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11. (1841) Mitologia iconologica pp. -243

Prese un dì le apparcnze di Beroc nudrice di quella, e nel petto la voglia le destò di vedere Giove in tutta l’aria di sua maestà. […] Prenda dunque in buona parte quella massima dello Ecc. 18. […] E quella verga, con cui segna il globo non mostra evidentemente il vasto, ed universale suo governo ed impero ? […] La migliore, ed unica allegrezza, che possa assaggiare un cuore non è, nè può essere quella, che risulta dal possesso de’ beni mondani, come quella, che sempre è mista col dispiacere, giacchè sta scritto Prov. 14 Risus dolore miscebitur, et extrema gaudii luctus occupat ; ma quella sibbene, che viene da Dio, onde Isaia al 6. diceva. […] Non est dissentionis Deus, sed pacis spingiam sempre lungi dal cuore tal mostro, memori di quella triste conseguenza descritta dal mentovato Apostolo a’ Galati al 5.

12. (1836) Mitologia o Esposizione delle favole

Nascone o Nazione diceasi la Dea del, nascere; Vagitauo o Vaticano quel che apre la bocca a’ vagiti, Levana quella che solleva da terra i bambini, Cunina quella che presiede alle cune. […] Strenua dicessi la Dea che rende gli nomini valorosi; Agenoria e Stimula quella che gli spinge ad agire; Agonio quel che presiede alle azioni; Orla quella che esortagli ad opere virtuose; Volunno e Volunna que’ che lor danno il buon volere; Cazio quello che cauti li rende; Angerona quella che libera dalle angosci e, e fa che tacciano i lamenti, onde fu detta pur Dea del silenzio, e dipingevasi colla bocca fasciata e sigillata; Fellonia quella che Scaccia i nemici; Fessonia quella che alleggia gli stanchi; Vigilia quella che accompagna i viaggiatori perchè non errino; Averrunco quel che allontana i mali e i pericoli; come era ài Dio de’ conviti; Momo quel della satira e del riso. […] Più che a tutt’ altri però fattale fu quella guerra a’ due nemici fratelli. […] Nè le triste conseguenze di quella guerra finirono colla; loro morte. […] Non tutti però i principi Greci si prestarono a quella lega con egual prontezza.

13. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

Frisso fu benissimo accolto con quel raro e prezioso animale da Eeta re di quella regione : e volendo mostrarsi grato agli Dei dell’esser giunto a salvamento ove desiderava, offrì loro in sacrifizio quel bravo montone che lo aveva sì ben servito, per appenderne come voto l’aureo vello maraviglioso. […] La nave fu chiamata Argo, e quindi Argonauti gli Eroi che navigarono in quella. […] Pelia non osando di dargli un aperto rifiuto, lo seppe talmente allucinare colle idee della gloria e dell’onor nazionale, che lo impegnò a riconquistare il vello d’oro che ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restituirgli il regno al suo ritorno, ma sperando in cuor suo che sarebbe perito in quella impresa. […] Gli Argonauti sapevano soltanto che quel paese era fra settentrione ed oriente, e in quella direzione volsero la prora. […] Per quanto cercasse, non lo trovò più ; e fu detto dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe che era annegato in quella fonte ov’egli andò ad attingere l’acqua.

14. (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248

La sua figura era simile a quella della Pace. […] Alla vista di quella spada Tieste riconobbe il suo figlio Egisto ; Pelopea sopraggiunta, ed istruita del fallo involontariamente commesso si diede la morte con quella spada medesima. […] Cidippe prese quella palla, e lesse il giuramento. […] Eligio, che credevano essere appunto quella che apparteneva alla statua colossale di Partenope. […] Per quella di corno come trasparente entravano i sogni veri : per quella di avorio, come materia meno diafana passavano i falsi sogni.

15. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

Alcuni naturalisti (specialmente fra gl’Inglesi) danno ancora il nome di Sirene ai cetacei erbivori, detti comunemente Lamentini (Manatus), che formano la transizione fra le balene e le foche, e la cui forma, nelle parti superiori del corpo, si discosta meno di quella degli altri cetacei dalla figura umana, mentre poi vanno a finire in una coda orizzontale, come una gran parte dei pesci227. […] Tali ci furon descritte le più terribili Orche dagli antichi poeti, quella cioè che devastò la Troade ai tempi dello spergiuro Laomedonte, e l’altra da cui Perseo liberò Andromeda : e di queste dovremo parlare lungamente a suo tempo. […] « E con quella ne vien notando in fretta « Verso lo scoglio, ove fermato il piede, « Tira l’àncora a sè, che in bocca stretta « Con le due punte il brutto mostro fiede. « L’Orca a seguire il canapo è costretta « Da quella forza che ogni forza eccede, « Da quella forza che più in una scossa « Tira, ch’in dieci un argano far possa. […] Anticamente vi era su quella costa una città chiamata Scilla ; ed ora vi è un paese dello stesso nome, che gli abitanti pronunziano come se si scrivesse Sciglio.

16. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

Di qui l’accanimento di quella guerra spaventevole che fece terrore ai Romani medesimi, e diè loro per la prima volta a combattere il fanatismo religioso. […] Onde, essendo che gli uomini odiano senza che ad essi noto sia che cosa sia quella che hanno in odio, non può egli essere che essi medesimi odiino ciò che non debbono ? […] Or questa è l’adunanza de’Cristiani, la quale dire si può illecita, se si rassomiglia ai ridotti illeciti, ed è con giustizia condannabile, se alcuno di quella si duole per la ragione stessa onde della fazioni suol darsi querela. […] Non può calcolarsi quanti secoli sarebbero bisognati al genere umano per uscire da quella ignoranza e da quella corrotta barbarie, nelle quali si sarebbe trovato sepolto. […] E già quella di Gesù Cristo ristabiliva tutte le basi morali.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Ebe oltre ad esser la dea della gioventù, mesceva il nettare agli Dei, quando erano a convito con Giove ; perciò si rappresenta come una giovanetta ingenua e gentile con un’idria in mano ed in atto di mescer da quella la celeste bevanda. […] Giove prediligendo la Ninfa Io figlia d’Inaco re d’Argo, per sottrarla alle investigazioni ed alle persecuzioni di sua moglie, la trasformò in vacca ; ma Giunone non vedendo più in alcun luogo la figlia di Inaco, sospettò di qualche frode, e chiese in dono al marito quella giovenca, che Giove non potè negarle per non scuoprirsi. […] Era questa una Ninfa o Dea inferiore, figlia di Taumante ; e credevasi che essa per discender sulla terra ad eseguire gli ordini di Giunone passasse per quella splendida via che è contrassegnata nel cielo dall’arcobaleno. […] xxi, 46) afferma che nell’alto di quella montagna non ascendevano gli umidi vapori della terra, nè perciò producevansi le meteore acquee, e neppur l’arcobaleno, che si forma nell’aria dopo la pioggia : « Perciò non pioggia, non grando, non neve, « Non rugiada, non brina più su cade « Che la scaletta de’ tre gradi breve ; « Nuvole spesse non paíon, nè rade, « Nè corruscar, nè figlia di Taumante, « Che di là cangia sovente contrade. » Il nome d’Iride è comunissimo nel linguaggio poetico, ed anche in quello scientifico. […] Iride si chiama in Anatomia quella membrana circolare che è situata sopra l’umor cristallino dell’occhio, ed ha appunto questo nome dalla varietà dei suoi colori, ed è quella che determina il colore particolare degli occhi di ciascuno ; e col derivativo Iritide chiamasi in Patologia qualunque affezione morbosa di quella membrana dell’occhio, e più specialmente l’infiammazionè della medesima.

18. (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62

Entro la buccia Di quella pianta palpitava il petto D’ una saltante Driade…. […] A suoi piedi ponevano tre figure muliebri circondate da un serpente, tra le quali quella, che sorgeva in mezzo, era un simbolo della terra. […] Ella fu detta Αφροδιτη, ed è quella potenza, cui son prodotti il maschio e la femmina. […] Per Euterpe ευτερπη dilettazione, rappresentavasi quella soave, quell’arcana voluttà che sentesi in cuore di coloro, che odono la melode de’versi. […] Vale a dire quella rude antichità volle con alterno nome significare le mie diverse vicende.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

E quella graziosissima particolarità del mitologico racconto, che Cupido si rendeva invisibile a Psiche facendole soltanto sentire la sua voce, esprime filosoficamente, che questa e tutte le altre affezioni dell’anima, o vogliam dir le passioni di qualunque genere, non sono che modificazioni dell’animo stesso, ed è impossibile che abbiano realmente forme corporee, nella guisa stessa che non sono esseri di per sè esistenti le febbri, i dolori, gli starnuti, gli sbadigli, ecc., ma soltanto modificazioni più o meno morbose o moleste del nostro corpo. […] Dante afferrò subito questa idea, e la espresse maravigliosamente in quella sublime terzina, che tutti sanno, o saper dovrebbero, a mente : « Non v’accorgete voi, che noi siam vermi, « Nati a formar l’angelica farfalla « Che vola alla giustizia senza schermi ?  […] I vocabolarii italiani fra le accezioni del verbo avvenirsi pongono anche quella che significa « venir bene adatto per convenienza di eleganza, piacevolezza, ecc. » Quindi l’espressione familiare comunissima : non gli si avviene. […] Con questa greca voce Psiche (anima) è composto il termine psicologia, che perciò significa quella parte della filosofia che tratta dell’anima e delle sue facoltà. […] Epitalamio è parola di greca origine, che in quella lingua significa sul talamo, ossia letto nuziale ; e perciò sta ad indicare una canzone per nozze.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Alcuni Mitologi dicono che anche la Ninfa Amaltea fosse cangiata insieme con la sua capra in quella costellazione25. […] A questa favola allude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi : « A guisa del parlar di quella vaga (la Ninfa Eco) « Ch’amor consunse come Sol vapori ; » e fa questa similitudine per dar la spiegazione che quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come dice Dante : « Due archi paralleli e concolori « Nascendo di quel d’entro quel di fuori, » ciò avviene per riflessione dei raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon della voce. […] I pittori hanno gareggiato a rappresentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella che vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze. […] Gli Zoologi nello studiarsi d’indicare con nomi diversi le successive metamorfosi di certe specie di animali, e principalmente degli insetti, presero dalla Mitologia il vocabolo di ninfa per significare l’insetto nello stato intermedio fra quello di larva e lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso che le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità, ma in una condizione media fra quella degli uomini e quella degli Dei supremi.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

« Quest’alme tutte, poichè di mill’anni « Han volto il giro, alfin son qui chiamate « Di Lete al fiume, e ’n quella riva fanno, « Qual tu vedi colà turba e concorso. […] Nella descrizione delle pene del Tartaro l’immaginazione degli Antichi era stata un poco più feconda che in quella delle beatitudini dell’ Elisio, avendo ideato diversi generi straordinarii di pene inflitte ad alcuni dei più famosi scellerati. […] La pena generale per tutti i dannati al Tartaro era quella di esser tormentati dalle Furie e gettati nelle flamme del Flegetonte ; e le pene speciali si riferiscono soltanto a pochi, cioè a Issione, a Sisifo, a Tantalo, a Tizio gigante, a Flegia, a Salmoneo e alle Belidi o Danaidi. […] Tutti gli Dei inorriditi si astennero dal mangiarne, ad eccezione di Cerere, che afflitta per la perdita di Proserpina, non si accorse di quella abominevole imbandigione, e mangiò una spalla di Pelope. […] Egli finge che sia Virgilio che gli dà tale spiegazione da lui richiesta : « Filosofia, mi disse, a chi la intende, « Nota non pure in una sola parte, « Come natura lo suo corso prende « Dal divino intelletto e da sua arte : « E se tu ben la tua Fisica note, « Tu troverai non dopo molte carte, « Che l’arte vostra quella, quanto puote, « Segue, come il maestro fa ’l discente, « Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

Minerva dunque che in greco chiamasi Atena diede il suo stesso nome a quella prediletta città ; e i cittadini di essa favoriti e protetti dalla Dea della sapienza inventarono le scienze e le arti, e divennero il popolo più civile165 e ingegnoso che sia mai esistito166. L’invenzione è bellissima e facile ad intendersi ; significa che l’ingegno è dato agli uomini dalla Divinità, e che le opere di esso non si compiono senza il favore di quella. […] Anche nell’antichissima città di Troia aveva un tempio ed una celebre statua che i Romani pretendevano salvata da Enea e trasportata in Italia, e che fosse quella stessa che essi facevano gelosamente custodire nel tempio di Vesta come pegno della salvezza di Roma. […] Tanto è vero che qualunque più illustre città moderna non ambisce un maggior titolo d’onore che di esser chiamata l’Atene di quella nazione a cui appartenga.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

La Mitologia è molto incerta su tal questione, e non la decise mai dommaticamente : lasciò correre diverse opinioni, tra le quali accenneremo per ora quella soltanto che è la più semplice e sbrigativa, e che prima delle altre espone Ovidio nelle Metamorfosi, vale a dire che quel Dio stesso che dal Caos formò l’universo creasse l’uomo di divin seme 26, appellando così principalmente all’anima umana, e facendola di origine divina. […] » All’età dell’oro successe quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro, di mano in mano che gli uomini peggiorarono. […] La statua di Giano con due faccie ponevasi nei bivii, e con quattro nei quadrivii (pei trivii o trebbii essendo riserbata quella di Ecate triforme, ossia con tre faccie). […] Chiamavansi Giani anche certe fabbriche di base quadrata, come le Loggie di Mercato e quella celebratissima di Or San Michele in Firenze, che servivano anticamente come luoghi di convegno e di affari ai negozianti.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Veramente le guerre contro Giove, secondo gli antichi mitologi, furono due : quella dei Titani figli e discendenti di Titano, e quella dei Giganti, cioè dei figli della Terra, come significa questa parola secondo la greca etimologia. […] Anzi poichè la seconda fu più terribile e più decisiva della prima, e da quella in poi non corse più pericoli il regno di Giove, fu più celebrata la Gigantomachia ; e della guerra dei Titani poco o nulla si parlò dalla maggior parte dei poeti67. […] Ed ecco l’origine e la causa della Gigantomachia ; la qual guerra è cantata dai poeti preferibilmente alla Titanomachia, perchè parve agli Antichi che in quella il miglior diritto fosse degli Dei che rimasero vincitori, mentre in questa era più veramente dei Titani che furono vinti.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

È quella l’immagine del Dio Mercurio, il più affaccendato di tutti gli Dei dell’Olimpo, essendo egli il Messaggiero di Giove e degli altri Numi superni. […] In principio aveva la sola verga ; ma un giorno, come raccontano i poeti, avendo egli trovato due serpenti che si battevano, li percosse colla sua verga per separarli e dividerli ; ed essi attortigliandosi a quella rimasero in atto di lambirsi in segno di pace154. […] Son due trasformazioni, cioè quella del pastor Batto in pietra di paragone e di Aglauro in livido sasso. […] Allora Mercurio, facendosi riconoscere, lo rimproverò della sua perfidia e lo punì trasformandolo in quella pietra nera che dicesi di paragone, perchè serve a far conoscere se v’è mistura o falsificazione negli oggetti d’oro e d’argento162.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

Assomiglia nel Canto xvii dell’Inferno la sua paura, nello scender su di un alato mostro in un profondo abisso infernale, a quella di Fetonte trasportato in balìa dei cavalli del Sole : « Maggior paura non credo che fosse, « Quando Fetonte abbandonò li freni, « Perchè ’l Ciel, come pare ancor, si cosse115. » Rammenta ancora nel Canto xxix del Purgatorio il lamento della Dea Tellure per gli spaventevoli effetti cagionati ne’suoi tre regni dalle infiammate vampe del Sole, o come egli dice, l’orazion della Terra devota 116 « Quando fu Giove arcanamente giusto. » Queste splendide invenzioni mitologiche, abbellite dalla più splendida poesia greca e latina, hanno sopravvissuto alla distruzione delle religioni, dei popoli, delle favelle e della scienza antica. […] Il maggior culto di Esculapio fu in Epidauro ; e sappiamo dallo stesso Livio, non che da Ovidio, che da quella città fu trasportata solennemente la statua del Nume a Roma, e gli fu eretto un Tempio nell’isola Tiberina, che allora fu detta di Esculapio, ed ora di San Bartolomeo, dopochè Roma divenuta cristiana dedicò quel tempio pagano al culto di quest’apostolo. […] Dicendo Dante che il cielo si cosse, come apparisce ancora, allude a quella estesissima macchia biancastra che di notte si scorge nel cielo, e che è detta anche dagli astronomi via lattea, e con greco nome Galassia. Con tali parole accenna Dante l’opinione di alcuni mitologi che quella macchia (che veramente è uno strato di milioni e milioni di lontanissime stelle) fosse prodotta nel cielo dal calore del Sole, « Quando Fetonte abbandonò li freni. » Altrove però la chiama Galassia come i poeti greci.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

La parola Orco fu adoprata dai poeti romanzeschi, e tra gli altri anche dall’Ariosto, per significare un mostro immaginario, come il Polifemo e l’Orca dei mitologi ; della quale invenzione, come di quella delle Fate, si abusò, e forse ancora, specialmente nelle campagne, si abusa, in tutte quante le novelle e favole « Che raccontano ai putti le bisavole243. » Tutta la guardia pretoriana del re e della regina dell’Inferno consisteva nel Can Cerbero che aveva 3 teste, e difendeva meglio e con maggior fedeltà i suoi padroni che far non potesse una coorte di Svizzeri. […] Asserivano i mitologi che le Parche avevano l’ufficio di determinare la sorte degli uomini dal primo istante della nascita a quello della morte ; e che ne dessero indizio con un segno sensibile singolarissimo, ma invisibile ai mortali, cioè per mezzo di un filo di lana, che esse incominciavano a filare quando nasceva una persona, e che recidevano, quando quella persona doveva morire. […] Insieme con queste si annoveravano ancora la Morte, il Lutto, il Timore, la Fatica, la Povertà, la Fame e perfino la Vecchiezza, funeste divinità allegoriche, ben note in tutta la loro orrenda realtà ai miseri mortali, e delle quali perciò i poeti rammentano soltanto il nome, tutt’al più con qualche epiteto espressivo senza estendersi in descrizioni247, tranne qualche rara eccezione, come quella del Petrarca nel Trionfo della Morte. […] Anche il can Cerbero ha ricevuto l’onore dagli astronomi che il suo nome fosse dato ad una piccola costellazione, composta, secondo il catalogo di Arago, di tredici stelle : la quale resta nell’emisfero boreale, vicina a quella parte della costellazione di Ercole che si chiama la mano, volendosi così alludere alla favola che Ercole incatenò il can Cerbero nell’Inferno e lo trascinò seco sino alla vista del Cielo.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

La Vestale che avesse lasciato spengere il fuoco sacro, era battuta pubblicamente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato al voto di castità era seppellita viva, in un campo, detto scellerato, fuori di Roma. […] Il che non conferiva di certo alla loro felicità, nè a quella del marito e dei parenti. […] E questo nome rituale di Amata davasi, nella loro consacrazione, a tutte le Vestali in memoria di quella prima che fu consacrata da Numa riformatore di quel sacerdozio, e della quale sapevasi il nome di Amata per tradizione.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

Quivi fu calunniato malignamente dalla regina Stenobea ; e Preto per le accuse della perfida moglie (volendo per altro schivare l’odiosità di farlo morire egli stesso senza apparente motivo), lo mandò da suo suocero Iobate re di Licia, con una lettera chiusa, che consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli che era una commendatizia, mentre invece conteneva la commissione di far morire il latore di quella. […] La più celebre e memorabile di queste imprese fu quella della Chimera, mostro che avea la testa di leone, il corpo di capra e la coda di serpente, ed inoltre gettava fiamme dalla bocca e dalle narici. […] Quest’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

La voce Eroi, divenuta tanto comune in verso e in prosa non solo nelle lingue dotte, ma pur anco nella italiana e nelle altre lingue affini, è di origine greca ; ed i filologi antichi, incominciando da Servio commentator di Virgilio, ne danno tre diverse etimologie,45deducendole da tre diverse accezioni in cui trovasi usata quella voce, cioè di Semidei, di Dei Indigeti, e di uomini divenuti illustri o per dignità o per imprese di sovrumano valore. […] Nel Medio Evo dopo la caduta del romano Impero e le irruzioni dei Barbari, se non si rinnovò precisamente un circolo similare di tutte le antiche fasi sociali, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato della greca e della romana civiltà, come dice il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritornò per altro colla dissoluzione di tutti gli ordini sociali il predominio della forza in tutto il suo furibondo vigore e il così detto diritto della privata violenza. […] Degli altri dirò a mano a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e di quelli che si trovarono insieme in una data spedizione prima accennerò brevemente le particolari qualità di ciascuno di essi, e poi li metterò in azione tutti insieme ; parlando più a lungo del capo o protagonista di quella impresa nel narrare l’impresa stessa.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

La seconda classe comprendeva gli Dei inferiori o terrestri 6 ; la terza era quella degli Eroi o Semidei ; e la quarta delle Virtù e dei Vizi 7. […] La Genealogia degli Dei, ossia la loro filiazione e parentela (almeno dei principali), è necessaria a conoscersi nella Mitologia pel doppio scopo, che da quella si deducono spesso i rapporti di causa e di effetto considerati dagli antichi nei fenomeni del mondo, e poi perchè frequentemente i poeti, invece di rammentare una divinità col suo nome principale e più conosciuto, fanno uso del patronimico, ossia di un vocabolo derivato o composto dal nome del padre di quella data divinità.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

XIV Il Diluvio di Deucalione Dopo che furono sterminati i Giganti dalla faccia della Terra, vi rimase la razza dei discendenti dei migliori Titani, quella degli uomini plasmati di creta e animati da Prometeo col fuoco celeste, e l’altra degli uomini che Giove stesso aveva creati. […] Questa trasformazione è fondata sopra due somiglianze, quella cioè del nome di Licaone che deriva dal greco licos che significa lupo, e l’altra degl’istinti feroci di questo animale con quelli di quel re bestiale, primo modello dei più efferati tiranni. Giove tornato in Cielo radunò il consiglio degli Dei Superiori, narrò tutti gli orribili delitti degli uomini, e si mostrò risoluto di esterminare tutta quella razza bestiale più che umana.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

E in ciò appunto distinguesi la classica Mitologia del grossolano feticismo, e ne differisce immensamente, perchè in questo adoravansi i prodotti stessi naturali come se fossero Dei, e in quella gli esseri soprannaturali a cui se ne attribuiva l’invenzione o la creazione. […] Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone. […] Altri autori latini dicono che Ceres è lo stesso che Geres, a gerendis fructibus, perchè i Latini nella loro pronunzia, e specialmente in quella dei nomi proprii, usavano spesso il G invece del C.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

Risparmierò al cortese lettore altre simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in principio, i distintivi che gli si davano perchè non si confondesse con altre inferiori divinità di forme presso a poco così graziose come quella di lui. […] E il Dio Pane gareggiando con Apollo ad onorare in quella pianta la prediletta Ninfa, formò di sette canne di diversa lunghezza, unite fra loro colla cera, un musicale stromento, che in greco chiamavasi col nome stesso della Ninfa, cangiata in canna, cioè Siringa, in latino fistula e in italiano sampogna 11. […] Questo Dio era adorato principalmente in Arcadia come Dio dei pastori, e da quella regione fu trasportato il suo culto in Italia dall’Arcade Evandro tre secoli e mezzo prima della fondazione di Roma.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

Anna Perenna era una Dea adorata soltanto dai Romani, perchè credevano che fosse quella stessa Anna sorella di Didone, rammentata da Virgilio nel lib.  […] Fu detta la Dea Bona perchè era di una così scrupolosa modestia e castità, che si chiuse nel suo ginecèo e non volle vedere altra faccia di uomo che quella di suo marito. […] Ma questa conclusione è quella stessa di Plinio nel luogo da me citato di sopra.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Ma o prima o poi che l’infortunio accadesse, anche Omero chiama Vulcano l’inclito zoppo, e come zoppo Vulcano è conosciuto questo Nume anche dal nostro volgo ; e la fama dei suoi esterni difetti, benchè a lui non imputabili, si è maggiormente diffusa (come accade pur troppo nel mondo) ed è stata più durevole di quella dei suoi rarissimi pregi nella Metallurgia. […] Nel medio evo, al risorger delle lettere e delle scienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella, e quando le persone entravano le salutava. […] La loro stirpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di Urano e di Vesta Prisca.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

Questa placida Dea, come la chiama Tibullo19, e queste rozze e semplici cerimonie sarebbero rimaste ignote o presto obliate, se non fosse avvenuto che nel giorno stesso di quella festa avesse Romolo incominciato la fondazione di Roma, tracciando coll’aratro la prima cinta dell’eterna città. […] L’immagine della Dea Flora è simile a quella della Primavera : ha mazzi di fiori in mano, una corona di fiori in testa, e fiori spuntano sul terreno ov’ella posa le piante. […] Una delle più celebri statue di Fauno è quella che vedesi nella Tribuna della Galleria degli Uffizi.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Ma fu inutile questa precauzione, poichè Giove stesso trasformatosi in pioggia d’oro discese in quella torre e sposò Danae che fu poi madre di Perseo. […] La produzione dei serpenti dal sangue della testa anguicrinita di Medusa è meno difficile a spiegarsi che quella del caval Pegaso nato dal corpo di essa. […] iii di Orazio ; della quale qui cito soltanto quella parte che si riferisce a quanto ho detto di sopra nel testo : « Inclusam Danaën turris aënea « Robustaeque fores et vigilum canum « Tristes excubiæ munierant satis « Nocturnis ab adulteris, « Si non Acrisium virginis abditæ « Custodem pavidum Juppiter et Venus « Risissent : fore enim tutum iter et patens « Converso in pretium Deo.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

E nessuno sarà mai sì pazzo, o sì savio, o sì tristo, o sì buono, che propostagli la elezione delle due qualità d’uomini, non laudi quella che è da laudare e biasimi quella che è da biasimare. » (Discorsi, lib.  […] Se ne trovano riportate alcune anche nei libri di rettorica e belle lettere, come quella che si suppone data a Pirro re dell’Epiro prima di muover guerra ai Romani : « Aio te, Æacida, Romanos vincere posse. » E l’altra : « Ibis, redibis, non, in bello morieris. » Notabilissima è poi la risposta dell’Oracolo di Delfo ai figli di Tarquinio il Superbo che insieme con Bruto erano andati a consultarlo per sapere chi dovesse regnare in Roma.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30

Ma cadono poi nel feticismo, ossia nel culto materiale dei prodotti della natura (feti) 24), quei mitologi i quali ci raccontano che quella pietra divorata da Saturno, e da lui non ben digerita, adoravasi nel mondo sotto il nome di abdir o abadir. […] Cibele aveva preso molte precauzioni per nascondere l’esistenza de’suoi figli a Saturno e a Titano, e tra le altre quella di far sollevare urli e strepiti da’ suoi sacerdoti, perchè non si udissero in cielo i vagiti di quei pargoletti numi.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

Quasi 700 anni corsero dalla morte di Romolo a quella di Cesare, nel qual tempo il popolo romano divenne conquistatore del mondo, senza che pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più celebri generali che a tanta gloria e potenza lo guidarono. […] Tutte le cerimonie dell’apoteosi, o consacrazione degl’ Imperatori romani, ci furono descritte estesamente non solo da Erodiano, ma ancora da Dione Cassio senatore, che assistè per dovere d’ufficio a quella dell’Imperator Pertinace l’anno 193 dell’E.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

In greco, chaos significa confusione, e si riferisce perciò principalmente alla confusa massa di tutta quanta la materia bruta ed informe, supposta esistente nello spazio prima che con essa fosse plasmato il mondo ; e in questo significato si adopra quella parola anche dai nostri poeti. […] Non così Dante, come abbiamo veduto di sopra ; e il volgo stesso toscano pronunzia quella parola come la pronunziava Dante e come è scritta in greco, in latino, in francese e in inglese.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Apollo, questo Dio oltre molte altre attribuzioni ebbe in perpetuo anche quella di guidare il carro della luce19, e sotto il nome particolare di Febo fu considerato come il Sole istesso. […] La sua occupazione prediletta era quella di far girare intorno alla Terra il firmamento, ossia la sfera stellata e di adornarlo di nuove stelle.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9

Tali favole o miracolose supposizioni di cui son piene tutte le antiche istorie, specialmente nelle loro origini, non esclusa quella di Roma, furon dette con greco vocabolo miti ; quindi Mitologia significa etimologicamente racconto dei miti, ossia delle favole delle antiche religioni dei Politeisti o Idolatri. […] E quantunque il termine di Mitologia in senso lato sia riferibile a tutte le religioni pagane, è per altro più specialmente applicabile a quella dei Greci e dei Romani, le cui classiche lingue e letterature tanto contribuirono e contribuiscono a dar pregio e vigore alla lingua e alla letteratura italiana.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

I più notabili erano : Meleagro figlio del re Oeneo e duce di quella eletta schiera, i suoi zii Plessippo e Tosseo, fratelli di Altea sua madre, e la sua fidanzata Atalanta valentissima cacciatrice. […] I cacciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità che quella acquistata con questa trista fine ; ma, come dice un moderno poeta : « Trar l’immortalità dalla sua morte « È una sorte meschina, o non è sorte. » Dopo altre vicende che poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la gloria di atterrare quell’immane belva ; e il diritto che egli avea di prender per sè il teschio e la pelle del cinghiale lo cedè ad Atalanta.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Dante ha fatto poeticamente dipinger la Fortuna nel Canto vii dell’ Inferno da Virgilio poeta pagano, e perciò quella dipintura ha tinte più proprie del paganesimo che del cristianesimo. […] Così fu ristretta fra certi limiti insormontabili non solo la potenza di Giove, ma quella pur anco di tutti gli altri Dei ; i quali spesso nei poeti pagani si lamentano pietosamente della inesorabilità del Destino come qualunque più misero mortale.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

La veste ornata di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele, che presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava che quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortificar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone come il re degli animali terrestri. […] Infatti questo vocabolo tellùre è l’ablativo del nome latino tellus, telluris, che significa la Terra ; e da quella voce latina son derivate in chimica più e diverse denominazioni scientifiche, come per sempio il tellurio, che è un corpo elementare elettro negativo, scoperto nel 1772 da Muller, e che per molti suoi caratteri imita le sostanze metalliche.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

Ma ben io, se il voglio, « Lo trarrò colla terra e il mar sospeso : « Indi alla vetta dell’immoto Olimpo « Annoderò la gran catena, ed alto « Tutte da quella penderan le cose. […] L’oasi in cui fu eretto il tempio di Giove Ammone era quella che ora si chiama Dakhel, che resta all’ovest della Grande Oasi, sui confini dell’ Egitto, nel deserto anticamente detto di Barca.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Per gli usi del sacrifizio avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte che trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecitare quei primi ; ma non vedendo tornare nè questi nè quelli, vi andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte, che finiva di divorarsi l’ ultimo di essi. […] Da quella strana sementa vide Cadmo con sua gran maraviglia uscir poco dopo una quantità di uomini armati che si misero subito a combattere fra loro, finchè i più rimasero estinti, e i soli cinque sopravvissuti lo aiutarono a fabbricare la città.

50. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393

. — La guerra degli Dei contro Tifeo (nella Campania e ad Inarìme o Ischia), quella dei Giganti contro Giove, indicanti i grandi sconvolgimenti del suolo per opera di terremoti o di vulcani, il Vesuvio, l’Etna, Stromboli, i campi Flegrei, danno copiosa materia alle favole mitologiche. […] Ma vero fondatore di quella città è detto dalla storia essere stato Sisifo, figlio di Deucalione (altri dice d’Eolo), capo dei Sisifidi che tennero lo stato finché non furono cacciati dai Pelopidi.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

L’Orsa maggiore fu chiamata anche il Carro, nome che si conserva pure oggidì ; e le sette stelle principali che vedonsi in quella ad occhio nudo eran dette i sette trioni, ond’è venuto il termine di settentrione 141. […] Questo secondo tempio esisteva ancora quando l’apostolo Paolo andò a predicare il cristianesimo agli Efesii ; e poichè egli voleva abolire il culto di Diana, poco mancò che non fosse massacrato dagli orefici di quella città, che guadagnavano molto vendendo tempietti d’argento fatti ad imitazione di quello di Diana Efesina146.

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

La più bella fabbrica dell’Inferno è quella che Dante ha delineato in modo sì mirabile da superare l’abilità di qualsivoglia architetto. […] Per dare un esempio quanto l’Alighierisia chiaro ed esatto nel far la descrizione dell’immensa fabbrica da lui architettata, riporterò soltanto quella di Malebolge, che è veramente ammirabile per la sua evidenza : « Luogo è in inferno, detto Malebolge, « Tutto di pietra e di color ferrigno, « Come la cerchia che d’intorno il volge.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Gli avvenne d’invaghirsi di una Ninfa chiamata Dafne figlia di Peneo, la quale essendosi consacrata a Diana, e fatto voto di non prender marito, non solo ricusò di sposare, ma neppure volle ascoltare Apollo, e datasi a fuggire pregando gli Dei a sottrarla da tal persecuzione, fu cangiata in quella pianta di cui portava il nome, cioè in alloro, poichè Dafne in greco significa lauro. […] Ei se ne andò allora in Frigia, ove si mise a fare il muratore ; e insieme con Nettuno fabbricò le mura della città di Troia ; della cui divina origine e costruzione parlano Omero e Virgilio e molti altri poeti ; e noi dovremo discorrerne narrando la famosa guerra troiana e la distruzione di quella antica città.

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

La più evidente interpretazione dei miti abbiamo veduto esser quella di considerare le Divinità del Gentilesimo come altrettante personificazioni o deificazioni dei fenomeni fisici e delle passioni degli uomini, e perfino delle idee non solo concrete, ma anche astratte, come noteremo più specialmente nelle seguenti parti di questa Mitologia.

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-

Contemporaneamente a queste prime apoteosi sorgeva e ben presto diffondevasi una nuova religione, i cui seguaci destarono l’ammirazione di tutti per la bontà e santità della vita : e questo parve un gran miracolo in mezzo a società così corrotta ; questo richiamò l’attenzione di tutti sulla nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime che essa insegnava.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

E non bastavano per saziar quella Lupa, « Che mai non empie la bramosa voglia, « E dopo il pasto ha più fame che pria. »

57. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

In tutto questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio che giova, del Dio benefico, ma quella d’invidioso, maligno e malefico.

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

I Romani adoravano Iside sotto la forma di donna ; ma gli Egiziani sotto quella di vacca, perchè credevano che questa Dea insieme col suo fratello e marito Osiride, dopo avere insegnato a loro l’agricoltura, si fossero trasformati essa in vacca ed Osiride in bove o toro.

59. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

I moderni Geografi, non che i Letterati e gli Archeologi, per quanto abbiano visitato e studiato diligentemente la Troade, non si trovano d’accordo nel riconoscere e determinare i celebri fiumi di quella classica terra.

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