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11. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLVI. Giasone e Medea » pp. 342-489

Essendo incerto chi di loro due esistesse prima, comincierò da Anfione, del quale è più breve il racconto. […] Sulla scelta di questa decideva la sorte, la quale dopo qualche anno cadde sopra Esìone figlia dello stesso Laomedonte. […] Appena appena sono in grado di farci sapere i nomi dei re d’Alba, per ordine di successione sino a Numitore padre di Rea Silvia, dalla quale nacquero Romolo e Remo. […] 9ª LaSibilla Frigia, della quale fu detto che vaticinò in Ancira. […] Elmo è stato osservato in Monte Cassino ora per la prima volta dal 1828 in poi, nel quale anno vi furono messi i parafulmini.

12. (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248

Diede inoltre una bevanda allo stesso suo padre, colla quale gli fece recere i figli da lui precedentemente divorati. […] Vero è, che la poca grazia, colla quale esercitava le funzioni di coppiere, fu cagione che Ebe avesse un tale incarico. […] Fu ammazzata da Ercole, al quale aveva rubato alcuni bovi : indi cangiata in mostro marino. […] Ivi ammazzò Preto che aveva cacciato Acrisio dai suoi stati, col quale si riconciliò. […] Apollo conoscendo in lui un raro talento per la musica gli regalò la sua lira, alla quale Orfèo aggiunse due altre corde.

13. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

Non vi essendo dunque la notizia di tal merito, come si potrà difendere la giustizia d’un simil odio, la quale si dee provare non dall’odiare, ma dal sapere perchè si deve odiare ? […] Che sorta di male, dico, del quale il reo si allegra, l’accusa del quale si brama, la pena del quale per felicità si considera ? […] Ma non fia mai che una setta, che ha del divino, con fuoco umano vendichi i suoi torti, e che si dolga di soffrire quel male, il quale fa prova della sua virtù. […] E in quale stato d’infanzia non si troverebbe anche ai dì nostri la società ! […] È opinione di molti dotti, che la lingua sanscritta, la quale è tuttora la lingua letteraria dell’India, sia madre all’etrusca, alla greca, alla latina ; e se ne adducono prove assai speciose.

14. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

XLI Perseo Questo antichissimo Eroe apparteneva al novero dei Semidei, poichè fu creduto figlio di Giove e di Danae, la quale era figlia di Acrisio re degli Argiesi. […] In appresso incontreremo Agamennone re d’Argo e Micene, generalissimo della Grecia congiurata ai danni di Troia ; e finalmente Oreste figlio di lui, col quale termina l’età eroica e comincia l’epoca storica47. — Ma torniamo alle favole. […] S’intende facilmente che l’oro col quale furon comprate le guardie da un ricco principe aprì le porte della torre di bronzo, per la stessa ragione che fece dire a Filippo padre di Alessandro Magno non esservi fortezza inespugnabile alla quale potesse accostarsi un asinello con una soma d’oro48. […] Si crede opera degli scolari di Giovan Bologna, del quale è di certo la statua colossale del Grande Oceano, che ivi si ammira. […] Dipoi volle Perseo tornar colla sposa a riveder sua madre Danae ; e nel passare dalla Mauritania gli fu negata l’ospitalità dal re Atlante ; il quale avea saputo dall’Oracolo, che per quanto egli fosse di statura e di forza gigantesca, dovea tutto temere da un figlio di Giove.

15. (1841) Mitologia iconologica pp. -243

Fù chiamata Cingola dal cinto, che solito era portarsi dalle spose nell’andare a prender marito, quale credevasi da essa disciolto qual patrocinatrice delle nozze. […] Ebbe il nome di Apaturia, ossia ingannatrice, e qual cosa invero più inganna, che l’amore, quale lusingando i sensi nel cuor trasmette i velenosi suoi strali ? […] Or se tanto seppero ideare i Gentili, che poi, dobbiamo noi dire della providenza di quel Dio, nel quale vivimus, movemur et sumus. […] E chi in vero non ravvisa quale abbondanza di rettorica, quale aggiustatezza di logica si racchiude in questi due versi di Temistocle avanti a Serse. […] Suole avere il suo luogo nel Ditirambo(1) ed in esso quale tronco l’accento cade alla seconda sua sillaba, come.

16. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

Non era altro che un masso, o uno stipite di pietra rozzamente squadrata, un parallelepipedo rettangolo, come direbbesi in geometria, il quale ponevasi per confine del territorio dello Stato e dei campi dei cittadini. […] Il Dio Termine aveva in Roma una cappella a lui sacra nel tempio di Giove Capitolino, il quale era situato, come affermano gli archeologi, ove ora esiste la chiesa di Ara Coeli. […] Il Varchi nella sua elaboratissima Orazione funebre in morte del Buonarroti, la quale egli recitò nella Chiesa di S. Lorenzo, così descrive il gruppo del Bacco e del Satirino : « Rarissimo e maravigliosissimo fu un Bacco che egli, secondo che lo descrivono i poeti antichi, fece di circa diciotto anni : il quale nella mano destra tiene sospesa in aria una tazza ; la quale egli guata fiso, e disiosamente con occhi languidi e imbambolati per berlasi tutta. Ha nel sinistro braccio una pelle indanaiata di tigre, e co’polpastrelli, cioè colla sommità delle punte delle dita, regge penzo loni un grappolo d’uva matura ; il quale un Satirino d’allegrissima vista, che gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi téma che egli nol vegga, cautamente piluccando. » Non sarà inutile l’osservare per chi studia la propria lingua, che l’espressione indanaiata di tigre, riferibile a pelle, sebbene accolta e registrata nei Vocabolarii italiani, putirebbe ora di lucerna e di affettazione, ed equivale alla più semplice e più dell’uso comune pelle tigrata.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

Il Sole nel corso dell’anno percorreva una strada (detta dagli astronomi orbita, e più propriamente eclittica), la quale resta nel mezzo ad una fascia o zona del cielo di 16 in 17 gradi, ed ove scorgonsi le 12 costellazioni, in direzione di ciascuna delle quali successivamente va il Sole a tramontare nei diversi mesi dell’anno. […] A spiegare il crepuscolo mattutino, ossia l’alba che precede il giorno, come dice Dante, inventarono i mitologi che tra i figli del Sole vi era una bellissima figlia chiamata l’Aurora, la quale ogni mattina apre le porte dell’oriente, e precede il padre, spargendo gigli e rose sulla terra. […] Fu egli un giovinetto presuntuoso, il quale credeva che gl’illustri natali bastassero a compire le grandi e gloriose imprese. […] Inoltre gli attribuirono un figlio che fu il più valente medico sulla Terra, e dal quale nacque una figlia che fu la Dea della Salute. […] Esculapio era rappresentato con volto maestoso e in atto di meditare ; lunga avea la barba che scendeagli a mezzo il petto ; sulle spalle il pallio, ossia mantello alla greca, e in mano un bastone al quale era attortigliato un serpente, simbolo della prudenza, virtù necessaria principalmente ad un medico.

18. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-

.), deificazione ; cerimonia con la quale gli eroi, gl’ imperatori e i poeti eran collocati dopo morte fra i Numi. […] Prima gli uomini adorarono le cose materiali create da Dio, come il sole dal quale riceviamo la benefica luce, e che feconda le campagne. […] Le lustrazioni pubbliche e nazionali erano celebrate di cinque in cinque anni, il quale spazio di tempo essendo chiamato lustrum (lustro) ha dato origine al vocabolo lustrazione. […] Il nome di vittima era dato solamente agli oggetti vivi ed agli animali grossi ; quello di ostia agli animali di latte, e tanto alle eose animate ehe inanimate ; e l’olocausto era un sacrifizio nel quale la vittima veniva interamente consumata dal fuoco, senza che ne restasse alcuna parte per il banchetto dei sacerdoti o degli assistenti. […] Acqua comune nella quale era stato spento un tizzone preso di sull’ ara.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Nella parte più interna dell’adito, o sacro penetrale, eravi una voragine dalla quale esalavano vapori inebrianti da allucinar la vista e far venir le traveggole, ovvero mofetici da mozzare il fiato. Un tripode, che alcuni dissero coperto della pelle del serpente Pitone, serviva di sedile alla Pitonessa, ed era tenuto sospeso sulla voragine ; e ai piedi di quello pendeva un vaso circolare e concavo, una specie di caldaia, che i Greci chiamavano lebete e i Latini cortina, dentro la quale si conservavano i denti e le ossa del serpente Pitone. — In appresso la parola cortina in latino fu interpretata per tenda o velario, col qual significato è passata nella lingua italiana. […] Cicerone compose un’opera sulla Divinazione, nella quale confuta ad una ad una tutte le asserzioni di suo fratello Quinto sulle pretese cause soprannaturali degli Oracoli e di qualunque altra creduta manifestazione della volontà degli Dei287). […] E questo è argomento di più alta indagine, sul quale piacemi un poco di trattenermi. […] Omero parla degli Oracoli, delle divinazioni e degli augurii come di cose antiche ai tempi della guerra Troiana, nella quale l’indovino Calcante rappresenta una parte importantissima, come interprete degli Dei, nei parlamenti di quei famosi guerrieri e nei segreti consigli di Stato.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Supposero che questi Dei abitassero negli antri donde usciva la sorgente del fiume, la quale chiamavasi poeticamente il capo. […] Inoltre la corona o ghirlanda del fiume è composta di canne, come del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o che sono particolari alla regione nella quale scorre quel fiume. Modernamente, per indicar meglio qual Fiume sia rappresentato, gli si pone appresso, o nella sinistra, uno scudetto coll’arme o stemma di quel popolo pel territorio del quale scorrono le sue acque. […] E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

Trovarono da per tutto orribili delitti, nefandità di nuova idea ; e saputo tra le altre cose, che v’era un re d’Arcadia, Licaone figlio di Pelasgo, il quale imbandiva agli ospiti nuovamente venuti le carni di quelli arrivati prima, e facea poi servir di pasto le carni loro agli ospiti che arrivavano dopo, volle presentarsi egli stesso all’infame reggia divenuta macello e cucina di carne umana. […] Tutti perirono, fuorchè un sol uomo ed una sola donna, Deucalione e Pirra, che si salvarono in una nave ; la quale dopo aver lungamente errato in balìa delle onde fu spinta e fermossi in Grecia sul monte Parnaso. — Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunati o pii, che soli ebbero in sorte o meritarono di scampare dal generale esterminio ? […] Trovansi infatti nell’interno del nostro globo strati di arena, di creta e di marmo che contengono conchiglie e frantumi di vegetabili ; e se ne deduce razionalmente che questi strati doveron formarsi sott’acqua nel modo stesso che vediamo accadere anche oggidì nel fondo dei laghi e nelle inondazioni dei fiumi. — Così una scienza che due secoli indietro non esisteva neppur di nome, e non supponevasi nemmeno che potesse esistere, ha fatto e va tuttodì facendo i più mirabili progressi, e risolve i più ardui problemi dei tempi preistorici, non già interpetrando le più o meno antiche tradizioni, le più o meno veridiche cronache o istorie, ma studiando i materiali stessi del nostro globo travolti e seppelliti da migliaia e milioni di anni per le forze irresistibili della Natura negli strati sottoposti a quello sul quale abitiamo.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Anzi i nobili Tebani dei secoli successivi credevano tanto (o fingevano di credere) in così strana favola, che derivavano la loro nobiltà di sangue dall’esser discendenti, com’essi vantavansi, di questi prodi guerrieri sì miracolosamente nati ; la quale illustre prosapia era detta degli Sparti, che significava seminati, alludendosi appunto alla sementa dei denti del serpente ucciso da Cadmo58. […] E quanto alla sua sorella Europa, della quale dicono i Mitologi che ebbe da Giove il privilegio di dare il nome alla terza parte dell’antico continente che noi abitiamo, gli storici non sanno dire nulla di più nè di diverso. […] A questa questione si collega l’altra sull’ origine dell’ Alfabeto in Europa, del quale si attribuisce a Cadmo che portasse in Grecia le prime sedici lettere60. […] Nel 1821 fu pubblicato dal Bagnoli il suo poema epico in venti Canti, intitolato : Il Cadmo, nel quale l’autore (come è detto anche nella sua prefazione) considera quest’ Eroe Fenicio non solo come guerriero, ma altresì come « il primo che introdusse l’alfabeto in Europa, le pratiche religiose e molte di quelle arti che procurarono l’universale coltura. » Ma il poema non ebbe credito, perchè vi predomina la fiacchezza d’ idee e di stile.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Era questo certamente un linguaggio allegorico, col quale si voleva significare che Mercurio col suo ingegno e la sua accortezza si era saputo cattivare l’affetto di tutti, o secondo la nostra frase familiare, aveva rubato il cuore a tutti. […] Tito Livio, nel libro 2° della Storia Romana, racconta che il collegio dei mercanti celebrava la festa di Mercurio il 15 di maggio, e Ovidio aggiunge la preghiera che essi recitavano, la quale terminava col chiedere a questo Dio guadagni in qualunque modo ottenuti, e di poterseli godere ingannando accortamente i compratori151. […] Raccontano i poeti che quando Mercurio rubò le vacche ad Apollo, incontrò per via il pastor Batto, al quale regalò una giovenca perchè non lo scuoprisse ; ma poi per provar la sua fede prese la forma di un altro che cercasse il ladro di quell’armento e promise a Batto una vacca e un bove, se glie ne indicava le traccie. […] Si noti quell’epiteto di jocoso dato al furto, il quale significa che Mercurio rubava per ischerzo, sottintendendosi perciò che poi restituiva ai proprietarii gli oggetti rubati.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

Arianna (per chi non lo sapesse) significa molto piacente ; e Bacco a cui piaceva il bello ed il buono se ne trovò molto contento, e le regalò come dono nuziale una preziosissima corona d’oro e di gemme, opera egregia di Vulcano, la quale poi fu cangiata in una costellazione che porta ancora il nome di corona di Arianna. […] Fece sì che Licurgo, re di Tracia, il quale aveva ordinato che si tagliassero tutte le viti dei suoi Stati, nel volerne recidere alcune di propria mano si tagliasse da sè stesso le gambe. […] Il celebre Magalotti, relatore delle esperienze dell’Accademia del Cimento, in una delle sue lettere scientifiche (lettera 5ª a Carlo Dati), intese di dare la spiegazione di questo fenomeno con una ipotesi, alla quale allude il Redi nel Bacco in Toscana, parlando del vino : « Sì bel sangue è un raggio acceso « Di quel Sol che in Ciel vedete, « E rimase avvinto e preso « Di più grappoli alla rete. » Ma la chimica soltanto colla teoria delle trasformazioni per mezzo della luce, del calorico e della elettricità può darne la più razionale e probabile spiegazione. […] Dante assomigliò la potenza del riso di Beatrice su di lui all’effetto dei fulmini di Giove sopra Semele : « Ed ella non ridea : Ma, s’io ridessi, « Mi cominciò, tu ti faresti quale « Semele fu, quando di cener fessi. » (Parad.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

La parola Orco fu adoprata dai poeti romanzeschi, e tra gli altri anche dall’Ariosto, per significare un mostro immaginario, come il Polifemo e l’Orca dei mitologi ; della quale invenzione, come di quella delle Fate, si abusò, e forse ancora, specialmente nelle campagne, si abusa, in tutte quante le novelle e favole « Che raccontano ai putti le bisavole243. » Tutta la guardia pretoriana del re e della regina dell’Inferno consisteva nel Can Cerbero che aveva 3 teste, e difendeva meglio e con maggior fedeltà i suoi padroni che far non potesse una coorte di Svizzeri. […] Lo stesso Virgilio ci narra che nelle regioni sotterranee vi son due porte da cui escono i sogni per venire sulla Terra ; la prima è di corno da cui escono i sogni veri, e la seconda di avorio, e n’escono i sogni falsi : della quale invenzione non è facile intendere il significato. […] Anche il can Cerbero ha ricevuto l’onore dagli astronomi che il suo nome fosse dato ad una piccola costellazione, composta, secondo il catalogo di Arago, di tredici stelle : la quale resta nell’emisfero boreale, vicina a quella parte della costellazione di Ercole che si chiama la mano, volendosi così alludere alla favola che Ercole incatenò il can Cerbero nell’Inferno e lo trascinò seco sino alla vista del Cielo. […] Basti a dimostrarlo il seguente distico di Tibullo, nel quale si attribuisce alle Parche il presagio dei futuri eventi, si chiaman fatali gli stami che esse filano, e si aggiunge che nessun Dio può disfarli : « Hunc cecinere diem Parcæ fatalia nentes « Stamina, non ulli dissoluenda Deo. » (Lib. 

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

« Perciò di purga han d’uopo, e per purgarle « Son dell’antiche colpe in varii modi « Punite e travagliate : altre nell’aura « Sospese al vento, altre nell’acqua immerse, « Ed altre al foco raffinate ed arse : « Chè quale è di ciascuno il genio e ’l fallo, « Tale è il castigo. […] Salmoneo, fratello di Sisifo, era sì pien d’orgoglio per aver conquistato l’Elide, « Che temerario veramente ed empio « Fu di voler, quale il Tonante in cielo, « Tonar quaggiuso e folgorare a prova. […] Mirabile è poi in sommo grado, e al tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra che usura offende la divina bontade ; e perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno. […] Nel libro ix del Codice Giustinianeo vi è il titolo De Sepulchro violato, nel quale si rammentano le antiche pene, e se ne aggiungono delle nuove per la violazione dei sepolcri.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Parve esorbitante e tirannico questo supplizio agli stessi Dei, che inoltre rimasero indispettiti delle pretese di Giove di arrogarsi per sè solo la facoltà di creare gli uomini ; ma invece di protestare con parole o con dimostrazioni clamorose, asserirono il loro diritto, esercitandolo di fatto e creando una donna fornita di tutte le più rare doti di corpo e di spirito, la quale chiamarono Pandora, che in greco significa tutto dono, perchè tutti avevano contribuito a darle qualche particolar pregio. […] Tutti però, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa le arti utili alla vita (il quale ingegno perciò può dirsi poeticamente una scintilla del fuoco celeste) ; e inoltre la punizione di esso significa le traversie e le persecuzioni immeritate che per lo più si ricevono dai grandi inventori invece del meritato premiò. […] Aggiungono di più che egli sposò Pandora, la quale gli portò in dote quel vaso pieno di tutti i mali.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

La quale impegnò la Dea Tellùre, ossia la Terra, a non darle ricovero in alcun luogo. […] Che Delo fosse stata nei tempi preistorici un’isola galleggiante fu detto la prima volta dal poeta Pindaro, il quale vi aggiunse ancora che Nettuno la rese stabile, perchè servisse di ricovero a Latona. […] Inoltre in questo secolo, e precisamente nel 1831, formossi per sollevamento nel mare al sud-ovest della Sicilia un’isoletta che fu chiamata Ferdinandea, la quale pochi mesi dopo cominciò a riavvallare, e disparve nuovamente sott’acqua.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

Era veramente una Dea da quelle etadi grosse, come direbbe Dante ; ma Ovidio asserisce che i contadini furono molto lieti di questa protettrice dei loro forni, e che la pregavano devotamente : « Facta Dea est Fornax ; læti fornace coloni « Orant ut fruges temperet illa suas. » Della Dea Muta non ci danno notizia che Ovidio e Lattanzio ; e dicono che era una Naiade, la quale fu privata della favella da Giove, perchè parlava troppo. […] Questa indicazione è conforme alla ortodossia mitologica, secondo la quale credevasi che di questi due Dei gemelli Diana fosse nata un giorno prima di Apollo. […] Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

Ed è questa l’opinione non solo dei commentatori della Bibbia, ma pur anco del sommo Alighieri, il quale nel Canto xxviii del Purgatorio, descrivendo le bellezze del Paradiso terrestre, fa dire alla celeste Matelda : « Quelli che anticamente poetaro « L’età dell’oro e suo stato felice « Forse in Parnaso esto loco sognaro. […] Celebre era in Roma il suo tempio, che stava chiuso in tempo di pace ed aperto in tempo di guerra ; il quale in più di settecento anni fu chiuso soltanto, e per poco tempo, tre volte, come sappiamo dalla storia romana. […] Chi sa il latino si rammenti o legga la satira di Orazio, che comincia : Jamdudum ausculto, nella quale il poeta dice al suo servo : Age, libertate decembri (Quando ita majores voluerunt) utere ; narra.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Ma poichè ammettevasi nella classica Mitologia una Divinità più potente di Giove, il Fato, agli inesorabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi al Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. […] Nei secoli successivi furono celebri la mosca e l’aquila volante di Regiomontano, diversi automi di Leonardo da Vinci, e specialmente il famoso leone, di cui parla anche il Vasari, le teste parlanti dell’abate Mical, il suonator di flauto di Vaucanson e l’anitra del medesimo, la quale nuotava, mangiava e digeriva ; e nel presente secolo, oltre il giuocatore di scacchi rammentato di sopra, anche il calcolatore aritmetico di Babbage. […] Evidentemente del fuoco, senza del quale sarebbe impossibile eseguire i lavori di metallurgia.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

Ma quantunque l’Oceano sia venerato come il più antico Dio marino, non ha peraltro l’impero assoluto del mare, che toccò in sorte a Nettuno fratello di Giove, dopo la guerra contro i Giganti, alla quale l’Oceano non prese parte. […] Ma tutte presentano presso a poco gli stessi emblemi o distintivi ; il più caratteristico dei quali è il tridente, che consiste in una forca con tre corni o punte ; ed è questo il potente scettro di Nettuno col quale comanda ai flutti e scuote la Terra cagionando terremoti216). […] La favola è questa : Glauco era un pescatore della Beozia, il quale un giorno si accorse che i pesci da lui pescati e deposti in terra sopra l’erba, gustando di quella prendevano un nuovo vigore e quasi una nuova vita, e spiccando un salto ritornavano in mare.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-

I Romani sino al termine della seconda guerra punica furono i puritani della pagana religione, e considerarono sin dal tempo di Numa il sentimento religioso e morale come il primo fattore dell’incivilimento ; e perciò ebbero cura di tenerne lungi qualunque elemento che tendesse a viziare la moralità delle azioni, senza la quale non può esistere vera civiltà. […] Negli scrittori ecclesiastici i politeisti son detti ancora Ethnici e Gentiles, vocaboli che sono sinonimi, il primo in greco e il secondo in latino ; onde è derivata in italiano la parola gentilesimo che si può usare indifferentemente per paganesimo ; ma non così la parola gentili per pagani, perchè il vocabolo gentili ha due altri diversi significati : uno più usato e comune invece di cortesi ; e l’altro legale, che sta ad indicare le persone della stessa famiglia, la quale in latino dicevasi più comunemente gens, mentre familia significava anche i servi o schiavi.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

Ma intanto è notabile la spiritosa invenzione della sposa del Caos, la quale ora chiamerebbesi con termine dantesco la Tenebra anzichè la Notte5, poichè questa suppone l’esistenza del giorno, e giorno vero e proprio, ossia presenza del sole sull’orizzonte, esser non vi poteva, finchè gli elementi eran confusi e misti. […] Par dunque che gli Antichi ammettessero la generazione spontanea degli Dei dalla materia, come i naturalisti moderni ammettono la generazione spontanea di certi insetti ed altri animaluzzi ; e che i mitologi andassero anche più oltre del Darwin e compagni antropologi ; poichè mentre questi suppongono la successiva trasformazione della materia nei diversi esseri organizzati, compreso l’uomo (il quale perciò verrebbe ad essere una scimmia perfezionata), quelli facevano nascere ad un tratto dagli elementi del Caos gli stessi Dei, come nascono da un giorno all’altro i funghi dalla terra.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Erravano dunque meno del famoso astronomo Tolomeo (vivente nel secondo secolo, dell’êra volgare), il quale fantasticò e spacciò per verità scientifica l’esistenza di tante sfere di solido cristallo negli spazii del cielo. […] Ma le opinioni e le scoperte dei dotti antichi eran tenute nascoste al volgo, e costituivano la scienza segreta, colla quale cercavano d’imporre rispetto alle moltitudini e di tenerle soggette ; e con false immagini e miracolose, quanto più strane e tanto più credute dagl’ignoranti, li pascevano di vane illusioni e li dominavano, « Forse con intenzion casta e benigna, » per rimuoverli dalla vita selvaggia e vincolarli in un più umano consorzio.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

E questo nome rituale di Amata davasi, nella loro consacrazione, a tutte le Vestali in memoria di quella prima che fu consacrata da Numa riformatore di quel sacerdozio, e della quale sapevasi il nome di Amata per tradizione. […] Al secondo modo era simile la pena detta della propaginazione, che davasi nel Medio Evo agli assassini, seppellendoli vivi in una fossa cilindrica, stretta e profonda : alla qual pena allude Dante con una celebre similitudine nel descriver la terza bolgia dell’ Inferno, nella quale son puniti i Simoniaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte cessa, » e in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco al perfido assassino.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

Ora in queste diverse imprese trovansi rammentati quasi tutti gli Eroi di cui si ha notizia, e talvolta in una son nominati i padri e nell’altra i figli ; e di qualche eroe che intervenne a più d’una è detto in quale di esse egli era più giovane, in quale più vecchio : dal che deducesi senza tema di errare l’ordine cronologico di quelle imprese.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Le era particolare il titolo di Gran Madre, tanto in greco (megale meter,) quanto in latino (magna mater,) perchè oltre ad esser la madre di Nettuno Dio del Mare, di Plutone Dio dell’Inferno, di Giunone regina del Cielo, era anche la madre di Giove re supremo, del quale eran figli la maggior parte degli altri Dei. […] Eran detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44, che li faceva divenire furibondi ; nel quale stato di concitazione o di orgasmo urlavano, battevano gli scudi e i tamburi, e si percuotevano fra loro con armi taglienti sino a ferirsi e mutilarsi.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

Dalle idee di Omero fu ispirato Fidia nel far la sua celebratissima statua di Giove Olimpico 63, considerata come una delle maraviglie del mondo ; la quale rimase sempre per tutti i seguenti scultori e pittori il primo e più egregio modello dei lineamenti caratteristici di questa suprema divinità del paganesimo64. […] Parlando il Vico di questa Catena nel libro secondo de’ suoi Principii di Scienza Nuova, riferisce che in essa Dionigi Longino ammirava la maggior sublimità di tutte le favole omeriche ; e quindi aggiunge le seguenti osservazioni : « La qual Catena se gli Stoici vogliono che significhi la serie eterna delle cagioni, con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il Mondo, vedano che essi non vi restino avvolti ; perchè lo strascinamento degli uomini e degli Dei con sì fatta Catena egli pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto al Fato.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Amadriadi poi è un greco vocabolo composto, che significa insiem colla quercia, o come si è detto di sopra, coll’albero ; e davasi questo titolo a quelle Ninfe la cui esistenza era legata alla vita vegetativa di una data pianta ; inaridendosi la quale, oppure essendo recisa o arsa, periva ad un tempo la Ninfa Amadriade. — Questi termini essendo significativi degli attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro che non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano non solo i poeti greci e i latini, ma altresì, benchè più di rado, gl’ italiani. […] Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Cerere allora ricorse a Giove, che per questo caso strano consultò il libro del Fato, nel quale trovò il decreto irrevocabile, che se Proserpina avesse mangiato o bevuto nell’ Inferno, non avrebbe potuto esser libera e ritornar colla madre. […] Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice, la quale in quelle pugne in cui prendevano parte anche gli Dei, come nella guerra di Troia, si metteva sempre dalla fazione contraria a Marte. […] Essendo la guerra il fondamento e la causa della loro potenza, e’ la chiamavano bellum, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino al termine della repubblica e ai primi tempi dell’impero, perchè a fin di guerra riuscivan sempre vincitori e conquistatori176.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

i delle Metamorfosi, che cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suonasse la lira, ma gli raccontasse pur anco la favola di Pane e Siringa : « S’io potessi ritrar come assonnaro « Gli occhi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa che ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco, la quale era stata da Giunone cangiata in voce, in punizione della sua loquacità, e condannata a tacere se nessun le parlava, ed a ripeter soltanto le ultime voci di chi le dirigeva il discorso : favola ricavata evidentemente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco. […] Ma perchè questo improvviso e mal fondato timore debba chiamarsi pànico, ossia prodotto dal Dio Pane, anzichè Plutonico, o diabolico, o altrimenti, cerca di spiegarlo la Mitologia ; la quale, dopo avere asserito che il Dio Pane soggiornando nelle solitudini più selvagge e piene di sacro orrore, spaventa da quelle colla sua terribil voce i passeggieri, vi aggiunge, quali prove di fatto, diversi aneddoti riferiti nelle antiche storie, come per esempio, che il Dio Pane al tempo della battaglia di Maratona parlasse a Fidippide Ateniese, e gli suggerisse il modo di spaventare i Persiani ; che la voce di questo Dio, uscita dalle sotterranee caverne del tempio di Delfo, atterrisse e mettesse in fuga i Galli che volevano saccheggiare quel ricchissimo tempio, ecc.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Malcontenta era sì, ma non rassegnata, come ben si capisce da questi versi ; e Giove faceva di certo ogni suo volere, ma non senza disturbi ed impacci per parte di Giunone ; la quale, superba e invidiosa com’era, fremeva all’idea di potere essere ripudiata, e che un’altra divenisse regina degli Dei. […] Per liberarsi dal quale l’imbestiata e dolente Io fu costretta a gettarsi nel mare, che traversò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da quei feticisti egiziani che adoravano le bestie fu ricevuta e adorata come una Dea, e restituita poi da Giove nella primiera forma fu venerata sotto il nome di dea Iside.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Claudiano, del quale esiste un frammento di 127 versi della Gigantomachia, non ci fa molto rimpiangere la perdita del rimanente di questo suo mitico poema ; ma il titolo soltanto dimostra che egli cantò dei Giganti e non dei Titani. […] E qui assumendo il tuono cattedratico proseguirebbe : « È il solfo il più comune fra i mineralizzatori di diversi metalli, e segnatamente del ferro, col quale combinato forma il solfuro di ferro, comunemente conosciuto col nome di pirite.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

L’opinione poi di Socrate sull’esistenza dei Dèmoni o Genii non potrebbe esser più manifesta ; sapendosi da’suoi stessi discepoli Platone e Senofonte, che egli attribuivasi fin dalla prima gioventù un Dèmone il quale suggerivagli tutto ciò che doveva fare275). […] Angelo, secondo la greca etimologia, significa messaggiero o nunzio ; la quale etimologia ed interpretazione è rammentata e adottata anche nelle opere di Sant’Agostino e di San Girolamo.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

Nel Canto xix del Purgatorio immagina di aver fatto un sogno, nel quale, per quanto parvogli, una donna « Io son, cantava, io son dolce sirena « Che i marinari in mezzo al mar dismago, « Tanto son di piacere a sentir piena. […] In tutto il rimanente questa descrizione par tratta da qualche libro moderno di Storia Naturale, sol che all’àncora si sostituisca il rampone al quale è attaccata la lunga fune che si tiene fissata alla nave, e se è possibile anche alla spiaggia.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -

Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che hanno favorevolmente accolti e adottati nelle loro Scuole gli altri miei libri, vorranno accogliere e proporre ai loro scolari ed ai loro amici la soscrizione a questa Mitologia ; la quale spero che possa esser utile non solo agli scolari, ma ancora ad ogni colta persona, poichè voile il Tommasèo che cosi fosse detto nel titolo della medesima.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

Andando su queste traccie, riesce più facile o almeno più probabile la spiegazione di molte idee mitologiche degli antichi Pagani ; e facendo tesoro delle interpretazioni che hanno date alle medesime, non solo i nostri poeti, e principalmente l’Alighieri, ma pur anco i filosofi di maggior fama, possiamo almeno conoscere quale opinione avessero dell’antica sapienza contenuta nella Mitologia gli uomini più grandi e più sommi.

50. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492

Battista Vico, il quale nel libro ii dei Principii di Scienza Nuova asserisce che i miti son tante Istorie fisiche conservateci dalle Favole.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

Basti dunque il sapere che si fingeva che l’imperatore non fosse morto, ma soltanto malato ; e per aiutar questa finzione ponevasi in un gran letto di avorio la statua di cera del defunto invece del suo cadavere, il quale era seppellito o arso segretamente.

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

La spiegazione più plausibile che suol darsi della Chimera è questa : che invece di essere un mostro fosse un monte ignivomo della Licia, nella parte più alta del quale soggiornassero i leoni, a mezza costa le capre selvagge e alle falde i serpenti.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

LXVII L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii I Greci ed i Romani politeisti, oltre all’aver deificato tutti i fenomeni fisici e morali, come abbiam detto, attribuirono a queste Divinità pregi e difetti, virtù e vizii come agli esseri umani ; quindi vi furono divinità benefiche e divinità malefiche, come vi sono uomini buoni e malvagi ; ed anche le migliori divinità ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ottenuto, si unì con Giunone a perseguitare per dispetto Paride ed i Troiani.

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

Ho detto di sopra che Danterammenta nella Divina Commedia la trista fine di Meleagro ; ed eccomi ad accennare in quale occasione.

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Quindi il Politeismo presenta l’immagine di una federazione di diversi Stati o Principi sotto la rappresentanza di un capo supremo, come sarebbero gli Stati Uniti di America e l’Impero Germanico ; mentre il Monoteismo è il vero modello della monarchia assoluta ; la quale soltanto per analogia o somiglianza di forma, e senza alcun fondamento di ragione, si chiama impudentemente di diritto divino.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

Lo stromento sacro per le cerimonie religiose era il sistro, formato di una larga lamina di metallo piegata in figura ellittica, nella quale inserivansi diverse bacchette mobili parimente di metallo ; e se ne traeva un suono musicale con studiati e regolari colpi e movimenti.

57. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

Nel Codice civile del Regno d’Italia, promulgato nel 1865, si trova usata la parola naturalità, alla quale si aggiunge concessa per legge o per decreto reale (Art. 10).

58. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

La quale dall’essere stata tre mesi in gestazione nel cervello di Giove fu detta Tritonia.

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