La Dea Ossilagine consolidava loro le ossa; Nundina era quella sotto gli auspici di cui i maschi al nono giorno dopo la nascita, e le femmine all’ ottavo purgavansi, e loro imponevansi i nomi; Statilino o Statano dava loro lo stare in piedi; Fabulino ih favellare; Pavenza loro toglieva i timori; Gioventù li guidava alla giovinezza; Orbona supplicavasi, perchè orbi non rimanessero de’ genitori. […] Quivi col loro canto seduceano i naviganti e poscia li divoravano. […] L’ ufficio loro si era il filar la vita degli uomini. […] Dal loro rogo escono due giovani, che son nominati Coroni. […] Riti Religiosi de’ Gentili, delle loro feste e de’ loro giuochi.
E par, che il ritratto istesso, che ne fecero più da vicino ci scnopra il loro ideato. […] Orrore presentavano i miseri condannati, che in diversi, ma severi modi dilacerati, e trafitti, irrequietamonte il fio pagavano delle loro antiche reità, ripetendo con singhiozzi ne’ loro tormenti le parole che li mette in bocca Virgil. […] Per essa asseguirono la loro subblimità i Druvidi, le loro celebrità i Bardi, le magnanimità loro i Cultei. […] Dicesi Ottonario perche abbraccia versi di otto sillabe, che richieggono alle settima il loro accento. […] Dicesi sdrucciolo, perchè le ultime due sillabe colla loro rapidità somigliano ad un corpo, che rotola, e cade.
Perciò i poeti, accorti di questa derivazione, difficilmente se ne servono per traslato a significare la loro poetica inspirazione ; e Dante (per quanto io mi ricordi), non l’ha mai usato. […] Le figlie di Pierio re di Tessaglia sfidarono al canto le Muse, credendosi più valenti di loro ; ma furono facilmente vinte, e in pena di lor presunzione cangiate in piche, ossia gazze. La qual metamorfosi significa evidentemente qual fosse la loro voce e la loro abilità nel canto in confronto delle Muse. […] Null’altro egli desidera, se non che le Muse l’aiutino : « Forti cose a pensar, mettere in versi. » I poeti hanno abbellito maravigliosamente il paradiso dell’arte loro, e attribuito al loro Dio anche la facoltà di prevedere e vaticinare il futuro. […] Anche il loro nome comune di Muse alcuni mitologi lo fanno derivare da un greco vocabolo che significa insegnar cose sublimi.
La prescienza del futuro non li allettava quanto la reminiscenza del passato, e principalmente di quei luoghi e di quelle persone che resero loro più cara e gioconda la terrena esistenza. […] Costoro nell’eccesso opposto son più ridicoli degli avari, e meritamente si puniscono da sè stessi delle loro smodate e irrazionali cupidità. […] Ma Belo coll’insistenza e colle ostilità lo costrinse a cedere ; e Danao allora per tentar di assicurarsi la vita macchinò un misfatto, che 49 delle sue figlie eseguirono, qual fu quello di uccidere i loro sposi la prima sera del loro matrimonio. […] Le 49 Danaidi micidiali dei loro mariti furon condannate nel Tartaro ad empir d’acqua infernale una botte pertugiata, o come altri dicono sfondata, con l’ironica e beffarda promessa che sarebbe cessata la loro fatica, quando la botte fosse piena. […] Essi in fatti nelle dispute non adducevano altra ragione che l’Ipse dixit, cioè le parole del loro maestro : ipse autem erat Pythagoras, come dice Cicerone.
Fu poi riconosciuto anche dai filosofi che i primi civilizzatori dei popoli si valsero del principio teocratico, facendosi credere o figli degli Dei o interpreti dei supremi voleri di quelli, per rimuovere i primitivi uomini ignoranti e barbari dalla vita selvaggia e brutale e condurli a collegarsi ed unirsi fra loro in un più umano consorzio. […] Perchè loro facilmente credevano che quello Dio che ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo futuro male, te lo potesse ancora concedere. […] Infatti le risposte degli Oracoli ebbero efficacia di raccogliere e riunire in nazione le sparse tribù elleniche, e d’ispirar loro l’amore della patria comune e il coraggio per difenderla contro le straniere invasioni. […] Son celebri le risposte degli Oracoli per la loro studiata ambiguità. […] Molti interpretavano che i Greci sarebbero stati vinti a Salamina ; ma Temistocle convinse tutti ragionando così : « Se Apollo avesse voluto significare che Salamina sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’avrebbe appellata divina ; e che perciò la minaccia era contro i Persiani, i quali dall’oracolo eran chiamati figli delle donne per indicare la loro effemminatezza e il loro poco valore. » 290.
Anche Michelangelo ha rappresentato le Parche in queste loro diverse occupazioni, come si vede nel suo quadro che trovasi nella galleria di Palazzo Pitti. […] Passate le anime all’altra riva, trovavano tre giudici che decidevano delle sorti di ciascuna di loro nell’altro mondo ; e la sentenza di essi era inappellabile. Questi giudici si chiamavano Minos, Eaco e Radamanto, i quali in origine erano stati sulla Terra tre ottimi re della Grecia, celebri per la loro giustizia ; e perciò dopo la morte meritarono l’onorevole ufficio di giudicar le anime degli estinti. […] Appartenevano perciò alla classe dei Semidei ; e di loro dovremo parlar nuovamente e più a lungo nel ragionare dei secoli eroici, che sono il medioevo fra la Mitologia e la Storia. […] È facile l’indovinare che introducendole nell’Inferno dei Cristiani non conservasse loro il grado di divinità che avevano in quello dei Pagani.
Nè queste idee eran proprie soltanto dei Politeisti greci e latini ; anzi non furon nemmeno di loro invenzione, poichè sappiamo di certo che ebbero origine nell’Oriente e prevalsero principalmente tra gl’Indiani e i Persiani, e poi passarono agli Egizii, e finalmente ai Greci e ai Romani. […] E il nostro volgo, specialmente nelle campagne, non crede forse tuttora negli Spiriti e nel potere degli stregoni e fattucchieri che tengono il demonio per loro iddio ? […] Anche i più celebri filosofi della Grecia, anzi del mondo, cioè Socrate, Platone e Aristotele, espressero la loro opinione su questi Dèmoni, o spiriti, o genii. […] Socrate diceva così per secondare il linguaggio e le idee dei suoi connazionali e per essere inteso da loro ; ma in cuor suo e per intimo convincimento era monoteista. […] Perciò soltanto il tribunal della Crusca potrà decidere chi di loro abbia ragione.
Convenne far diverse fermate per prender, come suol dirsi, paese, ossia per avere a mano a mano opportune notizie riferibili al luogo e allo scopo del loro viaggio, ed anche per rinnovare le loro provvisioni da bocca, perchè Ercole, oltre ad essere il più forte e robusto eroe, era anche il più gran divoratore, e mangiava per cinquanta, bevendo ancora in proporzione ; e perciò gli avevan messo il soprannome di Panfago, che vuol dir mangia-tutto. […] « Con lui sen va chi da tal parte inganna. » Dopo questo episodio, poco cavalleresco a dir vero, proseguirono gli Argonauti il loro viaggio. […] Il loro stesso nome di Arpie deriva da un greco vocabolo (arpazo) che significa rapire 69. […] Da Fineo ebbero gli Argonauti notizie e consigli sul miglior modo di schivare i pericoli della loro navigazione ; e partiti da lui colmi di ringraziamenti e di doni proseguirono il loro viaggio per l’Ellesponto e la Propontide. […] Gli Argonauti non furon troppo dolenti di perder la compagnia del loro carissimo Panfago, perchè poteron procedere più speditamente, alleggerita di quel grave peso la nave, e senza doversi così spesso fermare a far nuove provvisioni da bocca.
Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice, la quale in quelle pugne in cui prendevano parte anche gli Dei, come nella guerra di Troia, si metteva sempre dalla fazione contraria a Marte. […] I Greci fecero poche immagini sculte o dipinte del Dio Marte, prima perchè non era il Dio per cui avessero maggior devozione, e poi perchè il truce soggetto pareva loro che ripugnasse alla squisitezza della greca eleganza. All’opposto i Romani ne moltiplicarono le statue e le pitture, perchè al favore di questo Dio attribuivano le loro conquiste. […] Essendo la guerra il fondamento e la causa della loro potenza, e’ la chiamavano bellum, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino al termine della repubblica e ai primi tempi dell’impero, perchè a fin di guerra riuscivan sempre vincitori e conquistatori176. […] Gli scritti dei loro classici e dei loro giureconsulti e legislatori fecero risorgere le lettere, le scienze e la civiltà moderna, e varranno sempre a conservarle ed accrescerle, se saranno studiati e meditati come conviensi.
Quegli antichi Romani per altro che tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù gli stessi Padri della Chiesa, non conobbero le assurdità della greca fantasia ; e gli antichi precetti religiosi riportati da Cicerone con antico stile nel libro ii delle Leggi, sono ben lontani dalle aberrazioni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo della repubblica, che studiarono e imitarono la greca mitologia. […] Dicemmo, parlando di Mercurio, che i mercanti romani, secondo quel che afferma Ovidio nei Fasti, pregavano questo Dio a proteggerli nell’ingannare il prossimo senza essere scoperti, e a potersi godere tranquillamente il frutto delle loro ruberie. […] Non è noto però che la Dea Laverna avesse un pubblico tempio in Roma ; e degli Dei superiori adoravansi pubblicamente i pregi e le virtù, e non i vizii che erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti. […] Nè già si contentavano essi di lasciare le loro vendette a questa Dea, ma davano opera ad ottenerle e compierle col proprio braccio e co’propri mezzi. […] Questa facoltà poetica di rappresentare con descrizioni o con immagini sculte o dipinte qualunque virtù, qualunque vizio, qualunque idea astratta non è già spenta negli uomini dei nostri tempi ; anzi vedesi sempre rinnuovata non solo nelle moderne poesie, ma pur anco nei monumenti ove le Virtù civili e militari, ed anche le religiose, sono rappresentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici che ne suggeriscono il significato ed il nome, senza bisogno di scriverlo sulla base delle medesime o in qualche parte delle loro vesti o dei loro ornamenti.
I Romani infatti che per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato negli animi loro e impiantarono officialmente nella loro città, sin dalla sua fondazione, il Politeismo Troiano e Greco. Racconta lo stesso Tito Livio che i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai Greci vennero in Italia seguendo il loro Duce Enea principe troiano, creduto figlio di Venere e di Anchise ; che Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lunga ; che dalla dinastia dei re Albani discesi in linea retta da Enea, nacque il fondatore di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. […] Per altro raramente i poeti greci e i latini rammentano qualche divinità delle altre nazioni, e solo alcuni di loro fanno un’eccezione per le principali Divinità Egiziane, che sono Osìride, Iside ed Anùbi. […] I Romani adoravano Iside sotto la forma di donna ; ma gli Egiziani sotto quella di vacca, perchè credevano che questa Dea insieme col suo fratello e marito Osiride, dopo avere insegnato a loro l’agricoltura, si fossero trasformati essa in vacca ed Osiride in bove o toro. Nè gli Egiziani si contentavano di adorare queste due Divinità sotto la forma dei suddetti animali, ma tenevano nel loro tempio e prestavano il loro culto ad un bue vivente a cui davasi il nome di Bue Api.
Riconobbero dunque che il loro sistema storico non spiegava tutto in Mitologia, e confessarono implicitamente che la massima parte delle Divinità del paganesimo erano personificazioni degli affetti dell’animo o buoni o rei. […] Fu questa pur anco la religione dei Persiani, come sappiamo dallo Zend-Avesta, che è il loro libro sacro, attribuito a Zoroastro. Anche a tempo di Augusto i Persiani adoravano come loro Nume supremo il Sole ; e Ovidio ci dice che gli sacrificavano il cavallo per offrire una veloce vittima al celere Dio (ne detur celeri victima tarda Deo). […] Furono allora immaginati e splendidamente dipinti con stile impareggiabile dai Greci e dai Romani i più celebri e graziosi miti di cui non perirà mai la memoria, finchè si leggeranno e s’intenderanno i loro poetici scritti e quelli dei moderni poeti che li imitarono. Ma quando nella pagana religione si giunse ad abusare dell’apoteosi col deificare per vile adulazione i potenti della Terra non solo dopo la loro morte, ma pur anco in vita, si cadde allora nell’abiezione del feticismo, si tolse tutto il prestigio al culto degli altri Dei ; e gli uomini ragionevoli sentirono il bisogno di una religione più pura e più razionale.
Conosciute queste popolari credenze o superstizioni, s’intende subito anche la ragione della importanza attribuita alle Vestali e all’adempimento dei loro voti. […] L’ufficio loro durava per trent’anni ; dopo il qual tempo potevano uscir di convento e prender marito : il che però di rado accadeva, poichè fu considerata una determinazione infausta per la Vestale. […] Ma però in compenso e premio di una vita esemplare e dell’esatto adempimento dei loro ufficii e voti, si accordavano alle Vestali molti e singolari privilegi. Tutte le volte che uscivano in pubblico erano precedute da sei littori come i magistrati curuli, inferiori soltanto ai consoli : assistevano ai pubblici spettacoli fra i senatori nell’orchestra, che era il primo gradino dell’anfiteatro e del circo : la loro parola valeva come un giuramento, e la fiducia di cui godevano era tanto grande, e talmente sicura l’inviolabilità del loro soggiorno, che nelle loro mani si depositavano i testamenti e gli atti di molta importanza e segretezza non solo dai privati, ma anche dai magistrati della Repubblica e dai principi stessi dell’ Impero. […] Il che non conferiva di certo alla loro felicità, nè a quella del marito e dei parenti.
Tali favole o miracolose supposizioni di cui son piene tutte le antiche istorie, specialmente nelle loro origini, non esclusa quella di Roma, furon dette con greco vocabolo miti ; quindi Mitologia significa etimologicamente racconto dei miti, ossia delle favole delle antiche religioni dei Politeisti o Idolatri. Il titolo poi d’Idolatri (esso pure di greca origine, e che significa adoratori delle immagini sculte o dipinte) era dato ai Pagani, perchè rappresentavano e adoravano i loro Dei sotto forme materiali di uomini e di bruti. […] Ma questo non toglierà che sia sempre necessaria la cognizione della Mitologia greca e romana, nella guisa stessa che la Paleontologia presuppone ed esige la cognizione precedente della storia naturale, perchè è impossibile il dedurre da frammenti di esseri organici fossilizzati, da secoli e secoli non più viventi sulla faccia della terra, la loro antica forma, i loro istinti, le loro abitudini e le loro leggi di vitalità, senza aver prima di queste stesse cose cognizioni esatte negli esseri organizzati viventi. […] Inoltre la Mitologia greca e romana è necessaria pure a coloro che non sanno nè le lingue dotte nè le orientali, se voglion leggere e intendere un libro di poesia italiana, poichè tutti i nostri poeti più grandi e più sommi hanno adottate nel loro linguaggio le immagini e le frasi dei poeti greci e latini. […] Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitologici molte delle loro denominazioni, la cui etimologia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione della Mitologia.
E quantunque non conoscessero in tutta la loro estensione che i principali mari interni di quello che ora chiamasi il Mondo antico, avevan però un’idea generale dell’Oceano che cinge da tutte le parti la Terra, e perciò lo chiamavan circumvagus, ossia che gira all’intorno, perchè vedevano da ogni parte dove finivan le terre da loro conosciute, una immensa e per loro incommensurabile estensione di onde salse, ove andavano a gettarsi le acque di tutti i più grandi fiumi. […] Da prima pareva che Amfitrite acconsentisse a questo matrimonio, ma poi avendo cangiato di avviso, Nettuno le mandò due eloquentissimi delfini a persuaderla ; i quali adempiron così bene la loro commissione, che condussero seco, portandola alternativamente sul loro dorso, la sposa a Nettuno ; ed egli per gratitudine li trasformò nella costellazione dei Pesci, che è uno dei dodici segni del Zodiaco. […] Ai naturalisti, per quanto pare, è molto piaciuto questo nome mitologico di Nereidi, poichè si trova che più e diversi di loro lo hanno assegnato (al solito con qualche aggettivo di specificazione) a molti generi e famiglie di Annelidi e simili animali marini. […] E fu saggio consiglio l’affidar la protezione dei naviganti e le due cose più da loro desiderate, cioè la calma del mare ed il ritorno in porto, a due Divinità che avevan provato le più terribili procelle di questo mare infido della vita222. […] E come non bisognava stancarsi ad aspettare, se Proteo con una lunga serie di trasformazioni tardasse a riprender la sua prima figura, così conviene che gli studiosi non si stanchino dal proseguir lungamente le loro osservazioni ed esperienze, se voglionc scuoprire i segreti, ossia le leggi della Natura.
Soltanto del più impetuoso e del più mite fra loro, cioè di Borea e di Zeffiro, narrano brevemente qualche fatto. […] Gli Antichi non conoscevano i 32 Venti notati e distinti dai Geografi e dai Navigatori moderni, ma soltanto 12 bene accertati, ristrettissima essendo e timida la loro navigazione, perchè andavano per lo più costeggiando, e poco si azzardavano in alto mare. […] I Geografi moderni non si accordano nell’assegnare il corrispondente nome latino o greco ai diversi Venti ora conosciuti e contrassegnati nella così detta Rosa dei Venti ; e la ragione è questa, che gli Antichi stessi furono incerti nel determinare da qual punto preciso quei Venti da loro notati e denominati spirassero ; e poi perchè invece di fare in principio la bisezione dell’angolo retto fra i punti cardinali e quindi suddividerlo, ne fecero la trisezione, ossia lo divisero in 3 : quindi è matematicamente impossibile il far corrispondere i loro punti intermedii a quelli determinati dai moderni. […] A noi basterà di conoscere in qual quadrante, (come dicono in oggi nelle tavole meteorologiche), ossia dentro quale degli angoli retti formato dai punti cardinali spirassero quei loro Venti intermedii. […] È da notarsi però che talvolta gli Autori e specialmente i poeti, nominano l’un per l’altro quei Venti che spirano tra lor più vicini, ossia usano i loro diversi nomi come sinonimi di uno stesso Vento.
Molti e molto diversi sono gli uffici attribuiti a questo Dio ; e perciò li divido in due gruppi, riunendo tra loro quegli uffici che sono più affini ; e fo centro del 1° gruppo il Dio del Sole, e del 2° il Dio della Poesia. […] Da per tutto s’udivano i gemiti degli uomini, e i lamenti degli Dei ; e Giove conosciuta la causa del male, e non sapendo come altrimenti rimediarvi, coi fulmini trafisse Fetonte e sbigottì i cavalli che tornarono indietro alle loro stalle. […] Finchè il Paganesimo, che le spacciò per verità religiose, fu la religione degli Stati e dei popoli, è ben naturale che fossero da tutti celebrate ; ma pur anco i poeti e gli artisti cristiani, come abbiamo osservato di sopra, le stimarono degne delle arti loro. […] Gli zoologi poi adottarono il nome del favoleggiato serpente Pitone per darlo a un genere di rettili, in cui son compresi i serpenti dell’India e dell’Affrica, animali carnivori e formidabili per la loro gran forza muscolare. […] Consentì per altro che fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio, che i popoli molto volentieri adoravano e a cui raccomandavansi nelle loro infermità.
Quindi l’adulazione dei popoli avviliti nella servitù concesse l’apoteosi a indegni monarchi ; ed essi, prevalendosi del potere, divinizzarono uomini stolti o scellerati ministri delle loro prepotenze e dei loro vizj. […] In ogni caso poi il loro zelo era sostenuto dai ricchi guadagni e dai lauti banchetti a spese dei creduli. […] Nel tempo di questa cerimonia toglievano di su i piedistalli le statue degli Dei, le posavano su letti messi intorno ad una tavola apparecchiata nel tempio, e offrivan loro a spese della Repubblica un lauto pasto. […] Le persone colto fomentavano, pei loro fini politici, lo superstizioni degli auguri, ma non vi preslavano fede, e talora le deridevano aperlamenle. […] Perciò è probabile che il loro nome derivasso da faciendo fœdere.
Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia. […] È l’epoca eroica dei popoli antichi, è la base o il substrato della loro incipiente civiltà e della loro storia nazionale.
Anche la loro figura e il loro umore bizzarro e petulante si confaceva a tal qualificazione. […] Inoltre intorno alla Fonte di Piazza della Signoria si vedono otto Satiri di bronzo fuso, quattro dei quali con piedi di capra e muso caprino, e gli altri quattro col solo distintivo di due piccole corna che spuntano loro sulla fronte di mezzo ai capelli. […] Anche i fiori avevano la loro Dea, e questa chiamavasi Flora ad indicarne col nome stesso l’ufficio. […] I Romani ponevano la statua di Priapo nei loro orti o giardini, ma per far soltanto da spauracchio agli uccelli ; e a tal fine ed effetto nell’alto della testa gli piantarono una canna con stracci in balìa del vento. […] Con tali feste terminavano anticamente il loro anno i Romani ; e queste coincidevano in appresso con quelle della cacciata dei re24.
Ed asserivasi che per quanto le prossime coste dell’Italia e della Sicilia biancheggiassero di ossa umane delle vittime delle Sirene, pur non ostante chi udiva anche da lontano il loro canto non poteva resistere alla tentazione di avvicinarsi a loro per udirle meglio, e non pensava più alla trista fine inevitabile che lo attendeva. […] Omero inventò che Ulisse, volendo udire il canto delle Sirene e schivare qualunque pericolo, si fece legare all’albero della nave, avendo otturate prima le orecchie colla cera ai suoi compagni, e detto loro qual direzione tener dovessero per non accostarsi troppo agli scogli ov’esse abitavano. […] Non si può parlar di Scilla senza che ricorra alla mente anche Cariddi, essendo questi due termini collegati fra loro nel detto proverbiale : trovarsi fra Scilla e Cariddi, e collocati fronte a fronte geograficamente. […] Passando ora a parlare dei mostri marini che erano soltanto animali viventi nel mare, e le cui specie son tuttora esistenti, convien notare primieramente che gli Antichi davano loro il nome generale di Orche ; e quanto meno ne conoscevano la struttura e gl’istinti, con tanto maggior sicurezza lavoravano di fantasia. […] E quantunque i poeti che scrissero dopo le prime spedizioni dei Baschi alla pesca delle Balene, e dopo la scoperta dell’ America dovessero saperne molto più degli Antichi, continuarono non ostante ad imitare le loro fantasticherie e a gareggiare con loro nelle invenzioni e nelle descrizioni di immaginarii mostri marini.
Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti dai loro littori prendevano possesso dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. […] Le Feste Caristie erano un solenne convito fra i parenti ed affini che si riunivano annualmente in questo giorno alla stessa mensa, non solo in attestazione e conferma del loro reciproco affetto, ma principalmente per avere occasione di sopire in mezzo alla comune letizia qualche discordia che fosse nata fra taluni di loro nel corso dell’anno. […] Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di Numa, era divenuto inintelligibile a loro stessi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare. […] XXXIII che di molti Dei si conoscono le attribuzioni dal significato stesso del loro nome ; e tra gli altri abbiamo rammentato il Dio Robigo. […] I sacerdoti di questo culto si chiamavano Bellonarii, derivando il loro nome da quello della Dea.
Ma non è dimostrato nè fisicamente nè moralmente che il mondo invecchi e vada sempre peggiorando : fisicamente subisce continue modificazioni e trasformazioni ; ma chi può asserire e provare che le leggi fisiche vadan sempre perdendo della loro efficacia ? E riguardo al morale, ognun sa che vi sono uomini e popoli più o meno malvagi, ma non è cangiata o guasta l’umana natura in generale, poichè non meno la storia che la comune esperienza dimostrano che gli uomini e i popoli possono correggersi dei loro vizii e difetti. […] In quelle feste gli schiavi dei Romani erano serviti a mensa dai loro padroni, ed avevano libertà di rimproverarli dei loro difetti36). […] Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano stesso due singolari privilegi, quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato. […] Gli antichi scrittori latini, e principalmente Cicerone ed Orazio, fanno più volte parola di questi Giani, che corrispondevano pel loro scopo alle moderne Borse, o palazzi della Borsa.
Perciò in oggi si stimano, e sono veramente più utili gli automi che lavorano più e meglio degli uomini e risparmiano loro la fatica materiale e meccanica, come fanno le macchine da filare, da tessere, da cucire, ecc. […] Passando ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiutavano Vulcano a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo) e ops (occhio), per indicare la straordinaria particolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare « Di targa e di Febea lampade in guisa « Sotto la torva fronte, » come dice Virgilio. […] La loro stirpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di Urano e di Vesta Prisca. […] Gli archeologi chiamano ciclopiche quelle antichissime costruzioni composte di grandi massi o macigni talvolta irregolari, ma spesso ancora tagliati a poliedri regolari, e notabili inoltre per l’assenza di qualunque cemento : la loro pesante mole ne rende sicura la stabilità, e fece attribuire tali costruzioni alla gigantesca forza dei Ciclopi. […] In Zoologia si dà il nome di Ciclopi a un genere di Crostacei, secondo Müller, dell’ordine dei Branchiopodi, e della famiglia dei Monocoli per questa loro caratteristica di avere un sol occhio.
XXXVIII Gli Dei Penati e gli Dei Lari Se dovessimo prendere ad esaminare le diverse opinioni degli eruditi intorno a questi Dei, faremmo un lavoro arduo e poco piacevole, e poi senza alcun frutto, perchè non è possibile conciliarle tra loro, nè scuoprire chi meglio abbia colto nel segno. […] Virgilio che nell’Eneide ha eternato co’suoi impareggiabili versi le origini mitologiche del popolo romano secondo le più comuni credenze antiche, fa derivare da Troia gli Dei Penati ; e da quel che egli ne scrive s’intende chiaramente che questi erano speciali Dei protettori della città, poichè fa dire ad Enea dall’ombra di Ettore, che Troia affida ad esso i suoi Penati ; e inoltre gli comanda che cerchi loro altre terre, erga altre mura 32. […] Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a cui vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro « Che co’rami all’altar facea tribuna, « E coll’ombra a’Penati opaco velo35. » Ma se il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famiglia avessero ricevuto un simil culto. […] Perciò, oltre al distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decider così la question mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di famiglia ; senza dei quali, come egli sapientemente dichiara, non può esser buona una repubblica, nè ben viversi in essa 39. […] Chi non è affatto ignaro della lingua latina sa bene quanto differiscano fra loro le due parole ignis e focus.
Ma convien notare che tre di questi nomi, cioè il Sole, la Terra e la Luna son sinonimi di Apollo, Vesta e Diana, registrati di sopra tra i consiglieri di Giove ; poichè è avvenuto in tutte le religioni idolatre, che prima si diedero diversi nomi a una stessa divinità secondo i suoi diversi attributi, o poi questi diversi titoli a loro attribuiti furon considerati come rappresentanti altrettante divinità. […] La Genealogia degli Dei, ossia la loro filiazione e parentela (almeno dei principali), è necessaria a conoscersi nella Mitologia pel doppio scopo, che da quella si deducono spesso i rapporti di causa e di effetto considerati dagli antichi nei fenomeni del mondo, e poi perchè frequentemente i poeti, invece di rammentare una divinità col suo nome principale e più conosciuto, fanno uso del patronimico, ossia di un vocabolo derivato o composto dal nome del padre di quella data divinità. […] I moderni, dopo l’invenzione del telescopio, scoprirono molti altri pianeti, e ai primi e principali da loro scoperti diedero il nome degli altri Dei superiori, esclusi soltanto l’Orco, ossia Plutone, Bacco e il Genio ; e poi ricorsero anche ai nomi delle divinità secondarie o inferiori ; e ora a quei pianeti che scuoprono di mano in mano quasi tutti gli anni, e qualche volta più d’uno all’ anno, attribuiscono un nome pur che sia ; e qualcuno dei più celebri scienziati, a preghiera dell’ astronomo scopritore, propone il nome da darsi al neo-scoperto pianeta ; il qual nome è subito comunicato a tutto l’orbe scientifico che lo registra premurosamente in tutti i suoi periodici e in tutte le carte uranografiche coi connotati caratteristici e distintivi, ossia con tutti quegli elementi astronomici che furono sino allora osservati e calcolati. […] ii dei Principii di scienza nuova : « Quindi tanti Giovi che fanno maraviglia a’filologi ; perchè ogni nazione gentile n’ebbe uno, de’quali tutti gli Egizi per la loro boria dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico, sono tante Istorie fisiche conservateci dalle favole, ecc. ecc. » Fortunatamente in progresso di tempo di tutti quei Giovi, Mercurii, Ercoli ecc., se ne fece un solo Giove, un solo Mercurio, un solo Ercole ecc., vale a dire si attribuirono ad un solo tutti gli uffici e le imprese degli altri loro omonimi.
Dovendosi ora parlare de’suoi ufficii speciali diremo che, considerata come la Luna, immaginarono i mitologi che essa sotto la forma di una avvenente e giovane Dea percorresse le vie del Cielo in un carro d’argento o d’avorio tirato da 2 o 4 cavalli bianchi ; ma non seppero inventare alcuna graziosa favola sulle fasi lunari ; e in quanto alle ecclissi lasciarono correre la volgare e grossolana opinione che l’oscurazione di questo astro dipendesse dagl’incantesimi degli stregoni, i quali colle loro magiche parole avessero tanta potenza da trarre la Luna dal Cielo in Terra per farla servire alle loro male arti. […] La Luna era adorata da quasi tutti i popoli idolatri ; e Cesare rammenta nei suoi Commentarii, che gli antichi Germani regolavano le loro imprese secondo le fasi lunari ; e stimavano più propizia per loro la luna nuova 139. […] Su questo terzo attributo son molto incerti e discordi fra loro i mitologi ; ed urta il senso comune e il buon gusto il sentire che confondessero l’argentea Luna e la svelta saettatrice Diana con la mostruosa Ecate. […] E gli uffici che le si assegnavano eran pur essi fantastici e paurosi ; poichè dessa mandava fuor dal regno delle ombre i notturni spettri a spaventare i viventi, e usciva talvolta in persona colle anime dei morti a girare intorno ai sepolcri e pei trivii ; spingeva i cani ad urlare orribilmente per le vie, e proteggeva le maliarde e le streghe nei loro incantesimi.
Anzi lo pregavano apertamente a favorirli nei loro inganni e nelle loro ruberie. […] La prima, cioè la verga sola, significava l’ufficio che aveva Mercurio di condurre le anime dei morti al regno di Plutone, e richiamarle alla vita secondo la dottrina della Metempsicosi, ossia della trasmigrazione delle anime155 ; la seconda, ossia la verga coi serpenti, indicava che questo Dio consideravasi allora come ambasciatore di pace ; e perciò il caducèo era il distintivo che i Pagani davano ai loro ambasciatori : ora è divenuto il simbolo del Commercio, che è arte di pace, e prospera utilmente per tutti soltanto in tempo di pace156. […] I poeti latini lo chiamano anche lira e così a loro imitazione i poeti italiani. […] Mercuriali si chiamavano dai Latini non solo i mercanti, ma anche gli uomini dotti, perchè Mercurio era pure il Dio dell’eloquenza164 ; Mercuriali (secondo il Menagio) le adunanze dei letterati che si tenevano il mercoledì in casa di qualcuno di loro ; Mercuriali anticamente in Francia le assemblee delle corti sovrane, Mercuriali in commercio i registri officiali delle derrate. E tutte queste denominazioni derivano dal nome di Mercurio, e trovano la loro spiegazione negli attributi di questo Dio.
E a render più facile il còmpito di chi vuole imparar la Mitologia contribuisce ancora il non avere inventato i Pagani molti miti o fatti miracolosi riferibili a questi Dei Inferiori, perchè molto limitata credevano la loro potenza. […] IV che, ammessi più Dei, nessuno di loro poteva essere onnipotente, perchè il poter di ciascuno era limitato dalle speciali attribuzioni degli altri ; e se ciò era vero per gli Dei Superiori e per lo stesso Giove, come ci è accaduto di narrare più volte, tanto più è presumibile e conseguente per gli altri Dei che furon detti e considerati Inferiori. […] Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Politeismo, come per esempio, il Dio Robigo, la Dea Ippona, il Dio Locuzio, la Dea Mefiti, ecc. ecc. ; e basta conoscere l’etimologia e il significato di questi vocaboli per intendere qual fosse l’ufficio di tali Dei. […] Agostino, cioè in più di quattro secoli, poichè i Pagani avevano libertà di adottare anche gli Dei stranieri, e poi per mezzo della cerimonia detta l’Apoteosi facevano diventar Divi i loro Imperatori dopo la morte, e spesso li consideravano tali anche in vita4. […] » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vulgus, e da spacciarsi in massa, (o come taluni dicono in blocco) e con poche e generali considerazioni sul loro comune appellativo, procediamo senza spaventarci ad osservare anche altre fantasmagorie preistoriche dei nostri più remoti Antenati.
Trovarono da per tutto orribili delitti, nefandità di nuova idea ; e saputo tra le altre cose, che v’era un re d’Arcadia, Licaone figlio di Pelasgo, il quale imbandiva agli ospiti nuovamente venuti le carni di quelli arrivati prima, e facea poi servir di pasto le carni loro agli ospiti che arrivavano dopo, volle presentarsi egli stesso all’infame reggia divenuta macello e cucina di carne umana. […] Furono ambedue della stirpe dei Titani : Deucalione era figlio di Prometeo, e la sua moglie Pirra era figlia di Epimeteo e di Pandora ; ed essendo rimasti soli nel mondo, e quindi il solo modello dei due sessi della specie umana, parve loro un poco lungo, com’è realmente l’aspettare ad aver compagni e sudditi, che fosser nati e cresciuti i loro figli e discendenti ; ed entrati nel tempio della dea Temi che era sul monte Parnaso, dimandarono all’oracolo di essa qual sarebbe un modo più sollecito di ripopolare il mondo. L’oracolo rispose : gettatevi dietro le spalle le ossa della gran madre. — Tutte le risposte degli oracoli erano oscure ed avevan bisogno d’interpretazione (e a suo luogo ne diremo il perchè) ; quindi Deucalione e Pirra non credendo possibile che l’oracolo suggerisse loro (come suonavan le parole intese letteralmente), una empietà o violazione dei sepolcri, interpetrarono che la gran madre fosse la Terra, madre comune di tutti i mortali86), e le ossa della medesima le pietre. […] L’appellativo poi di plutoniche derivato dal nome di Plutone dio dell’Inferno sembrerebbe che volesse indicare presso a poco le stesse qualità delle roccie vulcaniche ; ma siccome l’Inferno dei Pagani non consisteva soltant o nel Tartaro, luogo di pena, nè le pene eran tutte di fuoco, perciò i geologi chiamaron plutoniche quelle roccie che erano affini in alcuni dei loro caratteri alle vulcaniche, ma ne differivano in altri, accostandosi più alle materie o roccie sedimentarie.
Nè sanno assicurarci se ciò fu per opera di un Dio o del caso : le loro opinioni sono divise, e il dubbio e l’incertezza predominano sempre. […] Considerarono come un pianeta anche il Sole : e così colla Luna e gli altri 5 pianeti visibili ad occhio nùdo ne annoverarono sette, e attribuirono a ciascuno di essi una Divinità che vi presiedesse o li dirigesse nel loro corso. […] Venendo ora a parlare dell’origine mitologica di Apollo e di Diana, diremo che Latona loro madre era figlia di uno dei Titani ; e perchè fu prediletta da Giove100), era appunto perciò odiata e perseguitata da Giunone. […] Accennati questi fatti comuni ad Apollo e a Diana, convien parlare separatamente dei loro particolari attributi ed uffici. […] « Le isole galleggianti, scrive Humboldt, si formano in tutte le zone ; ne ho vedute nel fiume Guayaquil, da 8 a 9 metri di lunghezza, nuotanti in mezzo alla corrente e portanti gran copia di vegetabili, le cui radici si abbarbicano e s’intrecciano facilmente. » Intorno alla formazione delle medesime, lo stesso autore soggiunge : « Sulle rive paludose dei laghi di Xochimilco e di Chelco l’acqua agitata nella stagione delle piene stacca delle zolle di terra coperte di erba e di radici fra di loro intrecciate.
Infatti i mitologi latini adoprano quest’aggettivo al plurale, e intendono regioni al di sotto della superficie della Terra, perchè supponevano che nel seno di essa esistessero due inferne regioni molto diverse tra loro per l’uso a cui erano destinate. […] Siccome gli Antichi credevano che alcuni dei loro più famosi eroi, Teseo, Ercole, Orfeo, Ulisse ed Enea in corpo e in anima, ossia da vivi, fossero andati a visitar questi luoghi, e ritornati ne avessero raccontato mirabilia, i poeti impadronendosi di questa popolare credenza vi trovarono un vasto campo libero ed aperto alla loro immaginazione, che percorsero a briglia sciolta, e senza paura di essere smentiti da chi, dopo la morte, nulla vi avesse trovato di quel che essi dicevano. […] Lo Stige era considerato come un Dio fluviatile, e per le sue acque giuravano gli Dei, e il loro giuramento era inviolabile : onorificenza che fu accordata allo Stige perchè la sua figlia Vittoria nella guerra dei Giganti si dichiarò dalla parte di Giove. […] La reggia e la residenza di Plutone non era negli Elisii. ma nel Tartaro, ove più si manifestava il bisogno di raffrenar coll’impero sovrano le anime dei malvagi, e vegliar che i suoi ministri non mancassero al loro dovere di tormentare i dannati.
Gli antichi mitologi aborrivano le minuzie aritmetiche e geometriche, e spacciavano tutto all’ingrosso ; e ci danno un’idea, secondo loro, sublime della grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per dar la scalata al cielo posero tre monti uno sopra l’altro, cioè sul monte Olimpo il monte Ossa e su questo il monte Pelio 73). […] « Vedea Timbrèo76), vedea Pallade e Marte, « Armati ancora, intorno al padre loro, « Mirar le membra de’ giganti sparte. » I mitologi greci e latini inventarono, a proposito della disfatta e della punizione dei Giganti, molte e strane vicende. […] Esce talvolta « Da questo monte all’aura un’atra nube « Mista di nero fumo e di roventi « Faville, che di cenere e di pece « Fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse « Vibrano ad ora ad or luride fiamme, « Che van lambendo a scolorar le stelle ; « E talvolta le sue viscere stesse « Da sè divelte, immani sassi e scogli « Liquefatti e combusti al Ciel vomendo, « Infin dal fondo romoreggia e bolle79). » E Dante gareggiando col maestro, e, com’è suo stile, distinguendosi da esso e da qualsivoglia altro scrittore per insuperabile concisione, accenna con un solo verso l’opinione mitologica e dà la spiegazione della causa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel Canto iv del Paradiso, che la bella Trinacria, cioè la Sicilia, caliga, ossia cuopresi di caligine, fra Pachino e Peloro (ove appunto è situata l’Etna), « Non per Tifeo, ma per nascente zolfo. » Vedano ora i moderni geologi e chimici (se pure taluno di loro ha tempo di studiare il Dante), come il nostro divino poeta parlava cinque in sei secoli fa, secondo le loro odierne teorie ed analisi chimiche, accennando che lo zolfo nasce e si forma nei sotterranei abissi dei vulcani, e ne vengon tramandate le esalazioni nell’aria circostante ai crateri. […] Perciò Giovenale parlando del feticismo degli Egiziani, dice di loro ironicamente : « O sanctas gentes, quibus hæc nascuntur in hortis « Numina. » 76.
Gli uomini di tutti i tempi, dai più antichi ai più moderni, hanno sempre mostrato curiosità di sapere l’origine di questo mondo, o vogliam dire dell’ universo ; e non solo tutte le religioni antiche degl’idolatri inventarono a modo loro una Cosmogonia, ma spesso anche i poeti e i filosofi ne hanno foggiate diverse l’una più strana dell’altra, a gara coi sacerdoti delle varie religioni1. Per altro si è creduto e si crede generalmente che sotto la forma delle più strane invenzioni miracolose si nascondessero elevati principii scientifici, noti soltanto ai sacerdoti e ai loro adepti o iniziati ; e finchè prevalse lo spirito di casta, ossia di preeminenza e predominio dell’una classe sociale sull’altra, furono censurati, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo la dottrina segreta. […] Ma perchè non pochi dei miti, o simboli religiosi dei greci e dei romani politeisti furono espressi con splendide e bellissime immagini e in uno stile impareggiabile dai loro più sublimi poeti, e in appresso accolti e adottati nel linguaggio poetico degl’italiani, nasce quindi il bisogno di conoscerli ed illustrarli, e, quando è possibile, decifrarli. Sulla Cosmogonia dunque creduta vera dai Greci e dai Romani, e ammessa come base dei loro miti, convien trattenersi alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto, che la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esistita, ma tutta confusa e mista, in una massa rozza ed informe chiamata Caos (Ovid., Metam.
Ma gli antichi Pagani ammettevano nei loro Dei non solo difetti, ma pur anco azioni talmente nefande che sarebbero punibili tra gli uomini nella civil società. […] Quando i Titani furono spodestati da Giove ed espulsi dal cielo, andarono profughi sulla terra ; e la loro stirpe crebbe e si moltiplicò. […] Parve esorbitante e tirannico questo supplizio agli stessi Dei, che inoltre rimasero indispettiti delle pretese di Giove di arrogarsi per sè solo la facoltà di creare gli uomini ; ma invece di protestare con parole o con dimostrazioni clamorose, asserirono il loro diritto, esercitandolo di fatto e creando una donna fornita di tutte le più rare doti di corpo e di spirito, la quale chiamarono Pandora, che in greco significa tutto dono, perchè tutti avevano contribuito a darle qualche particolar pregio. […] Un uguale effetto deriva ancora talvolta per la prolungata agitazione del vento, che confricando tra loro in una selva selvaggia diversi rami degli alberi, produce estesissimi e spaventevoli incendii ; ed anche il fulmine (che credevasi venir dal Cielo e dalla mano stessa di Giove) comunica il fuoco alle materie combustibili che trovansi sulla Terra.
Dante rammenta Pallade come Dea della guerra nel Canto xii del Purgatorio : « Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte « Armati ancora in mezzo al padre loro « Mirar le membra de’giganti sparte. » E nel Canto ii del Paradiso nomina Minerva come Dea della sapienza : « Minerva spira e conducemi Apollo. » Questa Dea ricevè dai Greci anche il nome di Atena che alludeva all’origine ed alla mitologica denominazione della famosa città d’Atene. Narrano di concerto i mitologi ed i poeti greci che la loro antica città di Atene, prima di aver ricevuto questo nome, era detta città Cecropia, perchè costruita o rifabbricata ed ampliata da Cecrope ; e quindi Cecropidi gli abitanti. […] Intendevasi dai Greci per Ateneo un edifizio sacro alla Dea Atena, e destinato ad uso di archivio e di biblioteca, ove i poeti e gli altri greci scrittori depositavano i loro componimenti, come a tempo di Augusto facevasi in Roma nella biblioteca palatina sacra ad Apollo. Chiamavasi pure Ateneo un altro simile edifizio ove adunavansi i dotti per leggere o recitare i loro scritti e disputare di lettere, scienze e filosofia.
Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che hanno favorevolmente accolti e adottati nelle loro Scuole gli altri miei libri, vorranno accogliere e proporre ai loro scolari ed ai loro amici la soscrizione a questa Mitologia ; la quale spero che possa esser utile non solo agli scolari, ma ancora ad ogni colta persona, poichè voile il Tommasèo che cosi fosse detto nel titolo della medesima.
Aggiungendovisi poi le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo che essi potessero accogliere nel loro numero e nel loro consesso qualunque mortale benchè scellerato ed empio, come furono i più degli Imperatori romani. […] « E mentre che di là per me si stette, « Io gli sovvenni, e lor dritti costumi « Fer dispregiare a me tutt’altre sette. » Un ragionamento simile a quello del poeta Stazio condusse alla stessa conseguenza di farsi Cristiani tutti quei politeisti che non erano affatto privi del lume della ragione ; e se alcuni furon trattenuti dalla paura delle persecuzioni, molti altri si esposero ai tormenti ed anche alla morte, e suggellaron col sangue l’attestazione della loro novella Fede.
I corpi elementari, secondo gli antichi, non erano più di quattro, cioè : terra, aria, acqua e fuoco 3 ; mentre i fisici e i chimici moderni colle loro analisi, ne hanno per ora distinti e caratterizzati più di 60 ; e non si stancano di cercarne, nè disperano di trovarne molti altri. Può riuscir piacevole e divertente per chi intende bene le lingue dotte il leggere nei poeti greci e latini le fantastiche descrizioni del contrasto continuo dei quattro elementi di così diversa natura confusi e misti fra loro nel caos ; ma divengono pedanterie e freddure le imitazioni che talvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue moderne, ora specialmente che le scienze fisico-chimiche hanno scoperto e percorso un sì vasto campo di maraviglie vere e reali della natura. […] La confusione del Caos immaginato dagli antichi ingenerò confusione anche nelle loro menti circa l’origine del mondo e l’esistenza degli Dei.
V Urano e Vesta Prisca avi di Giove Dal prospetto genealogico del N° III sappiamo che Urano sposò Vesta Prisca, e che loro figli furono Titano, Saturno e Cibele. […] I moderni astronomi, che seguendo il sistema Copernicano abolirono anche le sfere, non che il loro movimento intorno al nostro globo, diedero il nome di Urano al pianeta scoperto da Herschel nel 1781, imitando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini al centro del loro sistema planetario avevano dato il nome dei principali figli di Giove, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono il nome del padre di questo, cioè di Urano.
Credendo che nulla gli fosse impossibile, montato sul caval Pegaso, lo spinse verso il Cielo, presumendo che gli Dei dovessero accoglierlo nel loro consesso ed alla loro mensa. […] I Naturalisti hanno dato il nome di Chimera a un genere di pesci, notabili per la forma mostruosa della loro testa, e che son classati come appartenenti alla famiglia degli Storioni.
XL Osservazioni generali Questi tre termini di Semidei, Indigeti ed Eroi si trovano usati talvolta indistintamente l’uno per l’altro, benchè differiscano tra loro non solo etimologicamente, ma pur anco per certe speciali condizioni, che converrà prima di tutto accennare. […] Prima di por termine a questo Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria, anche una lunghissima vita a tutti gli Eroi, non devesi calcolare la loro media e la loro probabile esistenza secondo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti.
. — Eran forse uguali e comuni i loro uffici, oppure diversi e disgiunti ? […] Eran detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44, che li faceva divenire furibondi ; nel quale stato di concitazione o di orgasmo urlavano, battevano gli scudi e i tamburi, e si percuotevano fra loro con armi taglienti sino a ferirsi e mutilarsi. […] Il nome di Coribanti deriva da due parole greche che significano cozzanti col corno ; il che appella ai loro furori per cui sembravano tori infuriati che tra lor si cozzassero.
Perciò il loro numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto che non sono stati a contar sul globo tutte le fonti, e tanto meno tutti i boschi e boschetti, a cui pur presiedevano almeno altrettante Ninfe. […] Gli appellativi di Oreadi, Napee, Naiadi e Driadi, che si diedero alle Ninfe, indicano col loro significato a quali cose queste Dee presiedevano ; poichè derivano da greci nomi significanti monti, valli, acque, quercie, e per catacresi, ossia abusivamente o estensivamente, alberi. […] Tra le quali son da rammentarsi pel loro proprio nome le Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, cioè Amaltea e Melissa.
Omero ci racconta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi che Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta, suo fratello, di annegar quell’Eroe nelle loro acque ; ed avrebbe ottenuto l’intento, se non accorreva Vulcano con una gran fiamma a vaporizzarle. […] Trovansi infatti anche altrove dei fiumi, le acque dei quali nel loro corso spariscono sotto terra, e a gran distanza ricompariscono sulla superficie di essa. […] I fiumi abbandonati a sè stessi per tanti secoli spesso mutano direzione e si aprono un nuovo corso, o perchè restò colmato il loro antico alveo dalle piene, o per fenomeni geologici che abbiano alterato la superficie e la pendenza del terreno.
Da quella strana sementa vide Cadmo con sua gran maraviglia uscir poco dopo una quantità di uomini armati che si misero subito a combattere fra loro, finchè i più rimasero estinti, e i soli cinque sopravvissuti lo aiutarono a fabbricare la città. […] In quanto poi ai guerrieri nati dai denti del serpente ucciso da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque che sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e popolare la città di Tebe ; e i loro nomi son questi : Echione, Udeo, Ctonio, Peloro e Iperènore. Anzi i nobili Tebani dei secoli successivi credevano tanto (o fingevano di credere) in così strana favola, che derivavano la loro nobiltà di sangue dall’esser discendenti, com’essi vantavansi, di questi prodi guerrieri sì miracolosamente nati ; la quale illustre prosapia era detta degli Sparti, che significava seminati, alludendosi appunto alla sementa dei denti del serpente ucciso da Cadmo58.
I Latini per altro non ammettevano che a loro avesse insegnato l’agricoltura Trittolemo e neppur Cerere, ma invece lo stesso Saturno, padre di lei (come dicemmo parlando di questo Dio), e perciò affermavano la lor priorità sopra i greci nell’arte di coltivar la terra. […] Altri autori latini dicono che Ceres è lo stesso che Geres, a gerendis fructibus, perchè i Latini nella loro pronunzia, e specialmente in quella dei nomi proprii, usavano spesso il G invece del C. […] Lo dimostrano di fatto, colle loro dotte investigazioni sui tempi mitologici ed eroici, Bacone da Verulamio, il Vico, Mario Pagano ed altri.
Se gli storici pongono Argo fra le più antiche città della Grecia, trovano la conferma della loro asserzione nelle tradizioni preistoriche della Mitologia, poichè abbiamo già veduto nel N. […] Il solo modo di render bugiardo l’Oracolo era troppo crudele, cioè di uccider subito la figlia ; e Acrisio non fu così snaturato come furono in appresso Aristodemo ed Agamennone, i quali non esitarono ad uccider le loro figlie, non già per salvarsi la vita, ma per ambizione di regno. […] L’impresa di ucciderla sarebbe stata impossibile senza l’aiuto degli Dei ; i quali per favorire il figlio di Giove gl’imprestarono le loro armi divine, Marte la spada o scimitarra, Nettuno l’elmo, Minerva lo scudo e Mercurio i talari e il petaso.
Ercole uccide il mostro che custodiva l’ingresso del loro giardino, 382. […] Sirene, divinità marittime, 196 ; — loro perfidi artifizj, 197 ; — tentano di sedurre Ulisse ed i suoi compagni, 198. […] Titani, discendenti di Titano ; loro guerra contro Giove : e loro disfatta, 65-69.
Le figlie di Mineo re di Tebe, conosciute comunemente col patronimico di Mineidi, ricusando di prender parte alle feste di Bacco per attendere alla loro occupazione di tesser le tele, fu detto che furono cangiate in vipistrelli 205) e i loro telai in ellera per castigo del disprezzo mostrato pel culto di Bacco. […] Bacco gli ordinò di lavarsi nel fiume Pattolo ; e i poeti aggiunsero che le acque di quel fiume contrassero in parte la proprietà che Mida perdè, trasportando nella loro corrente alcune pagliuzze o arene d’oro.
E il Dio Pane gareggiando con Apollo ad onorare in quella pianta la prediletta Ninfa, formò di sette canne di diversa lunghezza, unite fra loro colla cera, un musicale stromento, che in greco chiamavasi col nome stesso della Ninfa, cangiata in canna, cioè Siringa, in latino fistula e in italiano sampogna 11. […] I Latini usarono lo stesso greco nome Pan, declinandolo anche alla greca col gen. in os e l’acc. in a, per distinguerlo dal loro vocabolo panis significante il cibo quotidiano pane.
Anzi i filosofi più sapienti aggiunsero che le Grazie dovevano intervenire in tutte le consuetudini del civile consorzio ; ed uno di loro disse concisamente e con molta efficacia a un suo discepolo, ingegnoso sì ma zotico anzichè no : sacrifica alle Grazie. […] Le tre Grazie, di cui l’appellativo stesso spiega l’ufficio o attributo, erano rappresentate come giovanette gentili ed ingenue, nude e abbracciate amorevolmente tra loro, per indicar che le grazie debbono esser naturali e spontanee e che non hanno bisogno di stranieri o compri ornamenti ed aiuti.
» Gli autori francesi vi hanno opportunamente inserito alcuni passi dei loro poeti, e noi invece di tradurre quelli vi abbiamo sostituito, ed in maggior copia, le citazioni e le descrizioni cavate dai nostri autori originali, Dante, Petrarca, Metastasio, Alfieri, Foscolo, ec., e dai migliori traduttori dei Greci e dei Latini, Annibal Caro, l’Anguillara, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, Giuseppe Borghi ec.