Vincitori, credeano negli Dei da cui si sentivano protetti ; vinti, attribuivano i rovesci delle loro armi ad auspicj negletti o mal compresi. Il campo era un tempio, e quanto più la vita guerriera teneva occupati i Romani, tanto più le credenze del politeismo signoreggiavano ne’loro cuori, di cui formavano continuamente o la speranza o lo spavento. […] In Armenia segnatamente veneravasi il culto di Mitra, i cui misteri erano celebri nei primi tempi del Cristianesimo, e s’assomigliavano in parte alle cerimonie di questa legge santa. […] Le altre imposte ringraziano i Cristiani per la fedeltà con cui sono pagate puntualmente, essendo noi lontani dal defraudare quel d’altrui. […] Numera lulte le occasioni in cui i Romani facevano immenso spese nelle crapole e ne’bagordi.
Il piccolo Bacco cresceva vivace ed allegro ; ed ebbe per custode della sua giovinezza (o come ora diremmo per aio o educatore) un vecchio satiro chiamato Sileno, a cui molto piaceva il vino, e che ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto più facile che istillare il gusto delle belle lettere e delle scienze. […] Il volto giovanile e rubicondo, i pampini e l’uva non hanno bisogno di spiegazione ; l’ellera colla sua freschezza era stimata dagli Antichi un. sedativo ai calori ed ai fumi del vino ; e gli animali feroci significavano il furore e la brutalità cui produce l’abuso di questo liquore. […] E questo era il rumore che facevano i seguaci di Bacco, e specialmente le donne che furon chiamate Baccanti ; e in tal modo clamoroso e impudente celebravansi in Roma le feste di questo Dio che furon dette Baccanali, di cui gli eccessi giunsero anticamente tant’oltre in Roma che il Senato dovè proibirle. […] Fu poi generosissimo co’suoi devoti cultori, ma i suoi doni erano pericolosi per la sovrabbondanza stessa con cui li accordava, talchè divenivano facilmente dannosi, come avvenne a Mida figlio di Gordio re dei Frigii. […] Si noti però che la vite non ama neppure l’eccesso del caldo ; e i limiti naturali fra cui prospera sono dal 30° al 50° di latitudine.
È ben facile che alla primitiva tradizione, di cui fa cenno anche Omero, non che Esiodo, siano stati aggiunti in appresso nuovi eroi dei diversi Stati della Grecia per accomunar la gloria di questa impresa a tutta la Nazione, poichè si fanno ascendere, come abbiam detto, almeno a cinquanta, uno per remo, essendo Argo una nave di cinquanta remi. In questa comune e nazionale impresa per altro il solo Giasone è quello di cui si raccontano fatti straordinarii e maravigliosi, degni di poema ; gli altri Eroi vi rappresentan soltanto una parte molto secondaria ; ma appunto per questo vi è maggiore unità e si rende più facile e più breve la narrazione. Giasone era figlio di Esone re di Tessaglia65, a cui fu usurpato il regno dal fratello Pelia ; perciò essendo egli ancor fanciullo, per salvarlo dalle in sidie dello zio, fu mandato ad educare altrove, e dicono presso il Centauro Chirone. […] A questo punto l’Ariosto lascia l’imitazione degli Antichi, e con le invenzioni del Medio Evo, di cui si era valso in altri luoghi del suo poema, narra la liberazione del Senàpo dalle Arpie in modo più maraviglioso di quello dei poeti classici greci e latini. I mezzi che egli adopera sono due l’ Ippogrifo, di cui abbiamo riportato altrove la descrizione stessa fattane dall’Ariosto, e l’altro non meno straordinario e mirabile, di cui riporterò parimente la descrizione coi versi stessi dell’Ariosto ; « E questo fu d’orribil suono un corno « Che fa fuggire ognun che l’ode intorno.
Era questa una delle 7 maraviglie del mondo, ma fu atterrata da un terremoto ; e poi i Saracini conquistatori di quell’isola ne venderono il metallo, di cui furon caricati 900 cammelli. […] Fetonte, il cui nome di greca etimologia significa splendente, era creduto figlio di Apollo e della Ninfa Climene. […] Egli fu il primo medico di cui le antiche tradizioni ci abbiano tramandato il nome, aggiungendo che nell’esercizio dell’arte salutare faceva cure tanto prodigiose, che guariva tutti i malati e perfino risuscitava i morti. […] Consentì per altro che fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio, che i popoli molto volentieri adoravano e a cui raccomandavansi nelle loro infermità. […] Il Po era chiamato dai Latini Eridanus e Padus ; e i nostri poeti l’appellano il re dei fiumi, sottinteso però dell’Italia, di cui è realmente il più gran fiume.
Trovansi pitture e stampe in cui vedesi Endimione addormentato in una caverna e la Luna che sta a guardarlo. […] Discacciò dal suo coro di ninfe e cangiò in orsa la giovane Callisto (il cui nome significa bellissima), perchè si accorse che amoreggiava con Giove. […] Omero però non parla di questa ributtante Dea, e il passo in cui ne discorre Esiodo credesi interpolato dagli Orfici, una specie di riformatori o di eretici dell’antico paganesimo. […] Diana aveva in Efeso un famoso tempio, considerato come una delle 7 maraviglie del mondo, che fu arso, pur d’acquistar fama ancorchè infame, da Erostrato Efesio la notte in cui nacque Alessandro Magno, cioè il 6 di giugno, 356 anni avanti l’era cristiana. […] Ed ora dove sorgeva quel tempio e la stessa popolosa città di Efeso, che a tempo dell’imperator Teodosio II fu sede di due Concilii Ecumenici, non trovasi che qualche lurida capanna mezzo sepolta in una pianura paludosa da cui sollevansi esalazioni deleterie dell’organismo vitale !
Il nome di Sirena è usato figuratamente a significare ’ allettamento ai piaceri e ai divertimenti ; e Orazio in uno di quei momenti in cui indossava la ruvida veste dello stoico e del moralista, lasciando quella effeminata, e per lui più abituale, dell’epicureo225, chiama Sirena anche la pigrizia e l’infingardaggine, ossia il dolce far nulla degli Italiani226. Alcuni naturalisti (specialmente fra gl’Inglesi) danno ancora il nome di Sirene ai cetacei erbivori, detti comunemente Lamentini (Manatus), che formano la transizione fra le balene e le foche, e la cui forma, nelle parti superiori del corpo, si discosta meno di quella degli altri cetacei dalla figura umana, mentre poi vanno a finire in una coda orizzontale, come una gran parte dei pesci227. […] Dante rammenta Cariddi, non già secondo la favola, ma secondo la geografia, come un vortice, qual è veramente, prodotto da due opposte correnti di acqua del mare : « Come fa l’onda là sovra Cariddi, « Che si frange con quella in cui s’intoppa, « Così convien che qui la gente riddi. » (Inf. […] Passando ora a parlare dei mostri marini che erano soltanto animali viventi nel mare, e le cui specie son tuttora esistenti, convien notare primieramente che gli Antichi davano loro il nome generale di Orche ; e quanto meno ne conoscevano la struttura e gl’istinti, con tanto maggior sicurezza lavoravano di fantasia. […] Tali ci furon descritte le più terribili Orche dagli antichi poeti, quella cioè che devastò la Troade ai tempi dello spergiuro Laomedonte, e l’altra da cui Perseo liberò Andromeda : e di queste dovremo parlare lungamente a suo tempo.
Tal volta gli si poneva a lato Proserpina, sua moglie per forza, di cui dicemmo il ratto e le vicende nel capitolo di Cerere sua madre. […] Dante usò più volte la parola Dite come sinonimo di Plutone, denominando città di Dite la città del fuoco (di cui abbiam detto nel Cap. precedente) : e poi da Virgilio poeta pagano facendo chiamar Dite il gran diavolo Lucifero242. […] Gli si davano per figli i Sogni, di cui si rammentano con nomi speciali soltanto tre, che erano i capi di altrettante tribù numerosissime, cioè Morfeo, Fobetore e Fantasia, termini greci significativi dei diversi generi di sogni ; poichè Morfeo produceva nei dormienti i sogni più regolari sotto forme conosciute e naturali ; Fobetore i sogni spaventevoli e Fantasia i più strani e fantastici 249. […] Lo stesso Virgilio ci narra che nelle regioni sotterranee vi son due porte da cui escono i sogni per venire sulla Terra ; la prima è di corno da cui escono i sogni veri, e la seconda di avorio, e n’escono i sogni falsi : della quale invenzione non è facile intendere il significato. […] Lo stesso Cicerone lo dimostra elegantissimamente nella Orazione pro Roscio Amerino, di cui riporto qui le precise parole per chi studia la lingua latina, affinchè ciascuno le legga e rilegga finchè le abbia imparate così bene a memoria, da non dimenticarle mai : « Nolite enim putare, quemadmodum in fabulis sæpe numero videtis, eos, qui aliquid impie scelerateque commiserint, agitari et perterreri Furiarum tædis ardentibus.
Perciò il loro numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto che non sono stati a contar sul globo tutte le fonti, e tanto meno tutti i boschi e boschetti, a cui pur presiedevano almeno altrettante Ninfe. […] Amadriadi poi è un greco vocabolo composto, che significa insiem colla quercia, o come si è detto di sopra, coll’albero ; e davasi questo titolo a quelle Ninfe la cui esistenza era legata alla vita vegetativa di una data pianta ; inaridendosi la quale, oppure essendo recisa o arsa, periva ad un tempo la Ninfa Amadriade. — Questi termini essendo significativi degli attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro che non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano non solo i poeti greci e i latini, ma altresì, benchè più di rado, gl’ italiani. Molte di quelle Ninfe a cui fu dato un nome proprio dai Mitologi e dai poeti furono da noi rammentate sinora : qui torna in acconcio di far parola di qualche altra che non troverebbe luogo più opportuno altrove. […] Queste nutrirono l’infante Nume col latte di una capra detta comunemente Amaltea dal nome di una di queste due Ninfe a cui apparteneva. […] Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso.
Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice, la quale in quelle pugne in cui prendevano parte anche gli Dei, come nella guerra di Troia, si metteva sempre dalla fazione contraria a Marte. In Roma per altro, la cui fondazione ebbe luogo tre in quattro secoli dopo l’eccidio di Troia, il culto di Marte fu il più solenne e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore della loro città fosse figlio di Marte, come narra lo stesso Tito Livio. […] I Greci fecero poche immagini sculte o dipinte del Dio Marte, prima perchè non era il Dio per cui avessero maggior devozione, e poi perchè il truce soggetto pareva loro che ripugnasse alla squisitezza della greca eleganza. […] I moderni astronomi attribuiscono quel colore o alle materie di cui è composto il pianeta, atte a rifletterlo, o ad una densa atmosfera che lo circondi. […] L’epiteto di marziali alle sostanze o ai prodotti chimici, in cui trovasi in combinazione o mistione anche il ferro, suol darsi in Terapeutica non solo per indicar la presenza di questo elemento, ma pur anco l’effetto del medesimo di rinforzar la fibra, e il sangue.
Giove così volle premiar Vulcano di averlo aiutato efficacemente nella battaglia di Flegra fabbricandogli i fulmini con cui atterrò e vinse i Giganti. […] Cupido è rappresentato come un fanciulletto, grazioso in apparenza benchè maligno in effetto, colle ali d’oro, e d’oro l’arco, gli strali e la faretra ; e si aggiunge dai poeti ch’egli è cieco o bendato ; e questi son tutti simboli dell’Amore facili a spiegarsi, ed a cui si fanno interminabili allusioni in verso e in prosa. […] Sino al secolo passato non celebravasi un matrimonio tra persone che sapesser leggere, che subito un poeta qualunque non componesse un epitalamio 188, in cui v’era sempre Imene con le catene, per rima obbligata, a unire gli sposi. […] Le tre Grazie, di cui l’appellativo stesso spiega l’ufficio o attributo, erano rappresentate come giovanette gentili ed ingenue, nude e abbracciate amorevolmente tra loro, per indicar che le grazie debbono esser naturali e spontanee e che non hanno bisogno di stranieri o compri ornamenti ed aiuti. Qualche poeta le ricoprì d’un sottilissimo velo, per significare che debbono esser temperate e non affettate ; e perciò Ugo Foscolo nel suo delicatissimo poemetto intitolato Le Grazie, le ricuopre d’un candido velo in cui finge istoriato il mito di Psiche, per indicare che il candor dell’animo è il solo ornamento delle Grazie.
Molti sono i lavori di questo Dio, descritti e celebrati dai poeti ; e di alcuni avremo occasione di parlare in appresso nel ragionar di quei personaggi per cui furono eseguiti : qui basterà soltanto accennarne due, cioè gli automi ed i fulmini. […] Nei secoli successivi furono celebri la mosca e l’aquila volante di Regiomontano, diversi automi di Leonardo da Vinci, e specialmente il famoso leone, di cui parla anche il Vasari, le teste parlanti dell’abate Mical, il suonator di flauto di Vaucanson e l’anitra del medesimo, la quale nuotava, mangiava e digeriva ; e nel presente secolo, oltre il giuocatore di scacchi rammentato di sopra, anche il calcolatore aritmetico di Babbage. […] Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. Sentiamo dunque su questo proposito ciò che ne scriveva il poeta Virgilio, « Che visse a Roma sotto il buono Augusto, » e che Dante chiama suo maestro « E quel savio gentil che tutto seppe. » Nel libro viii dell’Eneide descrive prima la fucina di Vulcano coi Ciclopi suoi garzoni che lo aiutavano a fabbricare i fulmini ; e quindi enumera gli elementi o materie prime di cui li componevano : « …….Stavan nell’antro allora « Sterope e Bronte e Piracmone ignudi « A rinfrescar l’aspre saette a Giove. […] Avevano sì gli antichi osservato l’elettricità che si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal cui greco nome di electron fu appunto denominato questo fenomeno e l’elettricità stessa), ma si fermarono per secoli e secoli a questa prima osservazione, e non andaron più oltre191, lasciando ai moderni, e specialmente agli italiani, (Galvani e Volta), la gloria delle più grandi scoperte e delle più utili applicazioni della elettricità 192.
I poeti italiani hanno introdotto i Satiri anche nelle Favole pastorali, ossia in quelle drammatiche rappresentazioni, i cui personaggi erano antichi pastori mitologici. […] Tale è l’antica statua di Sileno col piccolo Bacco nelle braccia, che trovasi nella villa Pinciana, e di cui una copia in bronzo esiste nel primo vestibolo della Galleria degli Uffizi in Firenze ; e come vedesi pure nel quadro dei Baccanali di Rubens, che è parimente nella stessa Galleria. […] Anticamente, e molto prima della fondazione di Roma, la festa di questa Dea celebravasi soltanto nelle campagne dai pastori e dagli agricoltori, per implorare la protezione di essa ; ed oltre le usate libazioni e le offerte di sacre focacce e di latte accendevansi fuochi di paglia, a traverso le cui vivide fiamme saltavano quei villici, credendo con tal atto di espiare le loro colpe. […] Le feste Florali cominciavano in Roma il 28 di aprile e duravano sino a tutto il dì 1° di maggio, nei quali giorni v’era un gran lusso di fiori, di cui tutti facevano a gara a cingersi la testa e ornarne le mense e perfino le porte delle case. […] Orazio, in tutta la Satira 8ª del i libro fa raccontare alla statua stessa di Priapo, fatta di fico, l’origine sua e le sconce prodezze con cui spaventò le streghe Canidia e Sagana mentre facevano un incantesimo negli Orti esquilini, posti sotto la sua guardia e custodia.
Non dovrà dunque recar maraviglia che per associazione d’ idee Apollo fosse riguardato ancora come dio della Musica e di tutte quelle altre belle arti speciali a cui presiedeva ciascuna delle nove Muse, delle quali egli era il maestro. […] Fra i titoli dati alle Muse v’è quello di Pieridi, o Pierie Dee, di cui è questa l’ origine. […] Gli avvenne d’invaghirsi di una Ninfa chiamata Dafne figlia di Peneo, la quale essendosi consacrata a Diana, e fatto voto di non prender marito, non solo ricusò di sposare, ma neppure volle ascoltare Apollo, e datasi a fuggire pregando gli Dei a sottrarla da tal persecuzione, fu cangiata in quella pianta di cui portava il nome, cioè in alloro, poichè Dafne in greco significa lauro. […] Il lauro d’allora in poi fu sempre la pianta sacra ad Apollo, che se ne fece una corona di cui portò sempre cinta la fronte ; e i poeti subito lo imitarono, e dopo i poeti anche i generali trionfanti e tutti gl’ imperatori, ancorchè non fossero poeti nè mai stati alla guerra. […] Ei se ne andò allora in Frigia, ove si mise a fare il muratore ; e insieme con Nettuno fabbricò le mura della città di Troia ; della cui divina origine e costruzione parlano Omero e Virgilio e molti altri poeti ; e noi dovremo discorrerne narrando la famosa guerra troiana e la distruzione di quella antica città.
Se non è bene che l’uomo sia solo sulla Terra, vale a dire senza aver moglie e famiglia, sarà questo non men vero nel Mare ; e se il matrimonio può convenire in generale a qualunque privato, tanto più conviene a un re, e specialmente a un re assoluto che è padrone di tutto217), e a cui non può mancar mai un lauto trattamento per una numerosa famiglia. […] Forse i Tritoni avran saputo trame più dolci suoni ; ma, comunque ciò fosse, questo strumento è il distintivo per cui riconosconsi i Tritoni stessi nelle opere d’arte. […] Le Ninfe Oceanine, così chiamate perchè figlie dell’Oceano e di Teti, erano, secondo Esiodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di cui farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare che prese marito e fu madre di qualche altra Divinità. […] Di Glauco poi raccontano uno dei più strani e singolari miti, unico nel suo genere ; e di cui nulladimeno seppe valersi Dante come di similitudine per dare idea di uno dei suoi più straordinarii e sublimi concetti. […] Questa è quella Teti nel cui palazzo andava tutte le sere il Sole a riposarsi dopo la sua corsa diurna, come accennammo nel Cap.
Gli Dei Superiori, di cui abbiamo parlato nella Iª Parte, erano soltanto venti, e gl’Inferiori a migliaia, e costituivano la plebe degli Dei, come li chiama Ovidio : de plebe Deos. Fortunatamente, per chi deve studiar la Mitologia, a ben pochi di questi Dei fu dato dai Pagani un nome proprio, e la maggior parte furon compresi sotto certe generali denominazioni, come ora suol farsi nella Storia Naturale in cui si distinguono soltanto i generi, le specie, le famiglie, le varietà, ecc. e non gl’individui, o vogliam dire i singoli prodotti naturali. […] Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Politeismo, come per esempio, il Dio Robigo, la Dea Ippona, il Dio Locuzio, la Dea Mefiti, ecc. ecc. ; e basta conoscere l’etimologia e il significato di questi vocaboli per intendere qual fosse l’ufficio di tali Dei. […] III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui scriveva S. […] Perciò nel Corpus Juris dei Romani (le Pandette, il Codice, ecc.) troviamo rammentati col titolo di Divi quegli Imperatori di cui si citano le leggi o i rescritti (Divus Julius, Divus Augustus, Divus Traianus, ecc.).
Perciò Dante, avversando il fatalismo, proclama da par suo il libero volere in questi splendidi versi : « Lo maggior don che Dio per sua larghezza « Fesse creando, e alla sua bontate « Più conformato, e quel ch’ei più apprezza « Fu della volontà la libertate, « Di cui le creature intelligenti « E tutte e sole furo e son dotate. » (Parad. […] Anche in altri luoghi ritorna il sommo Poeta sullo stesso argomento, o indirettamente vi allude : tanto gli stava a cuore d’imprimer bene nella mente dei suoi lettori questa fondamentale dottrina del libero arbitrio, da cui dipende la moralità delle azioni, e quindi il merito o il demerito delle persone, e la giustizia del conferimento dei premii e della irrogazione delle pene ! […] Le si dava inoltre il cornucopia da cui spargeva inesauribilmente frutti e fiori sopra la Terra, per significar le ricchezze che dispensava ai mortali16. […] Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani « Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni della Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mortali. […] Nei moderni ritratti della Fortuna ai frutti ed ai fiori del cornucopia son sostituite le monete d’oro e d’argento ; e i moderni tempii, in cui è esposta l’immagine della Fortuna ad allettamento dei devoti cultori della medesima ; seno i Botteghini del Lotto, ove per altro, se l’aritmetica non falla, è cento mila volte più probabile perdere che guadagnare.
La voce Eroi, divenuta tanto comune in verso e in prosa non solo nelle lingue dotte, ma pur anco nella italiana e nelle altre lingue affini, è di origine greca ; ed i filologi antichi, incominciando da Servio commentator di Virgilio, ne danno tre diverse etimologie,45deducendole da tre diverse accezioni in cui trovasi usata quella voce, cioè di Semidei, di Dei Indigeti, e di uomini divenuti illustri o per dignità o per imprese di sovrumano valore. […] Spiacemi che il mio umile assunto e lo scopo principale a cui è diretto questo lavoro m’impediscano di estendermi in osservazioni generali, e mi obblighino invece di aggiunger soltanto spiegazioni al racconto dei molteplici fatti particolari che più ne abbisognano ; ma ho voluto premetter questi brevi cenni per far conoscer la necessità di studiare i tempi eroici, che sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Storia, e che perciò hanno la stessa importanza per le origini storiche dei popoli antichi che il Medio Evo per le origini della moderna civil società. […] E a far questo ci aiuteranno diverse celebri imprese a cui intervennero quasi tutti gli Eroi contemporanei, che i Mitologi ed i Poeti si son dati cura di rammentare : tali sono la caccia del cinghiale di Caledonia, la spedizione degli Argonauti, la guerra di Tebe o dei 7 Prodi, e finalmente la guerra di Troia. Ora in queste diverse imprese trovansi rammentati quasi tutti gli Eroi di cui si ha notizia, e talvolta in una son nominati i padri e nell’altra i figli ; e di qualche eroe che intervenne a più d’una è detto in quale di esse egli era più giovane, in quale più vecchio : dal che deducesi senza tema di errare l’ordine cronologico di quelle imprese. Inoltre di quegli Eroi che non son rammentati o compresi in nessuna di quelle spedizioni, e che pure compierono memorabili gesta, separatamente narrate dai Mitologi, dobbiamo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in cui avvennero quelle, e già divenuti Indigeti Dei, oppure discesi nel regno delle Ombre.
XVI La dea Latona Parlando del Caos, dissero i mitologi che i 4 elementi di cui esso era composto si divisero ; e divisi che furono, il fuoco, come più leggiero degli altri tre, salì più in alto e venne a formare il Sole, la Luna e le Stelle. […] Ivi diede alla luce in un sol parto Apollo e Diana ; e questi Dei ebbero perciò il titolo di Delio e di Delia dall’isola in cui nacquero ; come pure il nome di Cinzio e di Cinzia dal monte Cinto dove furono allevati in quella stessa isola. […] I geologi poi, collo studio degli strati del nostro globo e delle materie componenti i diversi terreni, sanno dire non solo l’origine delle montagne, ma perfino l’età, ossia l’epoca geologica in cui esse si sollevarono. […] Si chiamò col nome di selenio dal greco vocabolo selene (la Luna) per significare la sua rassomiglianza col Tellurio, altro corpo analogo, di cui dicemmo nel Capitolo della Dea Tellure. […] « Le isole galleggianti, scrive Humboldt, si formano in tutte le zone ; ne ho vedute nel fiume Guayaquil, da 8 a 9 metri di lunghezza, nuotanti in mezzo alla corrente e portanti gran copia di vegetabili, le cui radici si abbarbicano e s’intrecciano facilmente. » Intorno alla formazione delle medesime, lo stesso autore soggiunge : « Sulle rive paludose dei laghi di Xochimilco e di Chelco l’acqua agitata nella stagione delle piene stacca delle zolle di terra coperte di erba e di radici fra di loro intrecciate.
E in ciò appunto distinguesi la classica Mitologia del grossolano feticismo, e ne differisce immensamente, perchè in questo adoravansi i prodotti stessi naturali come se fossero Dei, e in quella gli esseri soprannaturali a cui se ne attribuiva l’invenzione o la creazione. […] Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. […] Per maggior distinzione fu rappresentata ancora talvolta con una doppia fila di mammelle, per cui le si dava il titolo di Mammosa. […] Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare.
Nel mese di Gennaio, il cui nome facevasi derivare da quello di Giano, si celebrava nel primo giorno la festa di questo Dio, e prima ad esso sacrificavasi che agli altri Dei, perchè egli era considerato come il portiere delle celeste reggia. […] Nel mese di Febbraio è da notarsi la festa della Dea Sospita, il cui nome significa salvatrice. […] Questa è la stessa che la Dea Fauna moglie del Dio Fauno, di cui abbiamo parlato nel Cap. […] Bellona, il cui nome è di origine tutta romana, derivando da bellum cioè dalla guerra, era creduta sorella del Dio Marte ed auriga del medesimo nelle battaglie, quando egli combatteva dal suo carro. […] Arval. e nel Glossarium Labronicum, concludono col Preller che Summanus è un Dio del cielo notturno, a cui si attribuivano i temporali notturni come a Giove quelli diurni.
XXVIII Le regioni infernali La paròla Inferno, secondo l’etimologia latina, significa ciò che resta di sotto, ed è propriamente un aggettivo a cui può sottintendersi il nome di qualunque luogo od oggetto, che nella direzione dell’altezza trovisi al di sotto di un altro : equivale dunque soltanto all’aggettivo inferiore. […] Infatti i mitologi latini adoprano quest’aggettivo al plurale, e intendono regioni al di sotto della superficie della Terra, perchè supponevano che nel seno di essa esistessero due inferne regioni molto diverse tra loro per l’uso a cui erano destinate. […] Il Lete poi aveva il suo corso fra i due dipartimenti del Tartaro e degli Elisii, e le sue acque piacevoli a beversi producevano l’oblio del passato e perfino della propria esistenza ; e queste davansi a bevere a quelle anime, che, secondo la dottrina della Metempsicosi di cui parleremo in appresso, dovevano ritornare nel mondo a dar vita a nuovi corpi. […] Se poi si considerano i dati scientifici su cui si fondano i calcoli di centinaia di secoli che passarono dall’una all’altra epoca geologica prima che si compiessero le formazioni delle diverse rocce ; e si riflette filosoficamente che infinite specie di animali terrestri, aquatici ed amfibii, di forze e di forme « Maravigliose ad ogni cor securo, » furon cancellate dal libro dei viventi e fossilizzate dal tempo e dagli occulti agenti chimici sotterranei, avremo anche per la fantasia un campo molto più vasto di quello delle invenzioni mitologiche ; e riconosceremo che la mente dell’uomo non sa immaginare neppur la millesima parte delle maraviglie che la scienza tuttodì va scuoprendo nelle operazioni e nelle leggi della Natura. […] « Nel dritto mezzo del campo maligno « Vaneggia un pozzo assai largo e profondo, « Di cui suo loco dicerà l’ordigno.
XI, che di Inaco re d’Argo era figlia la Ninfa Io trasformata in vacca, e poi in Dea, sotto il nome di Iside ; e parimente d’Argo era re Danao padre delle Danaidi, di cui parlammo nel N. […] E Pindaro, a cui forse piaceva poco questa strana invenzione di Esiodo, non l’adottò, e disse invece che il caval Pegaso fu mandato dagli Dei a Perseo mentre egli si disponeva ad uccider la Gorgone. […] Le feste per le nozze di Perseo con Andromeda furono disturbate negli ultimi giorni da una improvvisa invasione delle truppe del re Fineo, a cui Andromeda era stata promessa in isposa, ma che però non si era mosso per liberarla dal mostro marino, e quindi avea perduto qualunque titolo ad ottenerla. […] Ma la sua stessa precauzione fu causa del suo male, poichè Perseo, irritato di tale scortesia, lo raggiunse volando sul caval Pegaso mentre Atlante andava alla caccia, e mostrandogli la testa di Medusa lo trasformò in quel monte della Mauritania che tuttora chiamasi Atlante, del quale gli antichi favoleggiavano che sostenesse il Cielo, e il cui nome hanno dato i moderni, con evidente allusione mitologica, alla collezione delle carte geografiche e uranografiche. […] Aggiungono inoltre che una gran quantità di stelle cadenti, di cui hanno luogo fiammeggianti pioggie ordinarie circa la metà dell’ agosto e del novembre tutti gli anni, si osserva partirsi di verso la costellazione di Perseo ; e perciò quelle tali stelle cadenti son distinte col nome di Perseidi.
Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a cui vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro « Che co’rami all’altar facea tribuna, « E coll’ombra a’Penati opaco velo35. » Ma se il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famiglia avessero ricevuto un simil culto. […] E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti, ovvero alla parte più interna dei tempii e delle case ove questi Dei erano adorati37. Sappiamo infatti anche dagli storici essere stata comune opinione che quegli stessi idoli degli Dei Penati venuti da Troia fossero custoditi dalle Vestali in luogo nascosto ai profani insieme col Palladio, sacre reliquie troiane, che nessun vide giammai, ma nella cui esistenza tutti credevano ; — e quando si tratta di credere, non v’è bisogno di dimostrazione ; sola fides sufficit. […] Oltre la diversa origine, troiana dei primi, etrusca o italica dei secondi, e le caratteristiche bene accertate degli Dei Penati, come abbiamo veduto di sopra, si potrebbero citare molte autorità di classici, da cui chiaramente apparisce il differente ufficio dei Penati e dei Lari.
Alcuni autori la chiamano ancora Cibebe, e fanno derivar questo nome da cubo, ossia dado, che è la più salda e stabile figura geometrica, essendo uguale nelle tre dimensioni di lunghezza, larghezza e profondità ; e venendosi perciò a significare la creduta stabilità o immobilità della Terra, a cui presiedeva Cibele. […] Cicerone nelle sue opere filosofiche aggiunge un’altra notabile rassomiglianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce che i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerdoti a cui fosse lasciata per pochi giorni la facoltà di far la questua ; ma non ne dice il perchè, non vedendo forse una buona ragione di questo eccezional privilegio, e, a quanto pare dal contesto delle sue parole, disapprovandolo45. Il nome di Coribanti deriva da due parole greche che significano cozzanti col corno ; il che appella ai loro furori per cui sembravano tori infuriati che tra lor si cozzassero. […] E questa è la prima metamorfosi, ossia trasformazione, di cui ci è occorso di far parola nella Mitologia.
i delle Metamorfosi, che cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suonasse la lira, ma gli raccontasse pur anco la favola di Pane e Siringa : « S’io potessi ritrar come assonnaro « Gli occhi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa che ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco, la quale era stata da Giunone cangiata in voce, in punizione della sua loquacità, e condannata a tacere se nessun le parlava, ed a ripeter soltanto le ultime voci di chi le dirigeva il discorso : favola ricavata evidentemente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco. […] Anche Cicerone nelle sue Opere usa almeno due volte, per quanto mi ricordi, l’aggettivo pànico riferito a timore o romore, ma lo scrive con lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo credeva un neologismo che non avesse ancora acquistato la cittadinanza romana. […] Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panicus terror est). […] « Fistula cui semper decrescit arundinis ordo, « Nam calamus cera jungitur usque minor. » (Tib., iii, 5ª.)
Ma qualunque fosse l’origine dell’uomo, secondo i diversi mitologi, convenivano però tutti nell’asserire, che quando Saturno fu esiliato dal Cielo era già la specie umana sparsa in diverse regioni del mondo, e che nel territorio ove ora è Roma esisteva un regno, di cui la capitale era sul monte Gianicolo. […] Nel Cristianesimo il tempo che Adamo ed Eva passarono nel Paradiso terrestre è considerato come la vera età dell’oro, a cui debbono riferirsi le fantastiche descrizioni che ne fanno i poeti pagani. […] In Roma si celebravano nel mese di dicembre le Feste Saturnali in memoria di quel tempo felice sotto il regno di Saturno, in cui non si conoscevano nè servi nè padroni, ma tutti gli uomini erano eguali ed egualmente padroni di tutto, perchè la terra spontaneamente produceva più che abbastanza per tutti senza spesa o fatica di alcuno. […] Ecco uno dei molti casi mitologici in cui più e diversi attributi ed uffici si riunivano in uno stesso soggetto, che inoltre era considerato e come uomo e come Dio.
E chi fu mai sì losco o dell’occhio o dell’intelletto che non abbia veduto e ammirato, in tela, in legno, in plastica, in bronzo o in marmo, dipinta o sculta, una svelta ed elegante figura di un giovane nudo con due piccole ali al capo ed ai piedi147 ed avente in mano una verga a cui stanno attortigliati due serpenti ? […] Dante a cui nulla sfugge, e che ovunque stenda la mano o colorisce o scolpisce, nel descrivere il cerchio del Purgatorio ove son puniti gl’invidiosi, ci narra che ei vide « Il livido color della petraia, » e più oltre « ………ombre con manti Al color della pietra non diversi, » e udì « Voce che giunse di contro dicendo : « Io son Aglauro che divenni sasso ; » e seppe così valersi incomparabilmente della pagana Mitologia, per ornamento del linguaggio poetico anche nel Purgatorio cristiano, apostolico, romano163. […] È conosciuto volgarmente sotto il nome di argento vivo a causa del suo color bianco argenteo e della sua mobilità ; per cui serve ottimamente nei tubi dei termometri e dei barometri ad indicare in quelli i diversi gradi di calore e in questi la variazione dello stato dell’atmosfera. […] Ma i devoti del furto anzichè di Mercurio, non rubano per celia, nè pensano neppur per ombra alla restituzione ; anzi se ne tengono e se ne vantano dicendo come il Girella del Giusti : « Non resi mai — Quel che rubai. » A proposito di questi tali riporta Cicerone nella 2ª delle sue Filippiche un bellissimo ed elegantissimo proverbio latino : male parta, male dilabuntur ; a cui corrisponde il volgarissimo, ma non meno espressivo proverbio italiano : la farina del Diavolo se ne va in crusca.
Io pria torrei « Servir bifolco per mercede, a cui « Più scarso il cibo difendesse i giorni, « Che del Mondo defunto aver l’impero. […] « Stava lì presso con acerba pena « Tantalo in piedi entro un argenteo lago, « La cui bell’onda gli toccava il mento. […] Nel Canto xi dell’Inferno espone i principii filosofici su cui è basata la classificazione dei delitti e la proporzionale graduazione delle pene relativamente alla qualità ed alla quantità, o vogliam dire intensità, non potendovi esser differenza alcuna relativamente al tempo, poichè nell’Inferno dei Cristiani son tutte eterne. […] Anche Virgilio nel vi dell’ Eneide così descrive la pena di Tizio : « Nec non et Tytion, Terræ omniparentis alumnum, « Cernere erat, per tota novem cui jugera corpus « Porrigitur ; restroque immanis vultur obunco « Immortale jecur tondens, fecundaque pœnis « Viscera, rimaturque epulis, habitatque sub alto « Pectore ; nec fibris requies datur ulla renatis. » E più brevemente Tibullo nell’ Elegia iii del lib.
Epilogo Abbiamo veduto, parlando sin qui degli Dei Superiori soltanto, che la cognizione della Mitologia greca e romana è lo studio delle principali idee religiose, politiche e scientifiche dei due più celebri popoli dell’Europa che fenno le antiche leggi e furon sì civili, e della cui civiltà è figlia la nostra. […] Oggidì che hanno sì gran credito gli studii preistorici sugli uomini primitivi dell’età delle armi di pietra e delle abitazioni lacustri, di quel tempo cioè in cui i nostri antenati Europei eran forse più rozzi dei selvaggi dell’America scoperti da Colombo, non potrà stimarsi meno importante lo studio intorno alle origini delle idee morali che ebbero tanta efficacia sulla civiltà greca e romana. Se negli Dei superiori di cui abbiam parlato in questa prima Parte troviamo personificate le più grandi leggi fisiche e le più notabili idee della vita morale e sociale, procedendo alla seconda Parte vi troveremo l’applicazione di quelle ai casi più speciali ed anche individuali.
Il culto più antico di cui si trovi memoria negli scrittori fu quello del Sole e della Luna e quindi degli altri Astri ; e questo culto fu chiamato il Sabeismo, perchè ridotto a regolar sistema religioso dai Sabei, antico popolo dell’ Arabia meridionale. […] Fu questo il ponte di passaggio dal culto materiale del feticismo al Panteismo mitologico, in cui si fece l’apoteosi di tutte le forze e leggi della creazione non solo del mondo fisico, ma pur anco del mondo morale. Furono allora immaginati e splendidamente dipinti con stile impareggiabile dai Greci e dai Romani i più celebri e graziosi miti di cui non perirà mai la memoria, finchè si leggeranno e s’intenderanno i loro poetici scritti e quelli dei moderni poeti che li imitarono.
I giorni in cui avessero luogo queste pene o espiazioni consideravansi giorni di lutto, detti nefasti, ossia infausti. […] Tutte le volte che uscivano in pubblico erano precedute da sei littori come i magistrati curuli, inferiori soltanto ai consoli : assistevano ai pubblici spettacoli fra i senatori nell’orchestra, che era il primo gradino dell’anfiteatro e del circo : la loro parola valeva come un giuramento, e la fiducia di cui godevano era tanto grande, e talmente sicura l’inviolabilità del loro soggiorno, che nelle loro mani si depositavano i testamenti e gli atti di molta importanza e segretezza non solo dai privati, ma anche dai magistrati della Repubblica e dai principi stessi dell’ Impero. […] Ignare o immemori degli usi di famiglia, difficilmente potevano adattarvisi e non rimpiangere l’impareggiabil condizione di vita a cui avevano rinununziato.
Tali favole o miracolose supposizioni di cui son piene tutte le antiche istorie, specialmente nelle loro origini, non esclusa quella di Roma, furon dette con greco vocabolo miti ; quindi Mitologia significa etimologicamente racconto dei miti, ossia delle favole delle antiche religioni dei Politeisti o Idolatri. […] E quantunque il termine di Mitologia in senso lato sia riferibile a tutte le religioni pagane, è per altro più specialmente applicabile a quella dei Greci e dei Romani, le cui classiche lingue e letterature tanto contribuirono e contribuiscono a dar pregio e vigore alla lingua e alla letteratura italiana. […] Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitologici molte delle loro denominazioni, la cui etimologia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione della Mitologia.
Fra i più celebri si annoverano Prometeo ed Epimeteo, di cui ora occorre parlare. […] Di Pandora stessa raccontasi pur anco da alcuni mitologi, che Giove, nel regalarle il fatal vaso, le avesse ordinato di portarlo a Prometeo ; ma questi il cui nome significa provvido o cauto, non volle aprirlo ; ed avendolo essa portato quindi ad Epimeteo, il cui nome significa l’opposto, cioè improvvido o incauto, questi l’aprì.
Racconta lo stesso Tito Livio che i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai Greci vennero in Italia seguendo il loro Duce Enea principe troiano, creduto figlio di Venere e di Anchise ; che Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lunga ; che dalla dinastia dei re Albani discesi in linea retta da Enea, nacque il fondatore di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. […] Nè gli Egiziani si contentavano di adorare queste due Divinità sotto la forma dei suddetti animali, ma tenevano nel loro tempio e prestavano il loro culto ad un bue vivente a cui davasi il nome di Bue Api. […] « O sante genti, a cui da terra sorti « Questi Numi sì ben nascon negli orti !
Sii giusto, sii benefico, dicono i moralisti ; e in questi due punti compendiano tutti i doveri della morale, il primo come dovere assoluto e il secondo come dovere relativo, a cui si sottintende se puoi e per quanto puoi 58 ; ma poichè la Divinità è onnipotente, perciò immensa e infinita è la sua beneficenza. […] Ecco un’altra scienza, e delle più recenti, in cui non è disprezzato l’uso antico di adottare nel linguaggio scientifico i termini della Mitologia. […] L’oasi in cui fu eretto il tempio di Giove Ammone era quella che ora si chiama Dakhel, che resta all’ovest della Grande Oasi, sui confini dell’ Egitto, nel deserto anticamente detto di Barca.
Si rappresentano generalmente seduti in un terreno alquanto declive e colle gambe stese per indicare il corso del fiume e la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di essi presso di sè un’urna da cui esce l’acqua per significar la sorgente ; e se il fiume è navigabile, si pone in mano alla figura del Dio un remo : se poi il suo corso si dirama in due o più alvei, si aggiungono sulla fronte del Nume due corna. […] come fanciullo « Di mandre guardïan cui ne’piovosi « Tempi il torrente, nel guadarlo, affoga. » Avremo da parlar tanto delle prodezze di Achille (invidiato dallo stesso Alessandro il Grande per la singolar fortuna di averne per banditore Omero), che non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica paura, che trova qui posto più opportuno, parlandosi delle prodezze e dei vanti dei fiumi della Troade. […] Nel caso di cui si parla nel testo il Xanto è il nome più antico, e lo Scamandro il più moderno.
La qual trasformazione graduale è significata nella pittura col rappresentar le diverse pietre in maggiore o minor parte trasformate, talchè in alcune scorgesi abbozzata o formata la testa soltanto, in altre anche il petto e le braccia, e così di seguito gradatamente, finchè ne apparisce qualcuna tutta cangiata in forma umana, o a cui manca soltanto il complemento di un piede che vedesi ancora di rozza pietra. […] In geologia si parla di più d’uno di questi cataclismi dei tempi preistorici ; e quello storico, chiamato il diluvio universale, e di cui trovasi una general tradizione in tutti i popoli, è l’ultimo di questi cataclismi riconosciuti e dimostrati dalla scienza geologica. […] Finalmente chi conosce il valore della parola metamorfosi, che significa trasformazione, come abbiamo spiegato altra volta, e di cui tanto avvien di parlare nella Mitologia, intenderà facilmente il significato generale di roccie metamorfiche, e lo tradurrà per trasformate.
XLIII Cadmo Non appartiene Cadmo al novero dei Semidei, e neppur divenne un Indigete Dio ; ma è considerato un Eroe e per l’epoca in cui visse e per quanto oprò. […] « Ingenium cui sit, cui mens divinior atque os « Magna sonaturum, des nominis hujus honorem. » (Sat.
— Acrisio, nipote di Linceo, la cui figlia Danae sposò Perseo. […] Altri dicono che questa festa fu istituita nell’Attica. — Il vascello, su cui Danao approdò in Grecia, servi di modello ai greci operaj ; era grandissimo, e spinto da cinquanta rematori. […] Più antichi re di Corinto sono Efira sorella d’Inaco, Maratone, Corinto, Polibio che accolse Edipo bambino, Creonte, appo cui rifugiaronsi Giasone e Medea.
Siccome è regina del Cielo e degli Dei ha in capo il diadema ; il suo volto è maestoso ; ha grandi gli occhi, bianche le braccia93), lunga la veste matronale e il manto, i cui lembi estremi le stanno ricinti a mezzo la persona ; in una mano ha lo scettro e talvolta nell’altra una melagrana frutto dell’albero a lei sacro, e ai piedi il pavone. […] Il nome poi di Argo è rimasto celebre in tutte le lingue moderne affini alla greca ed alla latina, per significare antonomasticamente un uomo oculatissimo, cioè vigilantissimo ed a cui nulla sfugga. Anche Dante descrivendo nel Canto xxix del Purgatorio il carro in cui era trionfalmente portata Beatrice e facendolo simile a quello descritto dal profeta Ezecchielle, assomiglia ancora i molti occhi dei quattro mistici animali a quelli del mitologico Argo : « Ognuno era pennuto di sei ali, « Le penne piene d’occhi ; e e gli occhi d’Argo « Se fosser vivi, sarebber cotali. » Un’altra particolarità che si riferisce alla dea Giunone è il mito della sua ancella e messaggiera Iride.
XII La Titanomachia e la Gigantomachia Per intender bene le vere cause di queste guerre convien risalire al patto di famiglia fra Titano e Saturno, la cui violazione produsse nel Cielo la prima guerra fraterna che terminò colla prigionia di Saturno e di Cibele (vedi il n° VI). […] Ne riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama che dal fulmine percosso « E non estinto sotto a questa mole « Giace il corpo d’Encelado superbo : « E che quando per duolo e per lassezza « Ei si travolve o sospirando anela, « Si scuote il monte e la Trinacria tutta ; « E dal ferito petto il fuoco uscendo « Per le caverne mormorando esala, « E tutte intorno le campagne e ’l Cielo « Di tuoni empie, di pomici e di fumo77). » Ed è questo uno dei più evidenti esempi a dimostrazione del modo con cui gli Antichi trasformavano in racconti mitologici la descrizione dei naturali fenomeni. […] « Tu sei lo mio maestro e ’l[ILLISIBLE]mio autore : « Tu se’ solo colui, da cui io tolsi « Lo bello stile che m’ha fatto onore. » (Inf.
Il Dèmone dunque di cui egli parlava non poteva significare, nella sua segreta intenzione, una divinità mitologica, ma piuttosto l’ispirazione di quell’unico Dio in cui egli credeva. […] Io citerò qui, come esempii, alcuni versi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in cui trovasi usato il vocabolo Genio in più e diversi significati ; e confinerò qualche prosaica osservazione filologica in una nota, essendo più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalmente gradita che non la filologia.
Ma quando la romana costanza che trionfò di tutti gli ostacoli e di tutte le più dure prove non fu abbastanza forte contro le prosperità e le ricchezze, e si lasciò vincer da queste, le idee morali cominciarono ad esser neglette ed obliate, e la religione stessa perdè il suo prestigio e la sua dignità, e non servì più allo scopo altamente sociale per cui fu istituita. […] Contemporaneamente a queste prime apoteosi sorgeva e ben presto diffondevasi una nuova religione, i cui seguaci destarono l’ammirazione di tutti per la bontà e santità della vita : e questo parve un gran miracolo in mezzo a società così corrotta ; questo richiamò l’attenzione di tutti sulla nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime che essa insegnava.
Anzi sulla base o radicale di questa parola si son formati in italiano vocaboli di cui non esistono gli equivalenti neppure in latino, cioè il verbo chimerizzare e i nomi chimerizzatore e chimerizzatrice, i quali sebbene sieno poco usati parlando, pur si trovano registrati nei nostri Vocabolari. […] Quest’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso.
XLIV La caccia del cinghiale di Calidonia È questa la prima impresa dei tempi eroici in cui si trovino riuniti molti celebri eroi, e che serve perciò, in mancanza di altri dati cronologici, a stabilire almeno che quegli eroi erano contemporanei. […] Non molto lungi dalla città v’era la folta selva Calidonia, da cui usciva il cinghiale per devastare ed uccidere, ed ivi tornava ad imboscarsi ; ed era impresa pericolosissima l’andare ad assaltarlo là dentro.
Di venti Dei superiori, dodici formavano il supremo consiglio celeste a cui presiedeva Giove come re del Cielo ; e questi erano Giove, Giunone, Vesta Prisca, Cibele, Venere, Minerva, Diana, Apollo, Nettuno, Marte, Mercurio e Vulcano. […] Il Genio (il cui nome derivava dall’antico verbo latino geno, che significa generare), era detto il Dio della Natura, e consideravasi perciò come il simbolo della forza generatrice della creazione.
Anche Dante ha trovato il modo di rammentarla nel Canto xv del Purgatorio, facendo dire a Pisistrato dalla moglie di lui : « …..Se tu se’ Sire della villa « Del cui nome ne’ Dei fu tanta lite, « Ed onde ogni scienza disfavilla, « Vendica te di quelle braccia ardite, ecc. » Dante inoltre volge ad ornamento del suo divino linguaggio poetico l’origine mitologica dell’ olivo, e considerandolo come simbolo di sapienza, perchè prodotto dalla Dea della sapienza, ne corona la fronte alla sua Beatrice rappresentante la cristiana Teologia. […] Tanto è vero che qualunque più illustre città moderna non ambisce un maggior titolo d’onore che di esser chiamata l’Atene di quella nazione a cui appartenga.
Di Borea dicono che rapì la Ninfa Orizia figlia di Eretteo re di Atene, e n’ebbe 2 figli chiamati Calai e Zete, di cui dovremo parlare nella spedizione degli Argonauti. […] Poichè tutti i poeti epici han per costume di descrivere qualche tempesta in cui inevitabilmente incappano sempre i loro protagonisti o altri dei più famosi eroi, perciò Eolo ed i Venti figurano molto in tali descrizioni dei poeti pagani, e principalmente in Omero e in Virgilio.
E la lettera correva di certo, ed io la spedii subito, e qui la riporto per copia conforme : « Il saggio di Mitologia in uso delle Scuole, che sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compiuto, e che da esperti nell’insegnare ebbe lode ; e io, proponendoglielo, ne dico assai ; e meglio di me lo raccomanda il Compendio di Cosmografia, lavoro dell’autore medesimo, accettato da più di una Scuola in Toscana, e di cui l’avveduto signor Barbèra credette utile farsi editore.
Solamente dopo la proditoria uccisione di Giulio Cesare, il desiderio di sì cara esistenza, a cui era dovuta la prostrazione del partito aristocratico e inoltre tanti vantaggi a favore del popolo, fece nascere ed accoglier con entusiasmo l’idea di venerarlo qual Nume.
Non asserisce però che il Caos stesso fosse l’ordinatore dei propri elementi di cui ab eterno componevasi, ma un Dio o una miglior natura.
Anzi potrebbe dirsi che avessero gli Antichi quasi indovinate le moderne ipotesi astronomiche, per cui si ammetta nello spazio una materia cosmica, onde si formano le nebulose e le stelle, ed un’aria sottilissima e purissima chiamata etere.
Anche Orazio mette in versi la preghiera di un ladro a Laverna, Dea dei ladri, in cui alla furfanteria è congiunta la ipocrisia colle parole da justum sanctumque videri, perchè cioè quel ladro non si contentava di rimanere impunito, ma voleva anche apparire agli occhi del mondo uomo santo e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo.
Il sacerdote assaggiava il vino di cui era colma la tazza, l’offriva ad alcuno degli assistenti, e versava il resto sull’ altare o sulla terra o sulla fronte delle vittime.