/ 70
14. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

Posson vedersi nella Galleria di Palazzo Pitti i Satiri di Tiziano nel suo quadro dei Baccanali ; nella Galleria degli Uffizi il Satirino che di nascosto pilucca l’uva a Bacco ebrio, gruppo di Michelangiolo, tanto lodato dal Vasari e dal Varchi13. […] Tale è l’antica statua di Sileno col piccolo Bacco nelle braccia, che trovasi nella villa Pinciana, e di cui una copia in bronzo esiste nel primo vestibolo della Galleria degli Uffizi in Firenze ; e come vedesi pure nel quadro dei Baccanali di Rubens, che è parimente nella stessa Galleria. […] Da prima era stato ricevuto nella corte celeste come buffone degli Dei, ma poi ne fu scacciato per la sua soverchia insolenza. […] Il Varchi nella sua elaboratissima Orazione funebre in morte del Buonarroti, la quale egli recitò nella Chiesa di S. […] Una delle più celebri statue di Fauno è quella che vedesi nella Tribuna della Galleria degli Uffizi.

15. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

Il politeismo era ancora in fiore, più che altrove, nella Grecia, qualora se ne giudichi dalle statue, dai tempj, dai monumenti consacrati alla religione. […] Pare che la Grecia non potesse abbandonare l’idolatria nella stessa guisa che non poteva ripudiare le arti. […] Dal tempo di Ciro gli Ebrei s’erano qua e là dispersi nella Siria, nella Persia e fino nell’India ; dopo Alessandro trovavansi in gran numero nelle province dell’Asia minore e dell’Egitto ; sotto Pompeo penetrarono nell’Italia, e in tutte le parti dell’imperio. […] E di vero esso non ebbe a lottare se non colle passioni, gl’interessi e le opinioni dominanti in tutto l’universo I Armato d’una croce di legno, fu veduto a un tratto avanzarsi in mezzo ai pazzi tripudj ed alle sguajate religioni d’un mondo invecchiato nella corruzione. […] Uno si ciba quanto basta per sedare alquanto la fame : si beve quanto giova ad uomini pudichi ; onde si satollano in maniera da non si scordare di dovere nella notte levarsi ad adorare Dio.

16. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

Di Apollo esistono molte statue ; una delle quali, che è una maraviglia dell’ arte greca, ammirasi nella galleria del Vaticano in Roma, ed è chiamata l’Apollo di Belvedere. Un’altra mirabile statua di Apollo giovane, detta perciò volgarmente l’Apollino, può vedersi nella tribuna della galleria degli Uffizi in Firenze. […] E coll’approvazione dell’ ambiziosa sua madre Climene andò nella sublime reggia di Apollo e chiese al padre una grazia, prègandolo a giurare per le acque del fiume Stige che non glie l’avrebbe negata. […] Questa favola di Fetonte è descritta e celebrata da molti poeti e principalmente da Ovidio nelle Metamorfosi ; e lo stesso Dante trova il modo di parlarne più volte nella Divina Commedia. […] Apollo fu celebrato ancora come infallibile arciero, ed ecco perchè rappresentasi spesso con l’arco e con gli strali ; e noi abbiamo veduto nel N° XIII che egli nella guerra dei Giganti non fu uno di quei Numi paurosi che fuggirono e si nascosero, ma costantemente aiutò il padre e i fratelli saettando i nemici.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

Giove così volle premiar Vulcano di averlo aiutato efficacemente nella battaglia di Flegra fabbricandogli i fulmini con cui atterrò e vinse i Giganti. […] Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre. […] Di Enea figlio di Venere e di Anchise dovremo parlare a lungo nella celebre guerra dei Greci contro la città di Troia, e nelle origini mitologiche del popolo romano. […] Inoltre ella produsse l’anemone trasformando in questo fiore il giovane Adone da lei favorito e protetto, e che fu ucciso nella caccia da un cinghiale. […] Esiste anche in Firenze nella Galleria degli Uffizi una vaghissima pittura del Botticelli rappresentante Venere nel modo qui sopra descritto.

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Tra i lavori moderni poi è da rammentarsi la testa di Medusa dipinta da Leonardo da Vinci, che si ammira nella Galleria degli Uffizi in Firenze, e la statua di Perseo colla testa di Medusa in mano, opera egregia in bronzo fuso, di Benvenuto Cellini, che è posta sotto le loggie dell’ Orgagna in Piazza della Signoria. […] Inoltre questo cavallo dando un calcio al terreno presso il monte Elicona nella Beozia, fece sgorgare una fonte che fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene, che vuol dir fonte del cavallo. […] Questa mirabile liberazione di Andromeda fu espressa da Benvenuto Cellini nel bassorilievo di bronzo fuso che vedesi nella base del Perseo ; ma l’eroe vi è rappresentato volante col petaso e i talari di Mercurio e non sul caval Pegaso ; con la scimitarra nella destra, e senza la testa di Medusa nell’altra mano. […] Ho dato questo cenno in conferma di quanto osservai nel precedente capitolo, che cioè bisogna cercar le origini storiche dei popoli antichi nella Mitologia. […] « E vede l’oste e tutta la famiglia, « E chi a finestre e chi fuor nella via, « Tener levati al ciel gli occhi e le ciglia, « Come l’ecclisse o la cometa sia.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

XXXI Il Genio e i Genii Fu detto nella classazione generale degli Dei (V. il N. […] Il Dèmone dunque di cui egli parlava non poteva significare, nella sua segreta intenzione, una divinità mitologica, ma piuttosto l’ispirazione di quell’unico Dio in cui egli credeva. […] La greca parola dèmone fu adottata nella lingua latina, ma poco usata dai classici, e molto dagli scrittori ecclesiastici. […] Così nella colonna Traiana si vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano al di sopra del carro di Diana ; e perciò non è possibile crederlo un Angelo. […] Questa parola Genio ebbe un gran credito e un grande uso nella lingua latina279), e lo ha tuttora nelle lingue affini e derivate, e specialmente nella italiana ; anzi in queste riceve sempre nuove applicazioni, ossia va sempre acquistando nuovi significati.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Pireneo acciecato dal furore, pretendendo di inseguirle anche per aria, precipitò da quell’altezza e rimase morto nella sottoposta piazza. […] 132 e ne hanno non solo l’esempio delle Muse nella metamorfosi delle Piche, ma altresì di Apollo, che in un modo più tremendo (e diremo ancora crudele) fece scorticar vivo il satiro Marsia, dopo averlo vinto nella sfida da lui ricevuta a chi meglio cantasse. […] Si sa dalla geografia che il monte Parnaso ha due cime o culmini che poeticamente diconsi gioghi : e cosi il poeta affermando che nella Cantica del Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i gioghi di Parnaso, vuol significare che ha bisogno di tutte le forze della più sublime poesia. […] Neppure i poeti latini del secol d’oro usaron mai la parola estro per l’ispirazione poetica : solo nel secolo d’argento, trovasi nella Tebaide del poeta Stazio in quello stesso significato che talvolta gli si dà in italiano. […] Da questa frase è composto l’equivalente verbo vaticinari, colla mutazione comunissima nelle lingue della lettera f nella v.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Quanto all’origine del tempio e dell’Oracolo di Giove Ammone nella Libia parlammo a lungo nel N° XI : ora basterà dire che in quest’Oracolo i responsi deducevansi dalle osservazioni degli smeraldi e delle altre pietre preziose, di cui era formata l’immagine del Nume, come asseriscono Diodoro Siculo e Q. […] V’erano per altro anche in Italia alcuni Oracoli, che perciò eran detti Italici, come l’antico oracolo di Fauno, rammentato da Virgilio nell’Eneide, quelli della Fortuna, di Marte, ecc. ; ma appartenevano piuttosto alla vera e propria divinazione, perchè non rendevano responsi a voce, ma consistevano nella interpretazione di segni casuali, ed anche di sogni che si facessero addormentandosi in quei sacri recinti. […] Cicerone compose un’opera sulla Divinazione, nella quale confuta ad una ad una tutte le asserzioni di suo fratello Quinto sulle pretese cause soprannaturali degli Oracoli e di qualunque altra creduta manifestazione della volontà degli Dei287). […] Omero parla degli Oracoli, delle divinazioni e degli augurii come di cose antiche ai tempi della guerra Troiana, nella quale l’indovino Calcante rappresenta una parte importantissima, come interprete degli Dei, nei parlamenti di quei famosi guerrieri e nei segreti consigli di Stato. […] Quel che di Orfeo dice Orazio nella Poetica è applicabile a tutti i fondatori delle antiche religioni ; dal che deducesi che il governo teocratico fu il primo governo regolare e il primo cemento della civil società288).

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

Le statue di questo Dio si vedono in molte fonti pubbliche e private ; e la più celebre come opera d’arte è quella di Giovan Bologna in Bologna ; ed una delle più goffe è quella dell’Ammannato nella fonte di Piazza della Signoria di Firenze215). […] Scipione Africano partì dalla Sicilia andando con una flotta a fiaccare in Affrica la potenza cartaginese, fece dall’alto della nave una pubblica preghiera a tutti gli Dei e le Dee del mare, come lo stesso Tito Livio riferisce nella sua Storia, trascrivendo o componendo di suo le solenni frasi rituali. […] Da prima pareva che Amfitrite acconsentisse a questo matrimonio, ma poi avendo cangiato di avviso, Nettuno le mandò due eloquentissimi delfini a persuaderla ; i quali adempiron così bene la loro commissione, che condussero seco, portandola alternativamente sul loro dorso, la sposa a Nettuno ; ed egli per gratitudine li trasformò nella costellazione dei Pesci, che è uno dei dodici segni del Zodiaco. […] Si sottoscrivono a questa favola anche i naturalisti, poichè hanno dato il nome di Tritone a un genere di molluschi gasteropodi che formano conchiglie talvolta grandissime, e che si trovano nella maggior parte dei mari. […] Così la materia è tenuta avvinta coll’assidua osservazione dei fenomeni e colle reiterate esperienze, e quando essa, dopo aver subìto tutte le fasi dell’analisi e della sintesi, ritorna nella forma primitiva, rivela allora il segreto richiestole.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

La qual capra fu poi da Giove trasportata in Cielo e cangiata nella costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e che rifulge di sessantaquattro stelle. […] E poichè Dante allude ad ambedue queste favole nella Divina Commedia, è necessario il farne qualche cenno. […] Gli Dei cangiarono Aci in fiume che scorre nella Sicilia. I pittori hanno gareggiato a rappresentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella che vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze. Le Ninfe oltre ad esser giovani e belle, erano anche generalmente buone e cortesi ; e perciò tanto nelle lingue antiche quanto nelle moderne, e specialmente nella nostra, questo termine di Ninfa, anche nel senso traslato, cioè non mitologico, ha sempre un significato favorevole.

24. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393

Adunavasi nella Primavera a Delfo, nell’Autunno ad Antela presso le Termopile. […] Danao, già re della Cirenaica nella Libia, cacciato dal fratello Egitto, si ricovera nell’isola di Rodi, indi s’impadronisce d’Argo, scacciandone gl’Inachidi. […] Gli Argonauti nella Colchide, condotti da Giasone alla conquista del Vello d’oro, ec. […] Ma prima di questa epoca, fino da tempi antichissimi, l’Italia è abitata da popoli che forse precederono la stessa Grecia nella coltura ; e principalmente gli Etruschi. — La guerra degli Dei contro Tifeo (nella Campania e ad Inarìme o Ischia), quella dei Giganti contro Giove, indicanti i grandi sconvolgimenti del suolo per opera di terremoti o di vulcani, il Vesuvio, l’Etna, Stromboli, i campi Flegrei, danno copiosa materia alle favole mitologiche. […] Intorno a questo tempo fiorirono i sette Sapienti della Grecia, ricordati nella favola (Chilone, Biante, Pittaco, Cleobulo, Periandro, Solone, Talete).

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

Afferma per altro che tutti eran d’accordo (e vi si unisce anch’egli) nella etimologia della parola Pan e nel simbolo indicato da questo Dio che, cioè, significhi il tutto e rappresenti perciò l’universa natura 10. […] Son celebri nella storia romana i Lupercali dell’anno 710 di Roma, poichè in quel giorno offrì Marc’Antonio il regio diadema a Cesare che lo ricusò ; e Cicerone rammenta questo fatto più volte nelle sue opere, e specialmente nelle filippiche contro lo stesso Marc’Antonio. Dal nome del Dio Pane è derivata l’espressione di timor pànico, che etimologicamenie significa timore ispirato o incusso dal Dio Pane ; e, nella comune accezione, timore che assale all’improvviso e non ha fondamento o causa razionale o evidente. […] Anche Tito Livio racconta molti miracoli nella sua Storia Romana, ma non li garantisce, e aggiunge quasi sempre un si dice, o si crede ; e nella prefazione dichiara esplicitamente che egli non intende di confermarli nè di confutarli12. […] E nella Prefazione osserva che generalmente gli Antichi spacciavano molte favole anche in mezzo ai racconti storici : « Quae ante conditam condendamve urbem, poeticis magis decora fabulis, quam incorruptis rerum gestarum monumentis traduntur, ea nec affirmare nec refellere in animo est.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

XXVIII Le regioni infernali La paròla Inferno, secondo l’etimologia latina, significa ciò che resta di sotto, ed è propriamente un aggettivo a cui può sottintendersi il nome di qualunque luogo od oggetto, che nella direzione dell’altezza trovisi al di sotto di un altro : equivale dunque soltanto all’aggettivo inferiore. Perciò nella classica Mitologia non è annessa alla parola Inferno la stessa significazione che le si dà in italiano nella cristiana religione. […] Lo Stige era considerato come un Dio fluviatile, e per le sue acque giuravano gli Dei, e il loro giuramento era inviolabile : onorificenza che fu accordata allo Stige perchè la sua figlia Vittoria nella guerra dei Giganti si dichiarò dalla parte di Giove. […] In Omero e negli altri poeti greci le idee su tal proposito furono anche più incerte e confuse, e perciò non vi si trova unità nel disegno, nè regolarità nella esecuzione. […] Secchi, gesuita, nel suo libro intitolato Il Sole : io ne citai le espressioni più chiare e precise nella Cosmografia al cap. 

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

Cinquanta furono gli Eroi che vi presero parte, alcuni dei quali eran prima intervenuti alla caccia del cinghiale di Calidonia ; e tra questi Giasone che fu il duce e il protagonista degli Argonauti, e acquistò maggior fama di tutti in questa impresa, come Achille nella guerra di Troia. […] Al desolato fratello convenne continuar solo il viaggio marittimo che ebbe termine nella Colchide ov’era diretto. […] Ma gli Dei ricompensarono essi quel povero animale, trasformandolo nella celeste costellazione dell’Ariete ; e invece dell’aureo vello l’adornarono di quarantadue fulgidissime stelle, e il Sole l’onorò coll’ incominciar dal 1° grado di esso l’annuo suo corso tra i segni del Zodiaco. […] Approdati gli Argonauti nella Tracia o bene accolti da Fineo, vollero per gratitudine liberarlo dalle Arpie, ed oltre a cacciarle dalla reggia colle armi, le fecero inseguire per aria da Calai e Zete, figli di Borea, che avevano le ali come il loro padre ; i quali le respinsero fino alle isole Strofadi, ove poi furono trovate da Enea nel venire in Italia, come a suo luogo diremo. […] Tutti gli altri incidenti che avvennero avanti che gli Argonauti giungessero nella Colchide sono di lieve importanza in confronto dei già narrati e dell’azione principale, scopo del loro viaggio ; quindi ci affretteremo a parlare di questa.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

Dicono i Mitologi che egli pure fosse re di Corinto ; ma il suo nome non trovasi nella greca cronologia di questi re ; e forse perciò aggiungono che fu subito dopo detronizzato da Preto e costretto a restar come ostaggio alla corte di lui. […] Il Pegaso continuò il volo sino al Firmamento, ove fu cangiato nella costellazione che porta il suo nome, come dicemmo. La spiegazione più plausibile che suol darsi della Chimera è questa : che invece di essere un mostro fosse un monte ignivomo della Licia, nella parte più alta del quale soggiornassero i leoni, a mezza costa le capre selvagge e alle falde i serpenti. […] Ne esiste una di bronzo fuso nella Galleria degli Uffizi ; ma è dichiarata opera etrusca e dall’avere incisi sulla zampa destra etruschi caratteri, e perchè fu trovata presso Arezzo. […] Troviamo anche nella Bibbia un fatto simile, dove si parla delle lettere che il re David consegnò ad Uria marito di Betsabea pel suo generale Gioabbo ; nelle quali la supposta promozione di questo bravo ufficiale consisteva nel doverlo esporre sulle prime file contro i nemici, perchè vi perisse, come avvenne di fatto.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

Infatti i mitologi avevano assegnato a ciascuna delle Parche uno speciale ufficio : Cloto teneva la conocchia, Làchesi filava, ed Atropo troncava il filo ; e Dante ha rammentato i loro nomi ed ufficii nella Divina Commedia, come apparisce dai versi che ne cito in nota246. Anche Michelangelo ha rappresentato le Parche in queste loro diverse occupazioni, come si vede nel suo quadro che trovasi nella galleria di Palazzo Pitti. […] Aggiunge poi che ciascun’anima per essere ricevuta nella barca di Caronte doveva, per superiore decreto inesorabile, pagare un obolo ; la qual piccola tassa o rimunerazione prendeva in latino il nome di naulum, ond’è venuta in italiano la parola nolo. […] Primo si trova il barcaruolo dell’Acheronte, « Caron dimonio con occhi di bragia, « Un vecchio bianco per antico pelo, « Che intorno agli occhi avea di fiamme ruote. » Egli invita coll’antica sua buona grazia le anime ad entrar nella barca, « Gridando : guai a voi, anime prave ! […] Lo stesso Cicerone lo dimostra elegantissimamente nella Orazione pro Roscio Amerino, di cui riporto qui le precise parole per chi studia la lingua latina, affinchè ciascuno le legga e rilegga finchè le abbia imparate così bene a memoria, da non dimenticarle mai : « Nolite enim putare, quemadmodum in fabulis sæpe numero videtis, eos, qui aliquid impie scelerateque commiserint, agitari et perterreri Furiarum tædis ardentibus.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

I Romani infatti che per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato negli animi loro e impiantarono officialmente nella loro città, sin dalla sua fondazione, il Politeismo Troiano e Greco. […] Anche il culto di Ercole Tebano fu introdotto nella stessa regione da Evandro ed accolto dai popoli limitrofi in ringraziamento dell’averli Ercole liberati da quel mostro dell’assassino Caco, « Che sotto il sasso di monte Aventino « Di sangue fece spesse volte laco. » Della qual liberazione e del qual culto non solo ragionano a lungo Virgilio nel lib.  […] Lo stromento sacro per le cerimonie religiose era il sistro, formato di una larga lamina di metallo piegata in figura ellittica, nella quale inserivansi diverse bacchette mobili parimente di metallo ; e se ne traeva un suono musicale con studiati e regolari colpi e movimenti. […] Questo bue aveva il pelo nero, e soltanto nella fronte era bianco ed in alcuni punti della groppa. […] Virgilio stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare che, in generale, i Romani non avessero gran devozione per questi mostruosi Dei Egiziani, poichè Giovenale, nella Satira xv, così ne parla : « Chi, o Vòluso, non sa quai mostruose « Adora deità l’Egitto stolta ?

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

« Si spinse Orlando innanzi, e se gl’immerse « Con quell’àncora in gola, e, s’io non fallo, « Col battello anco ; e l’àncora attaccolle « E nel palato e nella lingua molle. […] « Come si può, poi che son dentro al muro « Giunti i nimici, ben difender rocca, « Così difender l’Orcá si potea « Dal paladin che nella gola avea. […] Inoltre nella lingua inglese vi son due termini diversi per distinguer le femmine dei Lamentini dai maschi ; e chiamansi quelle Mairmaids, e questi Mairmen, parole composte che voglion dire fanciulle marine e uomini marini. […] In fatti di diverso vi è soltanto la fantastica invenzione ariostesca, che Orlando fosse così ardito (e che inoltre gli riuscisse) di entrar nella bocca dell’ Orca con tutta la nave, e che ficcasse l’ancora « E nel palato e nella lingua molle ; » mentre è noto che si scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina nella pelle del cetaceo, che è grossa circa un pollice, e si fa penetrare nel sottoposto strato di grasso che è alto almeno quindici pollici.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divennero anche più celebri in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace e Laerte di Ulisse ; dei quali tutti dovremo parlare anche in appresso. […] Ma la scena termina con una favola di nuovo genere, invenzione che Dante stesso rammenta nella Divina Commedia. […] Raccontano i Mitologi ed i poeti, e più estesamente di tutti Ovidio nelle Metamorfosi, che quando nacque Meleagro, le Parche comparvero nella stanza ove Altea partorì, e, gettato nel fuoco un ramo d’albero, dissero : « tanto vivrai, o neonato, quanto durerà questo legno ; » e subito dopo disparvero63. […] Ho detto di sopra che Danterammenta nella Divina Commedia la trista fine di Meleagro ; ed eccomi ad accennare in quale occasione. Dopo aver narrato che i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame canina resa più acuta dal vedersi dinanzi agli occhi, come Tantalo nell’ Inferno pagano, i pomi e l’acqua senza poterne gustare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime, che « Negli occhi era ciascuna oscura e cava, « Pallida nella faccia e tanto scema « Che dall’ossa la pelle s’informava, cominciò a pensare « Alla cagione ancor non manifesta « Di lor magrezza e di lor trista squama ; » e non potendo trovarla da sè, finalmente, fattosi coraggio, domandò a Virgilio : « ……Come si può far magro « Là dove l’uopo di nutrir non tocca ? 

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a cui vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro « Che co’rami all’altar facea tribuna, « E coll’ombra a’Penati opaco velo35. » Ma se il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famiglia avessero ricevuto un simil culto. Infatti non è proibito nemmeno nella religion cristiana l’eriger private cappelle in onore del santo patrono della città o dello Stato. […] Sappiamo infatti anche dagli storici essere stata comune opinione che quegli stessi idoli degli Dei Penati venuti da Troia fossero custoditi dalle Vestali in luogo nascosto ai profani insieme col Palladio, sacre reliquie troiane, che nessun vide giammai, ma nella cui esistenza tutti credevano ; — e quando si tratta di credere, non v’è bisogno di dimostrazione ; sola fides sufficit. […] In quanto ai Lari, che questi fossero Dei familiari o domestici non può insorger questione, poichè li consideran tali tutti i Mitologi ed i poeti latini e pur anco gl’ Italiani : lo stesso Ugo Foscolo, peritissimo nelle lingue dotte e per conseguenza anche nella Mitologia, li chiama nel suo Carme I Sepolcri, come abbiamo veduto altrove, i domestici Lari. […] Tra questi egli annovera il culto degli Dei Penati e dei Lari familiari ; e aggiunge che nella pratica applicazione questi Dei rappresentano i comuni ed i privati vantaggi della social convivenza.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

Semidei, parola latina conservata senza alterazione ortografica nella lingua italiana, è traduzione del greco vocabolo Emitei ; e in tutte e tre le lingue significa evidentemente mezzi Dei, e vi si sottintende e mezzi uomini, non già mezze bestie, come si rappresentavano alcune delle Inferiori Divinità. […] La voce Eroi, divenuta tanto comune in verso e in prosa non solo nelle lingue dotte, ma pur anco nella italiana e nelle altre lingue affini, è di origine greca ; ed i filologi antichi, incominciando da Servio commentator di Virgilio, ne danno tre diverse etimologie,45deducendole da tre diverse accezioni in cui trovasi usata quella voce, cioè di Semidei, di Dei Indigeti, e di uomini divenuti illustri o per dignità o per imprese di sovrumano valore. Lo stesso Omero l’usa assai spesso in quest’ultimo significato tanto nell’Iliade quanto nell’Odissea ; e del pari si adopra comunemente nella lingua italiana tanto in verso quanto in prosa ; e si applica pur anco agli uomini illustri della storia antica e della moderna, come pure ai più straordinarii personaggi d’invenzione della fantasia dei poeti. […] Scendendo ora a parlare dei principali Eroi, e Semidei e Indigeti di quest’epoca, convien prima di tutto determinare l’estensione, o vogliam dire la durata dell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca. » Volendo poi determinare cronologicamente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso della distruzione di Troia, poichè si trova in taluni Autori la differenza di più di un secolo ; ma seguendo la Cronologia greca più accreditata colle modificazioni di Petit-Radel nel suo Examen critique, troveremo almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia. […] « Nell’alma Pilo ei già trascorse avea « Due vite, e nella terza allor regnava. » (Iliad.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Circa alla Dea Tellùre basterà il sapere che Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tanto i poeti quanto i prosatori latini usarono la parola tellùre come sinonimo di terra 41 ; e che Dante stesso nella Divina Commedia rammenta l’orazione lamentevole della Dea Terra in occasione dell’incendio mondiale cagionato dall’imprudenza di Fetonte42, come a suo luogo vedremo. […] Quello di Cibele è il più noto e comune : derivò dal nome di una città e di un monte omonimo nella Frigia, ove questa Dea fu prima che altrove adorata. […] S’interpetrò che si dovesse far venire a Roma la Dea Cibele adorata in Asia nella città di Pessinunte. […] E questa è la prima metamorfosi, ossia trasformazione, di cui ci è occorso di far parola nella Mitologia. […] L’ Ariosto nella 1ª ott. del C.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

Rappresentavasi con molta maestà seduto in trono, coi fulmini nella destra, lo scettro sormontato dalla statua della dea Vittoria nella sinistra, e ai piedi l’aquila ministra del fulmine, vale a dire che gli portava i fulmini dalla fucina di Vulcano. […] Perciò questo duplice titolo di Ottimo Massimo lo troviamo attribuito a Dio anche nella religion cristiana ; e si vede indicato colle iniziali D. […] Nella prosa e nella poesia italiana si può usare l’aggettivo olimpico nel significato di maestoso o imperioso ; e l’ ha usato anche il Giusti nella satira del Ballo in questa espressione : « Con un olimpico cenno di testa. » 63.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

La qual trasformazione graduale è significata nella pittura col rappresentar le diverse pietre in maggiore o minor parte trasformate, talchè in alcune scorgesi abbozzata o formata la testa soltanto, in altre anche il petto e le braccia, e così di seguito gradatamente, finchè ne apparisce qualcuna tutta cangiata in forma umana, o a cui manca soltanto il complemento di un piede che vedesi ancora di rozza pietra. […] Le roccie acquee sono stratificate, e questi strati vennero a formarsi dai sedimenti delle materie contenute in dissoluzione nelle acque ; si dicono perciò ancora sedimentarie, e vi si aggiunge talvolta l’appellativo di fossilifere, perchè contengono fossili, ossia corpi o frazioni di animali e di vegetabili travolti e seppelliti nella terra per forza di successivi cataclismi. […] In questa significazione la troviamo spesse volte anche nella Divina Commedia. […] Finalmente chi conosce il valore della parola metamorfosi, che significa trasformazione, come abbiamo spiegato altra volta, e di cui tanto avvien di parlare nella Mitologia, intenderà facilmente il significato generale di roccie metamorfiche, e lo tradurrà per trasformate. […] Infatti, secondo la teoria di Hutton, adottata generalmente come la più probabile, dice il geologo Strafforello, i materiali di questi strati furono depositati originariamente dall’acqua nella solita forma di sedimento, ma furono poi alterati e quasi cristallizzati dal calore sotterranco del sottoposto strato vulcanico.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

Le Stelle poi vere e proprie stimaron che fossero incastonate e quasi inchiodate nella volta del Cielo, e perciò le chiamarono fisse ; e diedero l’ufficio ad Urano, e poi come sostituto anche a Giano, di far girare questa vôlta o callotta sferica celeste e con essa tutte le stelle. […] Dante adottò questa stessa idea di Pindaro, e se ne valse stupendamente per una bellissima similitudine nel raccontare che egli sentì uno spaventevole terremoto nella montagna del Purgatorio. […] Di questa sua folle empietà fu terribilmente punita nella causa stessa della sua ambizione o vanità, poichè Apollo e Diana invisibili a tutti saettarono a gara l’uno i figli e l’altra le figlie di Niobe ; e la madre per ineffabil dolore fu cangiata in pietra. […] » Anche l’arte greca s’impadronì di questo tragico soggetto ; e se ne conservano nella Galleria degli Uffizi di Firenze le statue attribuite a Scòpa, le quali rappresentano Niobe e la sua famiglia colpita dalla celeste vendetta104). […] « Le isole galleggianti, scrive Humboldt, si formano in tutte le zone ; ne ho vedute nel fiume Guayaquil, da 8 a 9 metri di lunghezza, nuotanti in mezzo alla corrente e portanti gran copia di vegetabili, le cui radici si abbarbicano e s’intrecciano facilmente. » Intorno alla formazione delle medesime, lo stesso autore soggiunge : « Sulle rive paludose dei laghi di Xochimilco e di Chelco l’acqua agitata nella stagione delle piene stacca delle zolle di terra coperte di erba e di radici fra di loro intrecciate.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Abbiamo già detto altrove che Ino fu cangiata nella Dea marina Leucotoe, e che Semele fu madre di Bacco. […] Ma Orazio nella poetica avverte che non si debbono dare tali spettacoli, che riescono sconvenevoli nel teatro, perchè, sottoposti all’occhio fedele, divengono risibili59 ; mentre, come osserva il Tasso, convenevolmente son narrati dai poeti antichi e moderni, e son letti volentieri e con maraviglia nell’epopea. […] « Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio, « Che se quello in serpente e questa in fonte « Converte poetando, io non l’invidio ; « Chè due nature mai a fronte a fronte « Non trasmutò, sì ch’ambedue le forme « A cambiar lor nature fosser pronte. » Considerando poi storicamente Cadmo, ne troviamo determinata l’epoca nella Cronologia Greca verso il 1580 avanti l’èra cristiana. […] Nel 1821 fu pubblicato dal Bagnoli il suo poema epico in venti Canti, intitolato : Il Cadmo, nel quale l’autore (come è detto anche nella sua prefazione) considera quest’ Eroe Fenicio non solo come guerriero, ma altresì come « il primo che introdusse l’alfabeto in Europa, le pratiche religiose e molte di quelle arti che procurarono l’universale coltura. » Ma il poema non ebbe credito, perchè vi predomina la fiacchezza d’ idee e di stile. […] Diremo per lo meno che qui è davvero applicabile la massima attribuita da Fedro a Giove : « Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. » Non è per verità molto utile neppure il conoscere quali furono le lettere inventate da Palamede, e quelle aggiunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’ al più può essere una curiosità letteraria il sapere questa opinione degli Antichi : ma fu una vera pedanteria e ridicolezza il pretendere di distruggere il vocabolo alfabeto adottato nella lingua latina e in tutte le più colte lingue moderne, con tutti i suoi derivati e composti (alfabetico, alfabetare, analfabeta ecc.) per sostituirvene un altro di nuova formazione o etimologia.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

Per tal credenza, presso alcuni popoli, gettavansi ad ardere nel rogo del defunto o seppellivansi nella stessa tomba, gli schiavi, i cavalli, i cani ed anche i materiali oggetti che gli furono più cari in vita, non dubitando che per tal via andassero a raggiungere l’anima di lui nell’altro mondo ; e per la stessa ragione anche oggidì tra gl’Indiani adoratori del Dio Brama spontaneamente si ardono vive le predilette mogli di quegli idolatri colla certezza di riunirsi compagne indivisibili ai loro mariti nel soggiorno dei beati. […] L’antichissima invenzione dell’ obolo da pagarsi a Caronte fu bonariamente creduta una indubitabile verità nei secoli più rozzi ; e perciò nelle funebri cerimonie ponevasi una piccola moneta di tal nome nella bocca degli estinti258. […] Quindi in appresso si cessò dall’insistere sulla necessità del pagamento di quest’obolo, ma si confermò indispensabile la sepoltura del cadavere, affinchè l’anima potesse esser traghettata da Caronte all’altra riva, e non andare errando per 100 anni lungo lo Stige nella penosa incertezza della sede che erale destinata. […] Fissò il suo soggiorno in Crotone città della Magna, Grecia, ed ivi ebbe molti discepoli, e costituì la famosa scuola dei Pitagorici, nella opinione dei quali acquistò egli tanta autorità, che tutte le sue asserzioni erano stimate verità indubitabili. […] Avendo ammesso Pitagora nella dottrina della Metempsicòsi che le anime degli uomini, specialmente dei malvagi, passassero anche nel corpo dei bruti, proibi di mangiar la carne di qualsivoglia animale, e ridusse i suoi seguaci a cibarsi soltanto di vegetabili ; il che diede origine alla denominazione di vitto pitagorico.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-

Anche Omero, nel libro X dell’Odissea, dice che Eolo « …. de’venti dispensier supremo « Fu da Giove nomato ; ed a sua voglia « Stringer lor puote o rallentare il freno. » Ma gli attribuisce un genere di vita più patriarcale, e gli assegna un soggiorno più poetico ed ameno, quantunque nella stessa regione insulare. […] Di Borea dicono che rapì la Ninfa Orizia figlia di Eretteo re di Atene, e n’ebbe 2 figli chiamati Calai e Zete, di cui dovremo parlare nella spedizione degli Argonauti. […] I 4 Venti principali, rammentati anche da Omero, sono Borea, Noto, Euro e Zeffiro, nomi adottati dai Latini e conservati nella poesia italiana ed in alcune denominazioni scientifiche. […] I Geografi moderni non si accordano nell’assegnare il corrispondente nome latino o greco ai diversi Venti ora conosciuti e contrassegnati nella così detta Rosa dei Venti ; e la ragione è questa, che gli Antichi stessi furono incerti nel determinare da qual punto preciso quei Venti da loro notati e denominati spirassero ; e poi perchè invece di fare in principio la bisezione dell’angolo retto fra i punti cardinali e quindi suddividerlo, ne fecero la trisezione, ossia lo divisero in 3 : quindi è matematicamente impossibile il far corrispondere i loro punti intermedii a quelli determinati dai moderni. […] E finalmente terminerò col rammentare che Dante non ha dimenticato d’introdurre nella Divina Commedia anche un cenno della favola di Eolo re dei Venti, secondo ciò che ne scrive il suo maestro Virgilio nei versi da noi citati in principio di questo Numero, poichè invece di dire prosaicamente che soffia o spira il vento di Scirocco, orna ed abbellisce il suo concetto con questa perifrasi mitologica : « Quand’Eolo Scirocco fuor discioglie. » 40.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

Chiamavasi egli Endimione, e stava sul monte Latmo che è nella Caria ; ed essendosi in una di quelle caverne addormentato di un profondo sonno mandatogli da Giove, la Luna andava tutte le notti non vista a visitarlo, quantunque egli dormisse. […] Ma neppure il termine di Artofilace andò perduto o dimenticato nella poesia italiana ; e chi mai non si allontani da qualche cara cosa o persona fu detto che egli le sta sempre come Artofilace all’Orse (secondo la frase dell’Ariosto), appunto perchè questa costellazione è vicinissima a quelle, e di certo non si scosta mai da quel posto. […] Il Petrarca si credè autorizzato da questo racconto mitologico a darci ad intendere, nella sua 4ª Canzone, che per opera di Madonna Laura avvenisse a lui stesso un fatto simile a quello di Atteone : « Io perchè d’altra vista non m’appago, « Stetti a mirarla, ond’ella ebbe vergogna ; « E per farne vendetta, o per celarse, « L’acqua nel viso con le man mi sparse. […] Orazio in tre odi che han per soggetto le streghe e le stregonerie non rammenta mai Ecate, e solo nella Sat. 8 del lib. […] Dante una sola volta nella Divina Commedia dà il nome di Trivia alla Luna : « Quale ne’plenilunii sereni « Trivia ride tra le ninfe eterne « Che dipingono il ciel per tutti i seni, ecc.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Eran tutti però molto alti e grossi, talchè da lontano tra la caligine infernale li aveva presi per torri, quantunque non apparissero che per metà, cioè dai fianchi in su ; e Virgilio lo disingannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son torri, ma giganti. » Per quanto Dante ci confessi sinceramente ch’egli ebbe una gran paura al primo vederli, non lasciò per questo di guardarli bene e di misurarne a occhio le dimensioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli che vide dovevano essere alti in media più di venticinque braccia, ossia circa quattordici metri ciascuno, e di grossezza proporzionati all’altezza come nella specie umana. […] Il teatro della guerra fu dunque nella Grecia continentale sui confini della Macedonia colla Tessaglia ; e l’immane combattimento ebbe il nome di pugna di Flègra 74) dalla prossima antica città di questo nome, poi chiamata Pallène. […] Si riferisce ad Encelado seppellito vivo nella Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi che giungevano sino al promontorio Lilibeo e le mani sotto agli altri due promontori Pachino e Peloro. […] I chimici poi che riconoscono coll’analisi l’esistenza del solfo nativo nei terreni vulcanici, specialmente in Sicilia e nella solfatara presso Pozzuoli nelle vicinanze di Napoli, troveranno, nella espressione dantesca di nascente solfo, indicata l’elaborazione e la fabbrica naturale di quello zolfo che essi, alludendo alla stessa origine, chiamano nativo 80).

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Egli era figlio di Giove e della Ninfa Maia una delle sette figlie d’Atlante che furon cangiate nella costellazione delle Pleiadi ; quindi Mercurio dai poeti trovasi denominato Atlantiade, cioè nipote di Atlante148. […] Siccome la perfetta eloquenza non trascura l’armonia del linguaggio, ma sì la coltiva e l’adopra per iscender più facilmente dall’orecchio al cuore157, perciò gli Antichi asserirono che Mercurio era valentissimo nella musica, ed aveva pur anco inventato un musicale stromento. […] Ma i devoti del furto anzichè di Mercurio, non rubano per celia, nè pensano neppur per ombra alla restituzione ; anzi se ne tengono e se ne vantano dicendo come il Girella del Giusti : « Non resi mai — Quel che rubai. » A proposito di questi tali riporta Cicerone nella 2ª delle sue Filippiche un bellissimo ed elegantissimo proverbio latino : male parta, male dilabuntur ; a cui corrisponde il volgarissimo, ma non meno espressivo proverbio italiano : la farina del Diavolo se ne va in crusca. […] E celebre il Mercurio di Giovan Bologna, statua in bronzo che ornava prima una fontana della villa Medici in Roma, ed ora vedesi nella Galleria degli Uffizi di Firenze. […] In latino la pietra di paragone chiamasi Lydius lapis, perchè queste pietre trovansi più comunemente nella Lidia ; e per la stessa ragione qualche naturalista moderno l’ha chiamata Quarzo lidio.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli. […] E questo nome rituale di Amata davasi, nella loro consacrazione, a tutte le Vestali in memoria di quella prima che fu consacrata da Numa riformatore di quel sacerdozio, e della quale sapevasi il nome di Amata per tradizione. […] Alcuni autori dicono che la Vestale colpevole era calata in una stanza sotterranea nel campo scellerato, e postole appresso un pane, un vaso d’acqua ed un lume, vi era chiusa ermeticamente e abbandonata senz’altro al suo orribile destino. — Questo modo però potrebbe far sospettare il caso probabile che qualcuno andasse segretamente a liberarla e la tenesse altrove nascosta o incognita pel rimanente dei suoi giorni. — Altri poi asseriscono che si calava nella solita stanza sotterranea, ma subito dopo le si gettava sopra tanta terra da riempire tutto il sotterraneo ; e la morte così era inevitabile, ma meno crudele e orribile che nel primo caso. Al secondo modo era simile la pena detta della propaginazione, che davasi nel Medio Evo agli assassini, seppellendoli vivi in una fossa cilindrica, stretta e profonda : alla qual pena allude Dante con una celebre similitudine nel descriver la terza bolgia dell’ Inferno, nella quale son puniti i Simoniaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte cessa, » e in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco al perfido assassino.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

Gli Dei Superiori, di cui abbiamo parlato nella Iª Parte, erano soltanto venti, e gl’Inferiori a migliaia, e costituivano la plebe degli Dei, come li chiama Ovidio : de plebe Deos. Fortunatamente, per chi deve studiar la Mitologia, a ben pochi di questi Dei fu dato dai Pagani un nome proprio, e la maggior parte furon compresi sotto certe generali denominazioni, come ora suol farsi nella Storia Naturale in cui si distinguono soltanto i generi, le specie, le famiglie, le varietà, ecc. e non gl’individui, o vogliam dire i singoli prodotti naturali. […] Senza occuparci della distinzione che fanno i canonisti della Simonia a pretio, a precibus, ab obsequio, ci contenteremo della definizione che ne dà l’Alighieri pel 1° capo, cioè per la Simonia a pretio : « O Simon Mago, o miseri seguaci, « Che le cose di Dio, che di bontate « Deono essere spose, e voi rapaci « Per oro e per argento adulterate, « Or convien che per voi suoni la tromba, « Perocchè nella terza bolgia state. » 6. […] I Grammatici noteranno in questo verso il pronome egli invece di eglino per troncamento della sillaba finale, che nella metrica latina e greca direbbesi apocope ; come pure il verbo orate per adorate, che è una licenza poetica chiamata aferesi.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Inoltre la corona o ghirlanda del fiume è composta di canne, come del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o che sono particolari alla regione nella quale scorre quel fiume. Modernamente, per indicar meglio qual Fiume sia rappresentato, gli si pone appresso, o nella sinistra, uno scudetto coll’arme o stemma di quel popolo pel territorio del quale scorrono le sue acque. […] Il fiume Alfeo, per esempio, essendosi invaghito della Ninfa Aretusa 29 (cangiata in fonte che scorrevà sotto terra nella Sicilia presso Siracusa), per andarla a trovare si scavò un canale sottomarino e la raggiunse tra i ciechi labirinti delle inferne regioni30. […] Esempio ne sia nella Spagna la Guadiana, che dopo 50 chilometri di corso dalla sua origine sparisce in un canneto presso Tomelioso, e alla distanza di 24 chilometri esce nuovamente dalla terra gorgogliando ; e quelle aperture del terreno son chiamate gli occhi della Guadiana.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

Intendevasi dai Greci per Ateneo un edifizio sacro alla Dea Atena, e destinato ad uso di archivio e di biblioteca, ove i poeti e gli altri greci scrittori depositavano i loro componimenti, come a tempo di Augusto facevasi in Roma nella biblioteca palatina sacra ad Apollo. […] Minerva rappresentavasi con volto serio e maestoso, e quasi sempre armata, coll’elmo in testa, nella sinistra lo scudo detto l’egida e nella destra un’asta ; e ai piedi una civetta o un gufo, animale a lei sacro. […] Il nome di Pallade poi trovasi del pari figuratamente usato nella poesia latina a significare l’olio 172.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone. Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare. […] Altri autori latini dicono che Ceres è lo stesso che Geres, a gerendis fructibus, perchè i Latini nella loro pronunzia, e specialmente in quella dei nomi proprii, usavano spesso il G invece del C.

50. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice, la quale in quelle pugne in cui prendevano parte anche gli Dei, come nella guerra di Troia, si metteva sempre dalla fazione contraria a Marte. […] Rappresentavasi Marte tutto armato, e con aspetto fiero ; ma talvolta anche nudo ; specialmente nelle statue di marmo e di bronzo (chè il nudo è il campo della statuaria), però sempre almeno coll’elmo in testa e coll’asta nella destra. […] Il nome di Marte si usa figuratamente tanto nella poesia latina quanto nella italiana per significare la guerra, e in prosa latina anche per indicare la forza non solo fisica, ma pur anco intellettuale180.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Nella sua pubblica rappresentanza è una Dea maestosa e benefica ; ma essa pure, nella vita che diremmo privata o domestica, ha i suoi difetti non meno di Giove, sebbene di un altro genere : è superba, dispettosa e vendicativa. […] Per liberarsi dal quale l’imbestiata e dolente Io fu costretta a gettarsi nel mare, che traversò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da quei feticisti egiziani che adoravano le bestie fu ricevuta e adorata come una Dea, e restituita poi da Giove nella primiera forma fu venerata sotto il nome di dea Iside. Questo mito è un anello di congiunzione fra la Mitologia classica e il Feticismo egiziano, e rende qualche probabile ragione di così strano culto, come osservammo pur anco nella guerra dei Giganti, quando gli Dei che ebber paura si trasformarono in bestie. […] Una bella descrizione di iridescenza e di cangiamento di colori secondo l’incidenza dei raggi e i diversi punti di vista, si legge nella seguente ottava della Gerusalemme Liberata del Tasso : « Come piuma talor che di gentile « Amorosa colomba il collo cinge « Mai non si scorge a sè stessa simile, « Ma in diversi colori al sol si tinge ; « Or d’accesi rubin sembra un monile, « Or di verdi smeraldi il lume finge ; « Or insieme li mesce, e varia e vaga « In cento modi i riguardanti appaga. » (Gerus. lib., xv, 5.)

52. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-

Cenni Preliminari sul significato di alcune parole e sull’ uso di alcuni oggetti più specialmente relativi alle cerimonie religiose notate nella mitologia. […] Quindi l’adulazione dei popoli avviliti nella servitù concesse l’apoteosi a indegni monarchi ; ed essi, prevalendosi del potere, divinizzarono uomini stolti o scellerati ministri delle loro prepotenze e dei loro vizj. […] Medea l’aveva propagata nella Tessaglia, ec. […] Acqua comune nella quale era stato spento un tizzone preso di sull’ ara.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

Dante stesso fa dire nella Divina Commedia a Marco Lombardo : « Tu dei saper che la mala condotta « È la cagion che il mondo ha fatto reo, « E non natura che in voi sia corrotta. » E in propria persona soggiunge tosto : « …. […] È Orazio stesso che lo dice nella ix Satira del lib.  […] Il Pignotti nella favola Il Giudice e i Pescatori dice scherzevolmente : « Ci narrano i Poeti, « Che allorquando mancò l’età dell’oro « As’ rea fuggì dalle mortali soglie, « Ma nel fuggir le caddero le spoglie ; « E si dice che sieno « Quelle vesti formali « Che adornano i Legali, « Che nelle Rote, ovver nei Parlamenti « Prendono il nome illustre « D’auditori, avvocati e presidenti. » Il seguito però e la conclusione o morale della favola dimostrano che l’abito non fa il monaco. […] Chi sa il latino si rammenti o legga la satira di Orazio, che comincia : Jamdudum ausculto, nella quale il poeta dice al suo servo : Age, libertate decembri (Quando ita majores voluerunt) utere ; narra.

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

LXVIII Apoteosi degl’Imperatori Romani Benchè nella Greca Mitologia si trovino alcuni uomini illustri elevati agli onori divini, tali apoteosi molto differivano da quelle degl’Imperatori romani. […] Da Romolo sino a Giulio Cesare non si trova altra apoteosi nella Storia romana. […] Divi infatti chiamavansi e non Dei gl’imperatori romani deificati, come li troviamo detti anche nella raccolta delle Leggi romane dell’Imperator Giustiniano (Divus Augustus, Divus Antoninus, Divus Traianus, ecc).

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9

Ma questo non toglierà che sia sempre necessaria la cognizione della Mitologia greca e romana, nella guisa stessa che la Paleontologia presuppone ed esige la cognizione precedente della storia naturale, perchè è impossibile il dedurre da frammenti di esseri organici fossilizzati, da secoli e secoli non più viventi sulla faccia della terra, la loro antica forma, i loro istinti, le loro abitudini e le loro leggi di vitalità, senza aver prima di queste stesse cose cognizioni esatte negli esseri organizzati viventi. Dunque lo studio della Mitologia greca e romana sarà utile sempre, ed anche sempre più necessario, quanto maggiori progressi verranno a farsi nella Paleontologia mitologica, secondo le eruditissime elucubrazioni dei germani filologi. […] Ed io perciò in questo libro ho riportate e spiegate tutte le parole e tutte le espressioni mitologiche, o allusive alla Mitologia, che si trovano nella Divina Commedia.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

La Genealogia degli Dei, ossia la loro filiazione e parentela (almeno dei principali), è necessaria a conoscersi nella Mitologia pel doppio scopo, che da quella si deducono spesso i rapporti di causa e di effetto considerati dagli antichi nei fenomeni del mondo, e poi perchè frequentemente i poeti, invece di rammentare una divinità col suo nome principale e più conosciuto, fanno uso del patronimico, ossia di un vocabolo derivato o composto dal nome del padre di quella data divinità. […] Di più nella lingua italiana, oltre il verbo naturare che è antico, si è formato modernamante il verbo naturalizzare, che è stato introdotto ancora nel linguaggio delle nostre leggi, forse ad imitazione e per copia conforme del Codice Napoleone13. […] Infatti troviamo negli antichi mitologi e nella stessa Genealogia Deorum del Boccaccio (che raccolse tutte le diverse e più disparate opinioni degli autori antichi), molte divinità dello stesso nome, distinte col numero d’ordine, come Giove primo, Giove secondo ecc.

57. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

È narrato anche nella Storia Romana il miracolo dell’ancile caduto dal Cielo a tempo di Numa. […] Zandonella in un suo articolo inserito nell’Ateneo di Firenze del 15 febbraio 1874, esaminando il nome Monsummano « applicato a borgo e monte nel Veneto e nella Val di Nievole » mentre non approva « l’etimologia di Monsummano da Sommo Mane (il Plutone dei Pagani) che fu adottata dal Proposto Gori e poi dal Tigri nella descrizione di Pistoia e suo territorio, » e invece riconosce giusta la conclusione del Preller, non nasconde per altro che le notizie date dal dotto autore tedesco non discordano punto da quelle, più erudite del Giornale Arcadico stampato in Roma nel 1820, cioè mezzo secolo prima degli scritti del Preller. — Avvertimento agli ammiratori di tutto ciò che è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò che è nostro.

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Ma poichè ammettevasi nella classica Mitologia una Divinità più potente di Giove, il Fato, agli inesorabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi al Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. […] Ma o prima o poi che l’infortunio accadesse, anche Omero chiama Vulcano l’inclito zoppo, e come zoppo Vulcano è conosciuto questo Nume anche dal nostro volgo ; e la fama dei suoi esterni difetti, benchè a lui non imputabili, si è maggiormente diffusa (come accade pur troppo nel mondo) ed è stata più durevole di quella dei suoi rarissimi pregi nella Metallurgia. […] Abitavano in un’isola, secondo Omero, vicina alla Sicilia, e secondo altri poeti, nella Sicilia stessa.

59. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) «  Avviso. per questa terza edizione.  » pp. -

La favorevole accoglienza ottenuta dalle nostre due antecedenti edizioni del Corso di Mitologia dei Signori Nöel e Chapsal, ci ha confortati a mettere al la luce questa terza edizione, che abbiamo cercato rendere anche migliore delle altre per esattezza nella correzione, e per un numero maggiore d’incisioni in legno intercalate nel testo. […] La descrizione delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure, che sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili, finchè rimane disgiunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire che ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani.

60. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30

Il feticismo però non prevalse nella religione dei Greci e dei Romani, ma sì di altri popoli o più antichi o più rozzi, e fu proprio più specialmente degli Egiziani, come abbiamo altrove accennato. […] Il Monti fa dire ad Aristodemo, nella tragedia di questo nome : « Che l’uomo ambizioso è uom crudele.

61. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

Dante stesso fa dire a Virgilio esservi « ……. chi creda « Più volte il mondo in caos converso, » cioè ritornato nella prima mistura e confusione di tutti i suoi elementi2. […] Sotto questo punto di vista nelle lingue moderne affini della latina, e specialmente nella italiana, furono accolti e adottati dai nostri poeti i miti dei Greci e dei Romani, non però tutti alla rinfusa e senza discriminazione, ma quelli soltanto o principalmente, che presentavano una più evidente, o almeno probabile spiegazione dei fenomeni fisici o morali.

62. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Ma ogni essere ragionevole sente la dignità dell’umana natura e riconosce in sè questa ingenita forza e facoltà di prestare o negare liberamente il suo assenso ; e sotto questo rapporto suol dirsi che si può esser liberi anche nella schiavitù. […] Anche in altri luoghi ritorna il sommo Poeta sullo stesso argomento, o indirettamente vi allude : tanto gli stava a cuore d’imprimer bene nella mente dei suoi lettori questa fondamentale dottrina del libero arbitrio, da cui dipende la moralità delle azioni, e quindi il merito o il demerito delle persone, e la giustizia del conferimento dei premii e della irrogazione delle pene !

63. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Indice alfabettico. » pp. -424

Adrasto, capitano nella guerra di Tebe, 506. […] Agamennone, supremo duce nella guerra di Troja, 527. […] Circe, celebre nella magia, 575.

64. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Ma gli antichi Pagani ammettevano nei loro Dei non solo difetti, ma pur anco azioni talmente nefande che sarebbero punibili tra gli uomini nella civil società. […] Anzi nella modernissima scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il Sole che n’ è fisicamente la causa prima), produce il lavoro meccanico delle macchine a vapore e dà la forza anche alle braccia degli uomini. — Felice chi potè conoscer le cause delle cose 84), diceva Virgilio ; e in oggi spingendosi le scienze sempre più arditamente e con prospero successo a far mirabili conquiste nelle regioni del vero, posson chiamarsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle !

65. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

Raccontano che Giunone essendosi accorta che Giove prediligeva Semele, figlia di Cadmo re di Tebe, volle vendicarsi della medesima, e trasformatasi nella vecchia Beroe nutrice di Semele, suggerì a questa di farsi promettere con giuramento da Giove di comparirle innanzi con tutta la maestà e tutti i distintivi con cui si mostrava in Cielo agli Dei. […] Bacco gli ordinò di lavarsi nel fiume Pattolo ; e i poeti aggiunsero che le acque di quel fiume contrassero in parte la proprietà che Mida perdè, trasportando nella loro corrente alcune pagliuzze o arene d’oro.

/ 70