Cotesto poema dunque è insieme il più ingegnoso commentario del paganesimo ed il segnale più chiaro della sua decadenza. […] Ma l’incredulità s’era già da molto tempo intrusa fra i sacerdoti, ed avea fatto grande avanzamento per cagione delle sventure del paese. […] I Cesari gelosi avean giurato la rovina del Cristianesimo, ed eccolo assiso sul trono de’ Cesari. […] Possono rispondere ed altercare, non essendo lecito che senza punto esser uditi e difesi siano condannati. […] Intirizzire ed impallire dopo la lavanda, posso farlo ancor dopo morte.
Come poi facesse per ritornar nella notte dalla parte d’Oriente, i più antichi poeti, Omero ed Esiodo, l’hanno prudentemente taciuto : soltanto in appresso qualche mitologo inventò che il Sole, dopo di essersi riposato nel palazzo di Teti, entrava in fondo ad una nave d’oro col suo carro ed i suoi cavalli, ed era trasportato velocissimamente per mare, girando a settentrione, per ritornare in tempo la mattina all’Oriente. […] Dante nota ancora l’ aura annunziatrice degli albori che movesi ed olezza tutta impregnata dall’erbe e dai fiori. […] Infatti i focosi cavalli del Sole ben presto si accorsero della inesperta ed imbelle mano che li guidava, e non trattenuti dai freni deviarono dall’usato sentiero, ora accostandosi alla vôlta celeste ed arroventandola, ora scendendo vicino alla terra, ed abbruciando gli alberi e gli animali e prosciugando i fiumi, i laghi ed i mari. […] Nella invenzione di queste tre Divinità che presiedono alla più felice conservazione degli esseri umani, troviamo un concetto ed un ragionamento che ha la forma di un sillogismo. […] Allude al lamento ed alla preghiera che si trova rettoricamente amplificata da Ovidio nel ii lib. delle Metamorfosi.
A questi novelli Dei assunti in Cielo ergevansi nel mondo dalla credulità dei pagani, tempii ed altari, offrivansi incensi e voti. […] In tal graduazione Dante si manifesta superiore non solo a tutti i poeti, ma pur anco ai legislatori ed ai criminalisti. […] Gli Zoologi chiamaron Tantalo un uccello della classe dei Trampolieri, simile all’Airone ed all’Ibi. […] Dopo avere insegnato per venti anni a Crotone, passò a Metaponto ed ivi morì ; e dopo la morte fu più ancora ammirato che in vita, poichè la sua casa fu cangiata in un tempio, ed egli adorato qual Nume. […] Il nome di questa piccola moneta, l’ obolo, ha avuto una gran fortuna e un gran credito ; è passato in quasi tutte le lingue europee traversando più di 30 secoli, ed è rimasto sempre un termine usitatissimo ed elegante dall’obolo di Caronte all’obolo di San Pietro.
Gli Argonauti sapevano soltanto che quel paese era fra settentrione ed oriente, e in quella direzione volsero la prora. Il capitan della nave era Giasone, il pilota Tifi, ed a prua stava Linceo di vista acutissima, (come significa il suo nome derivato da lince, per osservare se v’eran sott’ acqua scogli e sirti, ove corresse rischio di frangersi o arrenare la nave. […] « Prende la briglia e salta su gli arcioni « Dell’Ippogrifo ed il bel corno afferra ; « E con cenni allo scalco poi comanda « Che riponga la mensa e la vivanda. […] Sarebbe dunque rimasta vana ed inutile la spedizione degli Argonauti, quanto al fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse trovato una Maga che lo aiutasse a superare ogni ostacolo soprannaturale. […] Nella sua schiavitù ebbe Issipile a custodire il piccolo figlio di Licurgo, chiamato Ofelte, o altrimenti Archemore ; ed avendolo lasciato solo in un prato per mostrare ad Adrasto e a’suoi compagni la fontana Langia non molto distante, al suo ritorno trovò il bambino morto pel morso velenoso di un serpente ; ed oltre al dispiacere provato avrebbe dovuto subire anche la morte, se non la di fendevano Adrasto e i suoi compagni.
Ne seguì la guerra di Giove e fratelli contro lo zio ed i cugini con la sconfitta e l’esilio di questi. Ora sono i soccombenti ed oppressi Titani che tentano colla forza di ricuperare il perduto possesso del celeste regno. […] Ecco, ci dicono i mitologi, perchè gli Egiziani adoravano come Dei tante bestie, ed anche qualche vegetabile75). […] Una delle più impossibili ed incredibili era tanto famigerata, che la eternò nei suoi mirabili versi lo stesso Virgilio. […] Se ne trova pure in copia combinato col piombo, col rame, collo zinco ed altri metalli.
Sarebbe perciò troppo lungo discorso e monotono il parlar di tutti particolarmente ; ed io credo che invece basterà descriverne tre o quattro dei principali e più famosi, e passar leggermente sugli altri con qualche osservazione che sia ad essi comune. […] Gli Oracoli si rendevano in un sotterraneo del tempio, inaccessibile a tutti i profani, ed ove ammettevasi soltanto qualche devoto che ne avesse ottenuto dai sacerdoti il permesso. […] I primi Cristiani attribuirono gli Oracoli all’opera dei Demònii, ed asserivano che la potenza di questi era cessata col sorger del Cristianesimo ; e così assegnavano gratuitamente e senza necessità una causa soprannaturale a ciò che era l’effetto naturalissimo della impostura dei sacerdoti pagani, da prima nascosta ed ignota, e poi a poco a poco scoperta e smascherata. […] Fu poi riconosciuto anche dai filosofi che i primi civilizzatori dei popoli si valsero del principio teocratico, facendosi credere o figli degli Dei o interpreti dei supremi voleri di quelli, per rimuovere i primitivi uomini ignoranti e barbari dalla vita selvaggia e brutale e condurli a collegarsi ed unirsi fra loro in un più umano consorzio. […] Cicerone che l’analizza filosoficamete nelle Tusculane, chiama il Nosce te precetto di Apollo, ed aggiunge che essendo di tal sublimità da parer superiore all’ingegno umano, fu perciò attribuito a un Dio290).
XXXIX Eolo e i Venti Non bastò ai Greci ed ai Romani politeisti, dopo aver considerata l’Aria come uno dei 4 elementi del Caos, il farne anche una Dea, che, sposato il Giorno (sinonimo di luce), produsse Urano, ossia il Cielo ; in quanto che osservando in appresso che nell’aria esiste « Quell’umido vapor che in acqua riede, » ne fecero un Dio sotto il nome di Giove Pluvio ; ed inoltre, poichè l’aria, movendosi, « ….. or vien quinci ed or vien quindi, « E muta nome perchè muta lato, » e produce il fenomeno dei Venti, vollero deificare anche questi. […] Anche Omero, nel libro X dell’Odissea, dice che Eolo « …. de’venti dispensier supremo « Fu da Giove nomato ; ed a sua voglia « Stringer lor puote o rallentare il freno. » Ma gli attribuisce un genere di vita più patriarcale, e gli assegna un soggiorno più poetico ed ameno, quantunque nella stessa regione insulare. […] « Dodici, sei d’un sesso e sei dell’altro, « Gli nacquer figli in casa ; ed ei congiunse « Per nodo marital suore e fratelli, « Che avean degli anni il più bel fior sul volto. […] I 4 Venti principali, rammentati anche da Omero, sono Borea, Noto, Euro e Zeffiro, nomi adottati dai Latini e conservati nella poesia italiana ed in alcune denominazioni scientifiche. […] Così fanno sinonimi Borea ed Aquilone ; Austro e Noto ; Zeffiro e Favonio, ecc.
La prima chiamavasi il Tartaro, ed era luogo di pena per le anime dei malvagi : la seconda dicevasi Elisio o Campi Elisii, luogo di beatitudine per le anime dei buoni235. Siccome gli Antichi credevano che alcuni dei loro più famosi eroi, Teseo, Ercole, Orfeo, Ulisse ed Enea in corpo e in anima, ossia da vivi, fossero andati a visitar questi luoghi, e ritornati ne avessero raccontato mirabilia, i poeti impadronendosi di questa popolare credenza vi trovarono un vasto campo libero ed aperto alla loro immaginazione, che percorsero a briglia sciolta, e senza paura di essere smentiti da chi, dopo la morte, nulla vi avesse trovato di quel che essi dicevano. E il nostro Dante valendosi della facoltà consentita ai poeti greci e latini, e specialmente dietro l’esempio di Virgilio suo maestro ed autore, costruì un Inferno che sarà sempre una maraviglia non solo della sua fantasia, ma pur anco della sua sapienza morale e politica. […] La sua poetica descrizione è tanto chiara ed evidente che molti cultori delle arti belle, e tra questi lo stesso Michelangiolo, hanno potuto rappresentarla senza alcuna difficoltà colla matita e col pennello. […] Tutte le scienze da qualche tempo congiurano amichevolmente ad ottenere lo stesso fine ed effetto, di scuoprire cioè l’origine del nostro pianeta e la fisica costituzione di esso anche internamente.
Il Dio Momo è da porsi vicino ai Satiri pel suo umor satirico ed impudente. […] Era rappresentato con un berretto frigio coi sonagli, un bastone ed una maschera in mano, distintivi significanti che egli con sfrenata licenza plebea e con modi da pazzo censurava tutti, pretendendo di smascherarne i vizii. […] Ma gli aneddoti sconci ed abietti che raccontano di lui servono tutti a ispirar dispregio anzi che venerazione per esso. […] I Romani ponevano la statua di Priapo nei loro orti o giardini, ma per far soltanto da spauracchio agli uccelli ; e a tal fine ed effetto nell’alto della testa gli piantarono una canna con stracci in balìa del vento. […] La moglie di Fauno chiamavasi Fauna, ed aveva un tempio in Roma sotto il nome di Dea Bona.
XIX La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno Al pari di Apollo aveva Diana diversi ufficii non solo in Cielo ed in Terra, ma pur anco nell’Inferno ; e secondo ciascuno di questi rappresentavasi in 3 diverse forme ; quindi ebbe il titolo di Dea Triforme 135. […] I poeti poi quasi tutti, ed anche gl’italiani, rammentano il vago della Luna, Endimione e la sua Diva, il dormitore di Latmo. […] E questa costellazione fu detta Orsa maggiore ed anche Elice per distinguerla dall’altra vicinissima ad essa che chiamasi Orsa minore ed anche Cinosura dal nome di una di quelle Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, e che per benemerenza fu trasformata in questo gruppo di stelle. […] Sapendo soltanto che ad Ecate si attribuivano tre teste, una di cavallo, una di cane ed una di leone e, secondo altri, di cinghiale, basta questo perchè tal mostruosa Dea faccia orrore. […] XV) è più confacente a Diana, perchè Lucina, come dice Cicerone, deriva a lucendo, ed appella più propriamente alla Luna145.
« Qui fu innocente l’umana radice ; « Qui primavera sempre ed ogni frutto ; « Nettare è questo di che ciascun dice ! […] In quelle feste gli schiavi dei Romani erano serviti a mensa dai loro padroni, ed avevano libertà di rimproverarli dei loro difetti36). […] Ecco uno dei molti casi mitologici in cui più e diversi attributi ed uffici si riunivano in uno stesso soggetto, che inoltre era considerato e come uomo e come Dio. […] Gli antichi scrittori latini, e principalmente Cicerone ed Orazio, fanno più volte parola di questi Giani, che corrispondevano pel loro scopo alle moderne Borse, o palazzi della Borsa. In Roma se ne conserva tuttora uno antichissimo, situato tra il Foro romano ed il Tevere39.
LXVII L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii I Greci ed i Romani politeisti, oltre all’aver deificato tutti i fenomeni fisici e morali, come abbiam detto, attribuirono a queste Divinità pregi e difetti, virtù e vizii come agli esseri umani ; quindi vi furono divinità benefiche e divinità malefiche, come vi sono uomini buoni e malvagi ; ed anche le migliori divinità ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ottenuto, si unì con Giunone a perseguitare per dispetto Paride ed i Troiani. […] Di tutte le affezioni dell’animo, e perciò di tutte le Virtù e di tutti i Vizii, hanno gli antichi ed i moderni poeti fatto la descrizione come di tanti esseri soprannaturali, di tante divinità o benefiche o malefiche ; e a seconda di queste descrizioni si sono aiutati gli artisti a rappresentarle in scultura e in pittura. […] Per altro pitture e statue si fecero e si fanno tuttora di qualunque Virtù e di qualunque Vizio, ed anche di qualsivoglia idea astratta, politica o religiosa. Il riferirne ed analizzarne le poetiche descrizioni antiche e moderne è ufficio dei professori di rettorica e belle lettere, e il descriverne le antiche e le moderne sculture o pitture appartiensi ai professori gnostici ed estetici di Belle Arti, e non al Mitologo, poichè miti speciali non vi sono in queste astrazioni, o personificazioni, o apoteosi, da raccontare. Questa facoltà poetica di rappresentare con descrizioni o con immagini sculte o dipinte qualunque virtù, qualunque vizio, qualunque idea astratta non è già spenta negli uomini dei nostri tempi ; anzi vedesi sempre rinnuovata non solo nelle moderne poesie, ma pur anco nei monumenti ove le Virtù civili e militari, ed anche le religiose, sono rappresentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici che ne suggeriscono il significato ed il nome, senza bisogno di scriverlo sulla base delle medesime o in qualche parte delle loro vesti o dei loro ornamenti.
E chi fu mai sì losco o dell’occhio o dell’intelletto che non abbia veduto e ammirato, in tela, in legno, in plastica, in bronzo o in marmo, dipinta o sculta, una svelta ed elegante figura di un giovane nudo con due piccole ali al capo ed ai piedi147 ed avente in mano una verga a cui stanno attortigliati due serpenti ? […] Raccontano dunque i mitologi, che nacque Mercurio dotato d’ingegno acutissimo ed accortissimo, ma. coll’istinto di valersene per ingannare gli altri. […] In principio aveva la sola verga ; ma un giorno, come raccontano i poeti, avendo egli trovato due serpenti che si battevano, li percosse colla sua verga per separarli e dividerli ; ed essi attortigliandosi a quella rimasero in atto di lambirsi in segno di pace154. […] Ebbero il nome di Mercurio sin dal 1672 alcuni giornali ed altre pubblicazioni a stampa, perchè furon considerati quei fogli come messaggieri veloci al par di Mercurio. […] E celebre il Mercurio di Giovan Bologna, statua in bronzo che ornava prima una fontana della villa Medici in Roma, ed ora vedesi nella Galleria degli Uffizi di Firenze.
Ora conviene accennare le meno buone, ed anche le assolutamente malvagie. Quando i Titani furono spodestati da Giove ed espulsi dal cielo, andarono profughi sulla terra ; e la loro stirpe crebbe e si moltiplicò. Fra i più celebri si annoverano Prometeo ed Epimeteo, di cui ora occorre parlare. Prometeo ed Epimeteo erano figli di uno dei Titani chiamato Japeto, ed ambedue ingegnosissimi : il primo faceva le statue di creta rappresentanti esseri simili a lui, o vogliam dire di forma umana ; e il secondo modellava e plasmava, parimente in creta, gli animali bruti. […] Lo stesso gran luminare degli Inglesi, Bacone da Verulamio, nel suo libro De Sapientia Veterum, esamina ed interpetra più a lungo questa favola che le altre trenta da lui prescelte come meritevoli delle sue considerazioni.
ix dell’Eneide ed Ovidio nel lib. […] Per altro raramente i poeti greci e i latini rammentano qualche divinità delle altre nazioni, e solo alcuni di loro fanno un’eccezione per le principali Divinità Egiziane, che sono Osìride, Iside ed Anùbi. Quantunque i Greci sotto Alessandro Magno, e trecento anni dopo di loro i Romani sotto Cesare, Marc’ Antonio ed Augusto, avessero conquistato l’Egitto, poche e sconnesse notizie ci hanno tramandato gli scrittori di ambedue quelle nazioni relativamente al feticismo Egiziano ed alle idee religiose che quel popolo annetteva al suo stravagantissimo culto. […] I sacerdoti Isiaci portavano il capo raso ed erano vestiti di tela di lino, e perciò si chiamavano linìgeri ; e linìgera trovasi detta la stessa Dea Iside. […] Questo bue aveva il pelo nero, e soltanto nella fronte era bianco ed in alcuni punti della groppa.
Esiodo ci dice che Vulcano nacque zoppo e deforme, che dalla stessa Giunone sua madre fu gettato giù dall’Olimpo nel mare, e pietosamente raccolto ed allevato da due Dee marine Teti ed Eurinome. […] Molti sono i lavori di questo Dio, descritti e celebrati dai poeti ; e di alcuni avremo occasione di parlare in appresso nel ragionar di quei personaggi per cui furono eseguiti : qui basterà soltanto accennarne due, cioè gli automi ed i fulmini. […] Lemno era un’isola vulcanica : ecco perchè per l’appunto la favola fa cadere e adorare Vulcano in quest’isola ; e per lo stesso motivo pone le sue fucine sotto il monte Etna ed altri monti vulcanici : e quindi aggiunge che le eruzioni vulcaniche son le fiamme e le scorie di queste fucine metallurgiche, e i crateri sono i camini delle medesime. […] Uno soltanto di essi era figlio di Nettuno e della ninfa Toosa, e questi chiamavasi Polifemo (il qual greco vocabolo significa celeberrimo) ed era considerato come il re di tutti gli altri, i quali furono pochi più di cento, ma tutti feroci ed antropofagi. […] Hutton pubblicò la sua Teoria della Terra nel 1785 ; ed ebbe una grnde efficacia sui progressi della geologia.
Oltre al dire che erano bellissime, aggiungevano i mitologi ed i poeti, che esse cantavano dolcissimamente, e suonavano egualmente bene diversi strumenti musicali ; e dimorando nel mar Tirreno fra la Sicilia e l’Italia meridionale attraevano col canto e col suono i naviganti, per avere il barbaro diletto di annegarli nel mare o di divorarseli. […] Da circa 3000 anni quasi tutti i poeti, incominciando da Omero, ed incluso anche Dante, hanno parlato delle Sirene ; e raccogliendone tutte le descrizioni e le allusioni se ne formerebbe un volume. […] L’antico volgo esagerò i pericoli che v’ erano a passar lo stretto fra Scilla e Cariddi ; e i poeti, incominciando da Omero229, abbellirono con straordinarie invenzioni favolose le fantastiche ed esagerate paure del volgo. […] Anticamente vi era su quella costa una città chiamata Scilla ; ed ora vi è un paese dello stesso nome, che gli abitanti pronunziano come se si scrivesse Sciglio. […] I naturalisti la distinguono col nome di Balœna Mysticetus ; ed è la Balena detta della Groenlandia, perchè si trova nelle acque del mare che circonda quell’isola.
X Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia Dopochè gli antichi politeisti ebbero personificato e deificato i quattro elementi del Caos, cominciarono ad inventar divinità che presiedessero alle diverse forze e produzioni della Natura, e attribuirono a quelle l’invenzione delle arti e delle scienze, ed anche la creazione e la trasformazione di molti prodotti della natura stessa. […] Questo mito del ratto di Proserpina è tanto amplificato ed abbellito di straordinarie fantasie da tutti i poeti antichi e moderni, che troppo lungo sarebbe il voler tutte riportarle. […] Non è però possibile scambiarla o confonderla con altre Dee, quando si vede rappresentata in un carro tirato da serpenti alati, o vogliam dire draghi volanti, ed avente in mano una o due faci accese : si riconosce subito Cerere che va in cerca della smarrita Proserpina. […] Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone. […] Lo dimostrano di fatto, colle loro dotte investigazioni sui tempi mitologici ed eroici, Bacone da Verulamio, il Vico, Mario Pagano ed altri.
XXXI ; ed ora troviamo Perseo di regia stirpe Argiva. […] Il solo modo di render bugiardo l’Oracolo era troppo crudele, cioè di uccider subito la figlia ; e Acrisio non fu così snaturato come furono in appresso Aristodemo ed Agamennone, i quali non esitarono ad uccider le loro figlie, non già per salvarsi la vita, ma per ambizione di regno. […] Ma per non perdere il vanto del valor personale e per non nuocere agl’innocenti, teneva nascosto in una borsa di pelle il teschio di Medusa, e se ne valeva soltanto nei casi di maggior bisogno ed estremi. […] Giunse Perseo senz’altri incidenti all’isola di Serifo, e trovò che Polidette voleva costringer Danae a sposarlo ; ed egli per toglier d’impaccio la madre, lo cangiò in una statua. All’avo Acrisio, che ancor viveva, perdonò, ed anzi lo rimise nel regno, uccidendo l’usurpatore Preto.
Trovò che la fama era minore del vero, poichè alla crudeltà ed alla barbarie univasi l’empietà ed ogni altra scelleraggine più nefanda ; e se egli non era un Dio, sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte di quei miseri ospiti che lo avevano preceduto. […] Tutti perirono, fuorchè un sol uomo ed una sola donna, Deucalione e Pirra, che si salvarono in una nave ; la quale dopo aver lungamente errato in balìa delle onde fu spinta e fermossi in Grecia sul monte Parnaso. — Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunati o pii, che soli ebbero in sorte o meritarono di scampare dal generale esterminio ? Furono ambedue della stirpe dei Titani : Deucalione era figlio di Prometeo, e la sua moglie Pirra era figlia di Epimeteo e di Pandora ; ed essendo rimasti soli nel mondo, e quindi il solo modello dei due sessi della specie umana, parve loro un poco lungo, com’è realmente l’aspettare ad aver compagni e sudditi, che fosser nati e cresciuti i loro figli e discendenti ; ed entrati nel tempio della dea Temi che era sul monte Parnaso, dimandarono all’oracolo di essa qual sarebbe un modo più sollecito di ripopolare il mondo. […] Mitologica secondo la favola di Deucalione e Pirra che trasformarono le pietre in uomini e donne ; biblica secondo la Genesi, che Adamo fu composto di terra, ed alcuni commentatori aggiungono ancora precisamente di terra rossa ; filosofica per l’uguaglianza dei diritti che deriva dalla comune origine. […] Ma in geologia il nome generico di roccia si applica a tutti i materiali, solidi o molli, componenti la crosta del nostro globo, poichè vi si comprendono la creta e l’arena, ed alcuni vi aggiungono anche la torba.
L’esistenza d’isole galleggianti è un fatto storico e geografico, poichè se ne trovano tuttora alcune poche in qualche lago, in qualche palude ed anche in qualche fiume, non però nel mare. […] In quasi tutte le Geografie trovasi rammentato il Monte nuovo (all’ ovest di Pozzuoli in Italia), che si sollevò in uno o due giorni nel 1538, all’altezza di 200 metri, ed esiste tuttora. […] Era Niobe figlia di Tantalo e moglie di Anfione re di Tebe ; e andava superba, come se fosse un gran merito, di aver sette figli e sette figlie ; e perciò dispregiava, non solo in cuor suo, ma pubblicamente, Latona e la stimava a sè inferiore, perchè questa Dea aveva soltanto un figlio ed una figlia. […] Accennati questi fatti comuni ad Apollo e a Diana, convien parlare separatamente dei loro particolari attributi ed uffici. […] Dallo stesso greco vocabolo Elios significante Sole son derivati e composti molti termini scientifici di astronomia, come perielio, afelio, parelio, eliocentrico ; di ottica eliostato ed elioscopio ; di botanica le denominazioni di piante eliofile e di eliotropio (volgarmente girasole) ; ed anche la fotografia è detta altrimenti eliografia.
Il suo vero nome primitivo era Ipponoo ; ed è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte, che gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller suo fratello ; di che rimase poi sempre dolente e mesto52. […] La più celebre e memorabile di queste imprese fu quella della Chimera, mostro che avea la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente, ed inoltre gettava fiamme dalla bocca e dalle narici. […] Credendo che nulla gli fosse impossibile, montato sul caval Pegaso, lo spinse verso il Cielo, presumendo che gli Dei dovessero accoglierlo nel loro consesso ed alla loro mensa. […] Potrà bene aver pregio per gli Antiquarii e per la Storia dell’ Arte, ma non reca di certo una gradita sensazione all’occhio dei profani, qual fu immaginata ed eseguita dagli antichi Etruschi. […] Quest’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso.
E qui mi piace avvertire che lo scopo di questo lavoro sulla Mitologia non è già di risalire alle origini primitive dei miti, indicando le migrazioni e le trasformazioni delle idee mitologiche dall’oriente all’occidente ; ma soltanto di far la storia e spiegare il significato dei miti e delle idee ed espressioni mitologiche che si trovano nei poeti greci, latini ed italiani, e per conseguenza ancora delle altre nazioni che hanno adottato la Mitologia e il linguaggio dei classici greci e latini. […] Ma questo non toglierà che sia sempre necessaria la cognizione della Mitologia greca e romana, nella guisa stessa che la Paleontologia presuppone ed esige la cognizione precedente della storia naturale, perchè è impossibile il dedurre da frammenti di esseri organici fossilizzati, da secoli e secoli non più viventi sulla faccia della terra, la loro antica forma, i loro istinti, le loro abitudini e le loro leggi di vitalità, senza aver prima di queste stesse cose cognizioni esatte negli esseri organizzati viventi. Dunque lo studio della Mitologia greca e romana sarà utile sempre, ed anche sempre più necessario, quanto maggiori progressi verranno a farsi nella Paleontologia mitologica, secondo le eruditissime elucubrazioni dei germani filologi. […] Primo senza contrasto e sotto ogni rispetto il nostro Alighieri, quantunque cristiano e cattolico e teologo per eccellenza, è quello che nel suo divino linguaggio poetico più sovente si vale delle immagini e delle frasi mitologiche ; e gli altri tutti per quanto grandi ed illustri, tengon bordone alle sue frasi ed alle sue rime. […] Considerando poi che le Arti Belle non hanno mai cessato da tremila anni, neppur dopo la caduta della religione pagana, di rappresentare in tavole e in tele, in bronzi e in marmi le più poetiche e leggiadre personificazioni delle idee mitologiche ; e che di tal genere trovansi antichi e moderni capi d’opera di scultura e di pittura, non solo nelle pubbliche gallerie e nei palagi dei maggiorenti, ma pur anco nelle piazze e nelle strade, non in Roma soltanto, ma per tutta Italia, la cognizione della Mitologia si rende necessaria non solo ai cultori delle Arti Belle, ma altresì a chiunque non ami di apparir rozzo ed insensibile al bello artistico, che tanti stranieri richiama dalle più lontane regioni in Italia ad ammirarlo.
Sebbene i Mitologi la considerino un’impresa secondaria (ed è tale se riguardisi soltanto lo scopo di uccidere una belva feroce), e perciò ne parlino soltanto incidentalmente, è per altro di somma importanza per la cronologia degli Eroi, dimostrando essa che furon contemporanei coloro che vi presero parte. […] Questo re nel fare un sacrifizio agli Dei in ringraziamento per le buone raccolte ottenute, erasi dimenticato di Diana ; ed essa lo punì mandando un mostruoso cinghiale a devastare lo stato di lui. Non molto lungi dalla città v’era la folta selva Calidonia, da cui usciva il cinghiale per devastare ed uccidere, ed ivi tornava ad imboscarsi ; ed era impresa pericolosissima l’andare ad assaltarlo là dentro. […] Raccontano i Mitologi ed i poeti, e più estesamente di tutti Ovidio nelle Metamorfosi, che quando nacque Meleagro, le Parche comparvero nella stanza ove Altea partorì, e, gettato nel fuoco un ramo d’albero, dissero : « tanto vivrai, o neonato, quanto durerà questo legno ; » e subito dopo disparvero63. […] Ho detto di sopra che Danterammenta nella Divina Commedia la trista fine di Meleagro ; ed eccomi ad accennare in quale occasione.
Narrano di concerto i mitologi ed i poeti greci che la loro antica città di Atene, prima di aver ricevuto questo nome, era detta città Cecropia, perchè costruita o rifabbricata ed ampliata da Cecrope ; e quindi Cecropidi gli abitanti. […] In italiano si dà elegantemente questo nome di Ateneo alle Università, e da noi ed altrove suol darsi anche ad alcune società o accademie di letterati o scienziati e ad alcuni periodici letterarii e scientifici167. […] Perchè poi fosse sacro a Minerva quell’animale notturno, rispondono i poeti, perchè le recava notizie di quel che accadeva di notte ; e si voleva significare che l’ingegno vede e scuopre le cose che agli altri restano oscure ed ignote. […] Anche nell’antichissima città di Troia aveva un tempio ed una celebre statua che i Romani pretendevano salvata da Enea e trasportata in Italia, e che fosse quella stessa che essi facevano gelosamente custodire nel tempio di Vesta come pegno della salvezza di Roma. […] Ovidio nel libro iii dei Fasti annovera le diverse arti e professioni che celebravano le feste di Minerva ; ed oltre i collegi dei poeti, dei medici, dei pittori e degli scultori rammenta anche quelli dei calzolai, dei tintori e degli smacchiatori.
Europa vedendolo così mansueto vi era salita in groppa per giovanile trastullo ; ma il toro giunto sulla riva del mare, si gettò in mezzo alle onde, e nuotando trasportò all’isola di Creta la giovinetta, ed ivi, riprese le forme divine, la fece sua sposa, e n’ebbe due figli Minos e Radamanto 57. […] Fondata la città, prese Cadmo per moglie Ermione, o, secondo altri Mitologi, Armonia, figlia di Venere e di Marte, e dalla medesima ebbe quattro figlie : Autonoe, Ino, Semele ed Agave, e inoltre un figlio chiamato Polidoro. […] In quanto poi ai guerrieri nati dai denti del serpente ucciso da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque che sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e popolare la città di Tebe ; e i loro nomi son questi : Echione, Udeo, Ctonio, Peloro e Iperènore. […] Anzi Dante, convinto che tali trasformazioni poeticamente ed ingegnosamente narrate fanno grandissimo effetto sulla immaginazione dei lettori, volle gareggiare anche in questo cogli antichi poeti, come fece nel Canto xxv dell’ Inferno, detto appunto delle trasformazioni ; e fu tanto contento e sicuro egli stesso dell’opra sua, che non potè nasconderlo ai suoi lettori, ed asserì di aver superato Lucano ed anche Ovidio, il famoso autore delle Metamorfosi : « Taccia Lucano omai, là dove tocca « Del misero Sabello e di Nassidio, « Ed attenda ad udir quel ch’or si scocca. […] Sino al presente secolo non se ne dubitava, ed oltre al dirsi precisamente quali erano le sedici lettere importate da Cadmo, si notavano ancora le quattro inventate da Palamede al tempo dell’assedio di Troia, e le altre quattro aggiuntevi da Simonide cinque secoli dopo ; che in tutte vengono a formar l’alfabeto greco di ventiquattro lettere61.
Solamente dopo la proditoria uccisione di Giulio Cesare, il desiderio di sì cara esistenza, a cui era dovuta la prostrazione del partito aristocratico e inoltre tanti vantaggi a favore del popolo, fece nascere ed accoglier con entusiasmo l’idea di venerarlo qual Nume. […] Troppo lungo sarebbe il riportarle, ed anche soltanto il compendiarle ; ed inoltre stancherebbe la pazienza di qualunque lettore la descrizione di tante stupide superstizioni. […] Dentro e intorno al rogo spargevansi incensi ed aromi preziosi in gran quantità. […] Si conservano tuttora circa 60 medaglie coniate in memoria di altrettante apoteosi diverse ; in ciascuna delle quali vedesi un’ara ardente ed un’aquila che ergesi a volo, ed inoltre vi si legge la parola Consecratio, che era il termine officiale latino significante l’apoteosi.
In greco, chaos significa confusione, e si riferisce perciò principalmente alla confusa massa di tutta quanta la materia bruta ed informe, supposta esistente nello spazio prima che con essa fosse plasmato il mondo ; e in questo significato si adopra quella parola anche dai nostri poeti. […] Dopo che Esiodo aveva asserito che il Caos esisteva prima di tutti gli Dei, vennero altri a dire che il Caos stesso era un dio, ed aggiunsero che egli era stato l’ordinatore dell’Universo ; ed una volta che lo avevano personificato, dìssero ancora che aveva figli e che la sua moglie era la Notte. […] Par dunque che gli Antichi ammettessero la generazione spontanea degli Dei dalla materia, come i naturalisti moderni ammettono la generazione spontanea di certi insetti ed altri animaluzzi ; e che i mitologi andassero anche più oltre del Darwin e compagni antropologi ; poichè mentre questi suppongono la successiva trasformazione della materia nei diversi esseri organizzati, compreso l’uomo (il quale perciò verrebbe ad essere una scimmia perfezionata), quelli facevano nascere ad un tratto dagli elementi del Caos gli stessi Dei, come nascono da un giorno all’altro i funghi dalla terra. […] E prende per guida ed interpetre dei portati dell’antica sapienza il poeta Virgilio che visse « A tempo degli Dei falsi e bugiardi, » e la prediletta sua Beatrice, divinizzata come la Teologia, a dargli la spiegazione della scienza dei Cristiani. […] L’ adopra per altro non già nel senso panteistico degli antichi e di non pochi moderni, ma soltanto a significare un grande ammasso o emporio di oggetti di qualunque forma o figura, ed anche talvolta una gran confusione amministrativa in uno stabilimento industriale o in una pubblica azienda.
In quanto ai Lari, che questi fossero Dei familiari o domestici non può insorger questione, poichè li consideran tali tutti i Mitologi ed i poeti latini e pur anco gl’ Italiani : lo stesso Ugo Foscolo, peritissimo nelle lingue dotte e per conseguenza anche nella Mitologia, li chiama nel suo Carme I Sepolcri, come abbiamo veduto altrove, i domestici Lari. […] La questione per altro verte intorno all’etimologia del nome ed alla origine di questi Dei, poichè v’è chi li crede così chiamati, perchè figli della Ninfa Lara o Larunda, ed altri ne derivano il nome da Lar antica parola etrusca che significa capo o principe. […] Tra questi egli annovera il culto degli Dei Penati e dei Lari familiari ; e aggiunge che nella pratica applicazione questi Dei rappresentano i comuni ed i privati vantaggi della social convivenza. Perciò, oltre al distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decider così la question mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di famiglia ; senza dei quali, come egli sapientemente dichiara, non può esser buona una repubblica, nè ben viversi in essa 39. […] Infatti nel dizionario delle parole barbare troviamo spiegata la voce foculare : « locus ubi focus accenditur. » Questa parola foculare, che era ed è barbara in latino, è divenuta la pura e schietta parola italiana focolare.
XL Osservazioni generali Questi tre termini di Semidei, Indigeti ed Eroi si trovano usati talvolta indistintamente l’uno per l’altro, benchè differiscano tra loro non solo etimologicamente, ma pur anco per certe speciali condizioni, che converrà prima di tutto accennare. […] Erano figli o d’un Dio e di una donna mortale, quali furono Perseo ed Ercole ; oppure di una Dea e di un uomo mortale, come credevasi di Achille e di Enea. […] La voce Eroi, divenuta tanto comune in verso e in prosa non solo nelle lingue dotte, ma pur anco nella italiana e nelle altre lingue affini, è di origine greca ; ed i filologi antichi, incominciando da Servio commentator di Virgilio, ne danno tre diverse etimologie,45deducendole da tre diverse accezioni in cui trovasi usata quella voce, cioè di Semidei, di Dei Indigeti, e di uomini divenuti illustri o per dignità o per imprese di sovrumano valore. […] E a far questo ci aiuteranno diverse celebri imprese a cui intervennero quasi tutti gli Eroi contemporanei, che i Mitologi ed i Poeti si son dati cura di rammentare : tali sono la caccia del cinghiale di Caledonia, la spedizione degli Argonauti, la guerra di Tebe o dei 7 Prodi, e finalmente la guerra di Troia. […] Prima di por termine a questo Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria, anche una lunghissima vita a tutti gli Eroi, non devesi calcolare la loro media e la loro probabile esistenza secondo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti.
— Licaone, figlio di Pelasgo, costituisce Licosura, ed immola vittime umane a Giove ; forse a significare la crudeltà di siffatti sacrifizj, i poeti narrano che fu trasformato in lupo. […] Doro diè origine ai Dorii ; Eolo agli Eolii ; Xuto ebbe due figli, Acheo, origine degli Achei, ed Jone degli Jonii. […] Atreo e Tieste regnano a Micene ed a Tirinte. […] Dicesi che questa guerra costasse ai Greci 800,000 uomini ed ai Trojani 600,000. […] In un frammento d’Eraclide Pontico è detto : « Omero attesta dalla Tirrenia (Toscana) esser egli venuto in Cefallenia ed Itaca, ove per malattia perdette gli occhi. » (Vedi Mazzoldi, Origini Italiche).
Platone così parla dei Dèmoni nel Convito : « Essi sono esseri intermediarii fra gli Dei e i mortali ; ed è loro ufficio l’interpretare e il recare agli Dei ciò che viene dagli uomini, e a questi ciò che vien dagli Dei ; …. poichè la Divinità non ha comunicazione diretta cogli uomini, ma soltantò per mezzo di Dèmoni. » E altrove aggiunge : « Ogni mortale alla sua nascita è affidato ad un dèmone particolare che lo accompagna sino alla fine della sua vita. » Conoscendo questi ufficii attribuiti anche dal divino Platone ai Dèmoni, non dee recar maraviglia che Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebraica, asserisse che i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli che Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scritto che corrispondono ai Genii dei Latini. […] Da dèmone derivò in latino il diminutivo demonio ; ed ambedue questi nomi servirono nel Cristianesimo a significare gli spiriti infernali, ossia gli Angeli ribelli discacciati dal Cielo e condannati all’Inferno. […] Ed anche ironicamente : « Fecero a un tratto un muso di defunto « Tutti, nel centro, a dritta ed a mancina, « E morì sulle labbra accidentato « Il genio di quel birro illuminato. » (Il Congresso dei Birri, ultima ottava.) […] Angelo, secondo la greca etimologia, significa messaggiero o nunzio ; la quale etimologia ed interpretazione è rammentata e adottata anche nelle opere di Sant’Agostino e di San Girolamo. […] La voce diabolus deriva dal greco e significa calunniatore e accusatore, ed era il titolo che si dava soltanto al principe delle tenebre, come deducesi da queste parole di sant’Agostino : « Diabolus et angeli eius in scripturis sanctis manifestati sunt nobis, quod ad ignem æternum sint destinati. » Anche il Forcellini nello spiegar la parola Diabolus aggiunge : Cognomen proprium est principis Dœmoniorum ; e cita Tertulliano e Lattanzio.
iv e nel xxxix della sua storia ; anzi non si adottarono neppure i più strani ed assurdi miti della greca mitologia inventati da quelle fervide e sbrigliate fantasie dei greci poeti e dei greci sacerdoti. […] Ma quando la romana costanza che trionfò di tutti gli ostacoli e di tutte le più dure prove non fu abbastanza forte contro le prosperità e le ricchezze, e si lasciò vincer da queste, le idee morali cominciarono ad esser neglette ed obliate, e la religione stessa perdè il suo prestigio e la sua dignità, e non servì più allo scopo altamente sociale per cui fu istituita. […] Aggiungendovisi poi le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo che essi potessero accogliere nel loro numero e nel loro consesso qualunque mortale benchè scellerato ed empio, come furono i più degli Imperatori romani. […] « E mentre che di là per me si stette, « Io gli sovvenni, e lor dritti costumi « Fer dispregiare a me tutt’altre sette. » Un ragionamento simile a quello del poeta Stazio condusse alla stessa conseguenza di farsi Cristiani tutti quei politeisti che non erano affatto privi del lume della ragione ; e se alcuni furon trattenuti dalla paura delle persecuzioni, molti altri si esposero ai tormenti ed anche alla morte, e suggellaron col sangue l’attestazione della loro novella Fede. […] Ma poichè la religione dell’Evangelo ai più santi precetti di morale univa la principal massima sociale che tutti gli uomini sono eguali, e perciò favoriva e comandava l’abolizione della schiavitù, anche i più rozzi ed ostinati contadini cominciarono ad apprezzare se non la sublimità, che non potevano intendere, almeno l’utilità di questa nuova religione ; e tutto l’impero romano, abiurato il paganesimo, divenne cristiano.
Anzi potrebbe dirsi che avessero gli Antichi quasi indovinate le moderne ipotesi astronomiche, per cui si ammetta nello spazio una materia cosmica, onde si formano le nebulose e le stelle, ed un’aria sottilissima e purissima chiamata etere. […] Da questo matrimonio nacquero due figli, Titano e Saturno, ed una figlia chiamata Cibele. […] Siccome Urano era un Dio, e perciò immortale, ed essendo inoltre il più antico degli Dei, e perciò lo stipite della celeste dinastia, poteva a suo beneplacito regnare eternamente ; ma poichè egli aveva più figli, supposero i mitologi che gli fosse piaciuto abdicare in favore di essi. […] « Ben s’avvide il poeta ch’io stava « Stupido tutto al carro della luce « Ove fra me ed aquilone entrava. » 20. […] Da noi e presso molti altri popoli è abolito per legge tra i privati o sudditi di uno Stato ; e perciò tutti i figli ed anche le figlie hanno gli stessi diritti alla successione nei beni paterni ; ma si conserva nei regni ereditarii per non cagionare lo smembramento degli Stati nè le guerre di successione.
Si prendevano da famiglie illustri, o almeno civili ed oneste48 : l’età non dovea esser minore di anni sette, nè maggiore di dieci. […] I voti e gli obblighi che riguardavano l’interesse pubblico erano quei due indicati di sopra ; e severissime le pene minacciate ed inflitte per la violazione di quelli. […] Ebbero luogo pur troppo, e più d’una volta ; ed anche in Tito Livio ne troviamo il ricordo e la narrazione49. […] Il Palladio Troiano, che dicevasi trasportato da Enea in Italia, era affidato alla custodia delle Vestali, che lo tenevano chiuso ed invisibile ad ogni occhio profano. […] Alcuni autori dicono che la Vestale colpevole era calata in una stanza sotterranea nel campo scellerato, e postole appresso un pane, un vaso d’acqua ed un lume, vi era chiusa ermeticamente e abbandonata senz’altro al suo orribile destino. — Questo modo però potrebbe far sospettare il caso probabile che qualcuno andasse segretamente a liberarla e la tenesse altrove nascosta o incognita pel rimanente dei suoi giorni. — Altri poi asseriscono che si calava nella solita stanza sotterranea, ma subito dopo le si gettava sopra tanta terra da riempire tutto il sotterraneo ; e la morte così era inevitabile, ma meno crudele e orribile che nel primo caso.
Temi ed Astrea, 337—339. […] Seml-Del ed Eroi. […] Giustizia (Temi ed Astrea) 337—339. […] Ceice ed Alcione, 206. […] Vittime ed Ostie, XIII.
Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte, Vulcano ed Ebe ; e poi da altre Dee, ed anche da donne mortali, altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli che furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Diana, Mercurio e Bacco. […] I Latini chiamavano i primi Majorum gentium, o Superi, o Coelites, o Coelicolœ ; ed i secondi minorum gentium o de plebe Deos. […] La 1ª esamina e dichiara le leggi del movimento delle molecole, e perciò delle forze naturali, della composizione e decomposizione della materia, sotto i nomi principalmente di fisica generale e di chimica ; la 2ª cominciando dalla storia naturale, che è la descrizione di tutti gli esseri organici ed inorganici della creazione, comprende anche gli studii speciali riferibili a questa.
XXXVII Gli Dei Dei Fiumi Se i Mitologi ed i poeti inventarono le Divinità delle fonti, tanto più è presumibile che non avranno mancato d’immaginare gli Dei dei Fiumi. […] Il Padre Tebro poi, ossia il fiume Tevere, era un personaggio molto serio, ed in certi casi anche un poco profeta. […] Omero ci racconta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi che Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta, suo fratello, di annegar quell’Eroe nelle loro acque ; ed avrebbe ottenuto l’intento, se non accorreva Vulcano con una gran fiamma a vaporizzarle. […] « Disse, ed alto insorgendo, e d’atre spume « Ribollendo e di sangue e corpi estinti, « Con tempesta piombò sopra il Pelide. […] Non solo Ovidio ed altri poeti raccontano questo fatto mitologico, ma pur anco Strabone il geografo e Pausania lo storico lo registrano, e come fisicamente possibile, e come realmente vero.
Da Ares, greco nome di questo Dio, derivò e fu composto il termine di Areopago, che propriamente ed etimologicamente significa borgo di Marte ; e poi sotto questo nome fu istituito da Solone il famoso tribunale dell’Areopago, di tanta sapienza e integrità, che vi eran portate a decidere le liti anche dagli stranieri. […] Chiamavasi ancora Gradivo, titolo derivato da un verbo che significa camminare, o avanzarsi a passo misurato, ed appella evidentemente alla marcia militare e all’uso degli antichi di scagliarsi contro il vicino nemico a passi accelerati e quasi correndo175. […] A Marte e ai marziali esercizi fu consacrato in Roma il campo Marzio, che prima era un fondo rustico, ossia un vasto podere appartenente a Tarquinio il superbo, ed ora è pieno di case, fra le quali il palazzo detto di Firenze, perchè apparteneva all’Ambasciata fiorentina o toscana. […] Modernamente per altro nei tribunali collegiali si procura che il numero dei giudici sia dispari ; ed in alcune società amministrative o di privati, ove il numero dei votanti è variabile, si accorda nei casi di parità il doppio voto al Presidente. […] Gli scritti dei loro classici e dei loro giureconsulti e legislatori fecero risorgere le lettere, le scienze e la civiltà moderna, e varranno sempre a conservarle ed accrescerle, se saranno studiati e meditati come conviensi.
Bacone da Verulamio, che nel suo libro De Sapientia Veterum spiegò anche troppo minutamente e sottilmente il mito del Dio Pane, dichiara che gli Antichi lasciarono in dubbio la generazione di questo Dio, osservando che non si accordavano i Mitologi ad assegnargli i genitori, poichè lo stimavano figlio chi di Giove e di Calisto, chi di Mercurio e di Penelope, ed anche di Urano e di Gea, ossia Tellure. […] Infatti, essendo il Dio Pane considerato come il protettore dei cacciatori e dei pastori, ed inoltre l’inventore della sampogna, i tre distintivi preaccennati rammentano chiaramente questi tre attributi. […] Dante rammenta la favola di Siringa nel Canto xxxii del Purgatorio ; e, com’è suo stile di esser concisissimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso che altrove, poichè con una sola similitudine e in soli due versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib. i delle Metamorfosi, che cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suonasse la lira, ma gli raccontasse pur anco la favola di Pane e Siringa : « S’io potessi ritrar come assonnaro « Gli occhi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa che ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco, la quale era stata da Giunone cangiata in voce, in punizione della sua loquacità, e condannata a tacere se nessun le parlava, ed a ripeter soltanto le ultime voci di chi le dirigeva il discorso : favola ricavata evidentemente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco. […] Evandro aveva fissata la sua residenza su quel monte che egli chiamò Palatino dal nome di suo figlio Pallante, ed ove poi fu da Romolo fabbricata l’eterna città.
Cicerone specialmente, in questa parte, è più esplicito ed aperto degli altri ; e perciò i suoi libri sulla Natura degli Dei, sul Fato e sulla Divinazione furon considerati dai più scrupolosi Pagani siccome contrarii alla religione del Politeismo, mentre all’opposto i Santi Padri dei primitivi tempi del Cristianesimo citarono i detti di Cicerone forse più spesso di quei della Bibbia. […] Infatti risalendo alla Cosmogonia dei Pagani, la materia era eterna, il Caos era un Dio, ed erano Divinità anche gli elementi che lo componevano, cioè il Fuoco ossia la Luce, l’Aria, l’Acqua e la Terra. […] Se negli Dei superiori di cui abbiam parlato in questa prima Parte troviamo personificate le più grandi leggi fisiche e le più notabili idee della vita morale e sociale, procedendo alla seconda Parte vi troveremo l’applicazione di quelle ai casi più speciali ed anche individuali. Nella terza poi vedremo cambiarsi la scena : le grandi virtù, congiunte sempre a grandissima forza fisica, si considerano incarnate negli uomini dalle Divinità per mezzo di matrimonii misti, che danno origine ai Semidei ed agli Eroi ; e questi son sempre in lotta coi mostri e coi grandi scellerati e ne purgano il mondo.
Questa notizia ci sarà utile per la spiegazione di alcuni strani miti che a lui si riferiscono per tale attributo ed ufficio. […] Il qual fatto, inteso letteralmente, è peggio che bestiale, poichè anche le bestie allevano ed amano la loro prole. […] Giove scuoprì la congiura, ed esiliò Saturno dal Cielo ; ma non estese la condanna a Cibele sua madre, perchè questa, dopo la perdita del trono e il carcere sofferto, aveva prudentemente rinunziato ad immischiarsi negli affari di Stato. Così nelle vicende mitologiche di Saturno troviamo rappresentate, e quasi storicamente narrate come avvengono tra gli uomini, la maggior parte delle vicende politiche di un regno, cioè successione per abdicazione del padre, patti di famiglia, violazione dei medesimi, guerre, detronizzazioni, prigionie, congiure ed esilio.
VIII, ed anche altre Divinità Superiori ai principali prodotti della Terra, cioè Cerere alle biade, Bacco al vino, Vulcano alla metallurgia, ecc. ; e lasciando libero il freno alla immaginazione videro Divinità da per tutto, nei monti, nei fiumi, nelle fonti, nelle selve e perfino nelle piante, come col microscopio si vedono da per tutto brulicar gl’insetti e gl’infusorii. Sappiamo poi dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del Cristianesimo (i quali studiavano con gran premura ed attenzione la Mitologia per dimostrare le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità che non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2, che posteriormente furon perduti o distrutti nelle successive invasioni dei Barbari. […] Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio, che schiverei di rammentare, se, oltre Lattanzio, non ne parlasse anche Plinio il Naturalista ; ed era il Dio Sterculio o Stercuzio, così detto perchè aveva inventato il modo di render più fertili i terreni col fimo o concime. […] Non dovrà dunque recar maraviglia che il dottissimo Varrone, contemporaneo ed amico di Cicerone, abbia annoverati trentamila Dei del Paganesimo, come dicemmo nel N.
I Pagani rappresentavano cieco o bendato il Destino, e sordo agli umani lamenti ; ma appunto perchè inesorabile, nessun lo pregava o adorava, nè perciò ebbe mai tempii ed offerte. […] In greco era chiamata Tiche, ed aveva gli stessi attributi della Fortuna dei Latini. […] Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani « Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni della Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mortali. […] Nei moderni ritratti della Fortuna ai frutti ed ai fiori del cornucopia son sostituite le monete d’oro e d’argento ; e i moderni tempii, in cui è esposta l’immagine della Fortuna ad allettamento dei devoti cultori della medesima ; seno i Botteghini del Lotto, ove per altro, se l’aritmetica non falla, è cento mila volte più probabile perdere che guadagnare.
Nè vi mancarono i pretesi miracoli, come racconta Ovidio nel iv dei Fasti : ogni superstiziosa religione ha i suoi adattati alle fantasie ed alla credulità dei popoli. In Roma per altro Cibele in progresso di tempo acquistò forma ed emblemi degni di una Dea. Fu rappresentata come una matrona con lunga veste ornata di piante e di animali ; in capo aveva una corona turrita, ossia in forma di torri ; presso di sè un disco ossia tamburo ed un leone ; e spesso le si dava ancora un carro tirato da due leoni. La veste ornata di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele, che presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava che quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortificar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone come il re degli animali terrestri.
Questa significazione è tanto chiara ed evidente, che un dei nostri poeti ha detto : quel Dio che a tutti è Giove, per dire che giova a tutti ; e Dante nel celeberrimo canto VI del Purgatorio, ove rimprovera la serva Italia di dolore ostello, ci presenta questa notabilissima perifrasi : « E se licito m’è, o sommo Giove « Che fosti in terra per noi crucifisso, « Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove ? […] Ma ben io, se il voglio, « Lo trarrò colla terra e il mar sospeso : « Indi alla vetta dell’immoto Olimpo « Annoderò la gran catena, ed alto « Tutte da quella penderan le cose. […] Si unirono anche gli astronomi antichi a rendere onore a Giove dando il nome di esso a quel pianeta che apparisce ed è maggiore degli altri veri e proprii pianeti, e gli dedicarono quel giorno della settimana che tuttora chiamasi Giovedì. […] Parlando il Vico di questa Catena nel libro secondo de’ suoi Principii di Scienza Nuova, riferisce che in essa Dionigi Longino ammirava la maggior sublimità di tutte le favole omeriche ; e quindi aggiunge le seguenti osservazioni : « La qual Catena se gli Stoici vogliono che significhi la serie eterna delle cagioni, con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il Mondo, vedano che essi non vi restino avvolti ; perchè lo strascinamento degli uomini e degli Dei con sì fatta Catena egli pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto al Fato.
Alcuni moderni autori eruditissimi ed infaticabili hanno tentato di spiegare quei miti o simboli, ma ben di rado vi son riusciti in modo evidente o almeno probabile. […] Ma perchè non pochi dei miti, o simboli religiosi dei greci e dei romani politeisti furono espressi con splendide e bellissime immagini e in uno stile impareggiabile dai loro più sublimi poeti, e in appresso accolti e adottati nel linguaggio poetico degl’italiani, nasce quindi il bisogno di conoscerli ed illustrarli, e, quando è possibile, decifrarli. Sulla Cosmogonia dunque creduta vera dai Greci e dai Romani, e ammessa come base dei loro miti, convien trattenersi alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto, che la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esistita, ma tutta confusa e mista, in una massa rozza ed informe chiamata Caos (Ovid., Metam.
XXXIV ; ed è collegata colla favola di Narciso. […] I pittori hanno gareggiato a rappresentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella che vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze. […] Tant’è vero che Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali, che sotto forma ed abito femminile accompagnavano Beatrice ; e fa dire alle medesime nel canto xxxi del Purgatorio : « Noi sem qui Ninfe e nel Ciel semo stelle : « Pria che Beatrice discendesse al mondo.
Perciò gli Antichi avevano in proverbio che tanto sappiamo quanto teniamo a memoria 125 ; e Dante aggiunge « ……….. che non fa scïenza « Senza lo ritenere, avere inteso. » Le Muse erano nove, ed avevano questi nomi : Calliope, Polinnia, Erato, Clio, Talia, Melpomene, Euterpe, Terpsicore, Urania 126. […] A Dante piacque questo mito, e rammentando quel che dice Ovidio, che le Muse, per confonder le loro emule presuntuose, cantarono così divinamente da farle rimanere attonite ed atterrite, se ne vale stupendamente coll’ invocar per sè da quelle Dee un simil canto, che abbatta l’invida rabbia de’ suoi nemici : « Ma qui la morta Poesia risurga, « O sante Muse, poichè vostro sono, « E qui Calliopea alquanto surga, « Seguitando il mio canto con quel suono, « Di cui le Piche misere sentiro « Lo colpo tal che disperar perdono130. » (Purg. […] E i poeti non ne fanno mistero ; son gente franca ed aperta, e dicono liberamente quel che sentono e quel che credono, o vogliono che si creda.
» Gli autori francesi vi hanno opportunamente inserito alcuni passi dei loro poeti, e noi invece di tradurre quelli vi abbiamo sostituito, ed in maggior copia, le citazioni e le descrizioni cavate dai nostri autori originali, Dante, Petrarca, Metastasio, Alfieri, Foscolo, ec., e dai migliori traduttori dei Greci e dei Latini, Annibal Caro, l’Anguillara, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, Giuseppe Borghi ec. […] Bensì abbiamo avuto cura, per ciò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune interpretazioni che non ci parvero troppo superiori all’ intelligenza comune. » Ora, per aderire alle ricerche che ne vengono fatte, ristampiamo il Corso di Mitologia, riveduto e migliorato con aggiunte del traduttore, ed ornato di stampe fatte da valenti artisti, utilissime a dar meglio a conoscere le cose descritte, pregevoli perchè ricavate dai celebri monumenti dell’arte antica.
E la lettera correva di certo, ed io la spedii subito, e qui la riporto per copia conforme : « Il saggio di Mitologia in uso delle Scuole, che sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compiuto, e che da esperti nell’insegnare ebbe lode ; e io, proponendoglielo, ne dico assai ; e meglio di me lo raccomanda il Compendio di Cosmografia, lavoro dell’autore medesimo, accettato da più di una Scuola in Toscana, e di cui l’avveduto signor Barbèra credette utile farsi editore. […] Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che hanno favorevolmente accolti e adottati nelle loro Scuole gli altri miei libri, vorranno accogliere e proporre ai loro scolari ed ai loro amici la soscrizione a questa Mitologia ; la quale spero che possa esser utile non solo agli scolari, ma ancora ad ogni colta persona, poichè voile il Tommasèo che cosi fosse detto nel titolo della medesima.
Le Feste Caristie erano un solenne convito fra i parenti ed affini che si riunivano annualmente in questo giorno alla stessa mensa, non solo in attestazione e conferma del loro reciproco affetto, ma principalmente per avere occasione di sopire in mezzo alla comune letizia qualche discordia che fosse nata fra taluni di loro nel corso dell’anno. […] Bellona, il cui nome è di origine tutta romana, derivando da bellum cioè dalla guerra, era creduta sorella del Dio Marte ed auriga del medesimo nelle battaglie, quando egli combatteva dal suo carro.
Leandro ed Ero, 646 2°. […] Sirene, divinità marittime, 196 ; — loro perfidi artifizj, 197 ; — tentano di sedurre Ulisse ed i suoi compagni, 198.
La descrizione delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure, che sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili, finchè rimane disgiunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire che ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani.
Dal culto dei corpi celesti si passò presto a quello dei corpi terrestri, ossia dei prodotti della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeismo, e fu principalmente professato dagli Egiziani, i quali anche al tempo di Mosè adoravano come loro Dio il bue Api, la qual goffa idolatria fu imitata dagli Ebrei nel deserto col vitello d’oro, che costò la vita, per ordine di Mosè, a tante migliaia di quegli stupidi imitatori del culto Egiziano.