Donde trasse la iniziativa la scienza mitografica, e quali cagioni concorsero a propagarla. 2. […] E questo modo di concepirsi gli Dei non più porgeva miti di narrazioni vere, ma fittizie, immaginarie, fantastiche, quali nascevano dalla ignoranza. […] A suoi piedi ponevano tre figure muliebri circondate da un serpente, tra le quali quella, che sorgeva in mezzo, era un simbolo della terra. […] Da ciò gli antichi le attribuirono virilità e truculenza, quali caratteristiche trasparivano da gli occhi suoi, dipingendoli di color glauco, come si scorge nelle fiere robustissime, quali sono il pardo ed il leone, gli occhi dei quali tinti di color glauco sono si vivamente lucenti, che altri non può guardarli che di trasverso. […] Già tu pure in qualche parte conosci ancora questa : ciascuna parte e di quà e di là ha due facciate, tra le quali l’una ha le mire al popolo, l’altra al lare.
Dei quali i primi tentativi dovevan risalire ai tempi di Omero, se soltanto 500 anni dopo di esso, fu così abile Archita, come si racconta, da costruire una colomba volante. […] Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. […] Passando ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiutavano Vulcano a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo) e ops (occhio), per indicare la straordinaria particolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare « Di targa e di Febea lampade in guisa « Sotto la torva fronte, » come dice Virgilio. […] Uno soltanto di essi era figlio di Nettuno e della ninfa Toosa, e questi chiamavasi Polifemo (il qual greco vocabolo significa celeberrimo) ed era considerato come il re di tutti gli altri, i quali furono pochi più di cento, ma tutti feroci ed antropofagi. […] Dai medici son detti automatici quei movimenti che dipendono unicamente dalla organizzazione degli esseri viventi, e nei quali non ha parte alcuna nè potere la volontà, quali sono la respirazione, la circolazione del sangue, il batter dei polsi, ecc.
L’indica il suo nome composto di due voci Greche, le quali unite significano discorso sulla favola. […] Parleremo in seguito degli Eroi, quali erano i Re, e gl’illustri guerrieri, soggetto del canto de’ poeti. […] Egli dunque divorò tutt’i figli, ai quali aveva data la vita. […] Noi avremo sovente occasione di parlare delle diverse sembianze, sotto le quali si cangiò con avvilire la sua dignità. […] Per compenso n’ebbe l’arco, e le frecce, senza le quali non poteva cader Troja.
Non deve dunque recar maraviglia che i Pagani i quali avevan popolato di Dei il Cielo e la Terra personificando gli oggetti creati e i fenomeni naturali, avesser fatto altrettanto nel mare. […] Ma tutte presentano presso a poco gli stessi emblemi o distintivi ; il più caratteristico dei quali è il tridente, che consiste in una forca con tre corni o punte ; ed è questo il potente scettro di Nettuno col quale comanda ai flutti e scuote la Terra cagionando terremoti216). […] Da questo matrimonio nacque il Dio Tritone che fu lo stipite delle diverse famiglie e tribù dei Tritoni, i quali formarono il corteggio e la guardia d’onore delle principali divinità marine. […] Anche la moglie di Nettuno ebbe onori celesti dagli astronomi, i quali diedero il nome di Amfitrite al 29° pianeta telescopico scoperto da Marth il 1° marzo 1854. […] Queste Ninfe, che eran qualche centinaio, hanno or l’uno or l’altro nome, cioè di Doridi derivato dalla madre, o di Nereidi dal padre ; ma il secondo è il più comunemente usato dai poeti, i quali annoverano fra le Nereidi la stessa Amfitrite moglie di Nettuno e la ninfa Teti madre di Achille.
Il solo modo di render bugiardo l’Oracolo era troppo crudele, cioè di uccider subito la figlia ; e Acrisio non fu così snaturato come furono in appresso Aristodemo ed Agamennone, i quali non esitarono ad uccider le loro figlie, non già per salvarsi la vita, ma per ambizione di regno. […] Cresceva Perseo e si dimostrava degno figlio di Giove per valore e per senno, talchè Polidette cominciò a temere che potesse detronizzarlo : quindi per dargli occupazione e allontanarlo dalla sua reggia lo eccitò, coll’allettamento della gloria che ne acquisterebbe, ad una impresa stranissima e pericolosissima da eseguirsi nelle isoleGorgadi, situate nell’Oceano Atlantico presso il promontorio che tuttora dicesi Capo verde ; le quali perciò sembra che debbano corrispondere alle isole dette ora di Capo verde. […] L’impresa di ucciderla sarebbe stata impossibile senza l’aiuto degli Dei ; i quali per favorire il figlio di Giove gl’imprestarono le loro armi divine, Marte la spada o scimitarra, Nettuno l’elmo, Minerva lo scudo e Mercurio i talari e il petaso. […] Questi nomi dati dagli Antichi a cinque delle costellazioni boreali si conservano tuttora dai moderni Astronomi, i quali ci dicono pur anco di quante stelle è formata ciascuna di queste costellazioni, cioè Perseo di 6551 ; Andromeda di 27 ; Cefeo di 58 ; Cassiopea di 60, e il Pegaso di 91. […] Vi si aggiungono altresì i prosatori antichi Apollodoro e Pausania, i quali però invece della torre di bronzo rammentano una camera sotterranea di bronzo come luogo della reclusione di Danae.
Livio ne adduce diversi esempi, tra i quali il più celebre è quello, già da noi registrato, dei figli di Tarquinio il Superbo : ma per regola generale preferivano i così detti oracoli delle Sibille, vale a dire le risposte dei libri sibillini, di cui parleremo altrove. […] Sebbene i primi scrittori ecclesiastici si affatichino a citare centinaia di autori che avevano scritto contro gli Oracoli, per noi non è necessario tanto lusso di erudizione, tanta ricchezza di testimonianze ; e ci basterà il sapere che ne pensassero Demostene, Cicerone e Catone Uticense, di ciascuno dei quali l’autorità val per mille. […] Di qui nascevano i tempii, di qui i sacrifizii, di qui le supplicazioni ed ogni altra cerimonia in venerarli, perchè l’oracolo di Delo, il tempio di Giove Ammone ed altri celebri Oracoli tenevano il mondo in ammirazione e devoto. » Da tutte le preaccennate autorità e da altre molte che si potrebbero citare, e delle quali ciascun che legge queste pagine avrà facilmente præ manibus più d’una, si può dedurre con sicurezza di non errare, che gli Oracoli e gli altri modi d’interpretazione della volontà degli Dei furono inventati da prima con intenzion casta e benigna per uno scopo altamente sociale, e che essendo diretti al pubblico bene furono utilissimi, e divennero, come direbbe il Romagnosi, uno dei primi fattori dell’Incivilimento. […] E il Paganesimo cadde e seco trasse in ruina e in frantumi la pagana società, tanto illustre e potente finchè non disconobbe e non calpestò i principii eterni della morale, senza i quali non può prosperare l’umano consorzio, nè sostenersi religione alcuna, perchè la fede senza le opere è morta 292). […] Molti interpretavano che i Greci sarebbero stati vinti a Salamina ; ma Temistocle convinse tutti ragionando così : « Se Apollo avesse voluto significare che Salamina sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’avrebbe appellata divina ; e che perciò la minaccia era contro i Persiani, i quali dall’oracolo eran chiamati figli delle donne per indicare la loro effemminatezza e il loro poco valore. » 290.
Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia. […] anche la Notte, ossia l’oscurità, l’assenza della Luce, era una Dea ; e tutti questi Dei e Dee avevano figli e figlie che erano altrettante Divinità ; le quali venivano a rappresentare i diversi effetti o fenomeni speciali, che, secondo le antiche idee (vere o false che fossero), dalla combinazione di quei principali elementi si producevano. Perciò abbiamo notato frequentemente in quali casi, secondo i moderni progressi delle scienze, le idee degli Antichi fossero vere, e in quali false.
Anzi per indurne negli animi maggior rispetto e venerazione, le dedicavano agli Dei Mani ; pei quali però non sappiamo con certezza se intendessero le anime stesse dei defunti, o in generale le infernali divinità ; ma nell’un significato o nell’altro, si elevavano e parificavano le tombe alla santità dei tempii e delle are260. […] Orazio assomigliava a Tantalo gli avari266) ; ma le loro privazioni sono spontanee e non forzate come quelle di Tantalo ; perciò più vero e confacente sarebbe l’assomigliarvi i miserabili, i quali, vedendo nelle taberne e nei mercati una vera dovizia di cibi squisiti, non posson comprar nemmeno i più vili per saziar la fame che li tormenta. […] Esse erano precisamente 50, tutte figlie di Danao re di Argo e nipoti di Belo ; dai quali nomi del padre e dell’avo derivarono i loro appellativi o patronimici di Danaidi e di Belidi. […] Notabilissimi sono i principii filosofici dai quali deduce la reità dei motivi a delinquere, o come dice il Romagnosi, la spinta criminosa, considerandola in ragion composta coll’ingiuria che risulta dal commesso delitto, ossia colla violazione dei doveri morali verso Dio, verso sè stesso, e verso il prossimo. […] Fissò il suo soggiorno in Crotone città della Magna, Grecia, ed ivi ebbe molti discepoli, e costituì la famosa scuola dei Pitagorici, nella opinione dei quali acquistò egli tanta autorità, che tutte le sue asserzioni erano stimate verità indubitabili.
Dei suoi posteri, non i Mitologi e i poeti soltanto, ma anche gli storici narrano molte triste vicende ; di alcune delle quali avremo occasione di parlare a lungo in appresso. […] Sino al presente secolo non se ne dubitava, ed oltre al dirsi precisamente quali erano le sedici lettere importate da Cadmo, si notavano ancora le quattro inventate da Palamede al tempo dell’assedio di Troia, e le altre quattro aggiuntevi da Simonide cinque secoli dopo ; che in tutte vengono a formar l’alfabeto greco di ventiquattro lettere61. […] Ed ecco come dalla Mitologia si passa nel campo della critica storica ; nei quali confini deve arrestarsi il Mitologo. […] Diremo per lo meno che qui è davvero applicabile la massima attribuita da Fedro a Giove : « Nisi utile est quod facimus, stulta est gloria. » Non è per verità molto utile neppure il conoscere quali furono le lettere inventate da Palamede, e quelle aggiunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’ al più può essere una curiosità letteraria il sapere questa opinione degli Antichi : ma fu una vera pedanteria e ridicolezza il pretendere di distruggere il vocabolo alfabeto adottato nella lingua latina e in tutte le più colte lingue moderne, con tutti i suoi derivati e composti (alfabetico, alfabetare, analfabeta ecc.) per sostituirvene un altro di nuova formazione o etimologia.
In fatti Omero pone le regioni delle anime degli estinti nel paese dei Cimmerii, popoli antichi i quali abitavano sulle rive settentrionali del Ponto Eusino (ora Mar Nero) e della Palude Meotide (ora Mar d’Azof). […] Egli asserisce, non già sulla fede altrui, ma come testimone oculare (poichè finge di aver percorso egli stesso quelle regioni), che l’Inferno è formato di circoli concentrici come un anfiteatro ; che il primo cerchio che si trova, poche miglia sotto la superficie terrestre, è il più grande di tutti gli altri, i quali, vanno gradatamente decrescendo fino al centro del nostro globo, nel qual punto termina l’Inferno stesso ; che i cerchi son 9 ; ma il 7° è diviso in 3 gironi, l’8° in dieci bolge e il 9° in quattro compartimenti chiamati Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca. Peraltro fra i cerchi 6°, 7°, 8° e 9° vi son tre baratri o abissi, nei quali conviene scendere in un modo straordinario e pericoloso per giungere al centro. […] Inoltre colle analisi spettrali che dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior parte delle sostanze che si conoscono sul nostro globo239, si venne a confermare i raziocinii dei geologi, che cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizione come il Sole, e che a poco a poco raffreddandosi avesse formato le rocce ignee, acquee, metamorfiche, ecc. ; insomma tutti i diversi strati, sull’ultimo dei quali abitiamo.
Inoltre intorno alla Fonte di Piazza della Signoria si vedono otto Satiri di bronzo fuso, quattro dei quali con piedi di capra e muso caprino, e gli altri quattro col solo distintivo di due piccole corna che spuntano loro sulla fronte di mezzo ai capelli. […] Tra queste sono meritamente celebrate l’Aminta del Tasso e il Pastor fido del Guarini, in ciascuna delle quali Favole trovasi un Satiro, che sebbene parli elegantissimamente, e spesso anche troppo leziosamente, ragiona però bestialmente, come « …. […] Le feste Florali cominciavano in Roma il 28 di aprile e duravano sino a tutto il dì 1° di maggio, nei quali giorni v’era un gran lusso di fiori, di cui tutti facevano a gara a cingersi la testa e ornarne le mense e perfino le porte delle case. […] Molti poeti latini, tra i quali Orazio e Marziale, si sbizzarrirono a dileggiar talmente questo Dio, che peggio non avrebbero fatto nè detto contro il più vil dei mortali23.
Non dovrà dunque recar maraviglia che per associazione d’ idee Apollo fosse riguardato ancora come dio della Musica e di tutte quelle altre belle arti speciali a cui presiedeva ciascuna delle nove Muse, delle quali egli era il maestro. […] Oltre i preaccennati nomi proprii, avevano le Muse anche degli appellativi comuni a tutte loro, derivati dai luoghi ov’esse abitavano ; i quali termini son più usati dai poeti greci e latini che dagl’italiani. […] Anche il Tasso preferisce la parola furore, come allorquando prima di descriver la pugna di Argante con Tancredi, così invoca la Musa : « Or qui, Musa, rinforza in me la voce, « E furor pari a quel furor m’ispira ; « Sì che non sien dell’opre indegni i carmi « Ed esprima il mio canto il suon dell’armi ; » nei quali due ultimi versi accenna pur anco la necessità dell’armonia imitativa o espressiva nella compagine del verso. […] Era anche questo un di quei pastorelli amici o dipendenti di Apollo nel tempo del suo esilio e della sua condizion di pastore ; i quali egli avea dirozzati insegnando loro a cantare, a suonare la cetra e la tibia e a far vari giuochi ginnastici.
Cinquanta furono gli Eroi che vi presero parte, alcuni dei quali eran prima intervenuti alla caccia del cinghiale di Calidonia ; e tra questi Giasone che fu il duce e il protagonista degli Argonauti, e acquistò maggior fama di tutti in questa impresa, come Achille nella guerra di Troia. […] All’invito di Giasone accorsero gli Eroi da tutte le parti della Grecia, alcuni dei quali eran già stati con lui alla caccia del cinghiale di Calidonia, cioè Teseo, Piritoo, Castore, Polluce e Telamone ; ed altri di cui non si è ancora parlato, cioè Calai e Zete figli di Borea, Ercole, Orfeo, Linceo, Tifi, Tideo, ecc. […] Approdati gli Argonauti nella Tracia o bene accolti da Fineo, vollero per gratitudine liberarlo dalle Arpie, ed oltre a cacciarle dalla reggia colle armi, le fecero inseguire per aria da Calai e Zete, figli di Borea, che avevano le ali come il loro padre ; i quali le respinsero fino alle isole Strofadi, ove poi furono trovate da Enea nel venire in Italia, come a suo luogo diremo. […] E sebbene la presenza e il braccio di tanti famosi Eroi rendesse sicura qualunque impresa da compiersi colla forza, trovaron per altro che questa non bastava a conquistare il Vello d’oro : bisognava ancora vincer gl’incanti, nelle quali arti i Greci eran novizii in confronto dei Colchi70.
A tempo dei re di Roma fu deificato soltanto Romolo, ma per gherminella politica dopo che i Senatori lo ebbero segretamente ucciso ; i quali non sapendo poi come acquietare il popolo che ricercava il suo re guerriero, gli fecero credere per mezzo di Procolo che fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e che bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. […] Intanto si ergeva nel Campo Marzio un grandioso rogo di legni intagliati in forma di edifizio a quattro o cinque piani, sull’ultimo dei quali ponevasi un carro dorato con la statua dell’Imperatore. […] Si conservano tuttora circa 60 medaglie coniate in memoria di altrettante apoteosi diverse ; in ciascuna delle quali vedesi un’ara ardente ed un’aquila che ergesi a volo, ed inoltre vi si legge la parola Consecratio, che era il termine officiale latino significante l’apoteosi.
Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divennero anche più celebri in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace e Laerte di Ulisse ; dei quali tutti dovremo parlare anche in appresso. Degli altri eroi intervenuti a questa caccia, dei quali non si conoscono fatti più celebri di questo, ne diremo qui brevemente quanto è necessario a sapersi.
Quando dunque dai Mitologi si parla di Dei stranieri adorati dai Romani non si deve intender delle greche Divinità che i Romani conoscevano e adoravano sin dall’origine di Roma, ma di tutte le altre di qualsivoglia nazione delle quali era ammesso o almeno tollerato il culto in Roma, dopo che fu accordata la cittadinanza romana a tutti i popoli conquistati. […] viii della Farsalia : « Nos in templa tuam Romana accepimus Isim. » Di questa Dea eran devote principalmente le donne ; tra le quali è rammentata da Tibullo la sua Delia, che passò ancora qualche notte avanti le porte del tempio d’Iside a pregar la Dea per la salute di Tibullo stesso che era infermo in Corfù. […] Osìride è chiamato ancora Seràpide ; sotto ambedue i quali nomi è rammentato dagli scrittori latini.
Ora convien parlare delle Divinità che dirigevano il Sole e la Luna, e parlarne a lungo, prima in generale, e poscia particolarmente, perchè la fantasia dei mitologi e dei poeti non venne meno così per fretta a inventar miti fantasmagorici e dilettevoli su queste due Divinità, alle quali diedero il nome di Apollo e di Diana, che poi identificarono col Sole e colla Luna. […] Tra le più celebri tuttora esistenti si citano quelle del Mississipì e del lago Chelco nel Messico ; le quali son coltivate e producono alberi, piante di fiori e legumi. […] » Anche l’arte greca s’impadronì di questo tragico soggetto ; e se ne conservano nella Galleria degli Uffizi di Firenze le statue attribuite a Scòpa, le quali rappresentano Niobe e la sua famiglia colpita dalla celeste vendetta104).
I Greci la chiamavano Demèter quali Gemèter (madre Terra) per questa stessa ragione. […] Tutta questa immaginosa invenzione significa che Proserpina figlia di Cerere simboleggia le biade, le quali stanno sei mesi sotto terra e sei mesi sopra terra. Dopo aver notato questi miti sarà più facile riconoscere le immagini sculte o dipinte della dea Cerere dagli emblemi coi quali è sempre rappresentata.
Perciò i Greci, che nelle loro celebri guerre contro lo straniero invasore opraron molto co senno e con la mano, e vinsero aiutando l’eroico valore colla strategia e cogli strattagemmi di guerra, preferivano il culto di Minerva a quello di Marte ; e lasciarono che lo adorassero, devotamente i Traci, i quali, come dice Orazio, avevano il barbaro costume di terminar con risse e pugne anche i conviti. […] Infatti il generale romano nel partir per la guerra scuoteva l’asta della statua di Marte dicendo : Mars vigila ; sottintendendo in favore dei Romani ; i quali si credevano tanto da lui prediletti e così esclusivamente protetti che lo intitolavano Marte Romano. […] A Marte e ai marziali esercizi fu consacrato in Roma il campo Marzio, che prima era un fondo rustico, ossia un vasto podere appartenente a Tarquinio il superbo, ed ora è pieno di case, fra le quali il palazzo detto di Firenze, perchè apparteneva all’Ambasciata fiorentina o toscana.
La maligna astuzia di Giunone sortì pienissimo effetto ; e Giove avendo promesso non potè mancar di parola, e comparve a Semele armato di fulmini, uno dei quali gli uscì di mano, incendiò la reggia Tebana e uccise e incenerì Semele195 ; e sarebbe perito del pari il non ancor nato figlio, se Giove non lo salvava supplendo all’ incompleto sviluppo di esso e rendendolo vitale196. […] Anche le Baccanti avevano altri nomi, cioè di Menadi, Tiadi, Bassaridi ; il primo dei quali significa furenti, il secondo impetuose, ed il terzo è derivato da uno degli appellativi di Bacco accennati di sopra. […] Generalmente hanno pur anco il mantello o la veste di pelli di daino o di cervo, le quali pelli diconsi nebridi con voce greca adottata da alcuni poeti latini204) e italiani.
Insieme con queste si annoveravano ancora la Morte, il Lutto, il Timore, la Fatica, la Povertà, la Fame e perfino la Vecchiezza, funeste divinità allegoriche, ben note in tutta la loro orrenda realtà ai miseri mortali, e delle quali perciò i poeti rammentano soltanto il nome, tutt’al più con qualche epiteto espressivo senza estendersi in descrizioni247, tranne qualche rara eccezione, come quella del Petrarca nel Trionfo della Morte. […] Questi giudici si chiamavano Minos, Eaco e Radamanto, i quali in origine erano stati sulla Terra tre ottimi re della Grecia, celebri per la loro giustizia ; e perciò dopo la morte meritarono l’onorevole ufficio di giudicar le anime degli estinti. […] Vediamo ora quali di queste Divinità mitologiche stimò bene l’Alighieri d’impiegare nel suo Inferno.
Giovi poi ripetere come la traduzione di quest’opera non sia un semplice volgarizzamento, giacchè il Signor Pietro Thouar l’ha in gran parte rifusa e vi ha fatte delle notabili aggiunte le quali consistono in molte e nuove illustrazioni poetiche dei fatti mitologici, cavate da alcuni dei nostri più valenti poeti ; in una Cronologia mitologica, ossia indicazione delle più notabili epoche storiche alle quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice che contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo.
Anzi sulla base o radicale di questa parola si son formati in italiano vocaboli di cui non esistono gli equivalenti neppure in latino, cioè il verbo chimerizzare e i nomi chimerizzatore e chimerizzatrice, i quali sebbene sieno poco usati parlando, pur si trovano registrati nei nostri Vocabolari. […] Troviamo anche nella Bibbia un fatto simile, dove si parla delle lettere che il re David consegnò ad Uria marito di Betsabea pel suo generale Gioabbo ; nelle quali la supposta promozione di questo bravo ufficiale consisteva nel doverlo esporre sulle prime file contro i nemici, perchè vi perisse, come avvenne di fatto.
Sappiamo poi che nelle case dei più ricchi politeisti romani v’era il Larario, ossia la cappella dei Lari ; e nelle altre, almeno un tabernacolo colle statue o immagini di questi Dei, le quali spesso ponevansi ancora dentro certe nicchie nei focolari, parola questa che alcuni etimologisti notano come composta colla voce Lari 38. […] Perciò, oltre al distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decider così la question mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino, ed i secondi di quelli del padre di famiglia ; senza dei quali, come egli sapientemente dichiara, non può esser buona una repubblica, nè ben viversi in essa 39.
Erano figli o d’un Dio e di una donna mortale, quali furono Perseo ed Ercole ; oppure di una Dea e di un uomo mortale, come credevasi di Achille e di Enea. […] I tempi eroici anche più dei mitologici formarono il soggetto delle meditazioni dei più grandi filosofi e pubblicisti (e basti rammentar fra questi il Vico e Mario Pagano), perchè vi si trovano le origini storiche dei più celebri popoli antichi, frammiste a racconti favolosi, dai quali bisogna distinguerle e sceverarle.
III Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori A 30,000 si faceva ascendere il numero degli Dei pagani : quindi la necessità di dividerli in classi ; la prima delle quali era detta degli Dei maggiori o superiori o supremi ; e questi erano soltanto venti, per lo più conosciuti e adorati da tutte le antiche nazioni. […] Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte, Vulcano ed Ebe ; e poi da altre Dee, ed anche da donne mortali, altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli che furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Diana, Mercurio e Bacco.
Gli appellativi di Oreadi, Napee, Naiadi e Driadi, che si diedero alle Ninfe, indicano col loro significato a quali cose queste Dee presiedevano ; poichè derivano da greci nomi significanti monti, valli, acque, quercie, e per catacresi, ossia abusivamente o estensivamente, alberi. […] Tra le quali son da rammentarsi pel loro proprio nome le Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, cioè Amaltea e Melissa.
Ottenutala, la diede in custodia ad Argo che aveva cento occhi, cinquanta dei quali erano sempre aperti e vigilanti anche quando Argo dormiva. […] Gli Egiziani perciò adoravan gli Dei sotto la figura di quelle bestie nelle quali credevano che questi si fossero trasformati.
In caso di negativa eran concessi 33 giorni a risolvere, dopo i quali rompevan liberamente la pace. […] Le principali appo i Greci erano quelle di Adone, di Bacco, di Minerva, di Cerere, nel tempo delle quali era vietata ogni specie di lavoro, nè si potevano far leve di soldati, muover guerre o punire i colpevoli.
La Mitologia è molto incerta su tal questione, e non la decise mai dommaticamente : lasciò correre diverse opinioni, tra le quali accenneremo per ora quella soltanto che è la più semplice e sbrigativa, e che prima delle altre espone Ovidio nelle Metamorfosi, vale a dire che quel Dio stesso che dal Caos formò l’universo creasse l’uomo di divin seme 26, appellando così principalmente all’anima umana, e facendola di origine divina. […] In quel tempio v’eran dodici altari, indicanti i dodici mesi dell’anno romano ; il primo dei quali fu detto gennaio dal nome e in onore di Giano, considerato come portinaio del Cielo e dell’anno.
Dovendosi ora parlare de’suoi ufficii speciali diremo che, considerata come la Luna, immaginarono i mitologi che essa sotto la forma di una avvenente e giovane Dea percorresse le vie del Cielo in un carro d’argento o d’avorio tirato da 2 o 4 cavalli bianchi ; ma non seppero inventare alcuna graziosa favola sulle fasi lunari ; e in quanto alle ecclissi lasciarono correre la volgare e grossolana opinione che l’oscurazione di questo astro dipendesse dagl’incantesimi degli stregoni, i quali colle loro magiche parole avessero tanta potenza da trarre la Luna dal Cielo in Terra per farla servire alle loro male arti. […] Col solo nome di Diana era considerata come Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei avevan rinunziato a prender marito, passasse il tempo nei boschi ad inseguire ed uccider le fiere.
« Questa dottrina che ammette due principii coeterni, del bene e del male, insegnata antichissimamente da Manete, prese voga dopo stabilito il cristianesimo, per opera dei Manichei, seguaci di Manete ; ma dove gli antichi pel domma dei due principii avevano fabbricate diverse favole poetiche sulle creazioni opposte e sui combattimenti dei due principii, dai quali ripetevano le grandi catastrofi della natura, le guerre dei giganti, la corruzione ognor crescente del genere umano, il diluvio, i tremuoti, le eru zioni vulcaniche, e via discorrendo, i Manichei all’incontro sostenevano l’esistenza dei due principii con la sofistica, e maggior danno cagionavano alla morale pubblica e privata. […] Nel Dizionario del Manuzzi, oltre le eccezioni approvate dalla Crusca, se ne trovano altre 6 ; tra le quali è da notarsi il genio della lingua, espressione che il Manuzzi ammette, citando due esempii, uno del Salvini, e l’altro del Magalotti ; ma il Fanfani riportando nel suo Dizionario questa stessa espressione dichiara che è francese affatto.
» Il maggior pregio di questo libro elementare consiste, a parer nostro, nella distribuzione delle materie, le quali sono ordinate in paragrafi numerati, e non contengono le ripetizioni inevitabili nei così detti Dizionarj della Favola, nè gl’ inconvenienti ormai a tutti noti del metodo per dimande e per risposte.
Ma cadono poi nel feticismo, ossia nel culto materiale dei prodotti della natura (feti) 24), quei mitologi i quali ci raccontano che quella pietra divorata da Saturno, e da lui non ben digerita, adoravasi nel mondo sotto il nome di abdir o abadir.
Dal culto dei corpi celesti si passò presto a quello dei corpi terrestri, ossia dei prodotti della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeismo, e fu principalmente professato dagli Egiziani, i quali anche al tempo di Mosè adoravano come loro Dio il bue Api, la qual goffa idolatria fu imitata dagli Ebrei nel deserto col vitello d’oro, che costò la vita, per ordine di Mosè, a tante migliaia di quegli stupidi imitatori del culto Egiziano.
Dei figli parleremo in appresso e diremo quali fossero.
E che questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse adorata in Alba e vi avesse un tempio e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non che da tutti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo zio Amulio a farsi Vestale.
Sappiamo poi dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del Cristianesimo (i quali studiavano con gran premura ed attenzione la Mitologia per dimostrare le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità che non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2, che posteriormente furon perduti o distrutti nelle successive invasioni dei Barbari.
E quando nel dar la spiegazione di qualche mito o favola non v’è da citare qualche verso o espressione di Dante, riporto esempii di altri poeti italiani, quali sono il Petrarca, il Poliziano, l’Ariosto, il Tasso, il Monti e il Foscolo.
Così fu ristretta fra certi limiti insormontabili non solo la potenza di Giove, ma quella pur anco di tutti gli altri Dei ; i quali spesso nei poeti pagani si lamentano pietosamente della inesorabilità del Destino come qualunque più misero mortale.
Nel n° XI notammo tutte le eccellenti qualità che gli erano attribuite, per le quali veniva ad esser l’ideale della divinità dei filosofi.
Trovansi infatti anche altrove dei fiumi, le acque dei quali nel loro corso spariscono sotto terra, e a gran distanza ricompariscono sulla superficie di essa.
Indicazione delle epoche principali e meno incerte della storia antica, le quali hanno qualche relazione coi fatti ricordati dalla favola mitologica.