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10. (1836) Mitologia o Esposizione delle favole

Al vedere ch’ egli era tutt’ altro, rimase attonita, il coltello le cadde a terra, e una scintilla del fuoco della lucerna caduta sopra una spalla’ di Amore il ferì. […] Fauno, altro Dio campestre figlio di Mercurio e della Notte, dipingetesi come Pane, ma senza peli al mento ed al detto. […] Molti pure ad ogni uomo due Geni attribuirono, l’ uno buono e l’ altro cattivo, o, come dice Orazio, l’ uno bianco e l’ altro nero. […] Da una parte ei nascose sotto la pelle le intestina e carni coperte col ventriglio; dall’ altro le ossa coperte col grasso, e ne diede a Giove la scelta. […] Polluce però, onde aver col fratello una sorte comune, ottenne da Giove che a vicenda l’ uno morisse, e risorgesse l’ altro.

11. (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248

Talvolta è figurata all’impiedi, o cavalcando un lione, e non di rado con un piede in terra, ed un altro sul rostro di una nave, per dinotare il di lei dominio sull’uno, e l’altro elemento. […] Cariddi altro golfo a lui opposto giace poco lontano. […] Passò Giasone il resto de’ suoi giorni ora in un luogo, ora in un altro. […] Costui con grandissima facilità caminava sott’acqua da Reggio a Messina, portando lettere, ed altro. […] Servio parla di due Genj : uno che ci esorta a bene operare, l’altro che le prave opere ci consiglia.

12. (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -

Il nostro globo ed un altro pianeta portano il nome di queste due divinità. […] C. da Erostrato che non trovò altro mezzo di tramandare il suo nome alla posterità. […] Allora sua madre gli diede per fratello un altro Amore il quale fu chiamato Antero. […] Aveva essa un altro tempio in Elide, la cui statua era d’oro e di avorio, lavoro di Fidia. […] Altra eredità non aveva fatta che due soli paia di buoi, uno pel suo aratro, l’altro pel suo carro.

13. (1855) Compendio della mitologia pe’ giovanetti. Parte I pp. -389

Essi dimandarono a Giove non altro che esser ministri di quel tempio e di morire insieme. […] Quindi la dipingono calva, cieca, colle ali a’ piedi, uno de’ quali appoggiato al di sopra di una ruota, e l’altro, sospeso in aria. […] Nel suonar la lira ogni altro vinceva ; e credesi inventore de’ versi lirici. […] A principio Marsia vinse ; ma quel nume, avendo temperata la cetra su di altro tuono, il satiro non potè colla piva seguirlo. […] Un altro oracolo era in Cirra, la quale città essendo non molto lontana da Delfo, spesso si prende l’uno per l’altro.

14. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

Se le fosse dato questo nome da quello dell’architetto che la costruì, o dall’esser fabbricata in Argo, oppure da un greco vocabolo, che secondo alcuni etimologisti significa veloce, o da altro ortograficamente poco dissimile, ma che significa l’opposto, lascerò deciderlo ai solenni filologi : con tante idee poetiche e storiche che desta questa spedizione, non mi sento disposto ad arrestarmi a quisquilie filologiche. […] In questa comune e nazionale impresa per altro il solo Giasone è quello di cui si raccontano fatti straordinarii e maravigliosi, degni di poema ; gli altri Eroi vi rappresentan soltanto una parte molto secondaria ; ma appunto per questo vi è maggiore unità e si rende più facile e più breve la narrazione. […] I mezzi che egli adopera sono due l’ Ippogrifo, di cui abbiamo riportato altrove la descrizione stessa fattane dall’Ariosto, e l’altro non meno straordinario e mirabile, di cui riporterò parimente la descrizione coi versi stessi dell’Ariosto ; « E questo fu d’orribil suono un corno « Che fa fuggire ognun che l’ode intorno. […] « Ecco l’Arpie che fan l’usanza vecchia : « Astolfo il corno subito ritrova ; « Gli Augelli che non han chiusa l’orecchia, « Udito il suon, non puon stare alla prova ; « Ma vanno in fuga pieni di paura, « Nè di cibo nè d’altro hanno più cura. […] E sebbene la presenza e il braccio di tanti famosi Eroi rendesse sicura qualunque impresa da compiersi colla forza, trovaron per altro che questa non bastava a conquistare il Vello d’oro : bisognava ancora vincer gl’incanti, nelle quali arti i Greci eran novizii in confronto dei Colchi70.

15. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

Perciò Dante oltre al chiamarli Demonii e Diavoli, li chiama ancora angeli neri, come nel Canto xxiii dell’ Inferno : « Senza costringer degli angeli neri, « Che vengan d’esto fondo a dipartirci. » Nelle Belle Arti spesso i Genii dei Pagani furono rappresentati in figura d’imberbi giovanetti colle ali come Cupido, e allora potrebbero facilmente confondersi cogli Angeli dei Cristiani ; ma per altro hanno quasi sempre qualche distintivo, perchè per lo più tengono nelle mani la patera o il cornucopia. […] Per altro i Genii delle persone con caratteri e distintivi pagani furono ammessi anche nell’arte cristiana, e si vedono per lo più nei monumenti sepolcrali in atto mesto e colla face rovesciata o spenta, simbolo di morte. […] Euclide filosofo socratico asserisce che ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro al male. […] Nel Dizionario del Manuzzi, oltre le eccezioni approvate dalla Crusca, se ne trovano altre 6 ; tra le quali è da notarsi il genio della lingua, espressione che il Manuzzi ammette, citando due esempii, uno del Salvini, e l’altro del Magalotti ; ma il Fanfani riportando nel suo Dizionario questa stessa espressione dichiara che è francese affatto. […] Il Fanfani invece accenna un altro uso della parola Genio in questi termini : « Di una persona eccellente nella sua arte o in più discipline si ode dire spessissimo : È un genio. » Lo dice infatti lo stesso Tommaseo nel suo Dizionario dei Sinonimi, e son queste le sue parole : « Il genio genera : chi confronta, raccozza, non è un genio. » Nessun vocabolarista, per altro, ammette e registra il Genio Militare e il Genio Civile nel significato d’ingegneria militare e civile, come anticamente chiamavansi.

16. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

Nelle scuole di Atene o di Corinto, un filosofo epicureo, un cinico, un peripatetico disputava ingegnosamente sul vizio, sulla virtù, sull’anima, sugli Dei ; ma tutto ciò non altro era che spiritosa lizza d’ingegno. […] Ovidio facea della terra, non solamente il tipo, ma il teatro di tutti i vizj de’suoi Dei ; per modo che si può argomentare, che le credenze del politeismo più non servissero ad altro che a lusingare quegl’intelletti che non poteano persuadere. […] Essi commentavano le antiche favole in vece di prestarvi fede ; logoravano il vecchio paganesimo per ringiovanirlo ; non facevano altro che rimescolare il caos delle opinioni senza rinvenire una credenza che potesse rialzare l’intelletto dell’ uomo e affratellare tra loro le nazioni. […] Contuttociò di questi, per altro intrepidi, così da voi trattati, quali offese potete contare ? […] Con un altro titolo ingiurioso noi siamo accusati, cioè come inutili per ogni affare.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Per altro in una narrazione critica dei miti convien distinguere le due guerre e toccar brevemente anche della prima, cioè della Titanomachia. […] Alcuni per altro di quelli che Dante non accenna di aver veduto nel suo viaggio all’Inferno, eran molto più lunghi e più grossi, come per esempio il gigante Tizio che si estendeva per nove jugeri, ed Encelado che era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo che toccava il cielo col capo. Gli antichi mitologi aborrivano le minuzie aritmetiche e geometriche, e spacciavano tutto all’ingrosso ; e ci danno un’idea, secondo loro, sublime della grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per dar la scalata al cielo posero tre monti uno sopra l’altro, cioè sul monte Olimpo il monte Ossa e su questo il monte Pelio 73). […] L’altro figlio Vulcano insieme coi Ciclopi si affaticava a fabbricargli in gran copia i fulmini nelle sue sotterranee fucine, e l’aquila glieli portava. […] Esce talvolta « Da questo monte all’aura un’atra nube « Mista di nero fumo e di roventi « Faville, che di cenere e di pece « Fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse « Vibrano ad ora ad or luride fiamme, « Che van lambendo a scolorar le stelle ; « E talvolta le sue viscere stesse « Da sè divelte, immani sassi e scogli « Liquefatti e combusti al Ciel vomendo, « Infin dal fondo romoreggia e bolle79). » E Dante gareggiando col maestro, e, com’è suo stile, distinguendosi da esso e da qualsivoglia altro scrittore per insuperabile concisione, accenna con un solo verso l’opinione mitologica e dà la spiegazione della causa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel Canto iv del Paradiso, che la bella Trinacria, cioè la Sicilia, caliga, ossia cuopresi di caligine, fra Pachino e Peloro (ove appunto è situata l’Etna), « Non per Tifeo, ma per nascente zolfo. » Vedano ora i moderni geologi e chimici (se pure taluno di loro ha tempo di studiare il Dante), come il nostro divino poeta parlava cinque in sei secoli fa, secondo le loro odierne teorie ed analisi chimiche, accennando che lo zolfo nasce e si forma nei sotterranei abissi dei vulcani, e ne vengon tramandate le esalazioni nell’aria circostante ai crateri.

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

Queste Ninfe, che eran qualche centinaio, hanno or l’uno or l’altro nome, cioè di Doridi derivato dalla madre, o di Nereidi dal padre ; ma il secondo è il più comunemente usato dai poeti, i quali annoverano fra le Nereidi la stessa Amfitrite moglie di Nettuno e la ninfa Teti madre di Achille. […] « Nel tempo che Giunone era crucciata « Per Semelè contra ’l sangue tebano, « Come mostrò già una ed altra fiata, « Atamante divenne tanto insano, « Che veggendo la moglie co’due figli « Andar carcata da ciascuna mano « Gridò : tendiam le reti sì ch’io pigli « La lionessa e i lioncini al varco : « E poi distese i dispietati artigli « Prendendo l’un ch’avea nome Learco, « E rotollo e percosselo ad un sasso ; « E quella s’annegò con l’altro incarco »221. E l’altro incarco era l’altro figlio chiamato Melicerta ; e la favola aggiunge che invece di annegarsi divennero la Dea Leucotoe e il Dio Palemone. […] Il volgo bolognese chiama la statua di Nettuno il Gigante e il volgo fiorentino il Biancone ; e mentre si l’un volgo che l’altro tien bene a memoria ed usa spesso il nome del Dio del vino, poco si cura di rammentarsi o di rammentare quello del Dio dell’acqua.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

Si accorsero i mitologi di questo difetto del loro mito infernale, e pretesero di supplirvi assegnando a Plutone non soltanto la cura di far sì che delle anime degli estinti non ritornasse alcuna nel mondo240, (come è naturale, e pur troppo vero), ma pur anco l’altro più odioso attributo di affrettare la discesa degli uomini ne’regni suoi241. […] Di Ecate, dea infernale, abbiamo parlato bastantemente nel Cap. della Diva Triforme ; nè si trova altro da aggiungervi. […] Anche gli scienziati adottarono alcune denominazioni derivate dall’Inferno dei Pagani ; e principalmente i geologi che diedero il nome di plutoniche ad alcune roccie che il progresso delle osservazioni scientifiche fece riconoscere differenti, per certi particolari caratteri, da quelle che avevan chiamate vulcaniche, e perciò da doversi distinguere con altro nome. […] Omero fa dire poeticamente ad Achille : « Odio al par delle porte atre di Pluto « Colui ch’altro ha sul labbro, altro nel core. » 242. […] Per altro Minos nell’Inferno di Dante non è un demonio, perchè non è, come i diavoli, maligno nè bugiardo, ma giudica secondo giustizia ; e la sua lunghissima coda non gli offusca l’intelletto, nè lo rende un animale irragionevole e indegno di cotanto uffizio. — Un commentatore Darwiniano direbbe che questo giudice era uno scimmione precocemente perfezionato nella intelligenza, prima di aver perduto la coda, e divenuto uomo nelle facoltà razionali prima di averne acquistato perfettamente la forma.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

« Piante superbe, il melagrano, il pero, « E di lucide poma il melo adorno, « E il dolce fico e la canuta oliva « Gli piegavan sul capo i carchi rami ; « E in quel ch’egli stendea dritto la destra, « Vêr le nubi lanciava i rami il vento264). » Pindaro per altro, secondo l’interpretazione dei moderni grecisti, sembra asserire che Tantalo soffriva quella pena non già nell’Inferno ma nel Cielo, perchè avendo egli gustato il nettare e l’ambrosia, bevanda e cibo degli Dei immortali265), non poteva morire, nè perciò andare al Tartaro. […] Del gigante Tizio che offese Latona, udiremo da Omero qual fosse la pena nel Tartaro : « Sul terren distendevasi e ingombrava « Quanto in dì nove ara di tauri un giogo ; « E due avvoltoi, l’un quinci e l’altro quindi, « Ch’ei con mano scacciar tentava indarno « Rodeangli il cor, sempre ficcando addentro « Nelle fibre rinate il curvo rostro »267). […] E ben fu degno « Ch’ei provasse per man del padre eterno « D’altro fulmine il colpo e d’altro vampo « Che di tede e di fumo ; e degno ancora « Che nel baratro andasse »269. […] « Dispregia, poichè in altro pon la speme.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Ammettevano per altro i Mitologi un grande assurdo, che cioè queste Divinità potessero morire ; il che è una contradizione in termini teologici. […] Dante allude più d’una volta a questa favola, come, per esempio, nel Canto xxx dell’Inferno, ove un dannato dice ad un altro : « Che s’io ho sete, e umor mi rinfarcia, « Tu hai l’arsura e ‘l capo che ti duole, « E per leccar lo specchio di Narcisso (cioè l’acqua) « Non vorresti a invitar molte parole. » E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate che egli vide nel globo lunare, dice che gli eran sembrate immagini riflesse dall’ acque nitide e tranquille, anzi che esseri di per sè esistenti, conchiudendo con la seguente osservazione tratta dalla favola di Narciso : « Perch’io dentro l’error contrario corsi « A quel che accese amor tra l’uomo e ‘l fonte ; » cioè tra Narciso e l’immagine sua reflessa dall’acqua. […] Stabilita la base, e lieti della prima applicazione bene appropriata, presero coraggio a metterne fuori anche altre, e diedero il nome di Ninfale a un genere di Lepidotteri diurni della tribù dei Papilionidi ; e poi al Ninfale del pioppo (N. populea) assegnarono anche un altro nome più familiare e comune, tratto parimente dalla Mitologia, vale a dire Gran Silvano. […] Questo corno fu detto in latino cornucopia, e in italiano più comunemente il corno dell’abbondanza, come significa la parola latina. — A Giove stesso fu dato dai Greci l’appellativo di Egioco, che alcuni interpretano nutrito dalla Capra ; il qual termine per altro non fu adottato dai Latini, e l’usò soltanto qualche moderno poeta italiano.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Nella sua pubblica rappresentanza è una Dea maestosa e benefica ; ma essa pure, nella vita che diremmo privata o domestica, ha i suoi difetti non meno di Giove, sebbene di un altro genere : è superba, dispettosa e vendicativa. […] Il tema più vasto per altro e l’eterno argomento della vita di Giunone è quello delle gelosie, delle stizze e delle persecuzioni di questa Dea. […] Qui per altro è indispensabile il narrare uno di questi fatti mitici che serve a spiegare perchè il pavone fosse sacro alla Diva dalle bianche braccia. […] Per quanto tutti i poeti antichi abbiano parlato magnificamente della dea Iride, descrittane la bellezza e chiamatala, come Virgilio96, fregio ed onore del cielo, eran per altro ben lungi dal conoscere le vere cause di questo splendido fenomeno.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani « Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni della Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mortali. […] Nella Mitologia greca per altro si dà il potere del Fato alle Mire, cioè alle Parche. […] Nei moderni ritratti della Fortuna ai frutti ed ai fiori del cornucopia son sostituite le monete d’oro e d’argento ; e i moderni tempii, in cui è esposta l’immagine della Fortuna ad allettamento dei devoti cultori della medesima ; seno i Botteghini del Lotto, ove per altro, se l’aritmetica non falla, è cento mila volte più probabile perdere che guadagnare.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

XL Osservazioni generali Questi tre termini di Semidei, Indigeti ed Eroi si trovano usati talvolta indistintamente l’uno per l’altro, benchè differiscano tra loro non solo etimologicamente, ma pur anco per certe speciali condizioni, che converrà prima di tutto accennare. […] E per quanto possa questo vocabolo sembrare a primo aspetto sinonimo di quello di Semidei, non v’è compresa per altro come necessaria la condizione che uno dei genitori debba essere una Divinità. […] Nel Medio Evo dopo la caduta del romano Impero e le irruzioni dei Barbari, se non si rinnovò precisamente un circolo similare di tutte le antiche fasi sociali, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato della greca e della romana civiltà, come dice il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritornò per altro colla dissoluzione di tutti gli ordini sociali il predominio della forza in tutto il suo furibondo vigore e il così detto diritto della privata violenza.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Di Vesta Prisca abbiamo parlato abbastanza trattando di Urano ; nè qui, dopo aver notato come distinguevasi essa dalle altre due Dee rappresentanti la Terra, resta altro da aggiungere. […] Di Cibele per altro convien parlare molto più a lungo. […] In Roma per altro Cibele in progresso di tempo acquistò forma ed emblemi degni di una Dea.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

I Latini per altro non ammettevano che a loro avesse insegnato l’agricoltura Trittolemo e neppur Cerere, ma invece lo stesso Saturno, padre di lei (come dicemmo parlando di questo Dio), e perciò affermavano la lor priorità sopra i greci nell’arte di coltivar la terra. […] Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. […] Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano stesso due singolari privilegi, quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato. […] A Giano facevansi libazioni e preghiere prima che gli altri Dei, per ottenere da lui facile accesso a qualunque altro nume. […] Suppongono alcuni che, dopo essere stata la Giudea conquistata da Pompeo conoscessero i dotti, specialmente del secolo d’Augusto, i racconti biblici ; e sebbene non si trovi mai rammentata la Bibbia negli scrittori di quell’epoca, si sa per altro di certo anche da Orazio, che molti Ebrei (o come li chiamavano allora Giudei, perchè appartenenti al regno di Giuda), si erano trasferiti ad abitare e far loro arti in Roma ; e che si mantenevano sempre scrupolosi osservatori del giorno di sabato.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

I Naturalisti per altro sin dal tempo di Linneo pare che li considerassero più bestie che uomini, poichè usarono a guisa di nome collettivo la Fauna per indicare complessivamente tutti gli animali che vivono in una data regione, nel modo stesso che dicono la Flora per significare tutti i fiori che si trovano nella regione medesima. […] Quel giorno che fu il 21 di aprile divenne poi celebre e festeggiato solennemente anche in Roma come l’anniversario della fondazione di essa20, e tuttora si celebra e si solennizza, ma in altro modo, dai moderni Romani dopo 2628 anni. […] Non era altro che un masso, o uno stipite di pietra rozzamente squadrata, un parallelepipedo rettangolo, come direbbesi in geometria, il quale ponevasi per confine del territorio dello Stato e dei campi dei cittadini.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Perciò, stando all’etimologia della parola, qualunque altro modo di manifestazione dei voleri divini che non fosse a voce, non potrebbe a rigore chiamarsi oracolo, ma piuttosto divinazione, cioè interpretazione della volontà degli Dei. […] V’erano per altro anche in Italia alcuni Oracoli, che perciò eran detti Italici, come l’antico oracolo di Fauno, rammentato da Virgilio nell’Eneide, quelli della Fortuna, di Marte, ecc. ; ma appartenevano piuttosto alla vera e propria divinazione, perchè non rendevano responsi a voce, ma consistevano nella interpretazione di segni casuali, ed anche di sogni che si facessero addormentandosi in quei sacri recinti. […] Resta per altro a spiegarsi il fatto storico, pur troppo vero e indubitabile, che per tanti secoli gli Oracoli avessero credito e fama non solo presso gl’ignoranti, ma anche presso i dotti e sapienti.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

Le dodici Ninfe poi che danzano intorno al carro rappresentano le Ore del giorno ; le quali sebbene soltanto per gli equinozii sieno precisamente dodici, non sono però ragguagliatamente più di dodici un giorno per l’altro in tutto l’anno ; e per gli antichi Romani v’era inoltre una ragione speciale riferibile all’uso che avevano di dividere il giorno vero, ossia il tempo della presenza del sole sull’orizzonte, in dodici ore soltanto. […] Di un altro figlio di Apollo convien qui parlare, perchè il mito o fatto mitologico che di lui si racconta è relativo al Sole. […] Consentì per altro che fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio, che i popoli molto volentieri adoravano e a cui raccomandavansi nelle loro infermità.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Così, trovando il terreno preparato e disposto al fantastico e al maraviglioso, personificarono quasi tutti gli oggetti e i fenomeni dell’Universo, e primo d’ogni altro il Cielo, che perciò fu detto il più antico degli Dei. […] Credendo per altro che esistesse anche in Cielo il diritto di primogenitura 20, a subentrare nel regno sarebbe toccato regolarmente al primogenito, cioè a Titano.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Il culto di Vesta per altro è antichissimo, poichè Virgilio asserisce che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. […] Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio, che schiverei di rammentare, se, oltre Lattanzio, non ne parlasse anche Plinio il Naturalista ; ed era il Dio Sterculio o Stercuzio, così detto perchè aveva inventato il modo di render più fertili i terreni col fimo o concime. […] Anche Dante confrontando, nel Canto xix dell’Inferno, il numero degli Dei degl’ Idolatri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando che questi Dei son cento volte più numerosi di quelli, accetta per lo meno il computo di Varrone, poichè così rimprovera i Simoniaci stessi5 : « Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ; « E che altro è da voi all’ Idolatre6 « Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? 

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

Quegli antichi Romani per altro che tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù gli stessi Padri della Chiesa, non conobbero le assurdità della greca fantasia ; e gli antichi precetti religiosi riportati da Cicerone con antico stile nel libro ii delle Leggi, sono ben lontani dalle aberrazioni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo della repubblica, che studiarono e imitarono la greca mitologia. […] Per altro pitture e statue si fecero e si fanno tuttora di qualunque Virtù e di qualunque Vizio, ed anche di qualsivoglia idea astratta, politica o religiosa.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

Sebbene i Mitologi la considerino un’impresa secondaria (ed è tale se riguardisi soltanto lo scopo di uccidere una belva feroce), e perciò ne parlino soltanto incidentalmente, è per altro di somma importanza per la cronologia degli Eroi, dimostrando essa che furon contemporanei coloro che vi presero parte. […] » E Virgilio a lui : « Se t’ammentassi come Meleagro « Si consumò al consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a te sì agro. » Ma accorgendosi Virgilio che con questo esempio pretendeva di spiegare un mistero con un altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico : « E se pensassi come al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostra image, « Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. » E per quanto anche il poeta Stazio, a richiesta di Virgilio, gli desse bellissime spiegazioni scientifiche sulla generazione dell’uomo, sull’unione dell’anima col corpo e lo stato di essa dopo la morte, nulladimeno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta che Virgilio gli disse : « A sofferir tormenti e caldi e geli « Simili corpi la Virtù dispone « Che come sia non vuol che a noi si sveli. » E così con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere che spesso s’incontrano nelle umane cognizioni misteri inesplicabili.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

Per altro raramente i poeti greci e i latini rammentano qualche divinità delle altre nazioni, e solo alcuni di loro fanno un’eccezione per le principali Divinità Egiziane, che sono Osìride, Iside ed Anùbi. […] I sacerdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di che facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tutto il popolo ; ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano che si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo ne faceva maravigliosa festa.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Avea di pioppo ombra d’intorno ; « Di sottil velo e trasparente in dosso « Ceruleo ammanto, e i crini e ‘l fronte avvolto « D’ombrosa canna28. » Per altro in pittura e in scultura si aggiungono altri distintivi ai diversi fiumi. […] Avria rapito un forte « D’un altro forte almen l’armi e la vita.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Ma poichè in oggi non si ammettono più le origini mitologiche e miracolose, quindi il Giusti, molto satiricamente, defini la Nobiltà : « Gente che incoccia maledettamente « D’esser di carne come tutti siamo, « E vorrebbe per padre un altro Adamo. » (La Vestizione.) […] Diremo per lo meno che qui è davvero applicabile la massima attribuita da Fedro a Giove : « Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. » Non è per verità molto utile neppure il conoscere quali furono le lettere inventate da Palamede, e quelle aggiunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’ al più può essere una curiosità letteraria il sapere questa opinione degli Antichi : ma fu una vera pedanteria e ridicolezza il pretendere di distruggere il vocabolo alfabeto adottato nella lingua latina e in tutte le più colte lingue moderne, con tutti i suoi derivati e composti (alfabetico, alfabetare, analfabeta ecc.) per sostituirvene un altro di nuova formazione o etimologia.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

In Roma per altro, la cui fondazione ebbe luogo tre in quattro secoli dopo l’eccidio di Troia, il culto di Marte fu il più solenne e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore della loro città fosse figlio di Marte, come narra lo stesso Tito Livio. […] Modernamente per altro nei tribunali collegiali si procura che il numero dei giudici sia dispari ; ed in alcune società amministrative o di privati, ove il numero dei votanti è variabile, si accorda nei casi di parità il doppio voto al Presidente.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

Afferma per altro che tutti eran d’accordo (e vi si unisce anch’egli) nella etimologia della parola Pan e nel simbolo indicato da questo Dio che, cioè, significhi il tutto e rappresenti perciò l’universa natura 10. […] Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panicus terror est).

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

Non ha fatto dunque il Preller una nuova scoperta, ma soltanto ha dimostrato con qualche altro documento esser la più vera l’asserzione di Plinio168. […] Zandonella in un suo articolo inserito nell’Ateneo di Firenze del 15 febbraio 1874, esaminando il nome Monsummano « applicato a borgo e monte nel Veneto e nella Val di Nievole » mentre non approva « l’etimologia di Monsummano da Sommo Mane (il Plutone dei Pagani) che fu adottata dal Proposto Gori e poi dal Tigri nella descrizione di Pistoia e suo territorio, » e invece riconosce giusta la conclusione del Preller, non nasconde per altro che le notizie date dal dotto autore tedesco non discordano punto da quelle, più erudite del Giornale Arcadico stampato in Roma nel 1820, cioè mezzo secolo prima degli scritti del Preller. — Avvertimento agli ammiratori di tutto ciò che è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò che è nostro.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

Venere era considerata in principio come Dea dell’Amore, e poi le fu aggiunto per questo particolare attributo un figlio chiamato Eros dai Greci e Cupido dai Latini186 ; ed inoltre un corteo di tre figlie col nome a tutte comune di Càriti in greco e di Grazie in latino, e con un altro proprio e particolare a ciascuna di esse, cioè Aglaia, Talìa ed Eufrosine. […] Imene o Imeneo, l’altro figlio di Venere era il Dio delle Nozze, o vogliam dire del Matrimonio ; ed anche in italiano si usa elegantemente il nome di imeneo per significar le nozze, ossia la celebrazione del matrimonio.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

XXVIII Le regioni infernali La paròla Inferno, secondo l’etimologia latina, significa ciò che resta di sotto, ed è propriamente un aggettivo a cui può sottintendersi il nome di qualunque luogo od oggetto, che nella direzione dell’altezza trovisi al di sotto di un altro : equivale dunque soltanto all’aggettivo inferiore. […] Nei Campi Elisii per altro la scena mutava in tutto e per tutto.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Raccontano i poeti che quando Mercurio rubò le vacche ad Apollo, incontrò per via il pastor Batto, al quale regalò una giovenca perchè non lo scuoprisse ; ma poi per provar la sua fede prese la forma di un altro che cercasse il ladro di quell’armento e promise a Batto una vacca e un bove, se glie ne indicava le traccie. […] Per altro questo modo di dire è incluso nelle regole di quel traslato che chiamasi metonimia.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Inoltre per bellezza e comodo si moltiplicheranno sempre gli orologi ; e si può asserire che anche i girarrosti a macchina son più utili degli automi di animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare. […] Aveva Vulcano anche un altro nome in latino.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Non v’è però da spaventarsi a veder queste Meduse, perchè son piccoli animali marini gelatinosi, e fosforescenti durante la notte, nè producono altro maligno effetto, non già a vederli, ma a toccarli, che quello stesso dell’ortica, e perciò si chiamano ancora volgarmente Ortiche di mare. […] Il caval Pegaso gli sopravvisse e passò in potere di un altro eroe, come vedremo.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Per altro Ugo Foscolo ne ha intredotto, nel suo Carme I Sepolcri, uno dei più rari a trovarsi anche nelle lingue dotte, quello cioè di Pimplèe, dato alle Muse, perchè talvolta soggiornavano sul monte Pimpla, o presso la omonima fonte in Macedonia sui confini della Tessaglia. […] Sappiamo già come perdè il suo figlio Fetonte : dicemmo ancora che perì fulminato da Giove l’altro suo figlio Esculapio, ad istanza di Plutone, che si vedeva rapire i sudditi dell’Inferno per opera di questo medico incomparabile.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

Per altro si capisce che quelle così terribili Orche non erano altro che Balene.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — I. La Cosmogonia mitologica » p. 10

Per altro si è creduto e si crede generalmente che sotto la forma delle più strane invenzioni miracolose si nascondessero elevati principii scientifici, noti soltanto ai sacerdoti e ai loro adepti o iniziati ; e finchè prevalse lo spirito di casta, ossia di preeminenza e predominio dell’una classe sociale sull’altra, furono censurati, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo la dottrina segreta.

50. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30

« Tra le sue mire di grandezza e lui « Metti il capo del padre e del fratello « Calcherà l’uno e l’altro ; e farà d’ambo « Sgabello ai piedi per salir sublime. » 23.

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492

E poichè i moderni filosofi, e tra questi il Pestalozza, discepolo e seguace fidissimo del Rosmini, danno alla religione pagana il titolo di Panteismo Mitologico, è questo un altro motivo di credere che il sistema da me prescelto sia il più opportuno a spiegare i miti dei Greci e dei Romani.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

Ma spenta con Marco Bruto la libertà e perduta affatto anche l’ombra di essa sotto Tiberio, le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici non furono altro che solennità comandate dal Principe e servilmente festeggiate dal popolo, come abbiam detto di sopra ; e nel frasario stesso degl’Imperanti l’esser trasformati in Dei significava morire.

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-

Negli scrittori ecclesiastici i politeisti son detti ancora Ethnici e Gentiles, vocaboli che sono sinonimi, il primo in greco e il secondo in latino ; onde è derivata in italiano la parola gentilesimo che si può usare indifferentemente per paganesimo ; ma non così la parola gentili per pagani, perchè il vocabolo gentili ha due altri diversi significati : uno più usato e comune invece di cortesi ; e l’altro legale, che sta ad indicare le persone della stessa famiglia, la quale in latino dicevasi più comunemente gens, mentre familia significava anche i servi o schiavi.

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

L’ adopra per altro non già nel senso panteistico degli antichi e di non pochi moderni, ma soltanto a significare un grande ammasso o emporio di oggetti di qualunque forma o figura, ed anche talvolta una gran confusione amministrativa in uno stabilimento industriale o in una pubblica azienda.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

Quivi fu calunniato malignamente dalla regina Stenobea ; e Preto per le accuse della perfida moglie (volendo per altro schivare l’odiosità di farlo morire egli stesso senza apparente motivo), lo mandò da suo suocero Iobate re di Licia, con una lettera chiusa, che consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli che era una commendatizia, mentre invece conteneva la commissione di far morire il latore di quella.

57. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9

E quantunque il termine di Mitologia in senso lato sia riferibile a tutte le religioni pagane, è per altro più specialmente applicabile a quella dei Greci e dei Romani, le cui classiche lingue e letterature tanto contribuirono e contribuiscono a dar pregio e vigore alla lingua e alla letteratura italiana.

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Peggio poi che bestiale non che disumana fu la condotta di questo Dio nel precipitar dal Cielo in Terra con un calcio Vulcano figlio suo e di Giunone, non per altro motivo se non perchè gli parve brutto e deforme : per la qual caduta il misero Vulcano ebbe di più la disgrazia di rimaner perpetuamante zoppo, e di esser perciò il ludibrio di quelle stravaganti Divinità del Paganesimo, come vedremo a suo luogo.

59. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

La questione per altro verte intorno all’etimologia del nome ed alla origine di questi Dei, poichè v’è chi li crede così chiamati, perchè figli della Ninfa Lara o Larunda, ed altri ne derivano il nome da Lar antica parola etrusca che significa capo o principe.

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