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12. (1836) Mitologia o Esposizione delle favole

Altri dissero, che Giove concepì da se stesso Minerva nel proprio capo, e per metterla fuori fecesi spaccare il cranio da Vulcano. […] Ella ne fu poi disciolta dallo stesso Vulcano. […] Dotalo di astutissimo ingegno egli volle ingannar Giove stesso. […] Altri voglion però che sia stato Periclimeno per la sua insolenza ucciso dallo stesso Nettuno. […] Dedalo fugge da Creta colle ali fabbricatesi da se stesso; il figlio Icaro cade in mare.

13. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

Cominciarono dunque dal divinizzare l’Oceano stesso come avevano divinizzato il Cielo sotto il nome di Urano, e la Terra sotto il nome di Vesta Prisca o di Cibele. L’Oceano fu dunque considerato come il più antico degli Dei marini, perchè era il mare stesso, come Urano il più antico degli Dei celesti, perchè era lo stesso Cielo. […] Volle provare anch’egli a gustar di quell’erba, che subito gli fece lo stesso effetto, e sentendosi spinto e sollevato da forza soprannaturale, si trovò in un istante senza avvedersene in mezzo al mare, accolto dalle Divinità marine e trasformato in un Dio protettore della navigazione. […] A questo Nume costituito in sì umile ufficio attribuirono una prerogativa degna dei più grandi Numi e dello stesso Giove, quella cioè di prevedere il futuro ; ed inoltre di poter prendere qualunque forma che più gli piacesse. […] « Che di vederli in me stesso m’esalto. » (Inf.

14. (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -

Questo Mida è lo stesso di cui si parla nella storia di Bacco. […] Il Tartaro si prende per l’Inferno stesso molte volte. […] Viene preso anche per una parte dell’Inferno e per l’Inferno stesso. […] In quell’anno stesso cadde tanta acqua che tutta la Tessaglia fu inondata. […] Caddero però in breve anch’essi nello stesso fallo di cui avevan voluto punire quell’eroe.

15. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

Lo stesso Omero dice chiaramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orrore anche agli Dei. […] Lo stesso Virgilio ci narra che nelle regioni sotterranee vi son due porte da cui escono i sogni per venire sulla Terra ; la prima è di corno da cui escono i sogni veri, e la seconda di avorio, e n’escono i sogni falsi : della quale invenzione non è facile intendere il significato. Generalmente qualunque poeta in questa vastissima regione immaginaria crede di avere scoperto qualche cosa di nuovo, e non la nasconde al lettore ; ed anche i pittori si sbizzarriscono a rappresentare il Sonno ed i Sogni secondo la loro fantasia ; e lo stesso Vasari, ne ragiona ex-cathedra nelle sue Vite. […] Plutone nel poema sacro di Dante non poteva trovar posto come re dell’Inferno, perchè anche questo dipende dal re dell’Universo che in tutte parti impera, secondo le espressioni di Dante stesso ; ma abbiamo già veduto di sopra che il poeta si valse di uno dei nomi di Plutone, di quello cioè di Dite, per darlo alla città del fuoco ed allo stesso Lucifero. […] Anche i poeti latini trovarono più poetiche le Parche che il Fato ; e assegnarono ad esse lo stesso ufficio.

16. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Cerere figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), era considerata come la Dea delle biade che in sua stagiòne (in tempore suo), producevansi dalla terra. […] I Latini per altro non ammettevano che a loro avesse insegnato l’agricoltura Trittolemo e neppur Cerere, ma invece lo stesso Saturno, padre di lei (come dicemmo parlando di questo Dio), e perciò affermavano la lor priorità sopra i greci nell’arte di coltivar la terra. […] Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone. […] Altri autori latini dicono che Ceres è lo stesso che Geres, a gerendis fructibus, perchè i Latini nella loro pronunzia, e specialmente in quella dei nomi proprii, usavano spesso il G invece del C. […] Perchè madre Idèa voglia dir Cibele è spiegato all’articolo di questa Dea, ove ho riportato questo stesso verso dell’ Ariosto.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

Le fu dedicato anticamente un tempio nel Campo Marzio il giorno stesso delle Feste Carmentali. […] L’ancile era uno scudo di figura ellittica e perciò privo di angoli, come, secondo alcuni etimologisti, significa il nome stesso. […] XXXIII che di molti Dei si conoscono le attribuzioni dal significato stesso del loro nome ; e tra gli altri abbiamo rammentato il Dio Robigo. […] Nello stesso giorno si celebrava la festa della Dea Bona. […] Cicerone stesso disapprova questa e simili stolte superstizioni nel lib. 

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

Tantalo era figlio di Giove e perciò ammesso ai segreti degli Dei ; ma egli abusando di tal fiducia, li rivelò ai mortali, e per far prova se i Numi avessero l’onniscenza, li invitò a pranzo e imbandì loro le membra del suo figlio Pelope da lui stesso ucciso. […] Inoltre lo stesso poeta alla solita pena di Tantalo aggiunge il timore continuo di essere schiacciato da una rupe che sta sempre per cadergli addosso, e il tormento di sapere che egli è immortale, e che perciò la sua pena durerà eternamente. […] « Questi su quattro suoi giunti destrieri, « La man di face armato, alteramente « Per la Grecia scorrendo, e fin per mezzo « D’Elide, ov’è di Giove il maggior tempio, « Di Giove stesso il nome e degli Dei « S’attribuiva i sacrosanti onori. […] Notabilissimi sono i principii filosofici dai quali deduce la reità dei motivi a delinquere, o come dice il Romagnosi, la spinta criminosa, considerandola in ragion composta coll’ingiuria che risulta dal commesso delitto, ossia colla violazione dei doveri morali verso Dio, verso sè stesso, e verso il prossimo. […] Mirabile è poi in sommo grado, e al tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra che usura offende la divina bontade ; e perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

Lo stesso Michelangelo, che tutto osò e in tutto fu sommo, volle rappresentare in scultura il Crepuscolo mattutino e il vespertino, le cui statue si ammirano nell’ antica sacrestia di San Lorenzo in Firenze. […] Questa favola di Fetonte è descritta e celebrata da molti poeti e principalmente da Ovidio nelle Metamorfosi ; e lo stesso Dante trova il modo di parlarne più volte nella Divina Commedia. […] Esculapio, lo stesso che Asclepio, come lo chiamavano i Greci, era figlio di Apollo e della Ninfa Coronide. […] Il maggior culto di Esculapio fu in Epidauro ; e sappiamo dallo stesso Livio, non che da Ovidio, che da quella città fu trasportata solennemente la statua del Nume a Roma, e gli fu eretto un Tempio nell’isola Tiberina, che allora fu detta di Esculapio, ed ora di San Bartolomeo, dopochè Roma divenuta cristiana dedicò quel tempio pagano al culto di quest’apostolo. […] Dal greco nome Eos che significa l’Aurora hanno i poeti formato Eoo che vorrebbe dire orientale, per indicare uno dei cavalli del sole ; e di più si son serviti di questo stesso vocabolo come aggettivo poetico, invece del più comune, cioè orientale.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

Racconta lo stesso Tito Livio che i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai Greci vennero in Italia seguendo il loro Duce Enea principe troiano, creduto figlio di Venere e di Anchise ; che Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lunga ; che dalla dinastia dei re Albani discesi in linea retta da Enea, nacque il fondatore di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. Dal che si deduce che le Divinità adorate allora nel Lazio e nel territorio stesso ove sorse Roma esser dovevano per la massima parte quelle stesse dei Troiani e dei Greci al tempo della guerra di Troia, poichè Omero in tutta quanta l’Iliade ne rammenta sempre almeno le principali, come adorate egualmente da entrambe le nazioni. […] Lo stesso Numa Pompilio che inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ninfa Egeria. […] viii della Farsalia : « Nos in templa tuam Romana accepimus Isim. » Di questa Dea eran devote principalmente le donne ; tra le quali è rammentata da Tibullo la sua Delia, che passò ancora qualche notte avanti le porte del tempio d’Iside a pregar la Dea per la salute di Tibullo stesso che era infermo in Corfù. […] Virgilio stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare che, in generale, i Romani non avessero gran devozione per questi mostruosi Dei Egiziani, poichè Giovenale, nella Satira xv, così ne parla : « Chi, o Vòluso, non sa quai mostruose « Adora deità l’Egitto stolta ?

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

Dante stesso fa dire nella Divina Commedia a Marco Lombardo : « Tu dei saper che la mala condotta « È la cagion che il mondo ha fatto reo, « E non natura che in voi sia corrotta. » E in propria persona soggiunge tosto : « …. […] Nel tempo che Saturno si trattenne nel Lazio insegnò a quei rozzi e semplici popoli a seminar le biade, primo fondamento dell’agricoltura ; e il nome stesso di Saturno si fa derivare dal latino Satum, cioè dal seminare 34. […] Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano stesso due singolari privilegi, quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato. […] Ecco uno dei molti casi mitologici in cui più e diversi attributi ed uffici si riunivano in uno stesso soggetto, che inoltre era considerato e come uomo e come Dio. […] È Orazio stesso che lo dice nella ix Satira del lib. 

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Perciò il Petrarca chiamò il lauro « Arbor vittorïosa e trionfale, « Onor d’imperatori e di poeti. » Dante stesso parla più volte del legno diletto ad Apollo, della fronda Peneia e dell’incoronarsi di quelle foglie 133. […] Apollo dolentissimo, per sollievo della sua afflizione lo cangiò nel fiore che porta lo stesso nome del giovinetto134. Invenzione anche questa dello stesso genere delle precedenti. […] Neppure i poeti latini del secol d’oro usaron mai la parola estro per l’ispirazione poetica : solo nel secolo d’argento, trovasi nella Tebaide del poeta Stazio in quello stesso significato che talvolta gli si dà in italiano. […] Vaticinari in latino è lo stesso che fata canere, frase usata anche da Orazio nell’ Ode 15 del lib. 

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Lo stesso è da dirsi del vocabolo responsi, latinismo che è divenuto in italiano il termine solenne e poetico delle risposte degli Oracoli282). Inoltre la parola Oracolo significa talvolta lo stesso che responso, e tal’altra il luogo sacro in cui si rendevano i responsi : e questa differenza di significato facilmente s’intende dal contesto delle diverse frasi. […] Anche i Romani ricorrevano talora a consultare gli Oracoli della Grecia ; e lo stesso T. […] Lo stesso Machiavelli dice chiaramente e senza bisogno d’interpretazione : « Fra tutti gli uomini laudati sono laudatissimi quelli che sono stati capi e ordinatori delle religioni. » E dopo avere attribuito gradatamente qualche parte di laude maggiore o minore secondo la diversa importanza a tutte le altre occupazioni ed arti utili alla umana società, aggiunge con forza mirabile di convinzione : « Sono, per lo contrario, infami e detestabili gli uomini destruttori delle religioni, dissipatori de’regni e delle repubbliche, inimici delle virtù, delle lettere e d’ogni altra arte che arrechi utilità e onore alla umana generazione, come sono gli empii e i violenti, gli ignoranti, gli oziosi, i vili e i da poco. […] Le più belle massime antiche morali e filosofiche eran credute responsi degli Oracoli ; e la più sapiente e mirabile di tutte, espressa con queste poche parole : conosci te stesso, leggevasi scritta sul pronao del tempio di Apollo in Delfo.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a cui vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro « Che co’rami all’altar facea tribuna, « E coll’ombra a’Penati opaco velo35. » Ma se il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famiglia avessero ricevuto un simil culto. […] Anzi ne deriva al tempo stesso la spiegazione come avvenga che talvolta in qualche Classico latino si annoverano tra gli Dei Penati taluni degli Dei superiori o maggiori, come Giove, Marte, Nettuno ecc. Vedemmo altrove che lo stesso Dante rammenta Marte come il primo patrono di Firenze, che poi i cittadini divenuti cristiani cangiarono nel Battista 36. […] Riguardo poi all’ etimologia del titolo di questi Dei, che furon portati in Italia « ……. da quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia, » lasceremo decidere ai solenni filologi di professione se il vocabolo stesso Penati discenda in linea retta o collaterale dal troiano linguaggio, come i Romani dai Troiani. […] In quanto ai Lari, che questi fossero Dei familiari o domestici non può insorger questione, poichè li consideran tali tutti i Mitologi ed i poeti latini e pur anco gl’ Italiani : lo stesso Ugo Foscolo, peritissimo nelle lingue dotte e per conseguenza anche nella Mitologia, li chiama nel suo Carme I Sepolcri, come abbiamo veduto altrove, i domestici Lari.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

E in questo stesso significato si usa nelle scienze anche oggidì, per non star sempre a rammentare il nome di Dio : e non solo nelle scienze fisiche, ma pur anco nelle scienze morali, come per esempio, dove si tratta del diritto naturale. […] Il volgo stesso ha sempre pronte sulle labbra le espressioni : è naturale ; naturalmente ; per natura, o di natura sua e simili. […] Infatti troviamo negli antichi mitologi e nella stessa Genealogia Deorum del Boccaccio (che raccolse tutte le diverse e più disparate opinioni degli autori antichi), molte divinità dello stesso nome, distinte col numero d’ordine, come Giove primo, Giove secondo ecc. […] A legger cotesti libri di così minuziosa erudizione viene il capogiro, pretendendo di ricordarsi di tutte quelle interminabili filiazioni e parentele di un gran numero di Dei e di Dee dello stesso nome. Lo stesso Vico ha detto nel lib. 

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

., tanto frequenti nei poeti classici latini e greci ; e quelli specialmente di Ciprigna e di Citerèa anche negl’italiani e nello stesso Dante183. […] Ma se a quasi tutte le Divinità pagane ed allo stesso Giove furono attribuiti difetti e vizii, a Venere più che mai. […] E quella graziosissima particolarità del mitologico racconto, che Cupido si rendeva invisibile a Psiche facendole soltanto sentire la sua voce, esprime filosoficamente, che questa e tutte le altre affezioni dell’anima, o vogliam dir le passioni di qualunque genere, non sono che modificazioni dell’animo stesso, ed è impossibile che abbiano realmente forme corporee, nella guisa stessa che non sono esseri di per sè esistenti le febbri, i dolori, gli starnuti, gli sbadigli, ecc., ma soltanto modificazioni più o meno morbose o moleste del nostro corpo. […] Le tre Grazie, di cui l’appellativo stesso spiega l’ufficio o attributo, erano rappresentate come giovanette gentili ed ingenue, nude e abbracciate amorevolmente tra loro, per indicar che le grazie debbono esser naturali e spontanee e che non hanno bisogno di stranieri o compri ornamenti ed aiuti. […] Lo stesso Ugo Foscolo alludendo alle Grazie ne diede questa spiegazione : « L’arte e la coltura danno avvenenza, potere e modestia alla beltà corporale. » 186.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Lo stesso Dante la rammenta più e più volte nel suo poema sacro, e fa nascere l’opportunità di parlarne perfino nel Purgatorio, immaginando che ivi esistessero dei bassirilievi rappresentanti i fatti veri o allegorici di superbia punita. […] Una delle più impossibili ed incredibili era tanto famigerata, che la eternò nei suoi mirabili versi lo stesso Virgilio. […] Non troverà nulla da opporre neppure lo stesso sir Carlo Lyell, il principe dei geologi, con tutta la sua nuova teoria dei vulcani. […] Lo stesso Orazio nell’ Ode i del libro iii appella Giove illustre pel trionfo sui Giganti (clari Giganteo triumpho), e non per quello sui Titani. […] Chiunque legge con attenzione e riflette su quel che ha letto, quntunque egli sia nuovo alle scienze, pure facendo uso soltanto del lume naturale della ragione, dirà a sè stesso o a qualche chimico : Ma dunque se dite che v’è lo zolfo nativo, parrebbe che vi dovesse essere anche lo zolfo non nativo, ossia procurato con mezzi artificiali per l’industria dell’uomo ! 

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Ma Omero fa raccontare a Vulcano stesso che il trattamento brutale di esser precipitato dal Cielo in Terra (per la qual caduta divenne zoppo) lo ricevè essendo già adulto, e non da Giunone, ma da Giove, poichè il poeta così introduce Vulcano a parlar colla madre : « …….Duro egli è troppo « Cozzar con Giove. […] Si vede bene che Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spiega in che consista il fulmine stesso, perchè nè egli, nè Dante, nè alcun dotto dell’antichità o del medio evo poteva saperlo. […] Il nome stesso latino di Vulcanus, che secondo Servio è un’abbreviazione di volicanus, s’intende che voglia significare l’agitarsi e quasi lo svolazzar della fiamma. […] Lemno era un’isola vulcanica : ecco perchè per l’appunto la favola fa cadere e adorare Vulcano in quest’isola ; e per lo stesso motivo pone le sue fucine sotto il monte Etna ed altri monti vulcanici : e quindi aggiunge che le eruzioni vulcaniche son le fiamme e le scorie di queste fucine metallurgiche, e i crateri sono i camini delle medesime. […] Lo stesso Ganot (francese) comincia a trattare dell’elettricità dinamica con queste parole : « È dovuta a Galvani, professore di « anatomia a Bologna, l’esperienza fondamentale che condusse alla scoperta dell’elettricità dinamica, o del galvanismo, nuovo ramo della fisica, tanto importante per le innumerevoli applicazioni che se ne fecero da un mezzo secolo a questa parte. » — E parlando di quell’apparato detto pila, che serve a svolgere l’elettricità dinamica, e che fu inventato da Volta nel 1800, riporta questa notizia istorica nei seguenti termini : « Volta, fondandosi sulla teoria del contatto, fu condotto ad inventare il maraviglioso apparato che rese immortale il suo nome » (la pila di Volta).

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

Il nome stesso di Bacco, o che si faccia derivare da un greco vocabolo che significa favellare, ed accenni al vaniloquio dell’ubriachezza, o da altro termine greco significante urlare, e indichi perciò il frastuono dei gozzovigliatori, è pur sempre espressivo dei principali attributi di questo Dio. […] La qual voce Evoe fu adottata come esclamazione e nello stesso senso tanto dai poeti latini201) quanto ancora dagl’italiani, come troviamo, per esempio, nell’Orfeo del Poliziano, e nel Ditirambo202) del Redi, intitolato Bacco in Toscana. […] Fece sì che Licurgo, re di Tracia, il quale aveva ordinato che si tagliassero tutte le viti dei suoi Stati, nel volerne recidere alcune di propria mano si tagliasse da sè stesso le gambe. […] Egli dice nel Canto xxv del Purgatorio : « Guarda il calor del Sol che si fa vino, « Misto all’umor che dalla vite cola. » Lo stesso Galileo 300 anni dopo non aggiunse nulla di più alla formula di Dante col dire che il vino è un composto di umore e di luce. […] iii delle Metamorfosi così racconta questa favola, accennando in una parentesi di non prestarvi fede egli stesso : « Imperfectus adhuc infans genitricis ab alvo « Eripitur, patriaque tener, (si credere dignum), « Insuitur fæmori, maternaque tempora complet.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

Dante stesso fa dire a Virgilio esservi « ……. chi creda « Più volte il mondo in caos converso, » cioè ritornato nella prima mistura e confusione di tutti i suoi elementi2. […] Dopo che Esiodo aveva asserito che il Caos esisteva prima di tutti gli Dei, vennero altri a dire che il Caos stesso era un dio, ed aggiunsero che egli era stato l’ordinatore dell’Universo ; ed una volta che lo avevano personificato, dìssero ancora che aveva figli e che la sua moglie era la Notte. […] Non asserisce però che il Caos stesso fosse l’ordinatore dei propri elementi di cui ab eterno componevasi, ma un Dio o una miglior natura. […] Non così Dante, come abbiamo veduto di sopra ; e il volgo stesso toscano pronunzia quella parola come la pronunziava Dante e come è scritta in greco, in latino, in francese e in inglese.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

Quivi fu calunniato malignamente dalla regina Stenobea ; e Preto per le accuse della perfida moglie (volendo per altro schivare l’odiosità di farlo morire egli stesso senza apparente motivo), lo mandò da suo suocero Iobate re di Licia, con una lettera chiusa, che consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli che era una commendatizia, mentre invece conteneva la commissione di far morire il latore di quella. […] Questo stesso significato che suol darsi comunemente alla parola chimera dimostra che di tutte le cose favolose ond’ è piena la Mitologia, questa è stimata la più favolosa di tutte, appunto per lo stranissimo accozzo animalesco ond’ è composto questo mostro56. […] Quest’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Non v’è termine nelle lingue moderne europee, che più di questo di Fato o Destino sia comune e frequente sulle labbra stesse del volgo ; e tutti l’usano nello stesso senso di legge suprema inevitabile. […] Immaginavano che i suoi decreti, riferibili a tutte le future vicende (ecco la prima idea della predestinazione), fossero contenuti in un’urna o registrati in un libro di bronzo, e consultati dallo stesso Giove per conoscere fin dove potesse estendersi la sua potenza o il suo arbitrio. […] E altrove trattando lo stesso argomento aveva detto con non minore eloquenza : « Color che ragionando andaro al fondo, « S’accorser d’esta innata libertate, « Però moralità lasciaro al mondo. […] Anche in altri luoghi ritorna il sommo Poeta sullo stesso argomento, o indirettamente vi allude : tanto gli stava a cuore d’imprimer bene nella mente dei suoi lettori questa fondamentale dottrina del libero arbitrio, da cui dipende la moralità delle azioni, e quindi il merito o il demerito delle persone, e la giustizia del conferimento dei premii e della irrogazione delle pene !

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Ninfa è parola di origine greca, che fu adottata dai Latini e conservata dagli Italiani nello stesso duplice significato primitivo, cioè di Dea inferiore e di giovane donna, perchè credevasi che le Ninfe non invecchiassero mai. […] La Ninfa Eco figlia dell’ Aere e della Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio della Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza che non amava che sè stesso e disprezzava superbamente ogni persona. […] Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso. […] Questo corno fu detto in latino cornucopia, e in italiano più comunemente il corno dell’abbondanza, come significa la parola latina. — A Giove stesso fu dato dai Greci l’appellativo di Egioco, che alcuni interpretano nutrito dalla Capra ; il qual termine per altro non fu adottato dai Latini, e l’usò soltanto qualche moderno poeta italiano.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Ed io di negra sabbia « Involverò lui stesso, e tale un monte « Di ghiaia immenso e di pattume intorno « Gli verserò, gli ammasserò, che l’ossa « Gli Achei raccorne non potran : cotanta « La belletta sarà che lo nasconda. […] come fanciullo « Di mandre guardïan cui ne’piovosi « Tempi il torrente, nel guadarlo, affoga. » Avremo da parlar tanto delle prodezze di Achille (invidiato dallo stesso Alessandro il Grande per la singolar fortuna di averne per banditore Omero), che non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica paura, che trova qui posto più opportuno, parlandosi delle prodezze e dei vanti dei fiumi della Troade. […] Tibullo ne dimanda al Nilo stesso : « Nile pater, quanam possum te dicere causa, « Aut quibus in terris occuluisse caput ?  […] Virgilio che nelle sue Egloghe imitò Teocrito’ Siracusano, (e lo dice egli stesso al principio dell’ Egloga 6ª in questi due versi : « Prima Syracosio dignata est ludere versu « Nostra, nec erubuit silvas habitare, Thalia), » invoca nel 1° verso della famosissima Egloga 4ª le Muse Siciliane : « Sicelides Musœ, paulo majora canamus ; » e nell’ultima Egloga la Ninfa Aretusa, perchè Dea siciliana : « Extremum hunc Arethusa, mihi concede laborem. » 30.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

XIV Il Diluvio di Deucalione Dopo che furono sterminati i Giganti dalla faccia della Terra, vi rimase la razza dei discendenti dei migliori Titani, quella degli uomini plasmati di creta e animati da Prometeo col fuoco celeste, e l’altra degli uomini che Giove stesso aveva creati. […] Trovarono da per tutto orribili delitti, nefandità di nuova idea ; e saputo tra le altre cose, che v’era un re d’Arcadia, Licaone figlio di Pelasgo, il quale imbandiva agli ospiti nuovamente venuti le carni di quelli arrivati prima, e facea poi servir di pasto le carni loro agli ospiti che arrivavano dopo, volle presentarsi egli stesso all’infame reggia divenuta macello e cucina di carne umana. […] Trovansi infatti nell’interno del nostro globo strati di arena, di creta e di marmo che contengono conchiglie e frantumi di vegetabili ; e se ne deduce razionalmente che questi strati doveron formarsi sott’acqua nel modo stesso che vediamo accadere anche oggidì nel fondo dei laghi e nelle inondazioni dei fiumi. — Così una scienza che due secoli indietro non esisteva neppur di nome, e non supponevasi nemmeno che potesse esistere, ha fatto e va tuttodì facendo i più mirabili progressi, e risolve i più ardui problemi dei tempi preistorici, non già interpetrando le più o meno antiche tradizioni, le più o meno veridiche cronache o istorie, ma studiando i materiali stessi del nostro globo travolti e seppelliti da migliaia e milioni di anni per le forze irresistibili della Natura negli strati sottoposti a quello sul quale abitiamo. […] Anche Dante chiama la terra madre comune ; e questa espressione è al tempo stesso mitologica, biblica e filosofica.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

Aggiungono dunque i mitologi che Giove per tre mesi sentì un gran dolor di testa, e non potendo più a lungo tollerarlo, mandò a chiamare Prometeo, o secondo altri, lo stesso Vulcano suo figlio, per farsi spaccare con un ferro tagliente il cranio ; e ne uscì Atena, ossia Minerva. […] Minerva poi è voce di origine tutta latina, e Cicerone stesso ne dà l’etimologia derivandola dai verbi minuere e minitari (diminuire e minacciare) ; e perciò sotto questo nome sarebbe considerata come della guerra. […] Minerva dunque che in greco chiamasi Atena diede il suo stesso nome a quella prediletta città ; e i cittadini di essa favoriti e protetti dalla Dea della sapienza inventarono le scienze e le arti, e divennero il popolo più civile165 e ingegnoso che sia mai esistito166. […] E perchè il suo nuovo concetto apparisca manifesto, prima descrive Beatrice (nel Canto xxv del Purgatorio) : « Sovra candido vel cinta d’olivo, » e poco, dopo soggiunge che era quel velo « Cerchiato della fronde di Minerva ; » e così commenta sè stesso, facendo conoscere qual significato simbolico intendeva di dare, in quel caso, all’olivo.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Per gli usi del sacrifizio avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte che trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecitare quei primi ; ma non vedendo tornare nè questi nè quelli, vi andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte, che finiva di divorarsi l’ ultimo di essi. […] Anzi Dante, convinto che tali trasformazioni poeticamente ed ingegnosamente narrate fanno grandissimo effetto sulla immaginazione dei lettori, volle gareggiare anche in questo cogli antichi poeti, come fece nel Canto xxv dell’ Inferno, detto appunto delle trasformazioni ; e fu tanto contento e sicuro egli stesso dell’opra sua, che non potè nasconderlo ai suoi lettori, ed asserì di aver superato Lucano ed anche Ovidio, il famoso autore delle Metamorfosi : « Taccia Lucano omai, là dove tocca « Del misero Sabello e di Nassidio, « Ed attenda ad udir quel ch’or si scocca. […] Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e che perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo che la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo che Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come afferma Pausania.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

E il Dio Pane gareggiando con Apollo ad onorare in quella pianta la prediletta Ninfa, formò di sette canne di diversa lunghezza, unite fra loro colla cera, un musicale stromento, che in greco chiamavasi col nome stesso della Ninfa, cangiata in canna, cioè Siringa, in latino fistula e in italiano sampogna 11. […] Son celebri nella storia romana i Lupercali dell’anno 710 di Roma, poichè in quel giorno offrì Marc’Antonio il regio diadema a Cesare che lo ricusò ; e Cicerone rammenta questo fatto più volte nelle sue opere, e specialmente nelle filippiche contro lo stesso Marc’Antonio. […] Ma poichè timor pànico venne posteriormente a significare anche presso i Pagani una paura senza fondamento, ciò stesso dimostra che si aveva per una ubbìa e non per un miracolo. […] I Latini usarono lo stesso greco nome Pan, declinandolo anche alla greca col gen. in os e l’acc. in a, per distinguerlo dal loro vocabolo panis significante il cibo quotidiano pane.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

Il Petrarca si credè autorizzato da questo racconto mitologico a darci ad intendere, nella sua 4ª Canzone, che per opera di Madonna Laura avvenisse a lui stesso un fatto simile a quello di Atteone : « Io perchè d’altra vista non m’appago, « Stetti a mirarla, ond’ella ebbe vergogna ; « E per farne vendetta, o per celarse, « L’acqua nel viso con le man mi sparse. […] Quindi alcuni mitologi e poeti preferirono di sostituire ad Ecate la Dea Proserpina moglie di Plutone e regina dell’Inferno ; e lo stesso Dante seguì tale opinione ; poichè nel farsi predire da Farinata degli Uberti (nel C. x dell’Inferno) il suo esilio, e indicarne l’epoca fra circa 50 mesi lunari, esprime queste idee con frasi mitologiche nel modo seguente : « Ma non cinquanta volte fia raccesa « La faccia della Donna che qui regge « Che tu saprai quanto quell’arte pesa ; » ove apparisce manifestamente che l’ufficio di Proserpina e non di Ecate è accomunato da Dante con quel della Luna144. […] Fu ben presto rifabbricato non meno splendido per ricchezza, sebbene fosse impossibile rifare dello stesso pregio gli oggetti d’arte che erano periti nell’incendio. […] Orazio nell’ Ode 5 del lib. v, parla di una maga, « Quæ sidera excantata voce Thessala « Lunamque cœlo deripit. » E nell’ Ode 17 dello stesso libro : « Per atque libros carminum valentium « Refixa cœlo devocare sidera. » 137.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

La sua poetica descrizione è tanto chiara ed evidente che molti cultori delle arti belle, e tra questi lo stesso Michelangiolo, hanno potuto rappresentarla senza alcuna difficoltà colla matita e col pennello. […] Egli asserisce, non già sulla fede altrui, ma come testimone oculare (poichè finge di aver percorso egli stesso quelle regioni), che l’Inferno è formato di circoli concentrici come un anfiteatro ; che il primo cerchio che si trova, poche miglia sotto la superficie terrestre, è il più grande di tutti gli altri, i quali, vanno gradatamente decrescendo fino al centro del nostro globo, nel qual punto termina l’Inferno stesso ; che i cerchi son 9 ; ma il 7° è diviso in 3 gironi, l’8° in dieci bolge e il 9° in quattro compartimenti chiamati Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca. […] Tutte le scienze da qualche tempo congiurano amichevolmente ad ottenere lo stesso fine ed effetto, di scuoprire cioè l’origine del nostro pianeta e la fisica costituzione di esso anche internamente.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Dai Greci era chiamato Erme, che significa interprete ; perciò il nome stesso indica l’ufficio suo principale, quello cioè di messaggiero degli Dei. […] Noi avremo occasione più volte di rammentare fatti mirabili compiutisi coll’assistenza e col favore di Mercurio, narrati splendidamente dallo stesso Omero : qui basterà parlare di due soli che si riferiscono alla vita privata di questo Dio. […] A tempo di Dante i messaggeri di pace avean per costume di incoronarsi d’olivo, come accenna Dante stesso in una similitudine del Canto ii del Purgatorio. […] Orazio si annovera da sè stesso tra gli uomini mercuriali, ossia tra i dotti, nell’Ode 17ª del libro iii : « Me truncus illapsus cerebro « Sustulerat, nisi Faunus ictum « Dextra levasset, Mercurialium « Custos virorum. »

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

I Naturalisti per altro sin dal tempo di Linneo pare che li considerassero più bestie che uomini, poichè usarono a guisa di nome collettivo la Fauna per indicare complessivamente tutti gli animali che vivono in una data regione, nel modo stesso che dicono la Flora per significare tutti i fiori che si trovano nella regione medesima. […] Questa placida Dea, come la chiama Tibullo19, e queste rozze e semplici cerimonie sarebbero rimaste ignote o presto obliate, se non fosse avvenuto che nel giorno stesso di quella festa avesse Romolo incominciato la fondazione di Roma, tracciando coll’aratro la prima cinta dell’eterna città. […] Anche i fiori avevano la loro Dea, e questa chiamavasi Flora ad indicarne col nome stesso l’ufficio. […] Lo stesso Michelangiolo giovanissimo scolpi una bella testa di Fauno.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Ma fu inutile questa precauzione, poichè Giove stesso trasformatosi in pioggia d’oro discese in quella torre e sposò Danae che fu poi madre di Perseo. […] Dante asserisce che a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta che egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù quel suo celebre viaggio, le tre Furie infernali vedendolo da lontano dall’alto di una torre : « Venga Medusa, sì ‘l farem di smalto, « Gridaron tutte riguardando in giuso ; « Mal non vengiammo in Teseo l’assalto. » E non era un timor panico il suo, perchè Virgilio stesso gli disse tosto : « Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso, « Chè se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi, « Nulla sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo che gli antichi rappresentavano la testa di Medusa nell’Egida, e talvolta nell’usbergo della Dea Minerva ; e Cicerone rimprovera a Verre, tra gli altri delitti e sacrilegii, di avere involato una bellissima testa anguicrinita di Medusa, distaccandola dalle porte del tempio di Minerva in Siracusa49. […] Non v’è però da spaventarsi a veder queste Meduse, perchè son piccoli animali marini gelatinosi, e fosforescenti durante la notte, nè producono altro maligno effetto, non già a vederli, ma a toccarli, che quello stesso dell’ortica, e perciò si chiamano ancora volgarmente Ortiche di mare. […] Infatti la Cronologia greca più comunemente seguita, ed anche adottata dallo stesso Cantù (Ved. i Documenti alla sua Storia Universale), pone Inaco per primo re d’Argo, e come vissuto più di 1900 anni avanti l’era volgare ; e perciò almeno tre secoli più antico di Mosè.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -

Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutte le altre parole che ora vi si leggono ; e non si contentò di dirmelo a voce in familiare conversazione, ma lo ripetè in una delle lettere ch’egli ebbe occasione di scrivermi ; e poi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo della Nuova Antologia, che egli mi suggeriva di adottare il soprascritto titolo. Fece anche di più : voile proporre spontaneamente l’anno scorso la stampa di questa Mitologia ad un editore milanese con una sua lettera, che egli, abbondando meco di cortesia, mi mandò perchè la leggessi e la spedissi io stesso ; e tra le altre benevole e squisite espressioni mi scriveva : Vegga se questa lettera che io scriverei, possa correre. […] Ella, signore, proponga che condizioni farebbe per il diritto a certo termine, o per l’intera proprietà. » Il contratto non potè aver luogo, perchè all’editore milanese impegnato in molte altre pubblicazioni mancava il tempo, com’ egli rispose direttamente a me stesso, di pubblicare anche questo libro prima della riapertura delle Scuole ; e allora il Tommasèo mi consigliò di stamparlo l’anno appresso per associazione.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-

Ai primi del secolo IV dell’era cristiana, Costantino Magno fu il primo imperatore cristiano ; ma soltanto negli ultimi anni dello stesso secolo furono officialmente aboliti da Teodosio il Grande quasi tutti i sacerdozii del Politeismo, incluso quello delle Vestali. I più ostinati a conservare il culto dei falsi Dei furono gli abitanti delle campagne e dei villaggi o borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato da pagus che significa borgo o villaggio), e perciò il politeismo stesso fu detto il Paganesimo ; il qual termine divenne poi, tanto in prosa quanto in poesia, più comune e più usato che gli altri due di politeismo e di gentilesimo 169. […] Dante estese il significato legale di gentili a tutte le persone dello stesso partito, e precisamente a tutti i Ghibellini (considerandoli come componenti una sola famiglia per gl’interessi comuni che avevano) quando egli disse all’ Imperatore Alberto Tedesco nel Canto vi del Purgatorio : « Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura « De tuoi gentili, e cura lor magagne. »

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

IX Vesta Dea del fuoco e le Vestali Ad una delle figlie di Saturno e di Cibele fu dato il nome stesso dell’ava, cioè di Vesta ; e per distinguere l’una dall’altra fu aggiunto all’ava l’aggettivo di Prisca o Maggiore, e alla nipote quello di Giovane o Minore. […] E che questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse adorata in Alba e vi avesse un tempio e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non che da tutti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo zio Amulio a farsi Vestale. […] Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

IV che, ammessi più Dei, nessuno di loro poteva essere onnipotente, perchè il poter di ciascuno era limitato dalle speciali attribuzioni degli altri ; e se ciò era vero per gli Dei Superiori e per lo stesso Giove, come ci è accaduto di narrare più volte, tanto più è presumibile e conseguente per gli altri Dei che furon detti e considerati Inferiori. […] Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Politeismo, come per esempio, il Dio Robigo, la Dea Ippona, il Dio Locuzio, la Dea Mefiti, ecc. ecc. ; e basta conoscere l’etimologia e il significato di questi vocaboli per intendere qual fosse l’ufficio di tali Dei. […] » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vulgus, e da spacciarsi in massa, (o come taluni dicono in blocco) e con poche e generali considerazioni sul loro comune appellativo, procediamo senza spaventarci ad osservare anche altre fantasmagorie preistoriche dei nostri più remoti Antenati.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Giove che intendeva riserbato esclusivamente a sè stesso il potere di crear gli uomini, punì crudelmente Prometeo col farlo legar da Vulcano ad una rupe del monte Caucaso, e di più col mandare ogni giorno un avvoltoio a rodergli il fegato, che di notte gli rinasceva e cresceva, per render perpetua la pena di lui. […] Lo stesso gran luminare degli Inglesi, Bacone da Verulamio, nel suo libro De Sapientia Veterum, esamina ed interpetra più a lungo questa favola che le altre trenta da lui prescelte come meritevoli delle sue considerazioni. […] Anzi nella modernissima scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il Sole che n’ è fisicamente la causa prima), produce il lavoro meccanico delle macchine a vapore e dà la forza anche alle braccia degli uomini. — Felice chi potè conoscer le cause delle cose 84), diceva Virgilio ; e in oggi spingendosi le scienze sempre più arditamente e con prospero successo a far mirabili conquiste nelle regioni del vero, posson chiamarsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle !

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

Per lui eran care delizie le risse e le zuffe, « E discordie e battaglie e stragi e sangue ; » e perciò a Giove stesso suo padre egli divenne fra tutti i celesti odioso, come troviamo scritto in Omero. […] In Roma per altro, la cui fondazione ebbe luogo tre in quattro secoli dopo l’eccidio di Troia, il culto di Marte fu il più solenne e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore della loro città fosse figlio di Marte, come narra lo stesso Tito Livio. […] Al Dio Marte fu dedicato il martedì, del qual giorno conservasi ancora lo stesso nome nelle lingue affini alla latina.

50. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-

40 » Questa regione o carcere dei Venti, secondo lo stesso poeta, « È nell’Eolia, di procelle e d’austri « E delle furie lor patria feconda. […] Il nome stesso di Eolo, che deriva da un greco vocabolo significante vario o mutabile, allude alle successive mutazioni dei venti che predominano in quelle isole. […] È da notarsi però che talvolta gli Autori e specialmente i poeti, nominano l’un per l’altro quei Venti che spirano tra lor più vicini, ossia usano i loro diversi nomi come sinonimi di uno stesso Vento.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Vi sarebbe da riempire un grosso volume a raccoglier quanto ne scrissero i poeti greci e i latini ; ma alcune di quelle bizze e di quelle persecuzioni di Giunone sono così splendidamente narrate dagli antichi, che i moderni poeti e lo stesso Dante non poterono tacerle. E di queste ci occuperemo principalmente, non però subito, in questo capitolo, per evitare la monotonia dello stesso argomento, ma quando se ne presenterà l’occasione nel parlare di altre divinità odiose a questa Dea, o di famiglie o di popoli da essa perseguitati. […] Perciò la dea Iride dal nome del padre è detta poeticamente Taumanzia ; e lo stesso Alighieri con frase mitologica chiama figlia di Taumante l’Iride, ossia l’arcobaleno, allorchè nel Purgatorio (C. 

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] L’aggettivo genialis, geniale, usato anche da Cicerone, è divenuto italiano nello stesso significato dei Latini ; e l’Ariosto ha copiato la stessa frase di Cicerone pro Cluentio, chiamando geniali i letti nuziali, come nella seguente ottava del Canto v. […] Il Fanfani invece accenna un altro uso della parola Genio in questi termini : « Di una persona eccellente nella sua arte o in più discipline si ode dire spessissimo : È un genio. » Lo dice infatti lo stesso Tommaseo nel suo Dizionario dei Sinonimi, e son queste le sue parole : « Il genio genera : chi confronta, raccozza, non è un genio. » Nessun vocabolarista, per altro, ammette e registra il Genio Militare e il Genio Civile nel significato d’ingegneria militare e civile, come anticamente chiamavansi.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

Queste e simili notizie sulle Balene non potevano averle non solo i più antichi mitologi greci e latini, ma non le avevano neppure i poeti classici e i dotti del secolo di Augusto232, e neppure lo stesso Plinio il Naturalista che morì l’anno 79 dell’era cristiana il 2° giorno della prima eruzione del Vesuvio. […] i, ad Albio Tibullo, chiama sè stesso : Epicuri de grege porcum. […] Anticamente vi era su quella costa una città chiamata Scilla ; ed ora vi è un paese dello stesso nome, che gli abitanti pronunziano come se si scrivesse Sciglio.

54. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

Così lo studio stesso dell’antica Mitologia non sarà sterile di morali e civili insegnamenti. […] È stato in nostro potere, disarmati e non ribelli, ma solamente separandoci da voi altri, il combatter contra di voi ; mentre, se tanta moltitudine d’uomini si fosse distaccata da voi e ritirata in qualche remoto angolo del mondo, certamente avrebbe la perdita di tanti cittadini, qualunque noi siamo, svergognato il vostro impero ; anzi collo stesso abbandonarlo l’avrebbe punito. […] In che modo di questo ci fate rei, che pure con voi viviamo, che abbiamo il vitto ed il vestire stesso e le medesime necessità della vita ?

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

Da queste idee filosofiche derivò il titolo di Ottimo Massimo che davasi a Giove dai romani politeisti ; e Cicerone stesso spiega questi due attributi colle seguenti parole : « Il popolo romano chiamò « Giove Ottimo per i suoi benefizii e Massimo per la sua potenza » 59. […] La più bella e sublime immagine della potenza di Giove, e della dipendenza della Terra dal Cielo e dal supremo suo Nume, fu ideata da Omero, attribuendone l’invenzione a Giove stesso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei : « D’oro al cielo appendete una catena, « E tutti a questa v’attaccate, o Divi, « E voi Dee, e traete.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

Dallo stesso greco vocabolo Elios significante Sole son derivati e composti molti termini scientifici di astronomia, come perielio, afelio, parelio, eliocentrico ; di ottica eliostato ed elioscopio ; di botanica le denominazioni di piante eliofile e di eliotropio (volgarmente girasole) ; ed anche la fotografia è detta altrimenti eliografia. […] « Le isole galleggianti, scrive Humboldt, si formano in tutte le zone ; ne ho vedute nel fiume Guayaquil, da 8 a 9 metri di lunghezza, nuotanti in mezzo alla corrente e portanti gran copia di vegetabili, le cui radici si abbarbicano e s’intrecciano facilmente. » Intorno alla formazione delle medesime, lo stesso autore soggiunge : « Sulle rive paludose dei laghi di Xochimilco e di Chelco l’acqua agitata nella stagione delle piene stacca delle zolle di terra coperte di erba e di radici fra di loro intrecciate.

57. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-

. ; e nel tempo stesso ferie autunnali son le vacanze dei magistrati, degli scolari ec. […] La lustrazione di un campo consisteva nel condurvi tre volte all’intorno una vittima scelta, e nel bruciare i profumi sul luogo stesso del sacrifizio.

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

Ma gli Eroi di questa impresa per far lo stesso viaggio marittimo che fece Frisso sulla groppa del suo impareggiabile montone, furon costretti a costruire ed armare una nave che fu creduta la prima inventata dagli uomini, e celebrata perciò con lodi interminabili da tutti gli antichi. […] Il loro stesso nome di Arpie deriva da un greco vocabolo (arpazo) che significa rapire 69.

59. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

Ma spenta con Marco Bruto la libertà e perduta affatto anche l’ombra di essa sotto Tiberio, le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici non furono altro che solennità comandate dal Principe e servilmente festeggiate dal popolo, come abbiam detto di sopra ; e nel frasario stesso degl’Imperanti l’esser trasformati in Dei significava morire.

60. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Poichè Urano significa Cielo, il suo nome stesso serve a manifestare qual parte dell’ Universo egli rappresenti ; e inoltre l’esser creduto figlio del Giorno e dell’Aria indica l’opinione degli antichi mitologi che il Cielo fosse composto di questi due più leggieri e più puri fra i 4 elementi del Caos.

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