I due vocaboli Semidei e Indigeti son termini appartenenti esclusivamente alla Mitologia classica : il vocabolo Eroi, oltre a poter esser comprensivo degli altri due sopraddetti, si estende dai più antichi e famosi personaggi ai più moderni e ridicoli Eroi da poltrona proverbiati dal Giusti46. […] I tempi eroici anche più dei mitologici formarono il soggetto delle meditazioni dei più grandi filosofi e pubblicisti (e basti rammentar fra questi il Vico e Mario Pagano), perchè vi si trovano le origini storiche dei più celebri popoli antichi, frammiste a racconti favolosi, dai quali bisogna distinguerle e sceverarle. […] Principalmente si rammenta e si celebra il liberar la Terra dai mostri e dai tiranni, e sgombrar così la via dai più grandi ostacoli all’incivilimento dei popoli. […] Inoltre di quegli Eroi che non son rammentati o compresi in nessuna di quelle spedizioni, e che pure compierono memorabili gesta, separatamente narrate dai Mitologi, dobbiamo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in cui avvennero quelle, e già divenuti Indigeti Dei, oppure discesi nel regno delle Ombre.
Ninfa è parola di origine greca, che fu adottata dai Latini e conservata dagli Italiani nello stesso duplice significato primitivo, cioè di Dea inferiore e di giovane donna, perchè credevasi che le Ninfe non invecchiassero mai. […] Molte di quelle Ninfe a cui fu dato un nome proprio dai Mitologi e dai poeti furono da noi rammentate sinora : qui torna in acconcio di far parola di qualche altra che non troverebbe luogo più opportuno altrove. […] Anche la Ninfa Galatea è molto rammentata, specialmente dai poeti latini, come una delle più belle Ninfe ; e dicono che se ne fosse invaghito quel mostruoso gigante Polifemo che fu re dei Ciclopi ; ma vedendosi preferito il pastorello Aci, lo uccise gittandogli sopra dall’ alto di un monte un macigno. […] Questo corno fu detto in latino cornucopia, e in italiano più comunemente il corno dell’abbondanza, come significa la parola latina. — A Giove stesso fu dato dai Greci l’appellativo di Egioco, che alcuni interpretano nutrito dalla Capra ; il qual termine per altro non fu adottato dai Latini, e l’usò soltanto qualche moderno poeta italiano.
Giunone rappresentavasi in abito di regina sopra di un trono col pavone ai piedi, o sopra di un cocchio tirato dai pavoni. […] Sdegnato di ciò Nettuno lo citò innanzi all’ Areopago di Atene ove giudici furono dodici Iddii, ma dai loro suffragii Marte venne assoluto. […] La Luna, che comunemente confondesi con Diana, fu anch’ essa dai più antichi poeti interamente da lei distinta. […] Le statue che si ponevano sulle vie a guisa di termini erano dette Mercurii dai Romani, ed Ermi dai Greci, che tale è il nome di Mercurio in quella lingua. […] È uccisa dai Centauri.
III) che il Genio era considerato dai Latini come un Dio di prim’ordine, ossia della classe degli Dei superiori o celesti, e, secondo l’etimologia della parola, come la forza generatrice della creazione. […] Abbiamo perciò davanti a noi un soggetto o argomento che è una vera fantasmagoria mondiale dai tempi preistorici ai dì nostri, abbellito in varie guise dai poeti e dagli artisti, e in mille guise storpiato o goffamente raffazzonato dagli ignoranti. […] « Questa dottrina che ammette due principii coeterni, del bene e del male, insegnata antichissimamente da Manete, prese voga dopo stabilito il cristianesimo, per opera dei Manichei, seguaci di Manete ; ma dove gli antichi pel domma dei due principii avevano fabbricate diverse favole poetiche sulle creazioni opposte e sui combattimenti dei due principii, dai quali ripetevano le grandi catastrofi della natura, le guerre dei giganti, la corruzione ognor crescente del genere umano, il diluvio, i tremuoti, le eru zioni vulcaniche, e via discorrendo, i Manichei all’incontro sostenevano l’esistenza dei due principii con la sofistica, e maggior danno cagionavano alla morale pubblica e privata. […] La greca parola dèmone fu adottata nella lingua latina, ma poco usata dai classici, e molto dagli scrittori ecclesiastici. […] Ai Genii si offrivano dai Romani le libazioni, le frutta, i fiori, e gl’incensi o altri profumi : « Ipse suos Genius adsit visurus honores, « Cui decorent sanctas mollia serta comas ; « Illius puro destillent tempora nardo ; « Atque satur libo sit, madeatque mero. » (Tib., ii, 2ª.)
Gli uomini di tutti i tempi, dai più antichi ai più moderni, hanno sempre mostrato curiosità di sapere l’origine di questo mondo, o vogliam dire dell’ universo ; e non solo tutte le religioni antiche degl’idolatri inventarono a modo loro una Cosmogonia, ma spesso anche i poeti e i filosofi ne hanno foggiate diverse l’una più strana dell’altra, a gara coi sacerdoti delle varie religioni1. […] Tal genere di faticosa erudizione, consistente nel decifrare gli enigmi degli antichi, va in oggi a poco a poco cedendo il campo allo studio dei problemi che sulla Cosmogonia si propongono di risolvere le scienze fisiche, e principalmente l’astronomia e la geologia, coi dati offerti dalla natura stessa e dai naturali fenomeni. Ma perchè non pochi dei miti, o simboli religiosi dei greci e dei romani politeisti furono espressi con splendide e bellissime immagini e in uno stile impareggiabile dai loro più sublimi poeti, e in appresso accolti e adottati nel linguaggio poetico degl’italiani, nasce quindi il bisogno di conoscerli ed illustrarli, e, quando è possibile, decifrarli. Sulla Cosmogonia dunque creduta vera dai Greci e dai Romani, e ammessa come base dei loro miti, convien trattenersi alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto, che la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esistita, ma tutta confusa e mista, in una massa rozza ed informe chiamata Caos (Ovid., Metam.
Anche il fiorentino poeta Alamanni, il celebre autore della Coltivazione, amantissimo della libertà della patria, che fu in quel tempo oppressa dai Medici, in un suo sonetto prega il padre Oceano, che rammenti « All’onorato suo figliol Tirreno, » che si svegli omai ; ma il Tirreno e l’Arno, non men che gli altri mari e fiumi d’Italia dormirono per più di trecento anni ! […] In greco chiamasi Poseidon, che direbbesi in italiano Posidone e significa spezza navi, nome poco o nulla usato, per quanto io mi ricordi, dai poeti latini e italiani. […] I Tritoni eran creduti e rappresentati mezzi uomini e mezzi pesci ; di figura umana dai fianchi in su, e in tutto il resto pesci. […] Queste Ninfe, che eran qualche centinaio, hanno or l’uno or l’altro nome, cioè di Doridi derivato dalla madre, o di Nereidi dal padre ; ma il secondo è il più comunemente usato dai poeti, i quali annoverano fra le Nereidi la stessa Amfitrite moglie di Nettuno e la ninfa Teti madre di Achille. […] Ora è da notarsi che gli Antichi fecero presiedere Leucotoe (chiamata dai Romani anche Matuta) alla calma del mare, e Palemone ai porti (e perciò fu chiamato anche Portunno).
Molti sono i lavori di questo Dio, descritti e celebrati dai poeti ; e di alcuni avremo occasione di parlare in appresso nel ragionar di quei personaggi per cui furono eseguiti : qui basterà soltanto accennarne due, cioè gli automi ed i fulmini. Chi ha veduto qualche automa in azione189, o almeno conosce storicamente il meccanismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime, che sotto forme di uomini o di animali eseguiscono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano ed hanno studiato una scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate « …….forme e figure « Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive « Giovinette simili, entro il cui seno « Avea messo il gran fabbro e voce e vita « E vigor d’intelletto e delle care « Arti insegnate dai Celesti il senno. […] Il nome di Efesto che gli davano i Greci non fu adottato dai poeti latini, nè dagl’italiani ; ma il termine di Vulcano è usato figuratamente anche in prosa in ambedue queste lingue. […] Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità fossero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti che avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo che ciascuna aveva speciali attributi per distinguersi dall’altra. […] A spiegar la favola dell’unico occhio fu detto che i Ciclopi eran soliti di portare in guerra una visiera con un sol foro circolare in direzione degli occhi, uso inventato dai tre aiutanti di Vulcano per ripararsi la faccia nel lavorare i metalli incandescenti.
E perciò son rammentati quasi sempre scherzevolmente dai poeti, e per gli aneddoti che se ne raccontano rappresentati come i buffoni e i pagliacci delle divinità pagane. […] Anticamente, e molto prima della fondazione di Roma, la festa di questa Dea celebravasi soltanto nelle campagne dai pastori e dagli agricoltori, per implorare la protezione di essa ; ed oltre le usate libazioni e le offerte di sacre focacce e di latte accendevansi fuochi di paglia, a traverso le cui vivide fiamme saltavano quei villici, credendo con tal atto di espiare le loro colpe. […] Quel giorno che fu il 21 di aprile divenne poi celebre e festeggiato solennemente anche in Roma come l’anniversario della fondazione di essa20, e tuttora si celebra e si solennizza, ma in altro modo, dai moderni Romani dopo 2628 anni. Il nome di Vertunno, che davasi al Dio delle stagioni e della maturità dei frutti, colla sua latina etimologia a vertendo, (cioè dai cangiamenti operati dalle stagioni sui prodotti della terra) dimostra l’origine italica e romana di questo Dio. […] Ha nel sinistro braccio una pelle indanaiata di tigre, e co’polpastrelli, cioè colla sommità delle punte delle dita, regge penzo loni un grappolo d’uva matura ; il quale un Satirino d’allegrissima vista, che gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi téma che egli nol vegga, cautamente piluccando. » Non sarà inutile l’osservare per chi studia la propria lingua, che l’espressione indanaiata di tigre, riferibile a pelle, sebbene accolta e registrata nei Vocabolarii italiani, putirebbe ora di lucerna e di affettazione, ed equivale alla più semplice e più dell’uso comune pelle tigrata.
I pittori e i poeti han fatto a gara a rappresentare splendidamente questi simboli del Dio della luce ; ed ognuno li intende facilmente senza bisogno di spiegazione : solo son da notarsi i nomi assegnati dai poeti ai quattro cavalli e il numero delle Ninfe che accompagnano il Sole. […] Dante nota ancora l’ aura annunziatrice degli albori che movesi ed olezza tutta impregnata dall’erbe e dai fiori. […] Infatti i focosi cavalli del Sole ben presto si accorsero della inesperta ed imbelle mano che li guidava, e non trattenuti dai freni deviarono dall’usato sentiero, ora accostandosi alla vôlta celeste ed arroventandola, ora scendendo vicino alla terra, ed abbruciando gli alberi e gli animali e prosciugando i fiumi, i laghi ed i mari. […] Così il Tasso ha scritto : « Sorgeva il nuovo sol dai lidi eoi « Parte già fuor, ma ’l più nell’onde chiuso. » I poeti minori poi non finiscono mai di rammentare le eoe maremme, che rimano sempre con le indiche gemme. […] Il Po era chiamato dai Latini Eridanus e Padus ; e i nostri poeti l’appellano il re dei fiumi, sottinteso però dell’Italia, di cui è realmente il più gran fiume.
Ma siccome fu dato il nome di Urano al Cielo, così fu dai Greci assegnato alla Terra il nome di Estia, che dai Latini fu cangiato in Vesta, significante, secondo Ovidio, che di sua forza sta, alludendosi in ambedue le lingue all’apparente e creduta immobilità della Terra18. […] Ebbe anche i nomi di Titèa e Pasitèa, usati dai poeti greci e latini, ma o poco o nulla, per quanto io mi ricordi, dai poeti italiani.
D’allora in poi lettere di Bellerofonte furono dette per antonomasia dai Pagani simili lettere proditorie53. […] Questa, quando lo seppe, agitata dall’invidia, dalla vergogna e dai rimorsi, perdè la ragione e si diede la morte. […] Le fu dato ancora volgarmente dai pescatori settentrionali il nome di Regalec, ossia di re delle Aringhe, perchè la trovano sempre in mezzo alle innumerevoli legioni delle aringhe. […] Quest’ uso barbaro ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la cui sola proposta fanaticamente fattane dagli avversari del Savonarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso.
Da Tito Livio e da Cicerone sappiamo che esistevano in Roma sino dai primi secoli della Repubblica più e diversi tempii dedicati alla Pietà, alla Fede, alla Libertà, alla Speranza, alla Concordia, alla Pudicizia, alla Virtù militare, all’Onore, alla Vittoria ed alla Salute pubblica, cioè alla più felice conservazione dello Stato. […] Ma poi nel cadere della Repubblica e nei primi tempi dell’Impero sappiamo non solo dagli Storici, ma dai poeti stessi imperiali, che la corruzione avea dal mondo romano bandita ogni virtù religiosa e civile. […] Non è noto però che la Dea Laverna avesse un pubblico tempio in Roma ; e degli Dei superiori adoravansi pubblicamente i pregi e le virtù, e non i vizii che erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti.
Quindi, benchè d’ora in avanti s’inaridisse per qualche secolo (e non sarebbe un gran danno) la vena poetica degli italiani, o si abolisse (come fu inutilmente tentato un mezzo secolo indietro),. l’uso della Mitologia nei futuri poetici componimenti, resteranno pur sempre necessarie le cognizioni mitologiche per bene intendere il linguaggio poetico di quei sommi, « che non saranno senza fama, « Se l’universo pria non si dissolve. » La Divina Commedia principalmente, che sin dai primi anni della ricuperata indipendenza dagli stranieri, è divenuta il libro nazionale degl’Italiani, esige tra le altre infinite cognizioni anche quelle della Mitologia. […] In compenso delle più logore o irrugginite anticaglie, oltre alla illustrazione di tutti i passi mitologici della Divina Commedia e di molti dei principali poeti italiani, ho aggiunto la spiegazione di tutti i termini scientifici che derivano dai vocaboli mitologici. Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitologici molte delle loro denominazioni, la cui etimologia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione della Mitologia. E poichè oggidì è riconosciuto e voluto, più che dai programmi governativi, dalla sana opinione pubblica, che non debbano andar disgiunti gli stùdii letterarii dagli scientifici, nè questi da quelli, confido che il mio tentativo di farne conoscere le molteplici relazioni con lo studio della Mitologia non debba essere stimato affatto privo di pratica utilità.
« Dio le vi chiama, acciò ch’ivi deposto « Ogni ricordo, men de’ corpi schive, « E più vaghe di vita un’altra volta « Tornin di sopra a riveder le stelle 255. » Da questa celeberrima esposizione di principii filosofici e religiosi, che è la più bella e sublime di quante ce ne son pervenute dai poeti pagani, è confermata la pitagorica dottrina della Metempsicòsi, e ne deriva necessariamente la conseguenza che le pene del Tartaro e le beatitudini dell’Elisio non erano eterne, e che le anime avevano una perpetua rotazione di passaggi alternativi dall’una all’altra vita. […] Esse erano precisamente 50, tutte figlie di Danao re di Argo e nipoti di Belo ; dai quali nomi del padre e dell’avo derivarono i loro appellativi o patronimici di Danaidi e di Belidi. […] Notabilissimi sono i principii filosofici dai quali deduce la reità dei motivi a delinquere, o come dice il Romagnosi, la spinta criminosa, considerandola in ragion composta coll’ingiuria che risulta dal commesso delitto, ossia colla violazione dei doveri morali verso Dio, verso sè stesso, e verso il prossimo. […] Delle Danaidi fu dato il nome dagli Zoologi a certe farfalle che hanno nera la testa e il corpo con alcuni punti bianchi, e le ali di color di fulvo o biondo, contornate di nero e sparse esse pure di punti bianchi ; e dai Botanici si chiamò Danaide un genere di piante rampanti della famiglia delle rubiacee, con fiori rossi che spandono piacevole odore. […] Non dovrebbe ai moderni recar maraviglia che i Pelopidi portassero per decorazione una piccola spalla d’avorio, essendo noi avvezzi a considerare come un distintivo d’ onore lo spron d’oro, il toson d’oro e la giarrettiera, perchè certamente uno sprone, un pecoro e un legacciolo delle calze non son niente di più nobile della spalla di Pelope e neppure della spalla di san Secondo. — A scanso di equivoci, e per chi non lo sapesse, chiamasi spalla di san Secondo, nel linguaggio dei gastronomi, la spalla suina preparata secondo l’arte dai salsamentarii, volgarmente detti pizzicagnoli.
È saggia cosa il mantenere le osservanze istituite dai nostri avi nei sacrificj e nelle cerimonie ; e l’esistenza d’una natura eterna, la necessità per l’uomo di riconoscerla e d’adorarla è attestata dalla magnificenza del mondo, e dall’ordine delle cose celesti. […] Il politeismo era ancora in fiore, più che altrove, nella Grecia, qualora se ne giudichi dalle statue, dai tempj, dai monumenti consacrati alla religione. […] Pare che la Persia, dai Greci chiamata barbara, avesse avuto nei tempi più remoti un culto più ragionevole e più puro del politeismo d’Europa. […] Il mondo romano, travolto in mille stranezze da’suoi vizj, dai suoi lumi stessi, dall’avvilimento di tutti i culti, dal fascino del commercio, delle sofisticherie e delle immaginazioni orientali, dalle comunicazioni rese più facili fra i varj popoli, dal contrasto o dalla confusione delle loro credenze, andava sfasciandosi da tutte parti, o, a dir meglio, si maturava per un grande mutamento. […] Tacito pretendeva che sussistesse ancora qualche costumatezza nelle province ; ma è da notare che queste province già cominciavano a divenir cristiane ; e noi poniamo invece il caso che il Cristianesimo non si fosse mai conosciuto, e che i Barbari non fossero usciti dai loro deserti.
Del nome di Venere che le fu dato dai Latini, ed è divenuto tanto comune nelle lingue affini, Cicerone dà questa etimologia e significazione : Venus, quia venit ad omnia, perchè cioè la bellezza s’avviene in tutte le cose184. […] Venere era considerata in principio come Dea dell’Amore, e poi le fu aggiunto per questo particolare attributo un figlio chiamato Eros dai Greci e Cupido dai Latini186 ; ed inoltre un corteo di tre figlie col nome a tutte comune di Càriti in greco e di Grazie in latino, e con un altro proprio e particolare a ciascuna di esse, cioè Aglaia, Talìa ed Eufrosine. […] Cupido è rappresentato come un fanciulletto, grazioso in apparenza benchè maligno in effetto, colle ali d’oro, e d’oro l’arco, gli strali e la faretra ; e si aggiunge dai poeti ch’egli è cieco o bendato ; e questi son tutti simboli dell’Amore facili a spiegarsi, ed a cui si fanno interminabili allusioni in verso e in prosa.
Ma poichè queste si rassomigliano come due successive ribellioni domate e compresse, furon dai poeti riunite le strane vicende di entrambe in una sola narrazione, e come se fossero una sola guerra. […] Ed ecco l’origine e la causa della Gigantomachia ; la qual guerra è cantata dai poeti preferibilmente alla Titanomachia, perchè parve agli Antichi che in quella il miglior diritto fosse degli Dei che rimasero vincitori, mentre in questa era più veramente dei Titani che furono vinti. […] Eran tutti però molto alti e grossi, talchè da lontano tra la caligine infernale li aveva presi per torri, quantunque non apparissero che per metà, cioè dai fianchi in su ; e Virgilio lo disingannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son torri, ma giganti. » Per quanto Dante ci confessi sinceramente ch’egli ebbe una gran paura al primo vederli, non lasciò per questo di guardarli bene e di misurarne a occhio le dimensioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli che vide dovevano essere alti in media più di venticinque braccia, ossia circa quattordici metri ciascuno, e di grossezza proporzionati all’altezza come nella specie umana. […] — Mai si, mai si, risponderà qualunque chimico ; lo zolfo nativo è quello derivato dai vulcani, come già sapete ; ma questo corpo elementare si trova in molte combinazioni con altre sostanze.
Oltre i preaccennati nomi proprii, avevano le Muse anche degli appellativi comuni a tutte loro, derivati dai luoghi ov’esse abitavano ; i quali termini son più usati dai poeti greci e latini che dagl’italiani. […] Egli dice che « ……………… quando « Il Tempo colle sue fredde ali vi spazza « Fra le rovine (dei sepolcri), le Pimplèe fan lieti « Di lor canto i deserti e l’armonia « Vince di mille secoli il silenzio. » Più comuni e perciò più generalmente noti sono gli appellativi delle Muse, derivati dai monti Elicona, Pindo e Parnasso, dal bosco Castalio, dal fiume Permèsso e dalla fontana Ippocrene, luoghi da loro frequentati. Anzi spesse volte questi stessi nomi sono usati dai poeti per figura di metonimia, a significare le Muse, la poesia o l’ispirazione poetica.
Credevasi che Apollo colà avesse ucciso il serpente Pitone che infestava quei luoghi ; e che perciò in origine la città di Delfo fosse detta Pito, donde l’appellativo di Pitio o Pizio dato ad Apollo, di Pitici o Pizii ai giuochi in onore di esso, di Pizia o Pitonessa alla sacerdotessa che invasata dal Nume proferiva mistiche parole, interpretate dai sacerdoti come responsi di Apollo. Gli Oracoli si rendevano in un sotterraneo del tempio, inaccessibile a tutti i profani, ed ove ammettevasi soltanto qualche devoto che ne avesse ottenuto dai sacerdoti il permesso. […] Che i più celebri Oracoli abbiano avuto origine nei tempi preistorici è asserito non solo dai mitologi, ma da tutti i più antichi scrittori. […] Fu poi riconosciuto anche dai filosofi che i primi civilizzatori dei popoli si valsero del principio teocratico, facendosi credere o figli degli Dei o interpreti dei supremi voleri di quelli, per rimuovere i primitivi uomini ignoranti e barbari dalla vita selvaggia e brutale e condurli a collegarsi ed unirsi fra loro in un più umano consorzio.
Inoltre fu presa dai pirati e venduta schiava a Licurgo re di Tracia66. […] Troppo lungo e monotono sarebbe il racconto di tutti e singoli gl’incidenti, che per lo più son comuni alla maggior parte dei viaggi marittimi narrati dai poeti, come, per esempio, qualche tempesta, qualche combattimento coi popoli delle coste marittime o delle isole, qualche pericolo di scogli o di sirti ; in quella vece ci arresteremo piuttosto a riferire un episodio di nuovo genere, imitato anche dall’Ariosto, e rammentato più d’una volta dall’Alighieri, cioè la liberazione del re Fineo dalle Arpie. […] Per quanto cercasse, non lo trovò più ; e fu detto dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe che era annegato in quella fonte ov’egli andò ad attingere l’acqua. […] Perciò dai Latini è spesso indicato col patronimico Æsonides, cioè figlio di Esone, e coll’aggettivo Pagasaeus da Pagasa (ora Armiro,) città marittima della Tessaglia, rammentata anche da Plinio il naturalista, ed ove Valerio Fiacco dice che fu costruita la nave Argo.
Screvelio(1), dal verbo απολυιν, liberare,perchè il Sole con il suo temperato concorso ci tiene liberi dai mali della vita. […] Ma di questi e di altri titoli, cui questa Diva era onorata dai greci e da’latini, è d’uopo qui traserivere le parole dell’autore della Scienza Nuova, lasciando al leggitore di appigliarsi a quelle interpetrazioni, che gli sembreranno non disviate dalla ragione, e riggettare quelle, che gli parranno del tutto immaginarie ». […] È questa una narrazione tutta istorica. — Atteone tutto intento a cacciar ne’boschi, alimentava molti cani, e nulla si dava cura dei suoi beni di fortuna, fino a mancargli del tutto, onde si disse essere stato cambiato in cervo, e divorato dai suoi cani. […] Ercole raggiunge nel corso e prende una cerva dalle corna di oro, dai piedi di bronzo, sacra a Diana, detta la cerva del Menalo dal monte, ove ricoveravasi — Risponde al passar del sole nello scorpione, fissato dal tramonto della costellazione detta Calliope, che vien dispinta come una cerva. […] Punisce Busiride e Diomede delle loro crudeltà, uccidendo l’uno che soleva sacrificare tutti gli estranei, che giungevano nei suoi stati, e lasciando divorar l’altro, che era figlio di Marte e di Cirene, dai cavalli di lui, che alimentava di carne umana — r sponde al passar del sole nel segno dei Pesci, ed è fissato dalla levata Eliaca del Pegiso, che avanza il capo su l’Aquario, ovvero Euristeo figlio di Cirene.
» Gli autori francesi vi hanno opportunamente inserito alcuni passi dei loro poeti, e noi invece di tradurre quelli vi abbiamo sostituito, ed in maggior copia, le citazioni e le descrizioni cavate dai nostri autori originali, Dante, Petrarca, Metastasio, Alfieri, Foscolo, ec., e dai migliori traduttori dei Greci e dei Latini, Annibal Caro, l’Anguillara, Ippolito Pindemonte, Vincenzo Monti, Giuseppe Borghi ec. […] Bensì abbiamo avuto cura, per ciò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune interpretazioni che non ci parvero troppo superiori all’ intelligenza comune. » Ora, per aderire alle ricerche che ne vengono fatte, ristampiamo il Corso di Mitologia, riveduto e migliorato con aggiunte del traduttore, ed ornato di stampe fatte da valenti artisti, utilissime a dar meglio a conoscere le cose descritte, pregevoli perchè ricavate dai celebri monumenti dell’arte antica.
Il culto più antico di cui si trovi memoria negli scrittori fu quello del Sole e della Luna e quindi degli altri Astri ; e questo culto fu chiamato il Sabeismo, perchè ridotto a regolar sistema religioso dai Sabei, antico popolo dell’ Arabia meridionale. […] Furono allora immaginati e splendidamente dipinti con stile impareggiabile dai Greci e dai Romani i più celebri e graziosi miti di cui non perirà mai la memoria, finchè si leggeranno e s’intenderanno i loro poetici scritti e quelli dei moderni poeti che li imitarono.
Tutte le volte che uscivano in pubblico erano precedute da sei littori come i magistrati curuli, inferiori soltanto ai consoli : assistevano ai pubblici spettacoli fra i senatori nell’orchestra, che era il primo gradino dell’anfiteatro e del circo : la loro parola valeva come un giuramento, e la fiducia di cui godevano era tanto grande, e talmente sicura l’inviolabilità del loro soggiorno, che nelle loro mani si depositavano i testamenti e gli atti di molta importanza e segretezza non solo dai privati, ma anche dai magistrati della Repubblica e dai principi stessi dell’ Impero.
Fortunatamente, per chi deve studiar la Mitologia, a ben pochi di questi Dei fu dato dai Pagani un nome proprio, e la maggior parte furon compresi sotto certe generali denominazioni, come ora suol farsi nella Storia Naturale in cui si distinguono soltanto i generi, le specie, le famiglie, le varietà, ecc. e non gl’individui, o vogliam dire i singoli prodotti naturali. […] Anche Dante confrontando, nel Canto xix dell’Inferno, il numero degli Dei degl’ Idolatri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando che questi Dei son cento volte più numerosi di quelli, accetta per lo meno il computo di Varrone, poichè così rimprovera i Simoniaci stessi5 : « Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ; « E che altro è da voi all’ Idolatre6 « Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? […] I più dotti commentatori di Dante, e tra essi anche il canonico Bianchi di onorata memoria, interpretano questo passo cosi : « per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto al numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e moltiplicandolo per cento, come dice Dante, ne verrebbero 3 milioni di Dei, adorati dai Simoniaci.
Onde che con questo sistema (adottato dai Turchi come principio religioso), si veniva a toglier dal mondo la moralità e l’imputabilità delle azioni. […] La Necessità considerata dai Politeisti come una Dea è la personificazione e la deificazione dell’ idea di conseguenza inevitabile di una o più cause destinate a produrre certi determinati effetti ; e poichè la Necessità costringe gli uomini a fare o soffrire, perciò fu-creduta una Dea avversa anzi che propizia agli umani desiderii. […] Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani « Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni della Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mortali.
Con tal distinzione sparisce ogni dubbio sul vero e proprio ufficio attribuito dai Pagani agli Dei Penati. […] Riguardo poi all’ etimologia del titolo di questi Dei, che furon portati in Italia « ……. da quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia, » lasceremo decidere ai solenni filologi di professione se il vocabolo stesso Penati discenda in linea retta o collaterale dal troiano linguaggio, come i Romani dai Troiani. E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti, ovvero alla parte più interna dei tempii e delle case ove questi Dei erano adorati37.
Aveva poi molti altri nomi, come Berecinzia, Dindimene, Idèa 43, Pessinunzia, dai monti e dai luoghi ove era adorata. […] ii, de Legibus, Cicerone porta due potenti ragioni perchè fu dai Romani proibita la questua in generale : stipem sustulimus (nisi eam quam ad paucos dies propriam Ideœ Matris excepimus), implet enim superstitione animos et exhaurit domos.
In Roma per altro, la cui fondazione ebbe luogo tre in quattro secoli dopo l’eccidio di Troia, il culto di Marte fu il più solenne e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore della loro città fosse figlio di Marte, come narra lo stesso Tito Livio. […] Ma non la chiamavano bella i vinti, e neppure i Romani stessi quando furono soggiogati dai barbari e fatto a brani il romano impero177. […] Circa all’origine di Romolo creduto dai Romani figlio di Marte, Dante dice apertamente nel Canto viii del Paradiso : « …….e vien Quirino « Da sì vil padre, che si rende a Marte. » 180.
Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti dai loro littori prendevano possesso dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. […] In origine e grammaticalmente la voce sospita è un aggettivo che soleva aggiungersi dai Lanuvini alla Dea Giunone. […] Anna Perenna era una Dea adorata soltanto dai Romani, perchè credevano che fosse quella stessa Anna sorella di Didone, rammentata da Virgilio nel lib.
L’onore dell’ apoteosi fu talora conferito dai Romani anche alle donne, massime alle mogli degl’imperatori. — Ora in senso figurato si chiamano apoteosi anche gli onori straordinarj o gli elogi esagerati fatti a un vivente. […] In ogni caso poi il loro zelo era sostenuto dai ricchi guadagni e dai lauti banchetti a spese dei creduli.
La qual voce Evoe fu adottata come esclamazione e nello stesso senso tanto dai poeti latini201) quanto ancora dagl’italiani, come troviamo, per esempio, nell’Orfeo del Poliziano, e nel Ditirambo202) del Redi, intitolato Bacco in Toscana. […] Stefano, come vedesi dai seguenti versi : « Nel cervellaccio imbizzarrito e strambo « Senti ronzar di versi una congerie, « E piccato di fare un dilirambo « Senza legge di forme e di materie, « Le sacre mescolò colle profane « E le cose ridicole alle serie. » 203. […] Il nome nebris, nebridis si trova usato nel senso detto di sopra dai poeti latini Stazio e Claudiano : « Nebridas et fragiles thyrso portare putastis « Imbellem ad sonitum. » (Stat.
Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia. Cicerone specialmente, in questa parte, è più esplicito ed aperto degli altri ; e perciò i suoi libri sulla Natura degli Dei, sul Fato e sulla Divinazione furon considerati dai più scrupolosi Pagani siccome contrarii alla religione del Politeismo, mentre all’opposto i Santi Padri dei primitivi tempi del Cristianesimo citarono i detti di Cicerone forse più spesso di quei della Bibbia.
In greco, chaos significa confusione, e si riferisce perciò principalmente alla confusa massa di tutta quanta la materia bruta ed informe, supposta esistente nello spazio prima che con essa fosse plasmato il mondo ; e in questo significato si adopra quella parola anche dai nostri poeti. […] Sotto questo punto di vista nelle lingue moderne affini della latina, e specialmente nella italiana, furono accolti e adottati dai nostri poeti i miti dei Greci e dei Romani, non però tutti alla rinfusa e senza discriminazione, ma quelli soltanto o principalmente, che presentavano una più evidente, o almeno probabile spiegazione dei fenomeni fisici o morali.
Questo compenso preso dai più celebri poeti latini, e adottato dai poeti italiani, rese possibile il formarsi qualche idea meno confusa della classica Mitologia.
Per nove giorni e per nove notti piombarono senza intermissione le acque dirottamente su tutta la Terra ; e per affrettar la pena, anche Nettuno vi si accordò col sollevare dai più bassi fondi i flutti come in una straordinaria marea e spingerli ad invadere le vicine convalli. […] Le roccie acquee sono stratificate, e questi strati vennero a formarsi dai sedimenti delle materie contenute in dissoluzione nelle acque ; si dicono perciò ancora sedimentarie, e vi si aggiunge talvolta l’appellativo di fossilifere, perchè contengono fossili, ossia corpi o frazioni di animali e di vegetabili travolti e seppelliti nella terra per forza di successivi cataclismi.
In quanto poi ai guerrieri nati dai denti del serpente ucciso da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque che sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e popolare la città di Tebe ; e i loro nomi son questi : Echione, Udeo, Ctonio, Peloro e Iperènore. […] Ma Orazio nella poetica avverte che non si debbono dare tali spettacoli, che riescono sconvenevoli nel teatro, perchè, sottoposti all’occhio fedele, divengono risibili59 ; mentre, come osserva il Tasso, convenevolmente son narrati dai poeti antichi e moderni, e son letti volentieri e con maraviglia nell’epopea.
— Molte fondazioni furono poi fatte dai suoi figli e nipoti, detti Inachidi. […] Ma vero fondatore di quella città è detto dalla storia essere stato Sisifo, figlio di Deucalione (altri dice d’Eolo), capo dei Sisifidi che tennero lo stato finché non furono cacciati dai Pelopidi.
In quelle feste gli schiavi dei Romani erano serviti a mensa dai loro padroni, ed avevano libertà di rimproverarli dei loro difetti36). […] Il pianeta di Saturno dai Greci era detto Phœnon, come sappiamo da Cicerone nel lib. 2° De Natura Deorum.
Una più terribile punizione inflisse Diana al cacciatore Atteone, il quale essendo penetrato in un boschetto ov’era una fonte in cui si bagnava Diana colle sue Ninfe, la Dea gli gettò dell’acqua sulla faccia e lo trasformò in cervo, che nel fuggire fu raggiunto dai suoi propri cani e da essi miseramente dilaniato. […] Il volgo però vi presta va pienissima fede, e tanto più allora quando in alcuni luoghi invalse l’uso nei trivii di offrir delle cene ad Ecate, che lasciate intatte da questa Dea eran poi ben volentieri divorate dai poveri.
Egli era figlio di Giove e della Ninfa Maia una delle sette figlie d’Atlante che furon cangiate nella costellazione delle Pleiadi ; quindi Mercurio dai poeti trovasi denominato Atlantiade, cioè nipote di Atlante148. […] Mercuriali si chiamavano dai Latini non solo i mercanti, ma anche gli uomini dotti, perchè Mercurio era pure il Dio dell’eloquenza164 ; Mercuriali (secondo il Menagio) le adunanze dei letterati che si tenevano il mercoledì in casa di qualcuno di loro ; Mercuriali anticamente in Francia le assemblee delle corti sovrane, Mercuriali in commercio i registri officiali delle derrate.
Ma oggidì può chiunque sa leggere sapere dai libri di Storia Naturale, o aver sentito raccontare da chi li ha letti, che la vera e propria Balena,231 senza pinna dorsale e con due sfiatatoi, mentre è il più grosso degli animali viventi, non è vero che sia un animale carnivoro, perchè i suoi stromenti masticatorii sono atti appena a maciullare una meschina aringa, e il suo esofago non è più largo di 4 pollici inglesi, ossia dieci centimetri circa ; e quindi non può trangugiare nè uomini nè donne e neppure un bambino appena nato : di fatti suo cibo prediletto sono i molluschi del genere Clio Borealis, non più grossi di un dito, non più lunghi di 2 pollici. […] Inoltre nella lingua inglese vi son due termini diversi per distinguer le femmine dei Lamentini dai maschi ; e chiamansi quelle Mairmaids, e questi Mairmen, parole composte che voglion dire fanciulle marine e uomini marini.
Sua nascita, 96 ; — uccide il serpente Pitone, 99 ; — morte di Esculapio suo figlio, 100 ; — suo esilio dal cielo, 101 ; — è adorato dai pastori, 102 ; — fabbrica con Nettuno le mura della città di Troja, 106 ; — si vendica della mala fede di Laomedonte, ivi ; — fine del suo esilio, 110 ; — suoi figli, 111 ; — suoi oracoli, 122 ; — sua disfida con Marsia, 125 ; — punisce il re Mida, 126 ; — metamorfosi da esso operate, 130-133 ; — come vien rappresentato, 135, 136. […] Elena, sacerdotessa di Diana ; rapita da Teseo, 433 ; — liberata dai fratelli, 434 ; — divien moglie di Menelao, e gli vien rapita da Paride, 528, 601 ; — è resa a Menelao dopo la caduta di Troja, 531.
Dichirazione, e sviluppo Mirabili veramente furono le avventure di questo Dio, mentre pare, che le stesse disgrazie, alle quali fù soggetto fin dai primi albori dell’ esser suo, gli siano servito di appoggio, e sgabello alle sue fortune. […] Pingesi ella con manto di porpora di diamanti trapunto, ed affibiato da uu cinto, che in se racchiudeva ogni grazia, seduta sù d’un carro d’avorio ingegnosamente intagliato, e vagamente dipinto, tirata da cigni, o da colombe, mostrando un volto da piacevolezza infiorato, con mille bellezze, che le scherzano sul petto, col piacere, e colla Voluttà, che se le agiran d’intorno fiancheggiata dai due Cupidi, non che dalle tre grazie, e finalmente seguita dal suo bellissimo Adone. […] Di quella sestina cioè, in cui sei strofe pender dovevano dai sei versi della prima, chiamata perciò il perno, non solamente nel rispettivo lor senso ; ma quel, che era il più forte nelle sue individuali parole.
L’aurea sua clamide si allaccia gentilmente sull’omero destro, ed i piedi sono ornati di bellissimi calzari, forse di quel genere che dai Greci si appellavanosandalia leptoschide, sandali di sottili strisce ec. » In questa statua chi ravvisa Apollo cacciatore, chi quel Nume, dopo avere scagliato i suoi dardi contro i Greci ; altri, dopo la strage che fece degli orgogliosi giganti, o de’figliuoli di Niobe ; e chi dopo l’uccisione del serpente Pitone. […] Oltre non pochi altri figli, da lei nacquero la Morte ed il Sonno, detto perciò dai poeti fratello della morte.
Tutti però, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa le arti utili alla vita (il quale ingegno perciò può dirsi poeticamente una scintilla del fuoco celeste) ; e inoltre la punizione di esso significa le traversie e le persecuzioni immeritate che per lo più si ricevono dai grandi inventori invece del meritato premiò.
Il Sole era detto dai Greci anche Elios, e Dante lo rammenta più d’una volta con questo nome.