtù dei suoi uomini illustri, e grate dei benefizii da essi ricevuti. […] Dentro e intorno al rogo spargevansi incensi ed aromi preziosi in gran quantità.
Anche alla Dea Mente, ossia al Senno, fu eretto un tempio dopo la infelice battaglia del Trasimeno. […] Il riferirne ed analizzarne le poetiche descrizioni antiche e moderne è ufficio dei professori di rettorica e belle lettere, e il descriverne le antiche e le moderne sculture o pitture appartiensi ai professori gnostici ed estetici di Belle Arti, e non al Mitologo, poichè miti speciali non vi sono in queste astrazioni, o personificazioni, o apoteosi, da raccontare.
Quanto poi al vaso di Pandora, onde, uscirono tutti i mali di questa Terra, l’espressione mitologica è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro che eruditissime. […] Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo che a Pandora e al genere umano, non fa la più bella figura, come abbiam notato di sopra, nei suoi doveri poi, che diremmo domestici, vale a dire di marito e di padre, è anche più biasimevole.
Spiacemi che il mio umile assunto e lo scopo principale a cui è diretto questo lavoro m’impediscano di estendermi in osservazioni generali, e mi obblighino invece di aggiunger soltanto spiegazioni al racconto dei molteplici fatti particolari che più ne abbisognano ; ma ho voluto premetter questi brevi cenni per far conoscer la necessità di studiare i tempi eroici, che sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Storia, e che perciò hanno la stessa importanza per le origini storiche dei popoli antichi che il Medio Evo per le origini della moderna civil società. Scendendo ora a parlare dei principali Eroi, e Semidei e Indigeti di quest’epoca, convien prima di tutto determinare l’estensione, o vogliam dire la durata dell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca. » Volendo poi determinare cronologicamente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso della distruzione di Troia, poichè si trova in taluni Autori la differenza di più di un secolo ; ma seguendo la Cronologia greca più accreditata colle modificazioni di Petit-Radel nel suo Examen critique, troveremo almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia.
Questa triplice distinzione richiama al pensiero l’ipotesi dei geologi e degli astronomi moderni sull’origine della Terra, che cioè essendo essa in principio una massa di materia incandescente, o in fusione ignea, non era atta alla produzione e conservazione dei vegetabili e degli animali ; che in appresso, in centinaia di secoli, a poco a poco raffreddandosi aveva formato la solida crosta del globo terrestre con tutti i diversi suoi strati ; e gradatamente prodotto tutti gli oggetti dei tre regni della Natura nelle diverse e successive epoche geologiche. […] Ma al solito non dice il motivo dell’eccezional privilegio accordato ai sacerdoti della Dea Cibele.
Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte, Vulcano ed Ebe ; e poi da altre Dee, ed anche da donne mortali, altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli che furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Diana, Mercurio e Bacco. […] I moderni, dopo l’invenzione del telescopio, scoprirono molti altri pianeti, e ai primi e principali da loro scoperti diedero il nome degli altri Dei superiori, esclusi soltanto l’Orco, ossia Plutone, Bacco e il Genio ; e poi ricorsero anche ai nomi delle divinità secondarie o inferiori ; e ora a quei pianeti che scuoprono di mano in mano quasi tutti gli anni, e qualche volta più d’uno all’ anno, attribuiscono un nome pur che sia ; e qualcuno dei più celebri scienziati, a preghiera dell’ astronomo scopritore, propone il nome da darsi al neo-scoperto pianeta ; il qual nome è subito comunicato a tutto l’orbe scientifico che lo registra premurosamente in tutti i suoi periodici e in tutte le carte uranografiche coi connotati caratteristici e distintivi, ossia con tutti quegli elementi astronomici che furono sino allora osservati e calcolati.
Per lo scopo nostro, cioè in relazione al diluvio, basta il parlare delle roccie acquee per conoscere come la scienza ammette e dimostra il gran cataclisma del diluvio. […] Anche Dante chiama la terra madre comune ; e questa espressione è al tempo stesso mitologica, biblica e filosofica.
Il Belo Babilonese fondatore di Babilonia e cho credesi il Nemrod della Sacra Scrittura, fiori, secondo altri, intorno al 2640. […] Altri assegna alla caduta di Troia l’epoca del 1210-1209 ; e quindi al 1207 l’arrivo d’Enea in Italia.
Talvolta gli scultori pongono le figure dei Satiri per cariatidi ; della qual parola dà una bella spiegazione l’Alighieri nella seguente similitudine : « Come per sostentar solaio o tetto « Per mensola talvolta una figura « Si vede giunger le ginocchia al petto, « La qual fa del non ver vera rancura « Nascere a chi la vede ; così fatti « Vid’io color, quando presi ben cura. » Due Satiri posti per cariatidi si vedono in Firenze nella facciata di un antico palazzo ora appartenente alla famiglia Fenzi. […] Il nome di Vertunno, che davasi al Dio delle stagioni e della maturità dei frutti, colla sua latina etimologia a vertendo, (cioè dai cangiamenti operati dalle stagioni sui prodotti della terra) dimostra l’origine italica e romana di questo Dio.
Ciane, Ninfa che s’oppose al ratto di Proserpina, 53. […] Eteocle, figlio di Edipo, usurpa il trono al fratello ec., 505 ; — guerra di Tebe, 506 ; — morte d’Eteocle, 508.
La favorevole accoglienza ottenuta dalle nostre due antecedenti edizioni del Corso di Mitologia dei Signori Nöel e Chapsal, ci ha confortati a mettere al la luce questa terza edizione, che abbiamo cercato rendere anche migliore delle altre per esattezza nella correzione, e per un numero maggiore d’incisioni in legno intercalate nel testo.
Per altro si è creduto e si crede generalmente che sotto la forma delle più strane invenzioni miracolose si nascondessero elevati principii scientifici, noti soltanto ai sacerdoti e ai loro adepti o iniziati ; e finchè prevalse lo spirito di casta, ossia di preeminenza e predominio dell’una classe sociale sull’altra, furono censurati, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo la dottrina segreta.
Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutte le altre parole che ora vi si leggono ; e non si contentò di dirmelo a voce in familiare conversazione, ma lo ripetè in una delle lettere ch’egli ebbe occasione di scrivermi ; e poi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo della Nuova Antologia, che egli mi suggeriva di adottare il soprascritto titolo.
Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia.