E quanto ai nomi li presero dalla Geografia, vale a dire adottarono quegli stessi nomi che avevano i diversi fiumi nei diversi paesi. […] Il fiume Acheloo fu battagliero quanto Rodomonte, e osò venir tre volte a singolar tenzone con Ercole per ottenere a preferenza di lui Deianira in isposa. […] E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero. […] « Ma nullo ha colpa de’Celesti meco « Quanto la madre mia che di menzogne « Mi lattò, profetando che di Troia « Sotto le mura perirei trafitto « Dagli strali d’Apollo ! […] I moderni Geografi, non che i Letterati e gli Archeologi, per quanto abbiano visitato e studiato diligentemente la Troade, non si trovano d’accordo nel riconoscere e determinare i celebri fiumi di quella classica terra.
Perciò diremo da prima quanto ne riferisce la Mitologia, e aggiungeremo in ultimo alcune osservazioni riferibili alla Storia. […] Ma per quanto avesse Cadmo strettissima parentela coi principali Dei, poichè Giove era suo genero, Venere e Marte suoi suoceri e Bacco suo nipote, oltre il proprio merito di fondatore di una illustre città, non ostante non fu felice, e neppure i suoi discendenti. […] In quanto poi ai guerrieri nati dai denti del serpente ucciso da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque che sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e popolare la città di Tebe ; e i loro nomi son questi : Echione, Udeo, Ctonio, Peloro e Iperènore. […] E quanto alla sua sorella Europa, della quale dicono i Mitologi che ebbe da Giove il privilegio di dare il nome alla terza parte dell’antico continente che noi abitiamo, gli storici non sanno dire nulla di più nè di diverso. […] Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e che perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo che la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo che Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come afferma Pausania.
L’ambizione del parto ingegnoso portavali tanto appresso a loro numi, quanto l’ammirazione sopra il rimunente del volgo. La morale, che di qui trassero accomodata alle passioni de’letterati tanto allettava con l’albagia, quanto appagava con l’ apparenza. […] Creduto inventore del vino, tutto e quanto può spigolarsi di lui ne’classici greci e latini, tutto si allude al vino, ed all’ubbriachezza. […] Quanto si disse di lei tutto era una simbolica. […] Presso di me solo è la custodia del mondo per quanto è grande, ed a me si appartiene solamente di ravvolgere i cardini.
Dante asserisce che a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta che egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù quel suo celebre viaggio, le tre Furie infernali vedendolo da lontano dall’alto di una torre : « Venga Medusa, sì ‘l farem di smalto, « Gridaron tutte riguardando in giuso ; « Mal non vengiammo in Teseo l’assalto. » E non era un timor panico il suo, perchè Virgilio stesso gli disse tosto : « Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso, « Chè se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi, « Nulla sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo che gli antichi rappresentavano la testa di Medusa nell’Egida, e talvolta nell’usbergo della Dea Minerva ; e Cicerone rimprovera a Verre, tra gli altri delitti e sacrilegii, di avere involato una bellissima testa anguicrinita di Medusa, distaccandola dalle porte del tempio di Minerva in Siracusa49. […] Dipoi volle Perseo tornar colla sposa a riveder sua madre Danae ; e nel passare dalla Mauritania gli fu negata l’ospitalità dal re Atlante ; il quale avea saputo dall’Oracolo, che per quanto egli fosse di statura e di forza gigantesca, dovea tutto temere da un figlio di Giove. […] Ho dato questo cenno in conferma di quanto osservai nel precedente capitolo, che cioè bisogna cercar le origini storiche dei popoli antichi nella Mitologia. […] Collegata la Mitologia allo studio delle origini storiche, forma la necessaria introduzione al Corso della Storia Antica ; e quanto poi alla Letteratura classica ed alla Archeologia è fondamento indispensabile ; « E non è impresa da pigliare a gabbo, « Nè da lingua che chiami mamma e babbo. » 48. […] iii di Orazio ; della quale qui cito soltanto quella parte che si riferisce a quanto ho detto di sopra nel testo : « Inclusam Danaën turris aënea « Robustaeque fores et vigilum canum « Tristes excubiæ munierant satis « Nocturnis ab adulteris, « Si non Acrisium virginis abditæ « Custodem pavidum Juppiter et Venus « Risissent : fore enim tutum iter et patens « Converso in pretium Deo.
Ed asserivasi che per quanto le prossime coste dell’Italia e della Sicilia biancheggiassero di ossa umane delle vittime delle Sirene, pur non ostante chi udiva anche da lontano il loro canto non poteva resistere alla tentazione di avvicinarsi a loro per udirle meglio, e non pensava più alla trista fine inevitabile che lo attendeva. […] Nel Canto xix del Purgatorio immagina di aver fatto un sogno, nel quale, per quanto parvogli, una donna « Io son, cantava, io son dolce sirena « Che i marinari in mezzo al mar dismago, « Tanto son di piacere a sentir piena. […] « Ma così tosto al mal giunse lo empiastro, » in quanto che subito dopo soggiunge : « Ancor non era sua bocca richiusa, « Quando una donna apparve santa e presta « Lunghesso me per far colei confusa. » E questa donna santa era la Virtù, che stracciando le pompose vesti che cuoprivano quella immagine del vizio, ne mostrò a Dante la turpitudine, « E lo svegliò col puzzo che n’usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferire la lezione di morale che immaginava di aver ricevuta in sogno, ma volle che gliela commentasse il suo duca, signore e maestro, Virgilio : « Vedesti, disse, quell’antica strega « Che sola sovra noi omai si piagne ? […] Passando ora a parlare dei mostri marini che erano soltanto animali viventi nel mare, e le cui specie son tuttora esistenti, convien notare primieramente che gli Antichi davano loro il nome generale di Orche ; e quanto meno ne conoscevano la struttura e gl’istinti, con tanto maggior sicurezza lavoravano di fantasia. […] Inoltre la Balena con tutta la sua gigantesca statura, che quando alza l’enorme sua testa perpendicolarmente fuori dell’acqua, l’illuso marinaio la crede uno scoglio ; e per quanto sia straordinaria e tremenda la sua forza, che quando flagella furiosamente le onde colla potente sua pinna produce una piccola tempesta e ne rimbomba il suono per le solitudini dell’artico Oceano come il romor del cannone, pur tuttavia ben lungi dall’avere spiriti guerreschi e sanguinarii, è assolutamente priva di coraggio ; per cui se anche un uccelletto marino le si posa sul dorso, le cagiona grande inquietezza e paura.
Ma quanto erano scarsi di cognizioni positive e scientifiche, altrettanto erano ricchi di fantasia e d’invenzione. […] In greco chiamasi Poseidon, che direbbesi in italiano Posidone e significa spezza navi, nome poco o nulla usato, per quanto io mi ricordi, dai poeti latini e italiani. […] Ai naturalisti, per quanto pare, è molto piaciuto questo nome mitologico di Nereidi, poichè si trova che più e diversi di loro lo hanno assegnato (al solito con qualche aggettivo di specificazione) a molti generi e famiglie di Annelidi e simili animali marini. […] Dante volendo raccontare che egli nell’ascendere al Cielo con Beatrice si sentì trasumanato e sospinto da forza soprannaturale verso il Cielo, ed in sì breve tempo, « ….. in quanto un quadrel posa « E vola, e dalla noce si dischiava, » trovò a proposito di citar l’esempio di Glauco per offrirci qualche immagine più sensibile del suo concetto : « Nel suo aspetto (di Beatrice) tal dentro mi fei « Qual si fe Glauco nel gustar dell’erba, « Che il fe consorto in mar cogli altri Dei »223. […] Vi aggiunsero ancora una sua stranezza, che egli cioè non volesse presagire il futuro se non costretto, e che per esimersene si trasformasse in mille guise ; ed inventarono che bisognava legarlo mentre dormiva per costringerlo a dare i responsi, perchè allora, per quanto si sbizzarrisse a trasformarsi, se finalmente voleva riprender la primitiva sua forma e figura di Nume, trovavasi come prima legato, ed era costretto a rispondere veracemente alle domande che gli erano fatte.
Vengo con ciò a soddisfare ad un antico mio obbligo, ch’è quello di far palese nel miglior modo che posso quanto debbo al benefico e generoso Suo Cuore. […] In quanto ad Epafo, appena nato fu rapito da’ Cureti per ordine di Giunone. […] di quanto sangue Troiano viene essa ricolma ! […] di quanto sudore grondano e cavalli e cavalieri ! […] Giurò poscia per la stigia palude di volergli concedere quanto avesse dimandato.
Degli altri eroi intervenuti a questa caccia, dei quali non si conoscono fatti più celebri di questo, ne diremo qui brevemente quanto è necessario a sapersi. […] Raccontano i Mitologi ed i poeti, e più estesamente di tutti Ovidio nelle Metamorfosi, che quando nacque Meleagro, le Parche comparvero nella stanza ove Altea partorì, e, gettato nel fuoco un ramo d’albero, dissero : « tanto vivrai, o neonato, quanto durerà questo legno ; » e subito dopo disparvero63. […] » E Virgilio a lui : « Se t’ammentassi come Meleagro « Si consumò al consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a te sì agro. » Ma accorgendosi Virgilio che con questo esempio pretendeva di spiegare un mistero con un altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico : « E se pensassi come al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostra image, « Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. » E per quanto anche il poeta Stazio, a richiesta di Virgilio, gli desse bellissime spiegazioni scientifiche sulla generazione dell’uomo, sull’unione dell’anima col corpo e lo stato di essa dopo la morte, nulladimeno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta che Virgilio gli disse : « A sofferir tormenti e caldi e geli « Simili corpi la Virtù dispone « Che come sia non vuol che a noi si sveli. » E così con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere che spesso s’incontrano nelle umane cognizioni misteri inesplicabili.
E per quanto possa questo vocabolo sembrare a primo aspetto sinonimo di quello di Semidei, non v’è compresa per altro come necessaria la condizione che uno dei genitori debba essere una Divinità. […] Lo stesso Omero l’usa assai spesso in quest’ultimo significato tanto nell’Iliade quanto nell’Odissea ; e del pari si adopra comunemente nella lingua italiana tanto in verso quanto in prosa ; e si applica pur anco agli uomini illustri della storia antica e della moderna, come pure ai più straordinarii personaggi d’invenzione della fantasia dei poeti. […] E quanto alla sapienza di quell’epoca ottennero lode sopra gli altri i fondatori delle religioni e delle città.
I Titani vennero soggiogati e profondati nel Tartaro, che tanto, dic’ egli, s’ innabissa di sotto alla terra, quanto sopra di quella s’ innalza il cielo. […] Intanto Venere informata di quanto era avvenuto, si fece condurre Psiche davanti e fieramente la maltrattò. […] Il più celebre presso i poeti fu il terzo, a cui pur venne ascritto quanto poteva agli altri appartenere. […] Egli invece convocato il senato ed il popolò domanda di esser escludo da Roma, ed in compenso gli viene assegnato quanto terreno può cinger di un solco dal nascere al tramontare del sole. […] Chi andava per consultarlo dopo varie preparazioni entrar facevasi in questa caverna, dalla quale uscendo riferiva quanto vi aveva udito e veduto a’ Sacerdoti, che a loro modo l’ interpetravano.
Finalmente quanto, per così dire, v’ha nel mondo, le acque, le pietre, i metalli, i monti, le selve, gli alberi, gli animali, i morti uomini, tutto in somma si tenne per Dio, tranne il vero Dio. […] Ciane voleva palesare a Ceiere quanto le era avvenuto, nè potendo farlo colla voce, supplì col far comparire’ una fascia, caduta a Proserpina in quelle acque. […] Giove Ammone quanto era venerato nella Libia, alttettanto ne lo era in Afite, città della Tracia, ove avea un maestoso tempio. […] Giove, che prevedeva quanto era per riuscirle fatale l’inchiesta, tentò di dissuadernela, ma sempre in vano. […] Questa Dea la involse in una nuvola, e la adombrò di sì folta caligine, che per quanto Alfeo la cercasse, non mai poteva ritrovarla.
Dunque lo studio della Mitologia greca e romana sarà utile sempre, ed anche sempre più necessario, quanto maggiori progressi verranno a farsi nella Paleontologia mitologica, secondo le eruditissime elucubrazioni dei germani filologi. […] Primo senza contrasto e sotto ogni rispetto il nostro Alighieri, quantunque cristiano e cattolico e teologo per eccellenza, è quello che nel suo divino linguaggio poetico più sovente si vale delle immagini e delle frasi mitologiche ; e gli altri tutti per quanto grandi ed illustri, tengon bordone alle sue frasi ed alle sue rime. […] La cognizione di questi simboli è necessaria a qualunque italiano desideri accostarsi « ……….. ove più versi « Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Quanto poi alle idee mitologiche dei classici greci e latini riporto nel testo, per chi non conosce le lingue dotte, gli opportuni esempi tratti dalle migliori traduzioni italiane, e registro in nota alcune più speciali citazioni di erudizione linguistica e letteraria a maggiore utilità degli scolari dei ginnasii.
In quanto ai Lari, che questi fossero Dei familiari o domestici non può insorger questione, poichè li consideran tali tutti i Mitologi ed i poeti latini e pur anco gl’ Italiani : lo stesso Ugo Foscolo, peritissimo nelle lingue dotte e per conseguenza anche nella Mitologia, li chiama nel suo Carme I Sepolcri, come abbiamo veduto altrove, i domestici Lari. […] Chi non la pretende a filologo è indifferente per l’una o per l’altra etimologia ; ma quanto all’origine e alla particolar natura di questi Dei nessuno potrà convenire di dover confondere i Penati coi Lari, come fanno alcuni Eruditi. […] Chi non è affatto ignaro della lingua latina sa bene quanto differiscano fra loro le due parole ignis e focus.
Circa alla Dea Tellùre basterà il sapere che Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tanto i poeti quanto i prosatori latini usarono la parola tellùre come sinonimo di terra 41 ; e che Dante stesso nella Divina Commedia rammenta l’orazione lamentevole della Dea Terra in occasione dell’incendio mondiale cagionato dall’imprudenza di Fetonte42, come a suo luogo vedremo. […] Le era particolare il titolo di Gran Madre, tanto in greco (megale meter,) quanto in latino (magna mater,) perchè oltre ad esser la madre di Nettuno Dio del Mare, di Plutone Dio dell’Inferno, di Giunone regina del Cielo, era anche la madre di Giove re supremo, del quale eran figli la maggior parte degli altri Dei. […] Cicerone nelle sue opere filosofiche aggiunge un’altra notabile rassomiglianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce che i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerdoti a cui fosse lasciata per pochi giorni la facoltà di far la questua ; ma non ne dice il perchè, non vedendo forse una buona ragione di questo eccezional privilegio, e, a quanto pare dal contesto delle sue parole, disapprovandolo45.
Perciò il loro numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto che non sono stati a contar sul globo tutte le fonti, e tanto meno tutti i boschi e boschetti, a cui pur presiedevano almeno altrettante Ninfe. […] Quanto poi all’orgoglioso amor proprio di Narciso, la Mitologia inventò molto a proposito che egli ne fu punito coll’essersi innamorato della propria immagine, veduta nello specchio delle acque di una fonte, e che credendola una Ninfa stette tanto a guardarla che ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore che porta il suo nome. […] Le Ninfe oltre ad esser giovani e belle, erano anche generalmente buone e cortesi ; e perciò tanto nelle lingue antiche quanto nelle moderne, e specialmente nella nostra, questo termine di Ninfa, anche nel senso traslato, cioè non mitologico, ha sempre un significato favorevole.
Differiva pertanto da Minerva, quando era considerata anch’essa come Dea della guerra, quanto le furibonde sommosse differiscono dalle regolari battaglie. […] Come poi in questo nome tanto del borgo di Atene quanto del tribunale vi entrasse Marte, lo dice la Mitologia. […] Il nome di Marte si usa figuratamente tanto nella poesia latina quanto nella italiana per significare la guerra, e in prosa latina anche per indicare la forza non solo fisica, ma pur anco intellettuale180.
Quantunque abbiamo trovato prima d’ora, e troveremo anche in appresso, qualche Divinità che, a giudicarne dalla forma, si prenderebbe piuttosto per un mostro di natura che per un essere soprannaturale, il Dio Pane richiama maggiormente la nostra attenzione per gli uffici che gli furono attribuiti, e per quanto ragionan di lui non solo i poeti, ma anche gli storici e i filosofi. […] Ma la spiegazione che soglion dare delle diverse parti della figura del Dio Pane, e più specialmente delle corna, dei velli e degli zoccoli caprini, non solo i Mitologi quanto ancora il celebre filosofo Inglese, potrà sembrare ai dì nostri piuttosto uno sforzo d’immaginazione, che una indubitabile interpretazione, poichè dicono sul serio che le corna significano i raggi del Sole e la Luna crescente, i velli gli alberi e i virgulti del nostro suolo, e i solidi zoccoli caprini la stabilità della Terra. […] Anche Cicerone nelle sue Opere usa almeno due volte, per quanto mi ricordi, l’aggettivo pànico riferito a timore o romore, ma lo scrive con lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo credeva un neologismo che non avesse ancora acquistato la cittadinanza romana.
Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti dai loro littori prendevano possesso dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. […] Quanto poi a Porrima e Posverta, Ovidio e Macrobio asseriscono che esse erano o sorelle o compagne di Carmenta, e che la prima, cioè Porrima, indovinava le cose accadute, e la seconda, cioè Posverta, le future. […] Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse.
Vi sarebbe da riempire un grosso volume a raccoglier quanto ne scrissero i poeti greci e i latini ; ma alcune di quelle bizze e di quelle persecuzioni di Giunone sono così splendidamente narrate dagli antichi, che i moderni poeti e lo stesso Dante non poterono tacerle. […] Per quanto tutti i poeti antichi abbiano parlato magnificamente della dea Iride, descrittane la bellezza e chiamatala, come Virgilio96, fregio ed onore del cielo, eran per altro ben lungi dal conoscere le vere cause di questo splendido fenomeno. […] Omero quando rammenta Giunone accenna quasi sempre o ai grandi occhi o alle bianche braccia di questa Dea, facendone un distintivo e, a quanto pare, un pregio della medesima.
— Quanto alle doti dello spirito, gli Dei erano naturalmente pensati come superiori agli uomini, sia per sapere sia per potenza. […] Col tempo si mutò il concetto di lei; e divenne significativa tanto della prospera quanto dell’ avversa fortuna. […] Ma avvenne a lui quel che suoi avvenire tra gli uomini; quanto più era ricco, tanto più era avido di nuove ricchezze, e questa passione lo portò a commettere una grande sciocchezza. […] Tanto egli quanto Pomona avevano il proprio sacerdote o flamine. […] Qui spesso s’ intrecciava questa teoria con quella dell’ autoctonia, in quanto si faceva un Dio sposo di qualche donna terrestre; così Giove unito con Pirra aveva generato Elle, con Dia Piritoo, con Egina Eaco, con Danae Perseo e via dicendo.
Eran tutti però molto alti e grossi, talchè da lontano tra la caligine infernale li aveva presi per torri, quantunque non apparissero che per metà, cioè dai fianchi in su ; e Virgilio lo disingannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son torri, ma giganti. » Per quanto Dante ci confessi sinceramente ch’egli ebbe una gran paura al primo vederli, non lasciò per questo di guardarli bene e di misurarne a occhio le dimensioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli che vide dovevano essere alti in media più di venticinque braccia, ossia circa quattordici metri ciascuno, e di grossezza proporzionati all’altezza come nella specie umana. Alcuni per altro di quelli che Dante non accenna di aver veduto nel suo viaggio all’Inferno, eran molto più lunghi e più grossi, come per esempio il gigante Tizio che si estendeva per nove jugeri, ed Encelado che era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo che toccava il cielo col capo. […] Finalmente contiensi solfo in uno stato di particolare combinazione nelle sostanze proteiche di provenienza di ambedue i regni organici ; e fra i prodotti che son propri degli animali si distinguono, quanto alla proporzione dello solfo, i peli, i capelli ed altre materie cornee. » — Cosi risponderebbe tutto in un fiato quel chimico ; e a chi volesse sapere ancora come si fa a liberare, ossia ad estrarre lo zolfo dalle sue molteplici combinazioni, soggiungerebbe : La spiegazione è troppo lunga ; e se volete saperla, studiate la chimica, e vi troverete più maraviglie e metamorfosi, visibili e palpabili, che in tutte quante le Mitologie dei poeti e degl’ideologi le fantastiche e immaginabili.
Questo Dio è rappresentato in pittura e in scultura come un uomo robusto e con folta barba, ma non però tanto brutto quanto dicono i poeti ; e il difetto di essere zoppo da un piede è appena accennato. […] Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. […] Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ?
Entro lo spazio d’un gior no eseguì l’ Eroe quanto gli si era prescritto ; mi Augia ricusò poscia d’adempiere alla sua promessa. […] Quanto era imperturbabile riguardo a se, altrettanto mostravasi affannoso per la sposa, nè azzardava d’esporla al rapido corso di quelle acque. […] E perchè niente v’è, che più rallegri, quanto la pubblica pace, la quale porta seco la maggiore felicità deglì Stati ; perciò questa ha in dosso una bianca veste. […] Tal’è il carattere del Gelòto : per quanto egli sia certo della fede altrui, vive però sempre nel tiniore, e sempre ne diffida. […] L’Invidia ha dall’ altra parte il Pavone, in quanto che è nemico de’proprj parti, per timore, che essi, crescendo, lo uguaglino in bellezza.
Perciò gli Antichi avevano in proverbio che tanto sappiamo quanto teniamo a memoria 125 ; e Dante aggiunge « ……….. che non fa scïenza « Senza lo ritenere, avere inteso. » Le Muse erano nove, ed avevano questi nomi : Calliope, Polinnia, Erato, Clio, Talia, Melpomene, Euterpe, Terpsicore, Urania 126. […] Perciò i poeti, accorti di questa derivazione, difficilmente se ne servono per traslato a significare la loro poetica inspirazione ; e Dante (per quanto io mi ricordi), non l’ha mai usato. […] Da Musa stimano derivata la parola Musica ; e i poeti latini chiamavano le Muse Comœnæ (quasi Canenœ, per quanto affermano Varrone, Festo e Macrobio) a canendo, dal cantare.
Anzi per indicare non tanto la forza del vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza che ne deriva in chi ne abusa, si aggiungevano sulla fronte di Bacco le corna198 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il che significa che non era sempre ubriaco. […] La qual voce Evoe fu adottata come esclamazione e nello stesso senso tanto dai poeti latini201) quanto ancora dagl’italiani, come troviamo, per esempio, nell’Orfeo del Poliziano, e nel Ditirambo202) del Redi, intitolato Bacco in Toscana. […] Che la parola corna in senso figurato, tanto in latino quanto in italiano, significhi più comunemente superbia e oltracotanza, si può dedurre principalmente da Orazio, da Ovidio, dall’ Ariosto e dal Tasso.
Ora devesi aggiungere che Giove vedendo la bravura di Apollo, lo incoraggiava a ferire, e gli ripeteva, come dicono i mitologi greci, le greche parole le Pai, che significano ferisci o figlio, e da queste parole trassero tanto i Greci quanto i Latini l’etimologia del nome di Pœan dato ad Apollo ; e Pœan chiamano ancora l’inno in onore di questo Dio. […] Quanto poi alla vanitosa illusione che le virtù degli avi passino col sangue nei loro discendenti, Dante la condanna con ragioni storiche e teologiche : « Jacomo e Federigo hanno i reami : « Del retaggio miglior nessun possiede. […] Dante, nel Canto xiii del Paradiso, ha detto : « Li si cantò non Bacco, non Peana ; » e qui la voce Peana può significare tanto il nome di Apollo, quanto dell’inno che cantavasi in onore di lui.
E che quel soggiorno fosse pur troppo inamabile, come dicono i poeti latini, e tetro, si può dedurre pur anco dal sapere che nessuna Dea o Ninfa, per quanto ambiziosa e vana, acconsentì a sposar Plutone per divenir regina ; e se egli volle aver moglie gli convenne rapirla, e poi contentarsi che ella stesse ogni anno per sei mesi con la madre o sulla Terra o nel Cielo. […] Da quanto leggesi scritto e narrato intorno alle Parche si deduce che esse erano indipendenti da Plutone ; e perciò dovrebbero chiamarsi piuttosto ministre del Fato che del re dell’Inferno. […] « Non gli può comparir quanto sia lungo, « Sì smisuratamente è tutto grosso : « In luogo d’occhi, di color di fungo « Sotto la fronte ha duo coccole d’osso.
Ma le opinioni e le scoperte dei dotti antichi eran tenute nascoste al volgo, e costituivano la scienza segreta, colla quale cercavano d’imporre rispetto alle moltitudini e di tenerle soggette ; e con false immagini e miracolose, quanto più strane e tanto più credute dagl’ignoranti, li pascevano di vane illusioni e li dominavano, « Forse con intenzion casta e benigna, » per rimuoverli dalla vita selvaggia e vincolarli in un più umano consorzio. […] Ebbe anche i nomi di Titèa e Pasitèa, usati dai poeti greci e latini, ma o poco o nulla, per quanto io mi ricordi, dai poeti italiani.
E per quanto a taluni non soddisfi pienamente questa spiegazione, nessuno ha saputo sinora trovarne una migliore. […] Pochi altri termini mitologici son tanto famigerati e comuni nelle lingue moderne, e specialmente nella italiana, quanto quello di Chimera, nel significato però di cosa insussistente, inverisimile, impossibile ; e così dicasi dell’aggettivo chimerico che ne deriva55.
Ma per quanto piena di pregi fosse Pandora, gli Dei non avevan pensato a renderla immune dalla curiosità ; quindi essa aperse subito il vaso e ne uscirono immediatamente tutti i mali fisici piombando sulla umana specie81). […] Quanto poi al vaso di Pandora, onde, uscirono tutti i mali di questa Terra, l’espressione mitologica è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro che eruditissime.
E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. […] Lo stesso Numa Pompilio che inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ninfa Egeria.
Questo fatto mitologico, per quanto strano, trovò anche un pittore che lo ritraesse e disegnatori e incisori che lo riportassaro nelle stampe o incisioni. […] Cosi roccie vulcaniche s’intende che debbono esser quelle che hanno subito l’azione del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto che Vulcano era il Dio del fuoco e aveva le sue fucine sotto i monti ignivomi, come l’Etna, lo Stromboli ecc. detti perciò Vulcani.
Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di questi due Numi figli di Giove e di Latona, il Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai che era regolato da un Titano di nome Iperione. […] 98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva prima della nascita di Diana chiamavasi, con greco nome Selene, che significava Luna, figlia essa pure d’Iperione, e perciò sorella di Elio99).
Dovendosi ora parlare de’suoi ufficii speciali diremo che, considerata come la Luna, immaginarono i mitologi che essa sotto la forma di una avvenente e giovane Dea percorresse le vie del Cielo in un carro d’argento o d’avorio tirato da 2 o 4 cavalli bianchi ; ma non seppero inventare alcuna graziosa favola sulle fasi lunari ; e in quanto alle ecclissi lasciarono correre la volgare e grossolana opinione che l’oscurazione di questo astro dipendesse dagl’incantesimi degli stregoni, i quali colle loro magiche parole avessero tanta potenza da trarre la Luna dal Cielo in Terra per farla servire alle loro male arti. […] Quindi alcuni mitologi e poeti preferirono di sostituire ad Ecate la Dea Proserpina moglie di Plutone e regina dell’Inferno ; e lo stesso Dante seguì tale opinione ; poichè nel farsi predire da Farinata degli Uberti (nel C. x dell’Inferno) il suo esilio, e indicarne l’epoca fra circa 50 mesi lunari, esprime queste idee con frasi mitologiche nel modo seguente : « Ma non cinquanta volte fia raccesa « La faccia della Donna che qui regge « Che tu saprai quanto quell’arte pesa ; » ove apparisce manifestamente che l’ufficio di Proserpina e non di Ecate è accomunato da Dante con quel della Luna144.
Ma quanto alla fabbrica dell’Inferno la creò tutta di pianta a modo suo, guidato soltanto dal suo ingegno, dalla scienza e dall’arte. […] Per dare un esempio quanto l’Alighierisia chiaro ed esatto nel far la descrizione dell’immensa fabbrica da lui architettata, riporterò soltanto quella di Malebolge, che è veramente ammirabile per la sua evidenza : « Luogo è in inferno, detto Malebolge, « Tutto di pietra e di color ferrigno, « Come la cerchia che d’intorno il volge.
Il nome di Mercurio ha evidente relazione etimologica, tanto in latino quanto in italiano, con mercatura e con merce, e vien quindi a significare il Dio del Commercio. […] La metamorfosi di Aglauro si racconta così : Mercurio per quanto pieno di occupazioni aveva trovato il tempo per invaghirsi di Erse figlia di Eretteo re di Atene ; ed Aglauro sorella di lei, per invidia frapponeva ostacoli alla conclusione degli sponsali.
XXXV I Satiri ed altre Divinità campestri Chiunque ha veduti sculti o dipinti i Satiri avrà notato una gran somiglianza di forme fra essi e il Dio Pane, e riconoscerà quanto graziosamente e concisamente il Redi nel suo Ditirambo intitolato Bacco in Toscana li abbia definiti : « Quella che Pan somiglia « Capribarbicornipede famiglia. » Molti di essi formavano il corteo di Bacco, come dicemmo parlando di questo Dio, ed ivi notammo che per frastuono, stravizii ed ogni genere di follie non la cedevano alle più effrenate Baccanti. E a chi si maravigliasse di sì spregevol razza di Dei diremo soltanto che avendo i Mitologi ammessi anche gli Dei malefici, eran questi di certo peggiori dei Satiri, per quanto poco esemplari.
Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] Quando poi i Pagani divenner Cristiani, confusero i Genii buoni cogli Angeli, e i cattivi coi Diavoli 277), trovandovi grandissima rassomiglianza quanto alle attribuzioni e agli effetti sulla vita degli uomini.
Per quanto cercasse, non lo trovò più ; e fu detto dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe che era annegato in quella fonte ov’egli andò ad attingere l’acqua. […] Sarebbe dunque rimasta vana ed inutile la spedizione degli Argonauti, quanto al fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse trovato una Maga che lo aiutasse a superare ogni ostacolo soprannaturale.
Per me dunque il parlare separatamente delle Apoteosi è un riassunto della parte fondamentale del mio lavoro, è una conferma di quanto ho dichiarato dal principio alla fine di questa Mitologia.
Infatti l’imperator Vespasiano sentendosi vicino a morte disse : a quanto mi pare, divengo un Dio (ut puto, Deus fio) ; e Caracalla dopo avere ucciso il fratello Geta tra le braccia stesse della madre, ne ordinò l’apoteosi dicendo : sia Divo, purchè non sia vivo (sit divus, dum non sit vivus).
I più ostinati a conservare il culto dei falsi Dei furono gli abitanti delle campagne e dei villaggi o borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato da pagus che significa borgo o villaggio), e perciò il politeismo stesso fu detto il Paganesimo ; il qual termine divenne poi, tanto in prosa quanto in poesia, più comune e più usato che gli altri due di politeismo e di gentilesimo 169.
Assuefatte perciò sin da bambine ad una vita così dignitosa, splendida e principesca non deve recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e che fosse stimato di cattivo augurio il sottoporsi o alla patria potestà degli agnati, o alla perpetua tutela e al predominio di un marito quanto si voglia illustre e discreto.
E qui mi basterà rammentare, a proposito di quanto ho accennato di sopra, che il vescovo d’Ippona (S.
E poichè credevasi che spesso portasse prosperi eventi, quindi non le mancavano e immagini e tempii e adoratori, tanto in Grecia quanto in Italia, e in Roma stessa più che altrove.
Ma più frequentemente per Natura s’intende l’essenza degli oggetti esistenti, o vogliam dire il complesso di tutte le qualità o caratteri distintivi di qualunque essere creato tanto fisico, quanto morale o intellettuale12.
Sii giusto, sii benefico, dicono i moralisti ; e in questi due punti compendiano tutti i doveri della morale, il primo come dovere assoluto e il secondo come dovere relativo, a cui si sottintende se puoi e per quanto puoi 58 ; ma poichè la Divinità è onnipotente, perciò immensa e infinita è la sua beneficenza.