Le Stelle poi vere e proprie stimaron che fossero incastonate e quasi inchiodate nella volta del Cielo, e perciò le chiamarono fisse ; e diedero l’ufficio ad Urano, e poi come sostituto anche a Giano, di far girare questa vôlta o callotta sferica celeste e con essa tutte le stelle. […] Ora convien parlare delle Divinità che dirigevano il Sole e la Luna, e parlarne a lungo, prima in generale, e poscia particolarmente, perchè la fantasia dei mitologi e dei poeti non venne meno così per fretta a inventar miti fantasmagorici e dilettevoli su queste due Divinità, alle quali diedero il nome di Apollo e di Diana, che poi identificarono col Sole e colla Luna. […] 98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva prima della nascita di Diana chiamavasi, con greco nome Selene, che significava Luna, figlia essa pure d’Iperione, e perciò sorella di Elio99). […] Quindi Latona andò lungo tempo errando in mezzo ai disagi ; e potè solo fermarsi nell’isola di Ortigia, detta poi Delo, una delle Cicladi nel mare Egeo, isola natante, ossia galleggiante, che Nettuno per compassione di Latona rese stabilé. […] I geologi poi, collo studio degli strati del nostro globo e delle materie componenti i diversi terreni, sanno dire non solo l’origine delle montagne, ma perfino l’età, ossia l’epoca geologica in cui esse si sollevarono.
Desideriamo poi soprattutto che questa nostra fatica possa esser di qualche utilità agli studiosi. […] Giove li perseguitò anche in quel paese, ma finì poi per riconciliarsi con essi tutti. […] Nel partire da Creta Teseo condusse seco la sua liberatrice, che abbandonò poi nell’isola di Nasso. […] Vinse il fiume Acheloo e gli tolse un corno, che fu poi chiamato Cornucopia. […] Atreo fu poi ucciso da Egisto figlio di Tieste.
Nè queste idee eran proprie soltanto dei Politeisti greci e latini ; anzi non furon nemmeno di loro invenzione, poichè sappiamo di certo che ebbero origine nell’Oriente e prevalsero principalmente tra gl’Indiani e i Persiani, e poi passarono agli Egizii, e finalmente ai Greci e ai Romani. […] Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] L’opinione poi di Socrate sull’esistenza dei Dèmoni o Genii non potrebbe esser più manifesta ; sapendosi da’suoi stessi discepoli Platone e Senofonte, che egli attribuivasi fin dalla prima gioventù un Dèmone il quale suggerivagli tutto ciò che doveva fare275). […] Quando poi i Pagani divenner Cristiani, confusero i Genii buoni cogli Angeli, e i cattivi coi Diavoli 277), trovandovi grandissima rassomiglianza quanto alle attribuzioni e agli effetti sulla vita degli uomini. […] Quando poi i Genii sono senza le ali, indossano ancora la toga romana.
Dante poi ha trovato il modo di parlarne anche nel poema sacro della Divina Commedia. […] Alcuni naturalisti (specialmente fra gl’Inglesi) danno ancora il nome di Sirene ai cetacei erbivori, detti comunemente Lamentini (Manatus), che formano la transizione fra le balene e le foche, e la cui forma, nelle parti superiori del corpo, si discosta meno di quella degli altri cetacei dalla figura umana, mentre poi vanno a finire in una coda orizzontale, come una gran parte dei pesci227. […] La favola dice che Scilla era figlia di Forco divinità marina e di Ecate dea infernale, e che in origine era bellissima, ma poi per gelosia di Amfitrite, o, secondo altri, della maga Circe, fu cangiata in un orribile mostro con 6 teste e 12 braccia, e di più alla cintura una muta di cani latranti. Cariddi poi, benchè creduta figlia di Nettuno e di Gea, ossia della Terra, fu detto che si dilettava di assaltare i passeggieri e i naviganti, e di annegarli nel mare ; e che, fulminata da Giove, cadde nello stretto o faro di Messina, e vi formò una pericolosa voragine. […] « Come si può, poi che son dentro al muro « Giunti i nimici, ben difender rocca, « Così difender l’Orcá si potea « Dal paladin che nella gola avea.
Come poi facesse per ritornar nella notte dalla parte d’Oriente, i più antichi poeti, Omero ed Esiodo, l’hanno prudentemente taciuto : soltanto in appresso qualche mitologo inventò che il Sole, dopo di essersi riposato nel palazzo di Teti, entrava in fondo ad una nave d’oro col suo carro ed i suoi cavalli, ed era trasportato velocissimamente per mare, girando a settentrione, per ritornare in tempo la mattina all’Oriente. […] Era questa una delle 7 maraviglie del mondo, ma fu atterrata da un terremoto ; e poi i Saracini conquistatori di quell’isola ne venderono il metallo, di cui furon caricati 900 cammelli. […] Discorrendo di nobiltà di sangue 112) con un vanerello par suo, cioè con Epafo figlio di Giove e della Ninfa lo, già vacca e poi Dea, si trovò impegnato per fanciullesco puntiglio a dimostrare ad Epafo ed al mondo che egli era figlio di Apollo col guidar per un giorno il carro della luce. […] Gli zoologi poi adottarono il nome del favoleggiato serpente Pitone per darlo a un genere di rettili, in cui son compresi i serpenti dell’India e dell’Affrica, animali carnivori e formidabili per la loro gran forza muscolare. […] Quanto poi alla vanitosa illusione che le virtù degli avi passino col sangue nei loro discendenti, Dante la condanna con ragioni storiche e teologiche : « Jacomo e Federigo hanno i reami : « Del retaggio miglior nessun possiede.
Questo è l’ordito della favola, secondo i più ; ma poi vi si fanno sopra tanti ricami e intorno intorno tante aggiunte e frangie, da tener lungamente occupato chi volesse darne di tutte la descrizione e la spiegazione : è questo l’argomento prediletto non solo dei poeti, ma pur anco di molti filosofi nostri e stranieri. […] Il fuoco poi, come dice Bacone da Verulamio, è la mano delle mani, lo stromento degli stromenti, l’aiuto degli aiuti di tutte le arti degli uomini. […] Quanto poi al vaso di Pandora, onde, uscirono tutti i mali di questa Terra, l’espressione mitologica è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro che eruditissime. […] È poi molto notabile e filosofica l’interpretazione di Bacone da Verulamio che Pandora, unita in matrimonio coll’improvvido Epimeteo, significhi la voluttà e il mal costume che spasso derivano dalla raffinatezza delle arti e dal lusso nelle anime spensierate ed improvvide : dal che nascono tutti i mali che rovinano gli uomini e gli Stati85). Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo che a Pandora e al genere umano, non fa la più bella figura, come abbiam notato di sopra, nei suoi doveri poi, che diremmo domestici, vale a dire di marito e di padre, è anche più biasimevole.
— Eccone le differenze : Vesta Prisca fu considerata come la Terra appena separata dal Caos, e perciò priva di piante e di animali ; Cibele poi come la Terra ornata di tutte le produzioni dei tre regni della Natura, animale, vegetale e minerale, e Tellùre come il complesso delle forze fisiche della materia terrestre. […] Chiamavasi in greco e in latino Rhea (nome che fu poi dato anche alla madre di Romolo, Rhea Sylvia), da un greco verbo che significa scorrere, perchè dalla Terra scorrono, ossia provengono tutte le cose. […] Aveva poi molti altri nomi, come Berecinzia, Dindimene, Idèa 43, Pessinunzia, dai monti e dai luoghi ove era adorata. […] Eran poi chiamati Dattili, perchè eran dieci come le dita ; dal greco termine dactilos che significa dito. A Cibele era sacro il pino, perchè in quest’albero fu da lei cangiato un suo prediletto sacerdote chiamato Ati, che si era per disperazione mutilato e poi precipitato fra i dirupi e i sottoposti abissi di un monte.
Per gli usi del sacrifizio avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte che trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecitare quei primi ; ma non vedendo tornare nè questi nè quelli, vi andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte, che finiva di divorarsi l’ ultimo di essi. […] Questa fu da prima chiamata Cadmea dal nome di Cadmo, e poi Tebe, conservandosi però sempre il nome di Cadmea alla fortezza che fu primamente il nucleo della città. Il territorio poi fu detto Beozia dal greco nome dell’animale ivi trovato e sacrificato da Cadmo. […] In quanto poi ai guerrieri nati dai denti del serpente ucciso da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque che sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e popolare la città di Tebe ; e i loro nomi son questi : Echione, Udeo, Ctonio, Peloro e Iperènore. […] Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e che perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo che la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo che Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come afferma Pausania.
Anzi poichè la seconda fu più terribile e più decisiva della prima, e da quella in poi non corse più pericoli il regno di Giove, fu più celebrata la Gigantomachia ; e della guerra dei Titani poco o nulla si parlò dalla maggior parte dei poeti67. Anche Ovidio così erudito negli antichi miti, come dimostrano tutte le sue poesie e principalmente i Fasti e le Metamorfosi che ne son piene, si era accinto a cantar la guerra dei Giganti, e non dei Titani ; ma distratto da altre più facili poesie, e impedito poi dall’esilio non potè eseguire quel poema che aveva ideato. […] La famiglia dei Titani privata del trono, prima per frode, e poi per forza 69, esiliata dal Cielo ed oppressa, tenta di riacquistar colla forza ciò che colla forza erale stato tolto70. […] Il teatro della guerra fu dunque nella Grecia continentale sui confini della Macedonia colla Tessaglia ; e l’immane combattimento ebbe il nome di pugna di Flègra 74) dalla prossima antica città di questo nome, poi chiamata Pallène. […] I chimici poi che riconoscono coll’analisi l’esistenza del solfo nativo nei terreni vulcanici, specialmente in Sicilia e nella solfatara presso Pozzuoli nelle vicinanze di Napoli, troveranno, nella espressione dantesca di nascente solfo, indicata l’elaborazione e la fabbrica naturale di quello zolfo che essi, alludendo alla stessa origine, chiamano nativo 80).
La guarnizione del lembo era detta dai Greci πεϛα:, instita o segmentum dai Latini; onde poi si trovano menzionate dai Romani segmentatœ vestes. […] Inondatore, Prosclistio, perchè, adirato con Giunone, inondò un campo argivo; dove poi, come Pausania avverte, gli fu edificato un tempio. […] L’artefice, che si era sollevato fino a concepire una bellezza che con venisse ad un dio, l’ha poi espressa con tanta fé licita nel marmo, che sembra aver realizzato la sua idea con un semplice atto di volontà. […] Se questa sola basta ad incantare chi osserva questo bel simulacro nel tutto insieme, cresce poi il piacere a considerare le perfezioni d’ogni sua parte. […] La non originalità dell’Apollo era poi un argomento da estendere i dubbi sopra qualunque altra scultura.
Ma convien notare che tre di questi nomi, cioè il Sole, la Terra e la Luna son sinonimi di Apollo, Vesta e Diana, registrati di sopra tra i consiglieri di Giove ; poichè è avvenuto in tutte le religioni idolatre, che prima si diedero diversi nomi a una stessa divinità secondo i suoi diversi attributi, o poi questi diversi titoli a loro attribuiti furon considerati come rappresentanti altrettante divinità. Tal’altra volta poi di più divinità se ne fece una sola, amalgamando in essa tutti gli attributi di quelle che anticamente erano distinte9. […] La Genealogia degli Dei, ossia la loro filiazione e parentela (almeno dei principali), è necessaria a conoscersi nella Mitologia pel doppio scopo, che da quella si deducono spesso i rapporti di causa e di effetto considerati dagli antichi nei fenomeni del mondo, e poi perchè frequentemente i poeti, invece di rammentare una divinità col suo nome principale e più conosciuto, fanno uso del patronimico, ossia di un vocabolo derivato o composto dal nome del padre di quella data divinità. […] Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte, Vulcano ed Ebe ; e poi da altre Dee, ed anche da donne mortali, altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli che furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Diana, Mercurio e Bacco. […] I moderni, dopo l’invenzione del telescopio, scoprirono molti altri pianeti, e ai primi e principali da loro scoperti diedero il nome degli altri Dei superiori, esclusi soltanto l’Orco, ossia Plutone, Bacco e il Genio ; e poi ricorsero anche ai nomi delle divinità secondarie o inferiori ; e ora a quei pianeti che scuoprono di mano in mano quasi tutti gli anni, e qualche volta più d’uno all’ anno, attribuiscono un nome pur che sia ; e qualcuno dei più celebri scienziati, a preghiera dell’ astronomo scopritore, propone il nome da darsi al neo-scoperto pianeta ; il qual nome è subito comunicato a tutto l’orbe scientifico che lo registra premurosamente in tutti i suoi periodici e in tutte le carte uranografiche coi connotati caratteristici e distintivi, ossia con tutti quegli elementi astronomici che furono sino allora osservati e calcolati.
Il Padre Tebro poi, ossia il fiume Tevere, era un personaggio molto serio, ed in certi casi anche un poco profeta. […] Si rappresentano generalmente seduti in un terreno alquanto declive e colle gambe stese per indicare il corso del fiume e la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di essi presso di sè un’urna da cui esce l’acqua per significar la sorgente ; e se il fiume è navigabile, si pone in mano alla figura del Dio un remo : se poi il suo corso si dirama in due o più alvei, si aggiungono sulla fronte del Nume due corna. […] I fiumi poi della Troade eran piccini, ma furiosi. […] E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero. […] ch’io la fugga, e poi « Contento patirò qual sia sventura.
Inaco, oriundo di Fenicia o d’Egitto, conduce una colonia nel paese che poi fu detto Argolide. — Molte fondazioni furono poi fatte dai suoi figli e nipoti, detti Inachidi. […] Fabbrica una piccola città, detta Cecropia, che fu poi l’Acropoli (città alta). […] Cadmo, figlio d’Agenoro re di Fenicia, non potendo rinvenire la sorella Europa rapita da Giove (vedi la favola), conduce una colonia nella Beozia, fonda Cadmea, che fu poi la cittadella di Tebe ; introduce in Grecia la scrittura alfabetica, il commercio ec. […] Deucalione si rifugia colla sua moglie Pirra sul monte Parnaso, e poi ripopola la Tessaglia.
Da Ares, greco nome di questo Dio, derivò e fu composto il termine di Areopago, che propriamente ed etimologicamente significa borgo di Marte ; e poi sotto questo nome fu istituito da Solone il famoso tribunale dell’Areopago, di tanta sapienza e integrità, che vi eran portate a decidere le liti anche dagli stranieri. Come poi in questo nome tanto del borgo di Atene quanto del tribunale vi entrasse Marte, lo dice la Mitologia. Marte fu accusato da Nettuno di avergli ucciso contro ogni ragione il suo figlio Alitrozio ; e fu scelto un consesso di 12 Dei per giudicarlo, e il dibattimento ebbe luogo in un borgo d’Atene che d’allora in poi fu chiamato perciò Areopago. […] I Greci fecero poche immagini sculte o dipinte del Dio Marte, prima perchè non era il Dio per cui avessero maggior devozione, e poi perchè il truce soggetto pareva loro che ripugnasse alla squisitezza della greca eleganza. […] E inoltre Dante ricorda che Firenze, quand’era pagana, aveva per suo protettore Marte, che cangiò nel Battista, allorchè divenne cristiana, facendo dire (nel Canto xiii dell’Inferno) a quell’anima, che fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui della città che nel Batista « Cangiò il primo padrone, ond’ei per questo « Sempre coll’arte sua la farà trista. » E-aggiunge che vi rimaneva ancora a quel tempo sul ponte vecchio l’antica statua un po’guasta del Dio Marte : « E se non fosse che sul passo d’Arno « Rimane ancor di lui alcuna vista, « Quei cittadin che poi la rifondarno « Sovra ’l cener che d’Attila rimase178 « Avrebber fatto lavorare indarno. » A Marte era sacro il gallo, animale vigile e pugnace, emblema della vigilanza e del coraggio necessario nelle battaglie.
Noi abbiamo già detto nel corso di questa Mitologia che la Ninfa Carmenta era madre di Evandro, e che esulando insieme col figlio venne nel Lazio e fissò la sua dimora su quel monte che poi fu detto il Palatino. Quanto poi a Porrima e Posverta, Ovidio e Macrobio asseriscono che esse erano o sorelle o compagne di Carmenta, e che la prima, cioè Porrima, indovinava le cose accadute, e la seconda, cioè Posverta, le future. […] Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse. […] Ovidio poi confessa che non sa qual Dio sia (quisquis is est). […] Zandonella in un suo articolo inserito nell’Ateneo di Firenze del 15 febbraio 1874, esaminando il nome Monsummano « applicato a borgo e monte nel Veneto e nella Val di Nievole » mentre non approva « l’etimologia di Monsummano da Sommo Mane (il Plutone dei Pagani) che fu adottata dal Proposto Gori e poi dal Tigri nella descrizione di Pistoia e suo territorio, » e invece riconosce giusta la conclusione del Preller, non nasconde per altro che le notizie date dal dotto autore tedesco non discordano punto da quelle, più erudite del Giornale Arcadico stampato in Roma nel 1820, cioè mezzo secolo prima degli scritti del Preller. — Avvertimento agli ammiratori di tutto ciò che è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò che è nostro.
Aggiungono alcuni mitologi, che un giorno questa Dea nell’esercizio del suo ministero cadde sconciamente e destò l’ilarità degli Dei, e d’allora in poi non volle più servirli a mensa ; e Giove le sostituì un coppiere di stirpe dei mortali, Ganimede figlio di Troo re di Troia, facendolo rapire dalla sua aquila e rendendolo immortale. […] Favoriva sì e proteggeva essa quei popoli che le erano più devoti, come gli Argivi, i Samii, i Cartaginesi ; ma guai a coloro che avessero la disgrazia di dispiacerle, specialmente poi se Giove o qualche Dea sua nemica li proteggesse, o fossero parenti od anche soltanto connazionali di qualche donna preferita da Giove. […] Mercurio però col canto, col suono e con un soporifero fece completamente addormentare Argo, gli chiuse tutti i cento occhi, e poi gli tagliò la testa e liberò la vacca. […] Per liberarsi dal quale l’imbestiata e dolente Io fu costretta a gettarsi nel mare, che traversò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da quei feticisti egiziani che adoravano le bestie fu ricevuta e adorata come una Dea, e restituita poi da Giove nella primiera forma fu venerata sotto il nome di dea Iside. […] Il nome poi di Argo è rimasto celebre in tutte le lingue moderne affini alla greca ed alla latina, per significare antonomasticamente un uomo oculatissimo, cioè vigilantissimo ed a cui nulla sfugga.
Raccontano dunque i poeti che l’esule Saturno, dopo essere andato errando per l’orbe terrestre, venne per nave sul Tevere29), e fu accolto ospitalmente dal re Giano ; che il territorio di quel regno in memoria di Saturno fu da prima chiamato terra Saturnia, e poi Lazio, termine che derivando dal verbo latino latère significa nascondiglio, perchè vi si era nascosto, ossia rifugiato, quel Dio30. […] » All’età dell’oro successe quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro, di mano in mano che gli uomini peggiorarono. […] Il serpente poi che mordendosi la coda forma un circolo, appella soltanto al tempo che è la continua successione dei momenti35. […] Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano stesso due singolari privilegi, quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato. […] Quattro faccie poi gli avranno servito anche meglio pel disimpegno di tutti i suoi molteplici uffici.
La parola Erme fu poi usata in greco e in latino a significare il busto del dio Mercurio posto sopra una colonnetta ; e in questa stessa significazione si adopra tuttora in italiano, ma estendendola a indicare qualunque busto di Dei o d’uomini, posto egualmente sopra una piccola colonna. […] E perciò dicono che Mercurio ancor fanciullo rubò le giovenche e gli strali ad Apollo, e poi il cinto a Venere, il tridente a Nettuno, la spada a Marte e perfino lo scettro a Giove. […] La borsa poi, piena di danari, alludeva evidentemente alle umane contrattazioni, poichè il danaro è il rappresentante di tutti gli oggetti godevoli, o, come dice l’inglese Hume, è l’olio che fa girar facilmente e senza attrito le ruote della gran macchina sociale. […] Raccontano i poeti che quando Mercurio rubò le vacche ad Apollo, incontrò per via il pastor Batto, al quale regalò una giovenca perchè non lo scuoprisse ; ma poi per provar la sua fede prese la forma di un altro che cercasse il ladro di quell’armento e promise a Batto una vacca e un bove, se glie ne indicava le traccie. […] Si noti quell’epiteto di jocoso dato al furto, il quale significa che Mercurio rubava per ischerzo, sottintendendosi perciò che poi restituiva ai proprietarii gli oggetti rubati.
Da prima pareva che Amfitrite acconsentisse a questo matrimonio, ma poi avendo cangiato di avviso, Nettuno le mandò due eloquentissimi delfini a persuaderla ; i quali adempiron così bene la loro commissione, che condussero seco, portandola alternativamente sul loro dorso, la sposa a Nettuno ; ed egli per gratitudine li trasformò nella costellazione dei Pesci, che è uno dei dodici segni del Zodiaco. […] Ma lasciamo raccontare a Dante la sventura di questa famiglia ; e poi poche altre parole basteranno a compir la narrazione del mito. « Nel tempo che Giunone era crucciata « Per Semelè contra ’l sangue tebano, « Come mostrò già una ed altra fiata, « Atamante divenne tanto insano, « Che veggendo la moglie co’due figli « Andar carcata da ciascuna mano « Gridò : tendiam le reti sì ch’io pigli « La lionessa e i lioncini al varco : « E poi distese i dispietati artigli « Prendendo l’un ch’avea nome Learco, « E rotollo e percosselo ad un sasso ; « E quella s’annegò con l’altro incarco »221. […] Di Glauco poi raccontano uno dei più strani e singolari miti, unico nel suo genere ; e di cui nulladimeno seppe valersi Dante come di similitudine per dare idea di uno dei suoi più straordinarii e sublimi concetti. […] Il Giusti attribuisce principalmente alla famiglia dei Medici la distruzione delle libertà d’Italia, dicendo che essa ordì « Una tela di cabale e d’inganni « Che fu tessuta poi per trecent’anni ; » ed eran precisamente 300, quando il Giusti così scriveva, cominciando a contare da Cosimo I.
Aggiungendovisi poi le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo che essi potessero accogliere nel loro numero e nel loro consesso qualunque mortale benchè scellerato ed empio, come furono i più degli Imperatori romani. […] xxii del Purgatorio, relativamente a questi primi Cristiani : « Vennermi poi parendo tanto santi, « Che quando Domizian li perseguette, « Senza mio lagrimar non fur lor pianti. […] Quando poi cessarono le persecuzioni, e i re stessi e gl’imperatori divenner cristiani, si dileguò ben presto il politeismo dal mondo romano, e il Cristianesimo si diffuse pur anco fra i popoli barbari, fuor dei confini del romano impero. […] I più ostinati a conservare il culto dei falsi Dei furono gli abitanti delle campagne e dei villaggi o borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato da pagus che significa borgo o villaggio), e perciò il politeismo stesso fu detto il Paganesimo ; il qual termine divenne poi, tanto in prosa quanto in poesia, più comune e più usato che gli altri due di politeismo e di gentilesimo 169.
Il discredito poi in che venne il politeismo presso i Romani crebbe a dismisura, e si mutò in disprezzo generale, quando un vile ossequio agl’imperatori introdusse l’apoteosi, colla quale vennero annoverati tra gli Dei anche i più scellerati mostri che sedettero sul trono imperiale di Roma. […] Ma se la condanneranno senza udirla, oltre al biasimo d’iniquità, meriteranno il sospetto di non retta coscienza, non volendo saper quello che, saputo, non potrebbero poi condannare. […] Se poi la ragione d’odiare è palese, allora niente si diminuisca quest’odio, ma più s’accresca e si perseveri in esso, operandosi così coll’ autorità della giustizia medesima. […] Con noi poi non fate così ; ancorchè bisognerebbe pure chiarirsi di quello che falsamente si va di noi vociferando, cioè quanti infanticidj148 fatti abbiamo per imbandire i conviti, e quanti altri delitti tra le tenebre si sian commessi ; quali siano stati i cuochi ed i cani assistenti. […] Ma di quanti anni non avrebbe poi avuto bisogno questo albero dei popoli prima di stendere i suoi rami di nuovo su tutte quelle reliquie ?
XXXVIII Gli Dei Penati e gli Dei Lari Se dovessimo prendere ad esaminare le diverse opinioni degli eruditi intorno a questi Dei, faremmo un lavoro arduo e poco piacevole, e poi senza alcun frutto, perchè non è possibile conciliarle tra loro, nè scuoprire chi meglio abbia colto nel segno. […] Vedemmo altrove che lo stesso Dante rammenta Marte come il primo patrono di Firenze, che poi i cittadini divenuti cristiani cangiarono nel Battista 36. […] Riguardo poi all’ etimologia del titolo di questi Dei, che furon portati in Italia « ……. da quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia, » lasceremo decidere ai solenni filologi di professione se il vocabolo stesso Penati discenda in linea retta o collaterale dal troiano linguaggio, come i Romani dai Troiani. […] Sappiamo poi che nelle case dei più ricchi politeisti romani v’era il Larario, ossia la cappella dei Lari ; e nelle altre, almeno un tabernacolo colle statue o immagini di questi Dei, le quali spesso ponevansi ancora dentro certe nicchie nei focolari, parola questa che alcuni etimologisti notano come composta colla voce Lari 38.
E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. […] I sacerdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di che facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tutto il popolo ; ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano che si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo ne faceva maravigliosa festa. Con queste stravaganti cerimonie volevasi alludere alla favola o tradizione Egizia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello Osiride ; e che questi poi fosse trasformato in bove. […] Quest’atto è anche segno di stare attenti, come abbiamo in Dante : « Perch’io, acciò che ‘l Duca stesse attento, « Mi posi il dito su dal mento al naso. » I Latini poi, e fra questi Catullo, usarono la frase reddere aliquem Harpocratem per significare ridurre qualcuno al silenzio.
Trovarono da per tutto orribili delitti, nefandità di nuova idea ; e saputo tra le altre cose, che v’era un re d’Arcadia, Licaone figlio di Pelasgo, il quale imbandiva agli ospiti nuovamente venuti le carni di quelli arrivati prima, e facea poi servir di pasto le carni loro agli ospiti che arrivavano dopo, volle presentarsi egli stesso all’infame reggia divenuta macello e cucina di carne umana. […] La durata poi delle diverse epoche dei precedenti diluvii preistorici non si conta a giorni e a mesi, ma a migliaia e migliaia d’anni, come avviene di tutte le così dette epoche geologiche90). […] L’appellativo poi di plutoniche derivato dal nome di Plutone dio dell’Inferno sembrerebbe che volesse indicare presso a poco le stesse qualità delle roccie vulcaniche ; ma siccome l’Inferno dei Pagani non consisteva soltant o nel Tartaro, luogo di pena, nè le pene eran tutte di fuoco, perciò i geologi chiamaron plutoniche quelle roccie che erano affini in alcuni dei loro caratteri alle vulcaniche, ma ne differivano in altri, accostandosi più alle materie o roccie sedimentarie. […] Infatti, secondo la teoria di Hutton, adottata generalmente come la più probabile, dice il geologo Strafforello, i materiali di questi strati furono depositati originariamente dall’acqua nella solita forma di sedimento, ma furono poi alterati e quasi cristallizzati dal calore sotterranco del sottoposto strato vulcanico.
In ogni caso poi il loro zelo era sostenuto dai ricchi guadagni e dai lauti banchetti a spese dei creduli. […] Prima furon tre soli ; il flamine di Giove, quello di Marte e quello di Quirino ; poi arrivarono a quindici. […] Prima furono tre, poi sci, a detla di Cicerone, e gionsero fino a dieci, secondo che attesla Valerio Massimo. […] In Roma furono prima tre auguri islituiti da Romolo ; poi quattro, e più ; Silla no creò fin quindici, per accrescere appoggi alla sua tiranuide.
Esiodo poi lasciò scritto che Venere nacque dalla schiuma del mare. […] In molti altri luoghi fu poi venerata, in Citera, in Pafo, in Idalio, in Àmatunta, in Gnido, ed ebbe da questi luoghi del suo culto i titoli di Citerèa, Pafia, Idalia ecc., tanto frequenti nei poeti classici latini e greci ; e quelli specialmente di Ciprigna e di Citerèa anche negl’italiani e nello stesso Dante183. […] Venere era considerata in principio come Dea dell’Amore, e poi le fu aggiunto per questo particolare attributo un figlio chiamato Eros dai Greci e Cupido dai Latini186 ; ed inoltre un corteo di tre figlie col nome a tutte comune di Càriti in greco e di Grazie in latino, e con un altro proprio e particolare a ciascuna di esse, cioè Aglaia, Talìa ed Eufrosine. […] Cominciarono a dire che questa Dea, per la sua singolare e impareggiabil bellezza, era ambita in isposa da tutti gli Dei ; e questo è naturale e probabilissimo, e non sta di certo a disdoro di Venere ; ma poi vi aggiunsero che per voler di Giove suo padre fu data in moglie al più brutto, e che per di più era zoppo e tutto affumicato e fuligginoso per l’esercizio della sua professione di fabbro.
In Dante poi era sì grande e sì fervente il culto per queste Dee, che per loro, dice egli stesso, soffrì la fame e la sete, e si privò del sonno : « O sacrosante vergini, se fami, « Seti e vigilie sol per voi soffersi, « Cagion mi sprona ch’io mercè ne chiami. » E qual’è la mercede o il premio che egli ne chiede ? […] Ora però è a dirsi che i poeti hanno attribuito anche a sè stessi in gran parte questa facoltà di presagire il futuro, dicendosi inspirati dal loro Dio ; e perciò si chiamarono Vati, cioè indovini o profeti : dalla qual voce poi si derivò e compose il nome vaticinio e il verbo vaticinare 131. […] A Dante non sfuggì neppur questo mito ; anzi per la stessa ragion che lo mosse nella invocazione alle Muse a rammentare la punizione delle Piche, cioè a terrore degl’invidi, rammentò poi nell’invocare Apollo la punizione di Marsia : « Entra nel petto mio, e spira tue, « Sì come quando Marsia traesti « Dalla vagina delle membra sue. » (Parad. […] Il lauro d’allora in poi fu sempre la pianta sacra ad Apollo, che se ne fece una corona di cui portò sempre cinta la fronte ; e i poeti subito lo imitarono, e dopo i poeti anche i generali trionfanti e tutti gl’ imperatori, ancorchè non fossero poeti nè mai stati alla guerra.
Atamante re di Tebe, che sposò in seconde nozze Ino divenuta poi la Dea Leucotoe, aveva della sua prima moglie Nèfele un figlio e una figlia di nome Frisso ed Elle ; che non contenti della matrigna fuggirono dalla casa paterna portando via un grosso montone col vello d’oro, donato già dagli Dei ad Atamante ; e montati a cavallo su quell’animale, lo spinsero in mare per farsi trasportar da esso fra le onde sino alla Colchide. […] La sola Issipile, figlia del re Toante, con pietosa frode salvò la vita a suo padre ; e meritava perciò una miglior sorte di quella che si racconta di essa, poichè giunto in quell’isola insieme cogli altri Argonauti Giasone, « Ivi con segni e con parole ornate « Issifile ingannò la giovinetta, « Che prima tutte l’altre avea ingannate ; » e poi traditane la buona fede la lasciò alle persecuzioni delle sue crudeli compagne, che scoperta la sua pietà filiale, le tolsero il trono e la cacciarono dal regno. […] Approdati gli Argonauti nella Tracia o bene accolti da Fineo, vollero per gratitudine liberarlo dalle Arpie, ed oltre a cacciarle dalla reggia colle armi, le fecero inseguire per aria da Calai e Zete, figli di Borea, che avevano le ali come il loro padre ; i quali le respinsero fino alle isole Strofadi, ove poi furono trovate da Enea nel venire in Italia, come a suo luogo diremo. […] « Prende la briglia e salta su gli arcioni « Dell’Ippogrifo ed il bel corno afferra ; « E con cenni allo scalco poi comanda « Che riponga la mensa e la vivanda.
Personificato il Cielo, ossia considerato come una persona divina, si pensò a personificare analogamente le altre parti o forze dell’Universo ; e poi perchè queste divine persone riuscissero intelligibili e paressero possibili al volgo, attribuirono ad esse bisogni, abitudini, idee e passioni come alle persone di questo mondo. […] Titano in prima, e poi un suo figlio chiamato Iperione ebbero l’ufficio di guidare il carro del Sole per distribuire la luce al mondo ; perciò i nomi di Titano e di Iperione si trovano usati in poesia come sinonimi del Sole. Quando poi fu nato e cresciuto.
E che questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse adorata in Alba e vi avesse un tempio e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non che da tutti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo zio Amulio a farsi Vestale. […] Alcuni autori dicono che la Vestale colpevole era calata in una stanza sotterranea nel campo scellerato, e postole appresso un pane, un vaso d’acqua ed un lume, vi era chiusa ermeticamente e abbandonata senz’altro al suo orribile destino. — Questo modo però potrebbe far sospettare il caso probabile che qualcuno andasse segretamente a liberarla e la tenesse altrove nascosta o incognita pel rimanente dei suoi giorni. — Altri poi asseriscono che si calava nella solita stanza sotterranea, ma subito dopo le si gettava sopra tanta terra da riempire tutto il sotterraneo ; e la morte così era inevitabile, ma meno crudele e orribile che nel primo caso. Al secondo modo era simile la pena detta della propaginazione, che davasi nel Medio Evo agli assassini, seppellendoli vivi in una fossa cilindrica, stretta e profonda : alla qual pena allude Dante con una celebre similitudine nel descriver la terza bolgia dell’ Inferno, nella quale son puniti i Simoniaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte cessa, » e in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco al perfido assassino.
Il titolo poi d’Idolatri (esso pure di greca origine, e che significa adoratori delle immagini sculte o dipinte) era dato ai Pagani, perchè rappresentavano e adoravano i loro Dei sotto forme materiali di uomini e di bruti. […] La cognizione di questi simboli è necessaria a qualunque italiano desideri accostarsi « ……….. ove più versi « Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Quanto poi alle idee mitologiche dei classici greci e latini riporto nel testo, per chi non conosce le lingue dotte, gli opportuni esempi tratti dalle migliori traduzioni italiane, e registro in nota alcune più speciali citazioni di erudizione linguistica e letteraria a maggiore utilità degli scolari dei ginnasii. […] Considerando poi che le Arti Belle non hanno mai cessato da tremila anni, neppur dopo la caduta della religione pagana, di rappresentare in tavole e in tele, in bronzi e in marmi le più poetiche e leggiadre personificazioni delle idee mitologiche ; e che di tal genere trovansi antichi e moderni capi d’opera di scultura e di pittura, non solo nelle pubbliche gallerie e nei palagi dei maggiorenti, ma pur anco nelle piazze e nelle strade, non in Roma soltanto, ma per tutta Italia, la cognizione della Mitologia si rende necessaria non solo ai cultori delle Arti Belle, ma altresì a chiunque non ami di apparir rozzo ed insensibile al bello artistico, che tanti stranieri richiama dalle più lontane regioni in Italia ad ammirarlo.
Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divennero anche più celebri in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace e Laerte di Ulisse ; dei quali tutti dovremo parlare anche in appresso.
Minerva poi è voce di origine tutta latina, e Cicerone stesso ne dà l’etimologia derivandola dai verbi minuere e minitari (diminuire e minacciare) ; e perciò sotto questo nome sarebbe considerata come della guerra. […] Perchè poi fosse sacro a Minerva quell’animale notturno, rispondono i poeti, perchè le recava notizie di quel che accadeva di notte ; e si voleva significare che l’ingegno vede e scuopre le cose che agli altri restano oscure ed ignote. […] Il nome di Pallade poi trovasi del pari figuratamente usato nella poesia latina a significare l’olio 172.
Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. […] Quando poi s’incominciò a rappresentare l’estate presso a poco come Cerere, cioè colla corona e col covone di spighe, e inoltre la falce da grano, parve anche necessario l’aggiungere il distintivo del mazzo di papaveri all’immagine della dea Cerere.
I poeti poi quasi tutti, ed anche gl’italiani, rammentano il vago della Luna, Endimione e la sua Diva, il dormitore di Latmo. […] La qual’orsa fu poi da Giove trasformata in una costellazione per impedire un matricidio, vale a dire che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, bravo cacciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sapendo che fosse sua madre, stava per trafiggerla con un dardo. […] Il volgo però vi presta va pienissima fede, e tanto più allora quando in alcuni luoghi invalse l’uso nei trivii di offrir delle cene ad Ecate, che lasciate intatte da questa Dea eran poi ben volentieri divorate dai poveri.
Il Lete poi aveva il suo corso fra i due dipartimenti del Tartaro e degli Elisii, e le sue acque piacevoli a beversi producevano l’oblio del passato e perfino della propria esistenza ; e queste davansi a bevere a quelle anime, che, secondo la dottrina della Metempsicosi di cui parleremo in appresso, dovevano ritornare nel mondo a dar vita a nuovi corpi. […] La stessa Astronomia ha portato e porta continuamente molti materiali per questo nuovo edifizio scientifico, e adotta l’ipotesi molto accreditata che la Terra e gli altri pianeti fossero in origine stati parte della materia ignea componente il globo solare, e poi distaccati da quello in forza del movimento di rotazione. […] Se poi si considerano i dati scientifici su cui si fondano i calcoli di centinaia di secoli che passarono dall’una all’altra epoca geologica prima che si compiessero le formazioni delle diverse rocce ; e si riflette filosoficamente che infinite specie di animali terrestri, aquatici ed amfibii, di forze e di forme « Maravigliose ad ogni cor securo, » furon cancellate dal libro dei viventi e fossilizzate dal tempo e dagli occulti agenti chimici sotterranei, avremo anche per la fantasia un campo molto più vasto di quello delle invenzioni mitologiche ; e riconosceremo che la mente dell’uomo non sa immaginare neppur la millesima parte delle maraviglie che la scienza tuttodì va scuoprendo nelle operazioni e nelle leggi della Natura.
Ma o prima o poi che l’infortunio accadesse, anche Omero chiama Vulcano l’inclito zoppo, e come zoppo Vulcano è conosciuto questo Nume anche dal nostro volgo ; e la fama dei suoi esterni difetti, benchè a lui non imputabili, si è maggiormente diffusa (come accade pur troppo nel mondo) ed è stata più durevole di quella dei suoi rarissimi pregi nella Metallurgia. […] Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. […] Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ?
Siccome poi, come dicemmo fin da principio, avevan foggiato i loro Dei a somiglianza degli uomini, così dopo averne ideati dei buoni e dei cattivi, ne immaginarono ancora degli scioperati e dei fannulloni, come da Esiodo son chiamati i Satiri. […] Da prima era stato ricevuto nella corte celeste come buffone degli Dei, ma poi ne fu scacciato per la sua soverchia insolenza. […] Quel giorno che fu il 21 di aprile divenne poi celebre e festeggiato solennemente anche in Roma come l’anniversario della fondazione di essa20, e tuttora si celebra e si solennizza, ma in altro modo, dai moderni Romani dopo 2628 anni.
I primi Cristiani attribuirono gli Oracoli all’opera dei Demònii, ed asserivano che la potenza di questi era cessata col sorger del Cristianesimo ; e così assegnavano gratuitamente e senza necessità una causa soprannaturale a ciò che era l’effetto naturalissimo della impostura dei sacerdoti pagani, da prima nascosta ed ignota, e poi a poco a poco scoperta e smascherata. […] Fu poi riconosciuto anche dai filosofi che i primi civilizzatori dei popoli si valsero del principio teocratico, facendosi credere o figli degli Dei o interpreti dei supremi voleri di quelli, per rimuovere i primitivi uomini ignoranti e barbari dalla vita selvaggia e brutale e condurli a collegarsi ed unirsi fra loro in un più umano consorzio. […] Se ne trovano riportate alcune anche nei libri di rettorica e belle lettere, come quella che si suppone data a Pirro re dell’Epiro prima di muover guerra ai Romani : « Aio te, Æacida, Romanos vincere posse. » E l’altra : « Ibis, redibis, non, in bello morieris. » Notabilissima è poi la risposta dell’Oracolo di Delfo ai figli di Tarquinio il Superbo che insieme con Bruto erano andati a consultarlo per sapere chi dovesse regnare in Roma.
In italiano poi dal nome di Bacco è derivata la parola baccano che significa rumore strepitoso e selvaggio di gente che sembra impazzata. […] Arianna (per chi non lo sapesse) significa molto piacente ; e Bacco a cui piaceva il bello ed il buono se ne trovò molto contento, e le regalò come dono nuziale una preziosissima corona d’oro e di gemme, opera egregia di Vulcano, la quale poi fu cangiata in una costellazione che porta ancora il nome di corona di Arianna. […] Fu poi generosissimo co’suoi devoti cultori, ma i suoi doni erano pericolosi per la sovrabbondanza stessa con cui li accordava, talchè divenivano facilmente dannosi, come avvenne a Mida figlio di Gordio re dei Frigii.
A tempo dei re di Roma fu deificato soltanto Romolo, ma per gherminella politica dopo che i Senatori lo ebbero segretamente ucciso ; i quali non sapendo poi come acquietare il popolo che ricercava il suo re guerriero, gli fecero credere per mezzo di Procolo che fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e che bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. […] Se poi facevasi l’apoteosi di una Imperatrice, invece di un’aquila sostituivasi un pavone, uccello sacro alla Dea Giunone.
Sappiamo poi dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del Cristianesimo (i quali studiavano con gran premura ed attenzione la Mitologia per dimostrare le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità che non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2, che posteriormente furon perduti o distrutti nelle successive invasioni dei Barbari. […] Agostino, cioè in più di quattro secoli, poichè i Pagani avevano libertà di adottare anche gli Dei stranieri, e poi per mezzo della cerimonia detta l’Apoteosi facevano diventar Divi i loro Imperatori dopo la morte, e spesso li consideravano tali anche in vita4.
Il suo vero nome primitivo era Ipponoo ; ed è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte, che gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller suo fratello ; di che rimase poi sempre dolente e mesto52. […] D’allora in poi lettere di Bellerofonte furono dette per antonomasia dai Pagani simili lettere proditorie53.
Ma poi nel cadere della Repubblica e nei primi tempi dell’Impero sappiamo non solo dagli Storici, ma dai poeti stessi imperiali, che la corruzione avea dal mondo romano bandita ogni virtù religiosa e civile. […] Ma ognuno poi l’interpretava a suo modo e secondo le sue proprie passioni ; e lo spirito di vendetta tanto potente e feroce nei secoli barbari, ben poco perdè della sua forza e della sua intensità nei secoli così detti civili, neppure dopo la promulgazione dell’ Evangelio che santificò il perdono e l’oblio delle offese.
Scendendo ora a parlare dei principali Eroi, e Semidei e Indigeti di quest’epoca, convien prima di tutto determinare l’estensione, o vogliam dire la durata dell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca. » Volendo poi determinare cronologicamente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso della distruzione di Troia, poichè si trova in taluni Autori la differenza di più di un secolo ; ma seguendo la Cronologia greca più accreditata colle modificazioni di Petit-Radel nel suo Examen critique, troveremo almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia. […] Degli altri dirò a mano a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e di quelli che si trovarono insieme in una data spedizione prima accennerò brevemente le particolari qualità di ciascuno di essi, e poi li metterò in azione tutti insieme ; parlando più a lungo del capo o protagonista di quella impresa nel narrare l’impresa stessa.
Della sampogna poi convien raccontare pur anco l’origine mitologica. […] Evandro aveva fissata la sua residenza su quel monte che egli chiamò Palatino dal nome di suo figlio Pallante, ed ove poi fu da Romolo fabbricata l’eterna città.
Questa giovane, e leggiadra Dea, essendo caduta in presenza degli Dei, lasciò pur essa un tale impiego, dato poi da Giove al suo caro Ganimede1. […] Come protettore del commercio porta una borsa di cuojo : allorchè poi è incaricato di condurre le ombre de’ morti all’inferno, gli si dà una semplice bacchetta1. […] Frisso più fortunato guadagnò l’opposta riva, e continuando il suo viaggio arrivò in Colco, ove offerì in sacrifizio a Marte quel bello ariete, che fu poi collocato in un campo consagrato a quel Dio, e sotto la custodia di un dragone terribile. […] I poeti primi teologi, ed inventori d’immaginarie sostanze animate o di Dei, o di Eroi spacciavano presso il popolo tuttociò che per tradizione loro era stato tramandato, che abbellivano poi con i parti della loro fantasia. […] Euridice vuol dire due volte perduto, come accadde alla moglie di Loth dal marito posta in salvo, e che poi nuovamente Loth istesso perdette.
La sola Ipermestra salvò la vita al suo sposo Linceo ; e questi poi compì quanto aveva predetto l’oracolo, uccidendo il suocero in battaglia. […] Mirabile è poi in sommo grado, e al tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra che usura offende la divina bontade ; e perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno.
Giovi poi ripetere come la traduzione di quest’opera non sia un semplice volgarizzamento, giacchè il Signor Pietro Thouar l’ha in gran parte rifusa e vi ha fatte delle notabili aggiunte le quali consistono in molte e nuove illustrazioni poetiche dei fatti mitologici, cavate da alcuni dei nostri più valenti poeti ; in una Cronologia mitologica, ossia indicazione delle più notabili epoche storiche alle quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice che contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo.
» Ci siamo poi studiati di render profittevole alla morale questa lettura, eccitando i giovinetti a ricavare utili avvertimenti da ciò che per lo più era di solo pascolo alla curiosità giovanile.
Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutte le altre parole che ora vi si leggono ; e non si contentò di dirmelo a voce in familiare conversazione, ma lo ripetè in una delle lettere ch’egli ebbe occasione di scrivermi ; e poi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo della Nuova Antologia, che egli mi suggeriva di adottare il soprascritto titolo.
Nella terza poi vedremo cambiarsi la scena : le grandi virtù, congiunte sempre a grandissima forza fisica, si considerano incarnate negli uomini dalle Divinità per mezzo di matrimonii misti, che danno origine ai Semidei ed agli Eroi ; e questi son sempre in lotta coi mostri e coi grandi scellerati e ne purgano il mondo.