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11. (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248

Ma fatalmente giuocando al disco, con un colpo imprevisto uccise suo avo, con essersi così verificato l’oracolo. […] Quindi Aristèo a consigli di sua madre avendo consultato Proteo, così questi gli parlò. […] Traduce così Orazio il principio di questo secondo parto di Omero. […] Credettero i Ciclopi, che avesse perduta la ragione, e lo lasciarono così. […] Fra le altre così dette, la più celebre credesi figliuola di Eumelo re di Fera in Tessaglia.

12. (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -

Era impenetrabile ne’suoi segreti, e bisognava, per così dire, circuirlo da vicino per iscoprirli. […] Spira questo vento così soavemente ed ha pur tanta virtù, che ravviva tutta la natura. […] Pausania ammette una quarta Grazia che è la Persuasione facendo così comprendere che il gran secreto di piacere è quello di persuadere. […] Siccome ciascuna presiede a un’arte diversa, così hanno delle corone e degli attributi particolari. […] Spiegano alcuni così la favola della Sfinge.

13. (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo II pp. 3-387

Verso la mezza notte entrò nella grotta ; ma siccome era smorzato il lume, così non sapeva a qual parte volgere il passo. […] Agamenonne non volle crederlo ; e così poi avvenne. […] Queglino accorsero alla di lui caverna, ansiosi di sapere, perchè così si dolesse. […] L’uno e l’altro allora così si ammirarono, che reciprocamente si fecero dei regali. […] Come questo non esce mai dalla circonferenza ; così la Parsimonia non eccede in alcun tempo i limiti dell’onesto, e del ragionevole.

14. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

Siccome poi, come dicemmo fin da principio, avevan foggiato i loro Dei a somiglianza degli uomini, così dopo averne ideati dei buoni e dei cattivi, ne immaginarono ancora degli scioperati e dei fannulloni, come da Esiodo son chiamati i Satiri. […] Se ne attribuisce l’invenzione a Numa Pompilio, che volle così santificare con una idea religiosa il diritto di proprietà e renderlo inviolabile coll’attribuire la rappresentanza di una Divinità tutelare di tal diritto a un segno materiale dei legittimi confini di esso. […] Lorenzo, così descrive il gruppo del Bacco e del Satirino : « Rarissimo e maravigliosissimo fu un Bacco che egli, secondo che lo descrivono i poeti antichi, fece di circa diciotto anni : il quale nella mano destra tiene sospesa in aria una tazza ; la quale egli guata fiso, e disiosamente con occhi languidi e imbambolati per berlasi tutta. […] Orazio satiro, come lo chiama Dante, ossia celebre per le sue Satire, nel parlar di giudizii diversi che ne davano i suoi contemporanei, così dice : « Sunt quibus in satira videor nimis acer, et ultra « Legem tendere opus ; sine nervis altera, quidquid « Composui, par esse putat, similesque meorum « Mille die versus deduci posse. » (Sat. […] La famosa satira comincia così : « Olim truncus eram ficulnus, inutile lignum, « Quum faber incertus scamnum faceretne Priapum, « Maluit esse Deum.

15. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

Le Arpie eran mostri che Dante dipinge così : « Ale hanno late e colli e visi umani, « Piè con artigli e pennuto il gran ventre, « Fanno lamenti in sugli alberi strani. » E bisogna aggiungere quel che ne dicono i poeti greci e i latini, che cioè questi mostri avevano l’istinto di rapire i cibi dalle mense e di contaminarle con escrementi che fieramente ammorbavano. […] « E così in una loggia s’apparecchia « Con altra mensa altra vivanda nuova. […] « Quivi s’è quella turba predatrice « Come in sicuro albergo ricondotta, « E già sin di Cocito in su la proda « Scesa, e più là, dove quel suon non s’oda. » E così l’Ariosto collega l’antico col moderno, e fingendo che Astolfo nell’800 dell’èra volgare avesse spinto le Arpie nell’Inferno, ove Dante, 500 anni dopo Astolfo, dice di averle trovate, mette d’accordo, come se fossero una storia vera, le fantasie di tutti gli altri poeti col racconto di sua invenzione. […] Gli Argonauti non furon troppo dolenti di perder la compagnia del loro carissimo Panfago, perchè poteron procedere più speditamente, alleggerita di quel grave peso la nave, e senza doversi così spesso fermare a far nuove provvisioni da bocca. […] Virgilio così descrive le Arpie nel lib. 

16. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

Aggiunsero infatti i mitologi che tutte quelle anime così dette beate si esercitavano nell’altro mondo in quelle stesse arti ovvero occupazioni che erano state per loro più gradite in questo252. […] Omero la descrive così : « Sisifo altrove smisurato sasso « Fra l’una e l’altra man portava, e doglia « Pungealo inenarrabile. […] Questo strano racconto era così divulgato e creduto, che i Pelopidi, ossia i discendenti di Pelope, portavano un distintivo, o come ora direbbesi, una decorazione, consistente in una piccola spalla d’avorio263). […] » ci costringe ancora ad ammirare che di tanta sapienza, arte e giustizia la sua mente sia un così splendido riflesso e la sua parola il più eloquente interprete. […] Anche in Meccanica ha il nome di Danaide una specie di ruota idraulica che serve a convertire il movimento rettilineo di una corrente d’acqua in un movimento di rotazione continua ; e si fece così una felice allusione al continuo attinger dell’acqua, che era la pena delle Danaidi.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Non già che egli, come Dio, avesse bisogno di rubare, ma così per trastullo149 e per dimostrare la sua scaltrezza si divertiva a far delle burle agli Dei, involando ad essi quel che avevano di più caro e prezioso. […] I poeti latini lo chiamano anche lira e così a loro imitazione i poeti italiani. […] La metamorfosi di Aglauro si racconta così : Mercurio per quanto pieno di occupazioni aveva trovato il tempo per invaghirsi di Erse figlia di Eretteo re di Atene ; ed Aglauro sorella di lei, per invidia frapponeva ostacoli alla conclusione degli sponsali. […] Dante a cui nulla sfugge, e che ovunque stenda la mano o colorisce o scolpisce, nel descrivere il cerchio del Purgatorio ove son puniti gl’invidiosi, ci narra che ei vide « Il livido color della petraia, » e più oltre « ………ombre con manti Al color della pietra non diversi, » e udì « Voce che giunse di contro dicendo : « Io son Aglauro che divenni sasso ; » e seppe così valersi incomparabilmente della pagana Mitologia, per ornamento del linguaggio poetico anche nel Purgatorio cristiano, apostolico, romano163. […] Dante, nel Canto xxii del Paradiso, volendo indicare il pianeta di Mercurio, nomina invece la madre, di lui Maia ; e pare che così voglia attribuirsi una maggior licenza poetica, che non sia in uso comunemente.

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

Da prima pareva che Amfitrite acconsentisse a questo matrimonio, ma poi avendo cangiato di avviso, Nettuno le mandò due eloquentissimi delfini a persuaderla ; i quali adempiron così bene la loro commissione, che condussero seco, portandola alternativamente sul loro dorso, la sposa a Nettuno ; ed egli per gratitudine li trasformò nella costellazione dei Pesci, che è uno dei dodici segni del Zodiaco. […] Le Ninfe Oceanine, così chiamate perchè figlie dell’Oceano e di Teti, erano, secondo Esiodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di cui farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare che prese marito e fu madre di qualche altra Divinità. […] Proteo conosceva qualunque segreto degli Dei e ciò che fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarlo ad essi bisognava che vi fosse costretto : così la materia contiene in sè tutti i segreti della Natura, ossia le leggi che regolano il mondo fisico, ma non le rivela, se non costretta. […] E come non bisognava stancarsi ad aspettare, se Proteo con una lunga serie di trasformazioni tardasse a riprender la sua prima figura, così conviene che gli studiosi non si stanchino dal proseguir lungamente le loro osservazioni ed esperienze, se voglionc scuoprire i segreti, ossia le leggi della Natura. […] Il Giusti attribuisce principalmente alla famiglia dei Medici la distruzione delle libertà d’Italia, dicendo che essa ordì « Una tela di cabale e d’inganni « Che fu tessuta poi per trecent’anni ; » ed eran precisamente 300, quando il Giusti così scriveva, cominciando a contare da Cosimo I.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Ma non è così, perchè v’è ancora da parlare delle Ninfe dei monti, delle valli, delle fonti, dei boschi e perfino degli alberi. […] La Ninfa Eco figlia dell’ Aere e della Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio della Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza che non amava che sè stesso e disprezzava superbamente ogni persona. […] Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso. […] Gli Zoologi nello studiarsi d’indicare con nomi diversi le successive metamorfosi di certe specie di animali, e principalmente degli insetti, presero dalla Mitologia il vocabolo di ninfa per significare l’insetto nello stato intermedio fra quello di larva e lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso che le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità, ma in una condizione media fra quella degli uomini e quella degli Dei supremi.

20. (1836) Mitologia o Esposizione delle favole

Ma come quest’ ultimo fu il più rinomato, così a lui solo venne attribuito anche quello, che non gli apparteneva. […] Sacre a Minerva in Roma eran le feste Quinquatrie, in cui vacavan le scuole, e che vennero così dette, perchè duravano cinque giorni cominciando dai 19 di Marzo. […] Questi da Chirone istrutto nell’ arte medica, ne divenne così valente, chef potè ad istanza di Diana richiamare da morte a vita Ippolito tiglio di Teseo. […] Il fuoco era di buon augurio quando udivasi alla sinistra, perchè giudicavasi proveniente dalla destra di Giove; non così se udivasi al contrario. […] Moltissime eran pure le feste in onor degli Dei così presso i Greci, come presso i Romani.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Vi sarebbe da riempire un grosso volume a raccoglier quanto ne scrissero i poeti greci e i latini ; ma alcune di quelle bizze e di quelle persecuzioni di Giunone sono così splendidamente narrate dagli antichi, che i moderni poeti e lo stesso Dante non poterono tacerle. […] Questo mito è un anello di congiunzione fra la Mitologia classica e il Feticismo egiziano, e rende qualche probabile ragione di così strano culto, come osservammo pur anco nella guerra dei Giganti, quando gli Dei che ebber paura si trasformarono in bestie. […] Basterà che io citi Dante che così la chiama in rima e fuor di rima, come nel seguente esempio : « Nella profonda e chiara sussistenza « Dell’alto lume parvemi tre giri « Di tre colori e di una contenenza ; « E l’un dall’altro come Iri da Iri « Parea reflesso, e il terzo parea fuoco « Che quinci e quindi egualmente si spiri. » (Parad. […] Ai tempi nostri la spettroscopia, ossia l’analisi della luce per mezzo dello spettroscopio è divenuta così importante ed estesa, che può quasi considerarsi come una scienza particolare ; e perciò i moderni alle antiche fantasie poetiche ed alle cervellotiche induzioni cercano di sostituire le positive cognizioni scientifiche.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

Bisognava dare a cose così opposte un principio opposto. […] Platone così parla dei Dèmoni nel Convito : « Essi sono esseri intermediarii fra gli Dei e i mortali ; ed è loro ufficio l’interpretare e il recare agli Dei ciò che viene dagli uomini, e a questi ciò che vien dagli Dei ; …. poichè la Divinità non ha comunicazione diretta cogli uomini, ma soltantò per mezzo di Dèmoni. » E altrove aggiunge : « Ogni mortale alla sua nascita è affidato ad un dèmone particolare che lo accompagna sino alla fine della sua vita. » Conoscendo questi ufficii attribuiti anche dal divino Platone ai Dèmoni, non dee recar maraviglia che Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebraica, asserisse che i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli che Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scritto che corrispondono ai Genii dei Latini. […] Socrate diceva così per secondare il linguaggio e le idee dei suoi connazionali e per essere inteso da loro ; ma in cuor suo e per intimo convincimento era monoteista. […] Il Cecchi, citato dal Vocabolario della Crusca, nei seguenti versi rammenta il Genio buono con tali caratteri che potrebbero convenire anche ad un Angelo : « Da chi lo feo gli fu dat’anco « Quel santo precettor, quell’alma guida « Genio appellato, il qual come ministro « Della ragion lo sproni al bene oprare, « E dall’opere ingiuste il tiri e frene. » Il Parini, nel suo celebre poemetto satirico il Giorno, personifica il Piacere come un Genio e così lo descrive : « L’uniforme degli uomini sembianza « Spiacque ai Celesti, e a varïar la Terra « Fu spedito il Piacer.

23. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114

Anche il Tasso preferisce la parola furore, come allorquando prima di descriver la pugna di Argante con Tancredi, così invoca la Musa : « Or qui, Musa, rinforza in me la voce, « E furor pari a quel furor m’ispira ; « Sì che non sien dell’opre indegni i carmi « Ed esprima il mio canto il suon dell’armi ; » nei quali due ultimi versi accenna pur anco la necessità dell’armonia imitativa o espressiva nella compagine del verso. […] A Dante piacque questo mito, e rammentando quel che dice Ovidio, che le Muse, per confonder le loro emule presuntuose, cantarono così divinamente da farle rimanere attonite ed atterrite, se ne vale stupendamente coll’ invocar per sè da quelle Dee un simil canto, che abbatta l’invida rabbia de’ suoi nemici : « Ma qui la morta Poesia risurga, « O sante Muse, poichè vostro sono, « E qui Calliopea alquanto surga, « Seguitando il mio canto con quel suono, « Di cui le Piche misere sentiro « Lo colpo tal che disperar perdono130. » (Purg. […] Non la sdegnò il Poliziano, adoratore devoto e felice di tutto ciò che fu scritto dalla classica antichità ; e così vi fece allusione : « Bagna Cipresso ancor pel cervio gli occhi, « Con chiome or aspre, e già distese e bionde. » Più tristi effetti ebbe per Apollo la morte del giovinetto Giacinto. […] Dante invocando Apollo così gli dice : « Venir vedra’ mi al tuo diletto legno, « E coronarmi allor di quelle foglie « Che la materia e tu mi farai degno.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252

Livio ne adduce diversi esempi, tra i quali il più celebre è quello, già da noi registrato, dei figli di Tarquinio il Superbo : ma per regola generale preferivano i così detti oracoli delle Sibille, vale a dire le risposte dei libri sibillini, di cui parleremo altrove. […] I primi Cristiani attribuirono gli Oracoli all’opera dei Demònii, ed asserivano che la potenza di questi era cessata col sorger del Cristianesimo ; e così assegnavano gratuitamente e senza necessità una causa soprannaturale a ciò che era l’effetto naturalissimo della impostura dei sacerdoti pagani, da prima nascosta ed ignota, e poi a poco a poco scoperta e smascherata. […] E passando egli dalle osservazioni generali alle particolari sulla religione dei Pagani, così ne parla nel Cap. 12 : « La vita della religione gentile era fondata sopra i responsi degli Oracoli, e sopra la sètta degli arioli e degli aruspici ; tutte le altre loro cerimonie dipendevano da questi. […] Molti interpretavano che i Greci sarebbero stati vinti a Salamina ; ma Temistocle convinse tutti ragionando così : « Se Apollo avesse voluto significare che Salamina sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’avrebbe appellata divina ; e che perciò la minaccia era contro i Persiani, i quali dall’oracolo eran chiamati figli delle donne per indicare la loro effemminatezza e il loro poco valore. » 290.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

« Ma così tosto al mal giunse lo empiastro, » in quanto che subito dopo soggiunge : « Ancor non era sua bocca richiusa, « Quando una donna apparve santa e presta « Lunghesso me per far colei confusa. » E questa donna santa era la Virtù, che stracciando le pompose vesti che cuoprivano quella immagine del vizio, ne mostrò a Dante la turpitudine, « E lo svegliò col puzzo che n’usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferire la lezione di morale che immaginava di aver ricevuta in sogno, ma volle che gliela commentasse il suo duca, signore e maestro, Virgilio : « Vedesti, disse, quell’antica strega « Che sola sovra noi omai si piagne ? […] Per altro si capisce che quelle così terribili Orche non erano altro che Balene. […] Infatti l’uomo ha saputo ridurre l’elefante alla condizione del più umil somiero, e uccider balene di più di 20 metri di lunghezza, di dieci o undici di larghezza e del peso di più di 100 mila chilogrammi ; e così dimostrar coi fatti che non già la forza brutale, ma l’intelligenza, madre delle arti e delle scienze, è la dominatrice dell’Universo. […] In fatti di diverso vi è soltanto la fantastica invenzione ariostesca, che Orlando fosse così ardito (e che inoltre gli riuscisse) di entrar nella bocca dell’ Orca con tutta la nave, e che ficcasse l’ancora « E nel palato e nella lingua molle ; » mentre è noto che si scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina nella pelle del cetaceo, che è grossa circa un pollice, e si fa penetrare nel sottoposto strato di grasso che è alto almeno quindici pollici.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

I poeti classici greci diedero perciò a Bacco il titolo di Ditirambo, e i poeti latini di Bimater, cioè figlio di due madri, che meglio direbbesi due volte nato, perchè la così detta seconda madre non era una femmina, ma un maschio. […] Come si usa poeticamente per metonimia il nome di Cerere a significare il grano ; di Minerva o Pallade, la sapienza ; di Marte, la guerra, ecc. ; così il nome di Bacco ad indicare il vino. […] iii delle Metamorfosi così racconta questa favola, accennando in una parentesi di non prestarvi fede egli stesso : « Imperfectus adhuc infans genitricis ab alvo « Eripitur, patriaque tener, (si credere dignum), « Insuitur fæmori, maternaque tempora complet. […] « Fanno i pazzi beveroni « Quei Norvegi e quei Lapponi ; « Quei Lapponi son pur tangheri, « Son pur sozzi nel lor bere : « Solamente nel vedere « Mi fariano uscir de’gangheri. » A questo Nume non piacciono neppure la cioccolata, il tè e il caffè, appunto perchè queste sostanze e bevande non fanno lega col vino, e ne diminuiscono l’uso e il consumo : « Non fia già che il cioccolatte « V’adoprassi, ovvero il tè : « Medicine così fatte « Non saran giammai per me : « Beverei prima il veleno, « Che un bicchier che fosse pieno « Dell’amaro e reo caffè. » Sempre meglio però dei vini adulterati, o sofisticati (come dicono i chimici) con litargirio, con minio o sal di Saturno, che sono veri e proprii veleni.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

., così interpreta il nome di Apollo : Apollinis nomen est græcum, quem solem esse volunt…. quum sol dictus sit vel quia solus ex omnibus sideribus est tantus, vel quia quum est exortus, obscuratis omnibus, solus apparet. […] Dante dopo aver descritto il carro di Beatrice, alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e che anzi al confronto parrebbe meschino e povero : « Non che Roma d’un carro così bello « Rallegrasse Africano, ovvero Augusto ; « Ma quel del sol saria pover con ello. » (Purg. […] Merita di essere imparata a mente la bellissima descrizione della reggia del Sole nel 2° lib. delle Metamorfosi, che comincia così : « Regia Solis erat sublimibus alta columnis, « Clara micante auro, flammasque imitante pyropo, « Cujus ebur nitidum fastigia summa tegebat. […] I poeti usano spesso la parola elettro, invece di ambra, come l’Ariosto nell’accennare la favola della trasformazione delle Eliadi così scrisse : « ……. sul fiume « Dove chiamò con lacrimoso plettro « Febo il figliuol che avea mal retto il lume, « Quando fu pianto il fabuloso elettro, « E Cigno si vesti di bianche piume. » 115.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

Anche il can Cerbero ha ricevuto l’onore dagli astronomi che il suo nome fosse dato ad una piccola costellazione, composta, secondo il catalogo di Arago, di tredici stelle : la quale resta nell’emisfero boreale, vicina a quella parte della costellazione di Ercole che si chiama la mano, volendosi così alludere alla favola che Ercole incatenò il can Cerbero nell’Inferno e lo trascinò seco sino alla vista del Cielo. […] La voce Parca deriva dal verbo latino parcere, che vuol dire perdonare ; ma siccome le Parche non perdonavano mai a nessuno, vuolsi intendere (secondo i mitologi), che sien così dette per antifrasi ex eo quod non parcant : il che equivarrebbe a dire che son così chiamate ironicamente. — Troveremo un caso simile in una delle denominazioni delle Furie. […] Lo stesso Cicerone lo dimostra elegantissimamente nella Orazione pro Roscio Amerino, di cui riporto qui le precise parole per chi studia la lingua latina, affinchè ciascuno le legga e rilegga finchè le abbia imparate così bene a memoria, da non dimenticarle mai : « Nolite enim putare, quemadmodum in fabulis sæpe numero videtis, eos, qui aliquid impie scelerateque commiserint, agitari et perterreri Furiarum tædis ardentibus.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

Può riuscir piacevole e divertente per chi intende bene le lingue dotte il leggere nei poeti greci e latini le fantastiche descrizioni del contrasto continuo dei quattro elementi di così diversa natura confusi e misti fra loro nel caos ; ma divengono pedanterie e freddure le imitazioni che talvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue moderne, ora specialmente che le scienze fisico-chimiche hanno scoperto e percorso un sì vasto campo di maraviglie vere e reali della natura. […] Fissate e dichiarate le mie idee sul fine e sui limiti dello studio della Mitologia, sarà questo il filo di Arianna per non smarrirmi nell’ intricato labirinto di questa antichissima erudizione ; e così ciascun che legge potrà seguirmi senza temer fatica o disagio ; anzi anche il salire gli parrà tanto leggiero « Come a seconda giù l’andar per nave. » 2. […] Non così Dante, come abbiamo veduto di sopra ; e il volgo stesso toscano pronunzia quella parola come la pronunziava Dante e come è scritta in greco, in latino, in francese e in inglese.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320

Ma Giove, per punirlo della sua folle superbia, mandò un tafano a molestare il caval Pegaso, che scosse dalla sua groppa il cavaliere e lo precipitò dall’alto sulla terra ; e così miseramente finì Bellerofonte i suoi giorni. […] Pochi altri termini mitologici son tanto famigerati e comuni nelle lingue moderne, e specialmente nella italiana, quanto quello di Chimera, nel significato però di cosa insussistente, inverisimile, impossibile ; e così dicasi dell’aggettivo chimerico che ne deriva55. […] Su queste stesse idee di Iobate eran fondati nei secoli barbari del Medio Evo i così detti Giudizi di Dio, pretendendosi che la Divinità dovesse sempre intervenire a dar la vittoria all’innocente e a far perdere il reo.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

Principalmente si rammenta e si celebra il liberar la Terra dai mostri e dai tiranni, e sgombrar così la via dai più grandi ostacoli all’incivilimento dei popoli. […] Nel Medio Evo dopo la caduta del romano Impero e le irruzioni dei Barbari, se non si rinnovò precisamente un circolo similare di tutte le antiche fasi sociali, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato della greca e della romana civiltà, come dice il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritornò per altro colla dissoluzione di tutti gli ordini sociali il predominio della forza in tutto il suo furibondo vigore e il così detto diritto della privata violenza. […] Altri lo derivano da Aer, e fanno così corrisponder gli Eroi ai Genii dell’aria, che nel Medio Evo furon chiamati spiriti folletti.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

La qual trasformazione graduale è significata nella pittura col rappresentar le diverse pietre in maggiore o minor parte trasformate, talchè in alcune scorgesi abbozzata o formata la testa soltanto, in altre anche il petto e le braccia, e così di seguito gradatamente, finchè ne apparisce qualcuna tutta cangiata in forma umana, o a cui manca soltanto il complemento di un piede che vedesi ancora di rozza pietra. […] La durata poi delle diverse epoche dei precedenti diluvii preistorici non si conta a giorni e a mesi, ma a migliaia e migliaia d’anni, come avviene di tutte le così dette epoche geologiche90). […] E particolarmente in questo senso filosofico l’usa Dante nel Canto xi del Purgatorio, facendo così parlare Omberto Aldobrandeschi dei conti di Santa Fiora, che fu ucciso per la sua superbia arrogante : « L’antico sangue e l’opere leggiadre « De’miei maggior mi fecer si arrogante, « Che non pensando alla comune madre, « Ogni uomo ebbi in dispetto tanto avante « Ch’io ne morii, come i Senesi sanno « E sallo in Campagnatico ogni fante. » (Purg.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Europa vedendolo così mansueto vi era salita in groppa per giovanile trastullo ; ma il toro giunto sulla riva del mare, si gettò in mezzo alle onde, e nuotando trasportò all’isola di Creta la giovinetta, ed ivi, riprese le forme divine, la fece sua sposa, e n’ebbe due figli Minos e Radamanto 57. […] Anzi i nobili Tebani dei secoli successivi credevano tanto (o fingevano di credere) in così strana favola, che derivavano la loro nobiltà di sangue dall’esser discendenti, com’essi vantavansi, di questi prodi guerrieri sì miracolosamente nati ; la quale illustre prosapia era detta degli Sparti, che significava seminati, alludendosi appunto alla sementa dei denti del serpente ucciso da Cadmo58. […] La trasformazione di Cadmo in serpente fu narrata così egregiamente da Ovidio, che sembrò mirabile, nonchè al Tasso, anche a Dante.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

La Mitologia è molto incerta su tal questione, e non la decise mai dommaticamente : lasciò correre diverse opinioni, tra le quali accenneremo per ora quella soltanto che è la più semplice e sbrigativa, e che prima delle altre espone Ovidio nelle Metamorfosi, vale a dire che quel Dio stesso che dal Caos formò l’universo creasse l’uomo di divin seme 26, appellando così principalmente all’anima umana, e facendola di origine divina. […] Si rappresenta come un vecchio alato, avente in una mano una falce ; oppure una fanciullo in atto di divorarselo, e dall’altra o presso di sè un orologio a polvere, oppure un serpente che si morde la coda e forma così un circolo non interrotto. […] Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò ai popoli del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano stesso due singolari privilegi, quello cioè di prevedere il futuro, e l’altro di non dimenticarsi mai del passato.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

Ma ambedue queste origini così diverse son talmente confuse e amalgamate nei poeti posteriori, che attribuiscono e l’una e l’altra indifferentemente e congiuntamente a Venere, come se fosse possibile il nascere in due modi e l’avere due diverse madri. […] Giove così volle premiar Vulcano di averlo aiutato efficacemente nella battaglia di Flegra fabbricandogli i fulmini con cui atterrò e vinse i Giganti. Venere non si oppose e obbedì ; ma questo matrimonio così male assortito fu causa di coniugali discordie e di scandali.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Anche Ovidio così erudito negli antichi miti, come dimostrano tutte le sue poesie e principalmente i Fasti e le Metamorfosi che ne son piene, si era accinto a cantar la guerra dei Giganti, e non dei Titani ; ma distratto da altre più facili poesie, e impedito poi dall’esilio non potè eseguire quel poema che aveva ideato. […] Ecco la vera causa della Titanomachia : e di questa guerra accenneremo soltanto l’esito finale, che fu la disfatta dei Titani ; dei quali il molto sangue e le diverse e orribili piaghe mossero a compassione la dea Tellùre, ossia la Terra, che irritata contro Giove e gli altri Dei, così spietatamente crudeli, generò dal suo seno immani, fortissimi e mostruosi figli chiamati appunto Giganti, cioè figli della Terra71, e li istigò a vendicare i Titani, a impadronirsi del Cielo e cacciarne gli usurpatori tiranni. […] Infatti Virgilio, che Dante scelse per suo maestro 78), e. che egli chiama il mar di tutto il senno, dovendo come poeta pagano raccontar questa favola, le fa precedere una dottissima e splendida descrizione delle eruzioni del monte Etna, così egregiamente tradotta dal Caro : « …..

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Ma Omero fa raccontare a Vulcano stesso che il trattamento brutale di esser precipitato dal Cielo in Terra (per la qual caduta divenne zoppo) lo ricevè essendo già adulto, e non da Giunone, ma da Giove, poichè il poeta così introduce Vulcano a parlar colla madre : « …….Duro egli è troppo « Cozzar con Giove. […] Dei quali i primi tentativi dovevan risalire ai tempi di Omero, se soltanto 500 anni dopo di esso, fu così abile Archita, come si racconta, da costruire una colomba volante. […] L’originale latino, mirabile sempre per l’eleganza dello stile e l’armonia del verso, dice così : « Ferrum exercebant vasto Cyclopes in antro, « Brontesque, Steropesque et nudus membra Pyracmon.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Il solo modo di render bugiardo l’Oracolo era troppo crudele, cioè di uccider subito la figlia ; e Acrisio non fu così snaturato come furono in appresso Aristodemo ed Agamennone, i quali non esitarono ad uccider le loro figlie, non già per salvarsi la vita, ma per ambizione di regno. […] Nel giardino di Boboli vedesi nella gran vasca detta dell’isolotto la statua di Perseo sul caval Pegaso e di Andromeda legata allo scoglio ; ma l’Orca è di così piccole dimensioni da render risibile la paura di Arianna di poter essere divorata da quel piccolo mostro poco più grosso di un granchio. […] Il viaggio aereo del mago Atlante sull’Ippogrifo, è così splendidamente narrato dall’Ariosto : « Ecco all’orecchie un gran romor lor viene.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia. […] Quindi, per esempio, alla causa mitologica delle eruzioni vulcaniche abbiamo aggiunto la spiegazione della causa fisica delle medesime ; alla formazione favolosa del fulmine la causa vera di questo fenomeno ; e così di tante altre.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-

Contemporaneamente a queste prime apoteosi sorgeva e ben presto diffondevasi una nuova religione, i cui seguaci destarono l’ammirazione di tutti per la bontà e santità della vita : e questo parve un gran miracolo in mezzo a società così corrotta ; questo richiamò l’attenzione di tutti sulla nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime che essa insegnava. […] Negli scrittori ecclesiastici i politeisti son detti ancora Ethnici e Gentiles, vocaboli che sono sinonimi, il primo in greco e il secondo in latino ; onde è derivata in italiano la parola gentilesimo che si può usare indifferentemente per paganesimo ; ma non così la parola gentili per pagani, perchè il vocabolo gentili ha due altri diversi significati : uno più usato e comune invece di cortesi ; e l’altro legale, che sta ad indicare le persone della stessa famiglia, la quale in latino dicevasi più comunemente gens, mentre familia significava anche i servi o schiavi.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Ma siccome fu dato il nome di Urano al Cielo, così fu dai Greci assegnato alla Terra il nome di Estia, che dai Latini fu cangiato in Vesta, significante, secondo Ovidio, che di sua forza sta, alludendosi in ambedue le lingue all’apparente e creduta immobilità della Terra18. […] I moderni astronomi, che seguendo il sistema Copernicano abolirono anche le sfere, non che il loro movimento intorno al nostro globo, diedero il nome di Urano al pianeta scoperto da Herschel nel 1781, imitando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini al centro del loro sistema planetario avevano dato il nome dei principali figli di Giove, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono il nome del padre di questo, cioè di Urano.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Assuefatte perciò sin da bambine ad una vita così dignitosa, splendida e principesca non deve recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e che fosse stimato di cattivo augurio il sottoporsi o alla patria potestà degli agnati, o alla perpetua tutela e al predominio di un marito quanto si voglia illustre e discreto. […] Alcuni autori dicono che la Vestale colpevole era calata in una stanza sotterranea nel campo scellerato, e postole appresso un pane, un vaso d’acqua ed un lume, vi era chiusa ermeticamente e abbandonata senz’altro al suo orribile destino. — Questo modo però potrebbe far sospettare il caso probabile che qualcuno andasse segretamente a liberarla e la tenesse altrove nascosta o incognita pel rimanente dei suoi giorni. — Altri poi asseriscono che si calava nella solita stanza sotterranea, ma subito dopo le si gettava sopra tanta terra da riempire tutto il sotterraneo ; e la morte così era inevitabile, ma meno crudele e orribile che nel primo caso.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263

Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio, che schiverei di rammentare, se, oltre Lattanzio, non ne parlasse anche Plinio il Naturalista ; ed era il Dio Sterculio o Stercuzio, così detto perchè aveva inventato il modo di render più fertili i terreni col fimo o concime. […] Anche Dante confrontando, nel Canto xix dell’Inferno, il numero degli Dei degl’ Idolatri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando che questi Dei son cento volte più numerosi di quelli, accetta per lo meno il computo di Varrone, poichè così rimprovera i Simoniaci stessi5 : « Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ; « E che altro è da voi all’ Idolatre6 « Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? 

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

La questione per altro verte intorno all’etimologia del nome ed alla origine di questi Dei, poichè v’è chi li crede così chiamati, perchè figli della Ninfa Lara o Larunda, ed altri ne derivano il nome da Lar antica parola etrusca che significa capo o principe. […] Perciò, oltre al distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decider così la question mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di famiglia ; senza dei quali, come egli sapientemente dichiara, non può esser buona una repubblica, nè ben viversi in essa 39.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19

A legger cotesti libri di così minuziosa erudizione viene il capogiro, pretendendo di ricordarsi di tutte quelle interminabili filiazioni e parentele di un gran numero di Dei e di Dee dello stesso nome. […] Nelle Pandette è così definita la schiavitù : « Constitutio juris gentium, qua quis dominio alieno contra naturam subiicitur. » 12.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

La più bella e sublime immagine della potenza di Giove, e della dipendenza della Terra dal Cielo e dal supremo suo Nume, fu ideata da Omero, attribuendone l’invenzione a Giove stesso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei : « D’oro al cielo appendete una catena, « E tutti a questa v’attaccate, o Divi, « E voi Dee, e traete. […] Dice Ugo Foscolo che « Fidia vantavasi di aver dedotto la statua di Giove Olimpio da tre versi di Omero. » E questi tre versi nell’originale greco son quelli di n° 528, 529 e 530, nel i libro dell’ Iliade, che il Monti tradusse così : « Disse, e il gran figlio di Saturno i neri « Sopraccigli inchinò : sull’immortale « Capo del Sire le divine chiome « Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo. » 65.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

Considerarono come un pianeta anche il Sole : e così colla Luna e gli altri 5 pianeti visibili ad occhio nùdo ne annoverarono sette, e attribuirono a ciascuno di essi una Divinità che vi presiedesse o li dirigesse nel loro corso. […] Ora convien parlare delle Divinità che dirigevano il Sole e la Luna, e parlarne a lungo, prima in generale, e poscia particolarmente, perchè la fantasia dei mitologi e dei poeti non venne meno così per fretta a inventar miti fantasmagorici e dilettevoli su queste due Divinità, alle quali diedero il nome di Apollo e di Diana, che poi identificarono col Sole e colla Luna.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

Sappiamo infatti che anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i popoli della Tessaglia facevano alti rumori con stromenti ed utensili di metallo per liberar di travaglio la Luna, credendo così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ; che un esercito perdè la battaglia fuggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si oscurasse e rasserenasse la faccia della Luna. […] iii, 22) così la invoca : « Montium custos nemorumque, Virgo « Quæ laborantes utero puellas « Ter vocata audis adimisque leto, « Diva triformis. » E Virgilio nel lib. 

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

È celebre la descrizione che ne fa Virgilio nel vi libro dell’Eneide, che Annibal Caro tradusse così : « Ciò fatto, ai luoghi di letizia pieni, « All’amene verdure, alle gioiose « Contrade de’felici e de’beati « Giunsero alfine. […] Tutte le opere d’arte (qual che si fosse lo maestro che le fece, come dice Dante), furono eseguite secondo le regole architettoniche e le proporzioni matematiche in modo così esatto e preciso, che i più dotti commentatori della Divina Commedia dalle indicazioni che ne ha date l’autore hanno potuto determinarne in numeri concreti le dimensioni geometriche di lunghezza, larghezza e profondità237.

50. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Avvertimento. » pp. 1-2

» Il maggior pregio di questo libro elementare consiste, a parer nostro, nella distribuzione delle materie, le quali sono ordinate in paragrafi numerati, e non contengono le ripetizioni inevitabili nei così detti Dizionarj della Favola, nè gl’ inconvenienti ormai a tutti noti del metodo per dimande e per risposte.

51. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

Ma ognuno poi l’interpretava a suo modo e secondo le sue proprie passioni ; e lo spirito di vendetta tanto potente e feroce nei secoli barbari, ben poco perdè della sua forza e della sua intensità nei secoli così detti civili, neppure dopo la promulgazione dell’ Evangelio che santificò il perdono e l’oblio delle offese.

52. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

» E Virgilio a lui : « Se t’ammentassi come Meleagro « Si consumò al consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a te sì agro. » Ma accorgendosi Virgilio che con questo esempio pretendeva di spiegare un mistero con un altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico : « E se pensassi come al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostra image, « Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. » E per quanto anche il poeta Stazio, a richiesta di Virgilio, gli desse bellissime spiegazioni scientifiche sulla generazione dell’uomo, sull’unione dell’anima col corpo e lo stato di essa dopo la morte, nulladimeno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta che Virgilio gli disse : « A sofferir tormenti e caldi e geli « Simili corpi la Virtù dispone « Che come sia non vuol che a noi si sveli. » E così con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere che spesso s’incontrano nelle umane cognizioni misteri inesplicabili.

53. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

Virgilio stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare che, in generale, i Romani non avessero gran devozione per questi mostruosi Dei Egiziani, poichè Giovenale, nella Satira xv, così ne parla : « Chi, o Vòluso, non sa quai mostruose « Adora deità l’Egitto stolta ?

54. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Ovidio nel 4° dei Fasti così parla di questo fiume : « Inter, ait, viridem Cybelen altasque Celænas, « Amnis it insana, nomine Gallus, aqua.

55. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Nel libro xxi dell’ Iliade (trad. del Monti) così parla il Xanto al Simoenta : « Caro germano, ad affrenar vien meco « La costui furia, o le dardanie torri « Vedrai tosto atterrate, e tolto ai Teucri « Di resister la speme.

56. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

E perchè il suo nuovo concetto apparisca manifesto, prima descrive Beatrice (nel Canto xxv del Purgatorio) : « Sovra candido vel cinta d’olivo, » e poco, dopo soggiunge che era quel velo « Cerchiato della fronde di Minerva ; » e così commenta sè stesso, facendo conoscere qual significato simbolico intendeva di dare, in quel caso, all’olivo.

57. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare.

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