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14. (1836) Mitologia o Esposizione delle favole

Essendo nella greca lingua Saturno chiamato Cronos, che significa Tempo era perciò riguardato come il Dio del tempo, e di piugevasi colla falce, e in atto di divorare i figli, tanto per alludere alle anzidette favole, quanto per esprimere come il Tempo miete e divora ogni cosa. […] Il tempio di Giano in Roma stava aperto in tempo di guerra, e chiuso in tempo di pace. […] Per molto tempo ella resistette; ma accrescendo Cefalo i doni, alla fine si diede vinta. […] In Tauride però le si immolarono per alcun tempo umane vittime, come vedremo parlando d’ Ifigenia, e d’ Oreste. […] Era nel medesimo tempo la moglie di Stenelo re di Micene incinta di Euristeo.

15. (1841) Mitologia iconologica pp. -243

Ed in vero da qual’altro fonte attinsero i più rinomati artefici di ogni tempo le idee più belle, onde effigiare le più magnifiche opere atte a rapir chi si sia con lusinghevole invaghimento ? […] Altri perchè lo confondono col tempo gl’aggiungono sul dorso le ali, ed una ambollina al suo fianco, quelle per dinotar la velocità del tempo, questa il corso sempre uniforme, e costante. […] Quindi si fù, che in ogni tempo non mentitrice la fama assordò la terra, de’suoi impudici trofei. […] Che del par lieta in calma, ed in tempesta Figlia del tempo, che l’aspetta, e guata. […] Dicesi figlia del tempo, che aspetta, perchè al solo tempo si appartiene scovrir la verità, la quale, al par del sole, che può essere intercettato, ma non mai suffocato dalle nubi, può restar per poco tempo nascosta, ma non mai del tutto depressa, giusta la massima passata oggi in proverbio : Veritas nunquam latet.

16. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-

Poi furon detti ferie o giorni feriali quelli della settimana, e prima feria il lunedì, seconda feria il martedì ec. ; e nel tempo stesso ferie autunnali son le vacanze dei magistrati, degli scolari ec. […] Lettisterni, banchetti sacri dei Romani in tempi di pubbliche calamità, per placare lo sdegno del cielo. Nel tempo di questa cerimonia toglievano di su i piedistalli le statue degli Dei, le posavano su letti messi intorno ad una tavola apparecchiata nel tempio, e offrivan loro a spese della Repubblica un lauto pasto. […] Le lustrazioni pubbliche e nazionali erano celebrate di cinque in cinque anni, il quale spazio di tempo essendo chiamato lustrum (lustro) ha dato origine al vocabolo lustrazione. […] In tempo di peste e di carestia le purifieazioni dei Greci erano aceompagnate da azioni erudeli.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

Il volgo peraltro vi credeva di certo, perchè l’ignoranza fu sempre un terreno fertilissimo da allignarvi e crescervi qualunque più bestiale errore ; e la storia di tutti i tempi lo prova. Sappiamo infatti che anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i popoli della Tessaglia facevano alti rumori con stromenti ed utensili di metallo per liberar di travaglio la Luna, credendo così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ; che un esercito perdè la battaglia fuggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si oscurasse e rasserenasse la faccia della Luna. […] Col solo nome di Diana era considerata come Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei avevan rinunziato a prender marito, passasse il tempo nei boschi ad inseguire ed uccider le fiere. […] In tempi più civili si rappresentò Ecate con tre faccie, ma tutte di donna ; e questa triplice immagine ponevasi nei trivii, ond’ebbe ancora il nome di Trivia 143. […] Ed ora dove sorgeva quel tempio e la stessa popolosa città di Efeso, che a tempo dell’imperator Teodosio II fu sede di due Concilii Ecumenici, non trovasi che qualche lurida capanna mezzo sepolta in una pianura paludosa da cui sollevansi esalazioni deleterie dell’organismo vitale !

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

I Romani infatti che per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato negli animi loro e impiantarono officialmente nella loro città, sin dalla sua fondazione, il Politeismo Troiano e Greco. […] Dal che si deduce che le Divinità adorate allora nel Lazio e nel territorio stesso ove sorse Roma esser dovevano per la massima parte quelle stesse dei Troiani e dei Greci al tempo della guerra di Troia, poichè Omero in tutta quanta l’Iliade ne rammenta sempre almeno le principali, come adorate egualmente da entrambe le nazioni. E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. Si continuarono inoltre in Roma sino agli ultimi tempi dell’impero pagano le Feste Carmentali, cioè in onore della Dea Carmenta madre di Evandro. […] Lo stesso Numa Pompilio che inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ninfa Egeria.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti dai loro littori prendevano possesso dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. E poichè i Consoli furono conservati, almeno di nome, anche sotto gl’Imperatori e sino agli ultimi tempi del romano impero, le stesse cerimonie descritte da Ovidio nel libro i dei Fasti si mantennero in Roma per più di mille anni. […] È narrato anche nella Storia Romana il miracolo dell’ancile caduto dal Cielo a tempo di Numa. […] Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di Numa, era divenuto inintelligibile a loro stessi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare. […] Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30

Convien sapere prima di tutto che Saturno era considerato come il Dio del Tempo, e perciò in greco chiamavasi Cronos 21 che appunto significa tempo. […] Ma questo racconto è un mito, ossia un simbolo del Tempo che produce e distrugge tutte le cose ; e politicamente significa che l’ambizione del regno fa porre in non cale e violare anche i più stretti vincoli del sangue22. […] Anche questa stranezza potrebbe spiegarsi come un simbolo della forza distruggitrice del tempo, che logora, come dice Ovidio, pur anco le dure selci e i diamanti 23. […] Da questo greco termine Cronos son derivati e composti i vocaboli Cronaca, Cronologia, Cronometro, ecc., tutti relativi al tempo.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

Anche il fiorentino poeta Alamanni, il celebre autore della Coltivazione, amantissimo della libertà della patria, che fu in quel tempo oppressa dai Medici, in un suo sonetto prega il padre Oceano, che rammenti « All’onorato suo figliol Tirreno, » che si svegli omai ; ma il Tirreno e l’Arno, non men che gli altri mari e fiumi d’Italia dormirono per più di trecento anni ! […] I Romani avanti la prima guerra punica poco lo consideravano ed adoravano come Dio del mare, ma più generalmente, a tempo di Romolo, come Dio del consiglio sotto il nome di Conso, e in appresso anche come protettore dei cavalli e dei cavalieri col titolo di Nettuno equestre, alludendosi alla favola che questo Dio nella gara con Minerva per dare il nome alla città di Cecrope avesse prodotto il cavallo. […] Le Ninfe Oceanine, così chiamate perchè figlie dell’Oceano e di Teti, erano, secondo Esiodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di cui farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare che prese marito e fu madre di qualche altra Divinità. […] « Nel tempo che Giunone era crucciata « Per Semelè contra ’l sangue tebano, « Come mostrò già una ed altra fiata, « Atamante divenne tanto insano, « Che veggendo la moglie co’due figli « Andar carcata da ciascuna mano « Gridò : tendiam le reti sì ch’io pigli « La lionessa e i lioncini al varco : « E poi distese i dispietati artigli « Prendendo l’un ch’avea nome Learco, « E rotollo e percosselo ad un sasso ; « E quella s’annegò con l’altro incarco »221. […] Dante volendo raccontare che egli nell’ascendere al Cielo con Beatrice si sentì trasumanato e sospinto da forza soprannaturale verso il Cielo, ed in sì breve tempo, « ….. in quanto un quadrel posa « E vola, e dalla noce si dischiava, » trovò a proposito di citar l’esempio di Glauco per offrirci qualche immagine più sensibile del suo concetto : « Nel suo aspetto (di Beatrice) tal dentro mi fei « Qual si fe Glauco nel gustar dell’erba, « Che il fe consorto in mar cogli altri Dei »223.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

I tempi eroici anche più dei mitologici formarono il soggetto delle meditazioni dei più grandi filosofi e pubblicisti (e basti rammentar fra questi il Vico e Mario Pagano), perchè vi si trovano le origini storiche dei più celebri popoli antichi, frammiste a racconti favolosi, dai quali bisogna distinguerle e sceverarle. […] Spiacemi che il mio umile assunto e lo scopo principale a cui è diretto questo lavoro m’impediscano di estendermi in osservazioni generali, e mi obblighino invece di aggiunger soltanto spiegazioni al racconto dei molteplici fatti particolari che più ne abbisognano ; ma ho voluto premetter questi brevi cenni per far conoscer la necessità di studiare i tempi eroici, che sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Storia, e che perciò hanno la stessa importanza per le origini storiche dei popoli antichi che il Medio Evo per le origini della moderna civil società. Scendendo ora a parlare dei principali Eroi, e Semidei e Indigeti di quest’epoca, convien prima di tutto determinare l’estensione, o vogliam dire la durata dell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca. » Volendo poi determinare cronologicamente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso della distruzione di Troia, poichè si trova in taluni Autori la differenza di più di un secolo ; ma seguendo la Cronologia greca più accreditata colle modificazioni di Petit-Radel nel suo Examen critique, troveremo almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia. […] Inoltre di quegli Eroi che non son rammentati o compresi in nessuna di quelle spedizioni, e che pure compierono memorabili gesta, separatamente narrate dai Mitologi, dobbiamo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in cui avvennero quelle, e già divenuti Indigeti Dei, oppure discesi nel regno delle Ombre. Questo può asseverarsi principalmente di Perseo, di Bellerofonte e di Cadmo, anche secondo la precitata Cronologia greca ; perciò dalle gesta di questi dovrà cominciare la narrazione dei tempi eroici.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Cerere figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), era considerata come la Dea delle biade che in sua stagiòne (in tempore suo), producevansi dalla terra. […] Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. […] Si affrettò Cerere di ritornar da Plutone ; e mentre sperava di essere stata in tempo per ricondur via la figlia, poichè molti testimoni interrogati rispondevano di non aver veduto nulla, comparve un impiegato infernale, di nome Ascalafo, che asserì di aver veduto Proserpina succhiare alcuni chicchi di melagrana ; nè Proserpina potè negarlo. […] Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare. […] Lo dimostrano di fatto, colle loro dotte investigazioni sui tempi mitologici ed eroici, Bacone da Verulamio, il Vico, Mario Pagano ed altri.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Come nunzio di Giove e di tutti gli Dei dovendo Mercurio far molti viaggi in Terrà e nell’Inferno, per diminuir le distanze e guadagnar tempo colla velocità, si metteva il petaso e i talari, e volava celere al pari del vento153. […] La prima, cioè la verga sola, significava l’ufficio che aveva Mercurio di condurre le anime dei morti al regno di Plutone, e richiamarle alla vita secondo la dottrina della Metempsicosi, ossia della trasmigrazione delle anime155 ; la seconda, ossia la verga coi serpenti, indicava che questo Dio consideravasi allora come ambasciatore di pace ; e perciò il caducèo era il distintivo che i Pagani davano ai loro ambasciatori : ora è divenuto il simbolo del Commercio, che è arte di pace, e prospera utilmente per tutti soltanto in tempo di pace156. […] La metamorfosi di Aglauro si racconta così : Mercurio per quanto pieno di occupazioni aveva trovato il tempo per invaghirsi di Erse figlia di Eretteo re di Atene ; ed Aglauro sorella di lei, per invidia frapponeva ostacoli alla conclusione degli sponsali. Mercurio che non aveva tempo da perdere, per levar di mezzo quest’impaccio, la cangiò in livido sasso, simbolo del livore, ossia dell’invidia. […] A tempo di Dante i messaggeri di pace avean per costume di incoronarsi d’olivo, come accenna Dante stesso in una similitudine del Canto ii del Purgatorio.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

Le dodici Ninfe poi che danzano intorno al carro rappresentano le Ore del giorno ; le quali sebbene soltanto per gli equinozii sieno precisamente dodici, non sono però ragguagliatamente più di dodici un giorno per l’altro in tutto l’anno ; e per gli antichi Romani v’era inoltre una ragione speciale riferibile all’uso che avevano di dividere il giorno vero, ossia il tempo della presenza del sole sull’orizzonte, in dodici ore soltanto. […] Così, per citarne qualche esempio, usa l’Ariosto le seguenti espressioni mitologiche a significare che per chi aspetta sembra che il tempo non passi mai : « In quel duro aspettare ella talvolta « Pensa ch’Eto e Piroo sia fatto zoppo, « O sia la ruota guasta, che dar volta « Le par che tardi, oltre l’usato, troppo. » (Orl. […] Troviamo ancora nella Basvilliana del Monti : « Era il tempo che sotto al procelloso « Aquario il Sol corregge ad Eto il morso, « Scarso il raggio vibrando e neghittoso. » (Canto ii, 70.) […] Come poi facesse per ritornar nella notte dalla parte d’Oriente, i più antichi poeti, Omero ed Esiodo, l’hanno prudentemente taciuto : soltanto in appresso qualche mitologo inventò che il Sole, dopo di essersi riposato nel palazzo di Teti, entrava in fondo ad una nave d’oro col suo carro ed i suoi cavalli, ed era trasportato velocissimamente per mare, girando a settentrione, per ritornare in tempo la mattina all’Oriente. […] « Ben se’ tu manto che tosto raccorce, « Sì che se non s’appon di die in die, « Lo tempo va d’intorno con le force. » E dice questo per significare che senza le egregie opere dei discendenti, la nobiltà di sangue va in dileguo e cade in dispregio.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

» Per lo contrario nei migliori tempi della Repubblica non troviamo facilmente che fossero eretti tempii e prestato culto pubblico a divinità viziose o credute protettrici del vizio. […] Ma poi nel cadere della Repubblica e nei primi tempi dell’Impero sappiamo non solo dagli Storici, ma dai poeti stessi imperiali, che la corruzione avea dal mondo romano bandita ogni virtù religiosa e civile. […] Questa facoltà poetica di rappresentare con descrizioni o con immagini sculte o dipinte qualunque virtù, qualunque vizio, qualunque idea astratta non è già spenta negli uomini dei nostri tempi ; anzi vedesi sempre rinnuovata non solo nelle moderne poesie, ma pur anco nei monumenti ove le Virtù civili e militari, ed anche le religiose, sono rappresentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici che ne suggeriscono il significato ed il nome, senza bisogno di scriverlo sulla base delle medesime o in qualche parte delle loro vesti o dei loro ornamenti. E se nei pubblici monumenti non vedonsi che personificazioni di Virtù e di novelli pregi derivati dall’incremento e dal perfezionamento delle Scienze e delle Arti, nei poeti moderni trovansi ancora descritti e personificati i Vizii del loro secolo ; e basterà per tutti citare il Giusti, che ci rappresentò quelli predominanti a tempo suo (cioè nella prima metà del presente secolo) facendone poeticamente l’apoteosi mitologica nei seguenti versi : « Il Voltafaccia e la Meschinità « L’Imbroglio, la Viltà, l’Avidità « Ed altre Deità, « Come sarebbe a dir la Gretteria « E la Trappoleria, « Appartenenti a una Mitologia « Che a conto del Governo a stare in briglia « Doma educando i figli di famiglia, « Cantavano alla culla d’un bambino, « Di nome Gingillino, « La ninna nanna in coro, « Degnissime del secolo e di loro. »

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

Nei primi tempi non fecero distinzione fra stelle e pianeti ; e questi pure chiamarono stelle ; e solo quando si accorsero che avevano un movimento molto diverso da quello apparente delle Stelle, e apparentemente molto irregolare, li chiamaron pianeti, cioè corpi erranti. […] Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di questi due Numi figli di Giove e di Latona, il Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai che era regolato da un Titano di nome Iperione. […] Quindi Latona andò lungo tempo errando in mezzo ai disagi ; e potè solo fermarsi nell’isola di Ortigia, detta poi Delo, una delle Cicladi nel mare Egeo, isola natante, ossia galleggiante, che Nettuno per compassione di Latona rese stabilé. […] Che Delo fosse stata nei tempi preistorici un’isola galleggiante fu detto la prima volta dal poeta Pindaro, il quale vi aggiunse ancora che Nettuno la rese stabile, perchè servisse di ricovero a Latona.

28. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393

Anche ai tempi di Silla era celebrata in Atene una festa che ricordava questo fatto. […] Ma prima di questa epoca, fino da tempi antichissimi, l’Italia è abitata da popoli che forse precederono la stessa Grecia nella coltura ; e principalmente gli Etruschi. — La guerra degli Dei contro Tifeo (nella Campania e ad Inarìme o Ischia), quella dei Giganti contro Giove, indicanti i grandi sconvolgimenti del suolo per opera di terremoti o di vulcani, il Vesuvio, l’Etna, Stromboli, i campi Flegrei, danno copiosa materia alle favole mitologiche. […] Intorno a questo tempo fiorirono i sette Sapienti della Grecia, ricordati nella favola (Chilone, Biante, Pittaco, Cleobulo, Periandro, Solone, Talete). […] Sembra che il padre delle famiglie, che andarono ad abitare la Grecia ai tempi della dispersione dei popoli, fosse Javan figlio di Jafet.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

Essendo la guerra il fondamento e la causa della loro potenza, e’ la chiamavano bellum, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino al termine della repubblica e ai primi tempi dell’impero, perchè a fin di guerra riuscivan sempre vincitori e conquistatori176. […] E inoltre Dante ricorda che Firenze, quand’era pagana, aveva per suo protettore Marte, che cangiò nel Battista, allorchè divenne cristiana, facendo dire (nel Canto xiii dell’Inferno) a quell’anima, che fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui della città che nel Batista « Cangiò il primo padrone, ond’ei per questo « Sempre coll’arte sua la farà trista. » E-aggiunge che vi rimaneva ancora a quel tempo sul ponte vecchio l’antica statua un po’guasta del Dio Marte : « E se non fosse che sul passo d’Arno « Rimane ancor di lui alcuna vista, « Quei cittadin che poi la rifondarno « Sovra ’l cener che d’Attila rimase178 « Avrebber fatto lavorare indarno. » A Marte era sacro il gallo, animale vigile e pugnace, emblema della vigilanza e del coraggio necessario nelle battaglie. […] 179 In onore di Marte fu dato da Romolo il nome al mese di marzo che era in quel tempo il primo mese dell’anno. […] Essendo però comune opinione a quei tempi che Attila fosse stato il distruttore di Firenze, a quella, come tant’altre volte, s’attiene il Poeta. » (Dal Commento del Can.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Dante asserisce che a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta che egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù quel suo celebre viaggio, le tre Furie infernali vedendolo da lontano dall’alto di una torre : « Venga Medusa, sì ‘l farem di smalto, « Gridaron tutte riguardando in giuso ; « Mal non vengiammo in Teseo l’assalto. » E non era un timor panico il suo, perchè Virgilio stesso gli disse tosto : « Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso, « Chè se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi, « Nulla sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo che gli antichi rappresentavano la testa di Medusa nell’Egida, e talvolta nell’usbergo della Dea Minerva ; e Cicerone rimprovera a Verre, tra gli altri delitti e sacrilegii, di avere involato una bellissima testa anguicrinita di Medusa, distaccandola dalle porte del tempio di Minerva in Siracusa49. […] Nel tempo che l’Orca avanzavasi per ingoiarla, passò per aria Perseo sul caval Pegaso, e accortosi del pericolo di Andromeda volò tosto in soccorso di lei ; ma non potendo pervenire ad uccidere il mostro colla spada, perchè era più duro d’uno scoglio, lo pietrificò col teschio di Medusa. […] Perseo, dopo aver fatto prodigi di valore colla spada, vedendo che si perdeva troppo tempo ad uccidere i nemici uno alla volta, perchè pochi compagni aveva per aiutarlo, mise fuori la testa di Medusa e pietrificò nell’istante quanti la guardavano ; ed anche Fineo ebbe la stessa sorte. […] La storia di Perseo fu registrata dagli Antichi a caratteri di stelle nel Cielo, poichè asserirono trasformati in costellazioni, oltre Perseo, la sua moglie Andromeda, i suoi suoceri Cefeo e Cassiopea, e finalmente qualche tempo dopo il caval Pegaso.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] Abbiamo perciò davanti a noi un soggetto o argomento che è una vera fantasmagoria mondiale dai tempi preistorici ai dì nostri, abbellito in varie guise dai poeti e dagli artisti, e in mille guise storpiato o goffamente raffazzonato dagli ignoranti. […] Abbiamo veduto di sopra, che i Genii dei Latini corrispondevano ai Dèmoni dei Greci : eran molto diversi i vocaboli per la loro etimologia, ma gli esseri per quelli significati nulla differivano secondo le opinioni religiose e filosofiche di quei tempi ; e perciò anche nel politeismo romano credevasi all’esistenza di genii buoni e di genii ma ligni276). […] Al suol romano « D’Augusto i tempi e di Leon tornarno. » Il Manzoni, nel suo mirabile Cantico il Cinque Maggio, chiama Genio la sua facoltà poetica : « Lui sfolgorante in soglio « Vide il mio genio e tacque ; « Quando con vece assidua « Cadde, risorse, e giacque, « Di mille voci al sonito « Mista la sua non ha : » Il Giusti nelle sue impareggiabili poesie usa molte volte il termine Genio, e per lo più nel significato d’ingegno straordinario e inventivo, come : « E anch’io in quell’ardua immagine dell’arte « Che al genio è donna e figlia è di natura, « E in parte ha forma della madre, in parte « Di più alto esemplar rende figura ; ecc. » (A Gino Capponi, strofa ultima.)

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Abbiamo in proverbio anche in italiano che Musica e Poesia nacquer sorelle ; e infatti sin dagli antichissimi tempi, sappiamo dalle istorie, che cantavansi gl’inni accompagnandoli col suono degli strumenti ; anzi spesso vi si univa contemporaneamente anche il ballo, e non solo fra gli idolatri, ma pur anco nel popolo eletto 123. […] Egli dice che « ……………… quando « Il Tempo colle sue fredde ali vi spazza « Fra le rovine (dei sepolcri), le Pimplèe fan lieti « Di lor canto i deserti e l’armonia « Vince di mille secoli il silenzio. » Più comuni e perciò più generalmente noti sono gli appellativi delle Muse, derivati dai monti Elicona, Pindo e Parnasso, dal bosco Castalio, dal fiume Permèsso e dalla fontana Ippocrene, luoghi da loro frequentati. […] Su tale argomento basti l’ aver citato i due grandi poeti, padri dell’ italiana poesia : « Degli altri fia laudabile tacere, « Chè il tempo saria corto a tanto suono. » Ad Apollo avvenne ancora un caso opposto, ma non meno funesto. […] Era anche questo un di quei pastorelli amici o dipendenti di Apollo nel tempo del suo esilio e della sua condizion di pastore ; i quali egli avea dirozzati insegnando loro a cantare, a suonare la cetra e la tibia e a far vari giuochi ginnastici.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

S’intende subito che questo montone è favoloso, e perciò convien cercarne l’origine nei precedenti tempi mitologici. […] Quindi i poeti alludendo a tal fatto mitologico chiamano questa costellazione l’animal di Frisso ; e Dante l’appella più volte antonomasticamente il Montone, siccome il più buono, il più paziente, il più illustre di quanti montoni sieno esistiti giammai ; e volendo egli esprimer poeticamente lo spazio di sette anni, usa questa perifrasi mitologica ad un tempo ed astronomica : « … Or va, che il Sol non si ricorca « Sette volte nel letto che il Montone « Con tutti e quattro i piè copre ed inforca, « Che cotesta cortese opinïone « Ti fia chiovata in mezzo della testa « Con maggior chiovi che d’altrui sermone. » Il vello d’oro rimasto nella Colchide fu consacrato, secondo alcuni, a Giove, e, secondo altri, a Marte, e custodito religiosamente, e assicurato con molte cautele e magiche invenzioni, di cui parleremo in appresso. […] « Si sentono venir per l’aria e quasi « Si veggon tutte a un tempo in su la mensa « Rapire i cibi e riversare i vasi ; « E molta feccia il ventre lor dispensa, « Tal che gli è forza d’otturare i nasi, « Che non si può patir la puzza immensa. […] « E s’io al vero son timido amico, « Temo di perder vita tra coloro « Che questo tempo chiameranno antico. » (Parad.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

« Qui stiamo in fin che ’l tempo a ciò prescritto « D’ogni immondizia ne forbisca e terga, « Sì che a nitida fiamma, a semplice aura, « A puro eterio senso ne riduca. […] Nel Canto xi dell’Inferno espone i principii filosofici su cui è basata la classificazione dei delitti e la proporzionale graduazione delle pene relativamente alla qualità ed alla quantità, o vogliam dire intensità, non potendovi esser differenza alcuna relativamente al tempo, poichè nell’Inferno dei Cristiani son tutte eterne. […] Mirabile è poi in sommo grado, e al tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra che usura offende la divina bontade ; e perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno. […] Venne in Italia, secondo Cicerone, a tempo di Tarquinio il Superbo, e secondo Tito Livio sotto il regno di Servio Tullo.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui scriveva S. […] » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vulgus, e da spacciarsi in massa, (o come taluni dicono in blocco) e con poche e generali considerazioni sul loro comune appellativo, procediamo senza spaventarci ad osservare anche altre fantasmagorie preistoriche dei nostri più remoti Antenati. […] Anche adesso nel linguaggio ecclesiastico dicesi le quattro tempora invece dei quattro tempi.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

XLIV La caccia del cinghiale di Calidonia È questa la prima impresa dei tempi eroici in cui si trovino riuniti molti celebri eroi, e che serve perciò, in mancanza di altri dati cronologici, a stabilire almeno che quegli eroi erano contemporanei. […] Calidone o Calidonia era la capitale dell’Etolia a tempo del re Oeneo, circa un secolo prima della guerra di Troia. […] Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divennero anche più celebri in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace e Laerte di Ulisse ; dei quali tutti dovremo parlare anche in appresso.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Il culto di Cibele fu introdotto in Roma ai tempi della seconda guerra punica allorchè, infierendo una pestilenza, le risposte dei libri sibillini prescrissero che per farla cessare si ricorresse alla Gran Madre. […] Il viaggio di andata e ritorno era un po’ lungo e richiedea qualche mese di tempo : talchè quando giunse in Roma la statua della Dea, il morbo pestilenziale, già pago delle vittime fatte a suo bell’agio, era cessato. […] In Roma per altro Cibele in progresso di tempo acquistò forma ed emblemi degni di una Dea.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Amadriadi poi è un greco vocabolo composto, che significa insiem colla quercia, o come si è detto di sopra, coll’albero ; e davasi questo titolo a quelle Ninfe la cui esistenza era legata alla vita vegetativa di una data pianta ; inaridendosi la quale, oppure essendo recisa o arsa, periva ad un tempo la Ninfa Amadriade. — Questi termini essendo significativi degli attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro che non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano non solo i poeti greci e i latini, ma altresì, benchè più di rado, gl’ italiani. […] Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso. […] In Architettura poi sin dal tempo dei Classici greci e latini chiama vasi Ninfèo non solo il tempio sacro alle Ninfe, ma altresì una particolar costruzione architettonica, o fabbrica sui generis, destinata il più spesso ad uso di bagni, annessa ai palazzi e alle ville dei più doviziosi cittadini, ove, oltre le acque scorrenti in ruscelli e zampillanti in fontane (e necessariamente le vasche e i bacini), aggiungevansi per ornamento e statue e vasi e talvolta ancora un tempietto dedicato alle Ninfe.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

In geologia si parla di più d’uno di questi cataclismi dei tempi preistorici ; e quello storico, chiamato il diluvio universale, e di cui trovasi una general tradizione in tutti i popoli, è l’ultimo di questi cataclismi riconosciuti e dimostrati dalla scienza geologica. […] Trovansi infatti nell’interno del nostro globo strati di arena, di creta e di marmo che contengono conchiglie e frantumi di vegetabili ; e se ne deduce razionalmente che questi strati doveron formarsi sott’acqua nel modo stesso che vediamo accadere anche oggidì nel fondo dei laghi e nelle inondazioni dei fiumi. — Così una scienza che due secoli indietro non esisteva neppur di nome, e non supponevasi nemmeno che potesse esistere, ha fatto e va tuttodì facendo i più mirabili progressi, e risolve i più ardui problemi dei tempi preistorici, non già interpetrando le più o meno antiche tradizioni, le più o meno veridiche cronache o istorie, ma studiando i materiali stessi del nostro globo travolti e seppelliti da migliaia e milioni di anni per le forze irresistibili della Natura negli strati sottoposti a quello sul quale abitiamo. […] Anche Dante chiama la terra madre comune ; e questa espressione è al tempo stesso mitologica, biblica e filosofica.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Anche la trasformazione di Cadmo in serpente era tanto famigerata presso gli antichi Pagani che talvolta fu rappresentata perfino sulla scena : il che non dovrà recar maraviglia, ripensando che anche ai tempi nostri si è veduto rappresentare in qualche spettacolo Nabuccodonosor trasmutato in bestia coram populo. […] Che il nome di Cadmea fosse dato alla fortezza di Tebe e conservato pur anco a tempo della conquista dei Romani è notizia storica confermata anche da Cornelio Nipote nelle sue Vite degli eccellenti capitani greci. […] Sino al presente secolo non se ne dubitava, ed oltre al dirsi precisamente quali erano le sedici lettere importate da Cadmo, si notavano ancora le quattro inventate da Palamede al tempo dell’assedio di Troia, e le altre quattro aggiuntevi da Simonide cinque secoli dopo ; che in tutte vengono a formar l’alfabeto greco di ventiquattro lettere61.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

Anche a tempo di Cicerone, com’egli racconta nelle sue epistole familiari, esisteva sotto quel colle un antro consacrato da Evandro al Dio Pane. […] Ma perchè questo improvviso e mal fondato timore debba chiamarsi pànico, ossia prodotto dal Dio Pane, anzichè Plutonico, o diabolico, o altrimenti, cerca di spiegarlo la Mitologia ; la quale, dopo avere asserito che il Dio Pane soggiornando nelle solitudini più selvagge e piene di sacro orrore, spaventa da quelle colla sua terribil voce i passeggieri, vi aggiunge, quali prove di fatto, diversi aneddoti riferiti nelle antiche storie, come per esempio, che il Dio Pane al tempo della battaglia di Maratona parlasse a Fidippide Ateniese, e gli suggerisse il modo di spaventare i Persiani ; che la voce di questo Dio, uscita dalle sotterranee caverne del tempio di Delfo, atterrisse e mettesse in fuga i Galli che volevano saccheggiare quel ricchissimo tempio, ecc. È però da notarsi che gli aneddoti riferibili alle voci miracolose del Dio Pane, raccontati da Erodoto, da quel miracolaio di Plutarco e da altri scrittori di minor conto, sono la relazione delle popolari credenze prevalenti a quei tempi, e non la storica dimostrazione della verità dei fatti.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

La concordia coniugale era già rotta da gran tempo fra Giove e Giunone ; e Omero sin dal 1° libro dell’Iliade ce ne rende accorti in questi versi : « Acerbissimo Giove, e che dicesti ? « Riprese allor la maestosa il guardo « Veneranda Giunon : gran tempo è pure « Che da te nulla cerco e nullo chieggo, « E tu tranquillo adempi ogni tuo senno. » (Trad. del Monti.) […] Ai tempi nostri la spettroscopia, ossia l’analisi della luce per mezzo dello spettroscopio è divenuta così importante ed estesa, che può quasi considerarsi come una scienza particolare ; e perciò i moderni alle antiche fantasie poetiche ed alle cervellotiche induzioni cercano di sostituire le positive cognizioni scientifiche.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Gli Oracoli e tutti gli altri modi di divinazione preindicati erano altrettante solenni imposture del Politeismo, e sì abilmente organizzate da allucinare per molti secoli non solo i popoli rozzi e barbari, ma quelli ancora « ………..che fenno « L’antiche leggi e furon sì civili. » Che fossero un’impostura dei sacerdoti pagani non credo che sia d’uopo dimostrarlo ai tempi nostri, tanti secoli dopo che furon riconosciuti falsi e bugiardi gli stessi Dei a cui quegli oracoli erano attribuiti. […] Che i più celebri Oracoli abbiano avuto origine nei tempi preistorici è asserito non solo dai mitologi, ma da tutti i più antichi scrittori. […] Omero parla degli Oracoli, delle divinazioni e degli augurii come di cose antiche ai tempi della guerra Troiana, nella quale l’indovino Calcante rappresenta una parte importantissima, come interprete degli Dei, nei parlamenti di quei famosi guerrieri e nei segreti consigli di Stato.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

Se qualche pericolo v’era anticamente, o perchè il vortice e i flutti fossero più impetuosi, o per la imperizia degli antichi navigatori, certo è però che nei tempi moderni nessun più ne teme, anzi di pericoli non se ne parla nemmeno. […] Tali ci furon descritte le più terribili Orche dagli antichi poeti, quella cioè che devastò la Troade ai tempi dello spergiuro Laomedonte, e l’altra da cui Perseo liberò Andromeda : e di queste dovremo parlare lungamente a suo tempo.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — I. La Cosmogonia mitologica » p. 10

Gli uomini di tutti i tempi, dai più antichi ai più moderni, hanno sempre mostrato curiosità di sapere l’origine di questo mondo, o vogliam dire dell’ universo ; e non solo tutte le religioni antiche degl’idolatri inventarono a modo loro una Cosmogonia, ma spesso anche i poeti e i filosofi ne hanno foggiate diverse l’una più strana dell’altra, a gara coi sacerdoti delle varie religioni1. […] Nel sistema storico, e secondo il principio cattolico, le antiche favole mitologiche sono avanzi di tradizioni religiose e sociali tramandate da tempi migliori, e per la degenerazione degli uomini contraffatte.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

Cicerone specialmente, in questa parte, è più esplicito ed aperto degli altri ; e perciò i suoi libri sulla Natura degli Dei, sul Fato e sulla Divinazione furon considerati dai più scrupolosi Pagani siccome contrarii alla religione del Politeismo, mentre all’opposto i Santi Padri dei primitivi tempi del Cristianesimo citarono i detti di Cicerone forse più spesso di quei della Bibbia. […] Oggidì che hanno sì gran credito gli studii preistorici sugli uomini primitivi dell’età delle armi di pietra e delle abitazioni lacustri, di quel tempo cioè in cui i nostri antenati Europei eran forse più rozzi dei selvaggi dell’America scoperti da Colombo, non potrà stimarsi meno importante lo studio intorno alle origini delle idee morali che ebbero tanta efficacia sulla civiltà greca e romana.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492

Anche a tempo di Augusto i Persiani adoravano come loro Nume supremo il Sole ; e Ovidio ci dice che gli sacrificavano il cavallo per offrire una veloce vittima al celere Dio (ne detur celeri victima tarda Deo). Dal culto dei corpi celesti si passò presto a quello dei corpi terrestri, ossia dei prodotti della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeismo, e fu principalmente professato dagli Egiziani, i quali anche al tempo di Mosè adoravano come loro Dio il bue Api, la qual goffa idolatria fu imitata dagli Ebrei nel deserto col vitello d’oro, che costò la vita, per ordine di Mosè, a tante migliaia di quegli stupidi imitatori del culto Egiziano.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

A tempo dei re di Roma fu deificato soltanto Romolo, ma per gherminella politica dopo che i Senatori lo ebbero segretamente ucciso ; i quali non sapendo poi come acquietare il popolo che ricercava il suo re guerriero, gli fecero credere per mezzo di Procolo che fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e che bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. […] Quasi 700 anni corsero dalla morte di Romolo a quella di Cesare, nel qual tempo il popolo romano divenne conquistatore del mondo, senza che pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più celebri generali che a tanta gloria e potenza lo guidarono.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-

Nei tempi eroici della romana Repubblica (eroici non solo per valore, ma ancora per senno e per moralità), i riti degli Dei stranieri non erano ammessi in Roma, come avverte T. […] I Romani sino al termine della seconda guerra punica furono i puritani della pagana religione, e considerarono sin dal tempo di Numa il sentimento religioso e morale come il primo fattore dell’incivilimento ; e perciò ebbero cura di tenerne lungi qualunque elemento che tendesse a viziare la moralità delle azioni, senza la quale non può esistere vera civiltà.

50. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli. […] L’ufficio loro durava per trent’anni ; dopo il qual tempo potevano uscir di convento e prender marito : il che però di rado accadeva, poichè fu considerata una determinazione infausta per la Vestale.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

I giureconsulti romani nel parlare della schiavitù (quantunque a quei tempi fosse ammessa per diritto internazionale o delle genti, e riconosciuta per diritto civile), dicono francamente che è contro natura 11. […] ii dei Principii di scienza nuova : « Quindi tanti Giovi che fanno maraviglia a’filologi ; perchè ogni nazione gentile n’ebbe uno, de’quali tutti gli Egizi per la loro boria dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico, sono tante Istorie fisiche conservateci dalle favole, ecc. ecc. » Fortunatamente in progresso di tempo di tutti quei Giovi, Mercurii, Ercoli ecc., se ne fece un solo Giove, un solo Mercurio, un solo Ercole ecc., vale a dire si attribuirono ad un solo tutti gli uffici e le imprese degli altri loro omonimi.

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

XI Giove re del Cielo Che Giove fosse adorato come il supremo degli Dei dai Greci e dai Troiani sino dai più remoti tempi preistorici, lo sappiamo da Omero « Primo pittor delle memorie antiche. » Il suo nome in greco era Zeus, e in latino Jupiter. […] Da questa quadriennale solennità della Grecia ebbero il nome le Olimpiadi, divisione del tempo tutta particolare ai Greci e significante lo spazio di quattro anni.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Omero ci racconta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi che Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta, suo fratello, di annegar quell’Eroe nelle loro acque ; ed avrebbe ottenuto l’intento, se non accorreva Vulcano con una gran fiamma a vaporizzarle. […] come fanciullo « Di mandre guardïan cui ne’piovosi « Tempi il torrente, nel guadarlo, affoga. » Avremo da parlar tanto delle prodezze di Achille (invidiato dallo stesso Alessandro il Grande per la singolar fortuna di averne per banditore Omero), che non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica paura, che trova qui posto più opportuno, parlandosi delle prodezze e dei vanti dei fiumi della Troade.

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

Tutte le scienze da qualche tempo congiurano amichevolmente ad ottenere lo stesso fine ed effetto, di scuoprire cioè l’origine del nostro pianeta e la fisica costituzione di esso anche internamente. […] Se poi si considerano i dati scientifici su cui si fondano i calcoli di centinaia di secoli che passarono dall’una all’altra epoca geologica prima che si compiessero le formazioni delle diverse rocce ; e si riflette filosoficamente che infinite specie di animali terrestri, aquatici ed amfibii, di forze e di forme « Maravigliose ad ogni cor securo, » furon cancellate dal libro dei viventi e fossilizzate dal tempo e dagli occulti agenti chimici sotterranei, avremo anche per la fantasia un campo molto più vasto di quello delle invenzioni mitologiche ; e riconosceremo che la mente dell’uomo non sa immaginare neppur la millesima parte delle maraviglie che la scienza tuttodì va scuoprendo nelle operazioni e nelle leggi della Natura.

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

I Naturalisti per altro sin dal tempo di Linneo pare che li considerassero più bestie che uomini, poichè usarono a guisa di nome collettivo la Fauna per indicare complessivamente tutti gli animali che vivono in una data regione, nel modo stesso che dicono la Flora per significare tutti i fiori che si trovano nella regione medesima. […] Le Feste Terminali eran celebrate agli ultimi di febbraio, che fu per lungo tempo l’estremo mese dell’anno, poiché quando Numa vi aggiunse i mesi di gennaio e di febbraio, fece precedere il gennaio e seguire il febbraio ai dieci mesi dell’anno di Romolo.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

L’immagine e similitudine dei Baccanali si è conservata e riprodotta sino a noi nel nostro carnevale, che in altri tempi più antichi dicevasi ancora carnasciale 199. […] Son celebri i Canti Carnascialeschi di Lorenzo il Magnifico per le mascherate dette di carattere che si facevano in quei tempi.

57. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) «  Avviso. per questa terza edizione.  » pp. -

La descrizione delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure, che sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili, finchè rimane disgiunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire che ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani.

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -

Ella, signore, proponga che condizioni farebbe per il diritto a certo termine, o per l’intera proprietà. » Il contratto non potè aver luogo, perchè all’editore milanese impegnato in molte altre pubblicazioni mancava il tempo, com’ egli rispose direttamente a me stesso, di pubblicare anche questo libro prima della riapertura delle Scuole ; e allora il Tommasèo mi consigliò di stamparlo l’anno appresso per associazione.

59. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

E prende per guida ed interpetre dei portati dell’antica sapienza il poeta Virgilio che visse « A tempo degli Dei falsi e bugiardi, » e la prediletta sua Beatrice, divinizzata come la Teologia, a dargli la spiegazione della scienza dei Cristiani.

60. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Questo patto di famiglia fu causa di frodi, di dissenzioni, di guerre fraterne e di sciagure anche per Saturno e per Cibele, ma principalmente per Titano e pe’ suoi discendenti, come vedremo a suo luogo e tempo.

61. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9

Gli studii eruditissimi che ora si fanno da’ filologi germanici sulle origini dei miti, potrà dar vita, col tempo, ad una nuova scienza che starà alla Mitologia greca e romana come la Paleontologia alla storia naturale, e che perciò potrà chiamarsi la Paleontologia mitologica.

62. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Tavola analitica. secondo il metodo di giov. humbert  » pp. 3-

Tempo, vedi Saturno, 39.

63. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani « Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni della Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mortali.

64. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

Anzi ne deriva al tempo stesso la spiegazione come avvenga che talvolta in qualche Classico latino si annoverano tra gli Dei Penati taluni degli Dei superiori o maggiori, come Giove, Marte, Nettuno ecc.

65. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

Intendevasi dai Greci per Ateneo un edifizio sacro alla Dea Atena, e destinato ad uso di archivio e di biblioteca, ove i poeti e gli altri greci scrittori depositavano i loro componimenti, come a tempo di Augusto facevasi in Roma nella biblioteca palatina sacra ad Apollo.

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