Mito significa propriamente « parola, discorso », e designa quel che si dice o si narra intorno a un soggetto qualsiasi. […] Costoro dai Campi Flegrei in Tessaglia tentarono, si dice, dar la scalata al cielo sovrapponendo il monte Ossa al Pelio. […] Spesso poi di essa si dice che esercito la sua forza sul mortali. […] Verso gli uomini, il popolo riteneva i Satiri piuttosto ostili che amici; si dice va assalissero d’ improvviso gli armenti e uccidessero le bestie, perseguitassero le donne in forma di spiriti folletti, spaventassero la gente. […] Non v’ è balza così ripida e impraticabile, dice, dov’ ei, librando il corpo e simile a uno che voli, non ponga il suo piè caprino.
Riconobbero però facilmente che la maggior parte di questi Dei eran molto turbolenti, producendo in mare orribili tempeste, e sulla terra bufere e devastazioni ; e che perciò v’era bisogno che fossero sottoposti a qualche altra più potente divinità che li raffrenasse ; diversamente, come dice Virgilio, « ….. […] Anche Omero, nel libro X dell’Odissea, dice che Eolo « …. de’venti dispensier supremo « Fu da Giove nomato ; ed a sua voglia « Stringer lor puote o rallentare il freno. » Ma gli attribuisce un genere di vita più patriarcale, e gli assegna un soggiorno più poetico ed ameno, quantunque nella stessa regione insulare. […] Quand’egli dice nel Canto xi dell’Inferno, « Che i Pesci guizzan su per l’orizzonta « E’l Carro tutto sovra’l Coro giace, » accenna con precisione astronomica che eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo che aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora che egli voleva significare appariva la costellazione dei Pesci sulorizzonte, e inoltre la costellazione del Carro, ossia dell’Orsa maggiore giaceva tutta sovra’l Coro, cioè fra settentrione ed occidente, ossia presso a poco a ponente-maestro o nord-ovest, come ora direbbesi. E quando nel Canto xxxii del Purgatorio vuole affermare che i 7 celesti candelabri ardenti non li spengerebbero i più opposti e gagliardi venti, egli dice « Che son sicuri d’Aquilone e d’Austro, » nominando i venti più opposti e più procellosi.
Iride figlia di Taumante, che di là cangia sovente contrade, dice Dante nel Purg. c. […] Sacra tutela son le Grazie al core — Delle ingenue fanciulle, dice il Foscolo nel più volte ricordato suo carme alle Grazie. […] Si dice che l’ambrosia scaturisse la prima volta da uno dei corni della capra Amaltea. […] Essa è origine e madre di tutte le invenzioni umane, dice Mario Pagano. […] E il Petrarca dice : « il volto di Medusa, Che facea marmo diventar la gente. » Le mani poi di questi mostri erano di metallo, e tutte tre le sorelle avevano orrenda chioma di serpi.
La prima fermata fu nell’isola di Lenno, « Poi che le ardite femmine spietate « Tutti li maschi loro a morte dienno, » come dice Dante ; e vi giunsero appunto dopo l’atroce fatto che le donne di quell’isola, malcontente delle leggi e dei trattamenti degli uomini, li uccisero tutti per costituirsi in repubblica femminile. […] « Quasi della montagna alla radice « Entra sotterra una profonda grotta, « Che certissima porta esser si dice « Di chi all’inferno vuol scender talotta. « Quivi s’è quella turba predatrice « Come in sicuro albergo ricondotta, « E già sin di Cocito in su la proda « Scesa, e più là, dove quel suon non s’oda. » E così l’Ariosto collega l’antico col moderno, e fingendo che Astolfo nell’800 dell’èra volgare avesse spinto le Arpie nell’Inferno, ove Dante, 500 anni dopo Astolfo, dice di averle trovate, mette d’accordo, come se fossero una storia vera, le fantasie di tutti gli altri poeti col racconto di sua invenzione. […] Perciò dai Latini è spesso indicato col patronimico Æsonides, cioè figlio di Esone, e coll’aggettivo Pagasaeus da Pagasa (ora Armiro,) città marittima della Tessaglia, rammentata anche da Plinio il naturalista, ed ove Valerio Fiacco dice che fu costruita la nave Argo.
Notabilissimi sono i principii filosofici dai quali deduce la reità dei motivi a delinquere, o come dice il Romagnosi, la spinta criminosa, considerandola in ragion composta coll’ingiuria che risulta dal commesso delitto, ossia colla violazione dei doveri morali verso Dio, verso sè stesso, e verso il prossimo. […] Essi in fatti nelle dispute non adducevano altra ragione che l’Ipse dixit, cioè le parole del loro maestro : ipse autem erat Pythagoras, come dice Cicerone. […] « L’ipotesi dell’ anima del mondo, dice il Pestalozza, non è erronea per sè stessa, ma pel solo motivo che in essa l’anima s’immedesima colla divina sostanza, supponendosi emanata da questa, ovvero sussistente eternamente con essa. » Questo stesso filosofo rosminiano chiama Antropomorfismo il politeismo greco e romano, perchè, dic’ egli, « gli Dei della natura presero forma e natura umana. […] Sapevalo bene il Giusti che nella sua satira sui Brindisi, inveisce contro un vil parassita piaggiatore e scettico, e dice sdegnosamente di lui, in tuono di rimprovero : « Rida in barba a San Marco ed a San Luca, « E gridi che il suo santo è san Secondo, « E che il zampon di Modena nel mondo « Compensa il Duca. » 264.
Nel Medio Evo dopo la caduta del romano Impero e le irruzioni dei Barbari, se non si rinnovò precisamente un circolo similare di tutte le antiche fasi sociali, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato della greca e della romana civiltà, come dice il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritornò per altro colla dissoluzione di tutti gli ordini sociali il predominio della forza in tutto il suo furibondo vigore e il così detto diritto della privata violenza. […] Scendendo ora a parlare dei principali Eroi, e Semidei e Indigeti di quest’epoca, convien prima di tutto determinare l’estensione, o vogliam dire la durata dell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca. » Volendo poi determinare cronologicamente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso della distruzione di Troia, poichè si trova in taluni Autori la differenza di più di un secolo ; ma seguendo la Cronologia greca più accreditata colle modificazioni di Petit-Radel nel suo Examen critique, troveremo almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia. […] Prima di por termine a questo Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria, anche una lunghissima vita a tutti gli Eroi, non devesi calcolare la loro media e la loro probabile esistenza secondo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti.
Circa alla Dea Tellùre basterà il sapere che Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tanto i poeti quanto i prosatori latini usarono la parola tellùre come sinonimo di terra 41 ; e che Dante stesso nella Divina Commedia rammenta l’orazione lamentevole della Dea Terra in occasione dell’incendio mondiale cagionato dall’imprudenza di Fetonte42, come a suo luogo vedremo. […] Cicerone nelle sue opere filosofiche aggiunge un’altra notabile rassomiglianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce che i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerdoti a cui fosse lasciata per pochi giorni la facoltà di far la questua ; ma non ne dice il perchè, non vedendo forse una buona ragione di questo eccezional privilegio, e, a quanto pare dal contesto delle sue parole, disapprovandolo45. […] Ma al solito non dice il motivo dell’eccezional privilegio accordato ai sacerdoti della Dea Cibele.
A questa favola allude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi : « A guisa del parlar di quella vaga (la Ninfa Eco) « Ch’amor consunse come Sol vapori ; » e fa questa similitudine per dar la spiegazione che quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come dice Dante : « Due archi paralleli e concolori « Nascendo di quel d’entro quel di fuori, » ciò avviene per riflessione dei raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon della voce. […] Dante allude più d’una volta a questa favola, come, per esempio, nel Canto xxx dell’Inferno, ove un dannato dice ad un altro : « Che s’io ho sete, e umor mi rinfarcia, « Tu hai l’arsura e ‘l capo che ti duole, « E per leccar lo specchio di Narcisso (cioè l’acqua) « Non vorresti a invitar molte parole. » E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate che egli vide nel globo lunare, dice che gli eran sembrate immagini riflesse dall’ acque nitide e tranquille, anzi che esseri di per sè esistenti, conchiudendo con la seguente osservazione tratta dalla favola di Narciso : « Perch’io dentro l’error contrario corsi « A quel che accese amor tra l’uomo e ‘l fonte ; » cioè tra Narciso e l’immagine sua reflessa dall’acqua.
Anche Tito Livio racconta molti miracoli nella sua Storia Romana, ma non li garantisce, e aggiunge quasi sempre un si dice, o si crede ; e nella prefazione dichiara esplicitamente che egli non intende di confermarli nè di confutarli12. […] Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panicus terror est). […] Livio che l’augure Accio Nevio tagliò col rasoio la pietra, cosi dice : « Tum illum haud cunctanter discidisse cotem ferunt.
Esiodo ci dice che Vulcano nacque zoppo e deforme, che dalla stessa Giunone sua madre fu gettato giù dall’Olimpo nel mare, e pietosamente raccolto ed allevato da due Dee marine Teti ed Eurinome. […] Passando ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiutavano Vulcano a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo) e ops (occhio), per indicare la straordinaria particolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare « Di targa e di Febea lampade in guisa « Sotto la torva fronte, » come dice Virgilio. […] L’originale latino, mirabile sempre per l’eleganza dello stile e l’armonia del verso, dice così : « Ferrum exercebant vasto Cyclopes in antro, « Brontesque, Steropesque et nudus membra Pyracmon.
Egli dice nel Canto xxv del Purgatorio : « Guarda il calor del Sol che si fa vino, « Misto all’umor che dalla vite cola. » Lo stesso Galileo 300 anni dopo non aggiunse nulla di più alla formula di Dante col dire che il vino è un composto di umore e di luce. […] Il vino (come dice il proverbio) è un balsamo per chi sa usarne temperatamente e secondo il bisogno208) ; ed è un veleno per chi ne abusa : oltre al nuocere alla salute, scorcia la vita, e istupidisce e degrada le facoltà intellettuali e morali. […] Tu puer œternus, gli dice Orazio invocandolo.
A spiegare il crepuscolo mattutino, ossia l’alba che precede il giorno, come dice Dante, inventarono i mitologi che tra i figli del Sole vi era una bellissima figlia chiamata l’Aurora, la quale ogni mattina apre le porte dell’oriente, e precede il padre, spargendo gigli e rose sulla terra. […] Assomiglia nel Canto xvii dell’Inferno la sua paura, nello scender su di un alato mostro in un profondo abisso infernale, a quella di Fetonte trasportato in balìa dei cavalli del Sole : « Maggior paura non credo che fosse, « Quando Fetonte abbandonò li freni, « Perchè ’l Ciel, come pare ancor, si cosse115. » Rammenta ancora nel Canto xxix del Purgatorio il lamento della Dea Tellure per gli spaventevoli effetti cagionati ne’suoi tre regni dalle infiammate vampe del Sole, o come egli dice, l’orazion della Terra devota 116 « Quando fu Giove arcanamente giusto. » Queste splendide invenzioni mitologiche, abbellite dalla più splendida poesia greca e latina, hanno sopravvissuto alla distruzione delle religioni, dei popoli, delle favelle e della scienza antica. […] « Ben se’ tu manto che tosto raccorce, « Sì che se non s’appon di die in die, « Lo tempo va d’intorno con le force. » E dice questo per significare che senza le egregie opere dei discendenti, la nobiltà di sangue va in dileguo e cade in dispregio.
Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. […] La vittima che sacrificavasi a Cerere era la scrofa, perchè, dice Ovidio, scava col suo grifo le biade sacre a questa Dea.
Deor. ci dice che la rappresentavano con una pelle di capra sulle spalle, con un’asta e un piccolo scudo e i calzari rovesciati ; ma che questa non era nè la Giunone Argiva, nè la Giunone Romana. […] Cicerone e Plauto rammentano questo Dio Summano, ma non ne spiegano gli attributi : Plinio nel libro ii, cap. 52 della sua Storia Naturale, dice soltanto che a questo Dio si attribuivano i fulmini notturni, come a Giove i diurni.
I dice delle due famose streghe Canidia e Sagana, che l’una invocava Ecate, e l’altra Tisifone ; e nel Carme secolare che fu cantato pubblicamente in onore di Apollo e di Diana, tra gli altri ufficii di questa Dea ivi enumerati non è accennato nemmeno quello infernale di Ecate. […] XV) è più confacente a Diana, perchè Lucina, come dice Cicerone, deriva a lucendo, ed appella più propriamente alla Luna145.
Tutte le opere d’arte (qual che si fosse lo maestro che le fece, come dice Dante), furono eseguite secondo le regole architettoniche e le proporzioni matematiche in modo così esatto e preciso, che i più dotti commentatori della Divina Commedia dalle indicazioni che ne ha date l’autore hanno potuto determinarne in numeri concreti le dimensioni geometriche di lunghezza, larghezza e profondità237. […] v ; e asserisce che la terra di quelle isole produceva tutto come nell’età dell’oro, senza bisogno di esser coltivata : « Nos manet Oceanus circumvagus : arva, beata « Petamus arva, divites et insulas, « Reddit ubi cererem tellus inarata quotannis « Ét imputata floret usque vinea ; « Mella cavâ manant ex ilice, etc. » e seguita questa enumerazione per una ventina di versi, conchiudendo : « Jupiter illa piæ secrevit littora genti, « Ut inquinavit ære tempus aureum ; — « Ære, dehinc ferro duravit secula : quorum « Piis secunda, vate me, datur fuga. » Questa descrizione di Orazio potrebbe considerarsi come una amplificazione del passo di Esiodo nelle Opere : « Eroi felici, che disgombro il core « D’affanni, in riva all’Ocean profondo « Soggiorno fan nell’Isole beate, « Ove fecondo il suol tre volte l’anno « Dolci dispensa saporite frutta. » Ma anche Plutarco nella Vita di Sertorio dice, che « perfino i Barbari stessi tengon ferma credenza esser ivi il Campo Elisio e quell’abitazione de’beati decantata da Omero. » 236.
Virgilio, parlando della Fama, la dice sorella dei Giganti Ceo e Encelado, ed aggiunge che « Terra parens ira irritata Deorum « Progenuit. » (Æneid. […] Perciò Giovenale parlando del feticismo degli Egiziani, dice di loro ironicamente : « O sanctas gentes, quibus hæc nascuntur in hortis « Numina. » 76.
La borsa poi, piena di danari, alludeva evidentemente alle umane contrattazioni, poichè il danaro è il rappresentante di tutti gli oggetti godevoli, o, come dice l’inglese Hume, è l’olio che fa girar facilmente e senza attrito le ruote della gran macchina sociale. […] Dai botanici si chiamò mercuriale un genere di piante della famiglia delle Euforbiacee, perchè, secondo quel che dice Plinio, si credeva dovuta al Dio Mercurio la scoperta delle qualità maravigliose che gli Antichi attribuivano a questo genere di piante.
Tralascierò di parlare della Trimurti, o trinità Indiana di Brahma, Visnù e Siva, o di altre triadi poco da questa dissimili ; e mi basta per la spiegazione dei Genii il rammentare soltanto il dualismo, che riconosce due principii, o vogliam dire due cause supreme di tutte le cose, entrambe eterne, l’una opposta e nemica dell’altra ; e, senza aggiungervi nulla di mio, riporterò quel che ne dice un filosofo ortodosso, discepolo e fido seguace di Rosmini, il Pestalozza. […] Il Fanfani invece accenna un altro uso della parola Genio in questi termini : « Di una persona eccellente nella sua arte o in più discipline si ode dire spessissimo : È un genio. » Lo dice infatti lo stesso Tommaseo nel suo Dizionario dei Sinonimi, e son queste le sue parole : « Il genio genera : chi confronta, raccozza, non è un genio. » Nessun vocabolarista, per altro, ammette e registra il Genio Militare e il Genio Civile nel significato d’ingegneria militare e civile, come anticamente chiamavansi.
Quel che di Orfeo dice Orazio nella Poetica è applicabile a tutti i fondatori delle antiche religioni ; dal che deducesi che il governo teocratico fu il primo governo regolare e il primo cemento della civil società288). […] Lo stesso Machiavelli dice chiaramente e senza bisogno d’interpretazione : « Fra tutti gli uomini laudati sono laudatissimi quelli che sono stati capi e ordinatori delle religioni. » E dopo avere attribuito gradatamente qualche parte di laude maggiore o minore secondo la diversa importanza a tutte le altre occupazioni ed arti utili alla umana società, aggiunge con forza mirabile di convinzione : « Sono, per lo contrario, infami e detestabili gli uomini destruttori delle religioni, dissipatori de’regni e delle repubbliche, inimici delle virtù, delle lettere e d’ogni altra arte che arrechi utilità e onore alla umana generazione, come sono gli empii e i violenti, gli ignoranti, gli oziosi, i vili e i da poco.
La favola dice che Scilla era figlia di Forco divinità marina e di Ecate dea infernale, e che in origine era bellissima, ma poi per gelosia di Amfitrite, o, secondo altri, della maga Circe, fu cangiata in un orribile mostro con 6 teste e 12 braccia, e di più alla cintura una muta di cani latranti. […] La geografia ci dice che Scilla è una scogliera sulla costa della Calabria ulteriore I228, ove le onde si frangono romoreggiando con un suono che sembra un latrato : quindi la favola dei cani alla cintura di Scilla ; e che Cariddi è un vortice poco distante, sulla opposta costa di Sicilia presso il faro di Messina.
Il nome di Nettuno, dio e re del mare deriva, come dice Varrone, da un verbo latino (nubere), che significa velare o cuoprire, perchè il mare ricuopre la maggior parte (precisamente tre quarti) della superficie terrestre214). […] Le Ninfe Oceanine, così chiamate perchè figlie dell’Oceano e di Teti, erano, secondo Esiodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di cui farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare che prese marito e fu madre di qualche altra Divinità.
E par, che il nome stesso dice a tal proposito Cicerone chiaramente l’addita : Ceres dicitur quasi Geres a gerendis fructibus, vel ab antico verbo Cereo, quod idem est, ac creo, quod cunctarum frugum creatrix sit, et altrix. […] Negli abissi tien reggia orrenda, e vasta, Proserpina si dice, che vendetta Soltanto agogua Enea deposta l’asta Il ramo a lei sacrò di forma schietta. […] Compiangendo si dice, che accusa, perchè è suo proprio vestire col manto della compassione per ottenere più facilmente l’intento lo sventurato calunniatore, il quale perciò sovente muore nella sua iniquità, giusta quello di Gech 18 Quia calunniatus est, et vim fecit fratri suo ecce mortuus est in iniquitate sua, impari ognuno ad abbominar tal mostro, se vuol essere amico di quel Dio, che per Geremia al 7. così si protesta : Advenae, et pupillo, et viduae non feccris calumniam, et habitabo vobiscum. […] Poi dice : ah ! […] Perciò a se chiama il figlio, e in mesto suono Gli dice : a qual dolor m’hai trascina to, Dovrei punirti, ma pur padre io sono.
Lo stesso Omero dice chiaramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orrore anche agli Dei. […] A null’altro che a rinnovare la miseria dell’avaro Mida, come dice Dante.
In tutte le lingue orientali, le navi di un principe, per quanto si dice, chiamansi sue figlie. […] Poco si dice delle Ninfe infernali se non che tra di esse distinguevasi per bellezza Orfne che dicesi moglie di Acheronte e madre di Ascalafo cui altri danno per madre la Notte. […] Si dice che Seilla ha una voce terribile e che le orrende sue grida rassembrano al muggito del lione ; che è un mostro il cui aspetto farebbe fremere anche un Dio ; che ha sei lunghi colli e sei teste enormi, e in ciascuna testa tre ordini di denti che racchiudono la morte. […] Divenne celebre per le sue cognizioni astronomiche ; fu il primo per quanto narrasi che rappresentò la terra sotto la forma sferica per cui si dice che portava il cielo. […] Per conciliare la favola che dice che le mura di Tebe furono innalzate dall’armonia della lira di Anfione, prentendono alcuni che Cadmo non abbia fondata che una cittadella, la quale pigliò da lui il nome di Cadmea e ch’egli abbia gettato soltanto le fondamenta della città.
Anche questa stranezza potrebbe spiegarsi come un simbolo della forza distruggitrice del tempo, che logora, come dice Ovidio, pur anco le dure selci e i diamanti 23.
Anche a tempo di Augusto i Persiani adoravano come loro Nume supremo il Sole ; e Ovidio ci dice che gli sacrificavano il cavallo per offrire una veloce vittima al celere Dio (ne detur celeri victima tarda Deo).
Questa stessa frase nel poema dell’Ariosto adopra Ruggiero, quando per significare che avrebbe ucciso il figlio dell’Imperator Costantino egli dice : e sia d’Augusto Divo.
Infatti dice espressamente Ovidio che nel Caos l’aria era priva di luce.
Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta inondazione ; un altro simile si vede nella parte più elevata di Tivoli.
I più dotti commentatori di Dante, e tra essi anche il canonico Bianchi di onorata memoria, interpretano questo passo cosi : « per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto al numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e moltiplicandolo per cento, come dice Dante, ne verrebbero 3 milioni di Dei, adorati dai Simoniaci.
Non ci vuol molto a immaginare i più strani mostri formati di membra diverse di ogni genere di animali ; ma ne deriva, invece dell’ ammirazione e del diletto, il disgusto e il ridicolo, come dice Orazio al principio dell’Arte Poetica : « Humano capiti cervicem pictor equinam « Jungere si velit, et varias inducere plumas « Undique collatis membris, ut turpiter atrum « Desinat in piscem mulier formosa superne, « Spectatum admissi risum teneatis, amici ?
Gli stessi Baccanali introdotti in Roma da un Greco di oscura nascita (Grœcus ignobilis, come dice Tito Livio) e vituperosamente celebrati in adunanze clandestine furono legalmente perseguitati dal Console Postumio, e quindi proibiti dal Senato l’anno 566 dalla fondazione della città, e 186 anni avanti Gesù Cristo.
I cacciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità che quella acquistata con questa trista fine ; ma, come dice un moderno poeta : « Trar l’immortalità dalla sua morte « È una sorte meschina, o non è sorte. » Dopo altre vicende che poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la gloria di atterrare quell’immane belva ; e il diritto che egli avea di prender per sè il teschio e la pelle del cinghiale lo cedè ad Atalanta.
Il fuoco poi, come dice Bacone da Verulamio, è la mano delle mani, lo stromento degli stromenti, l’aiuto degli aiuti di tutte le arti degli uomini.
E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti, ovvero alla parte più interna dei tempii e delle case ove questi Dei erano adorati37.
Così Dante nel descrivere i Giganti, che ora fortunatamente più non esistono, dice : « Natura certo, quando lasciò l’arte » Di sì fatti animali, assai fe’ bene.
Virgilio imitando Omero dice che Giove con un cenno faceva tremar tutto l’Olimpo (Æneid., ix), e Orazio non lascia da aggiunger nulla di più affermando, che facea muover tutto a un balenar di ciglio (Od., iii, 1).
Virgilio che nelle sue Egloghe imitò Teocrito’ Siracusano, (e lo dice egli stesso al principio dell’ Egloga 6ª in questi due versi : « Prima Syracosio dignata est ludere versu « Nostra, nec erubuit silvas habitare, Thalia), » invoca nel 1° verso della famosissima Egloga 4ª le Muse Siciliane : « Sicelides Musœ, paulo majora canamus ; » e nell’ultima Egloga la Ninfa Aretusa, perchè Dea siciliana : « Extremum hunc Arethusa, mihi concede laborem. » 30.
Vi ha chi dice, che l’Egida era fatta dalla pelle della capra Amaltea da Giove a lei donata. […] Omero non ci dice in questo poema in qual maniera fu presa Troja, contento soltanto di aver descritto gli effetti dell’ira di Achille. […] Macrobio ne’ suoi Saturnali ci dice la ragione, onde Ebone sotto la figura di un toro era adorato : Taurum vero multiplici ratione ad Solem referri Aegyptius cultus ostendit, vel quia apud Heliopolim taurum Soli consecratum, quem Netiron, seu Neton cognominant : vel quia bos Apis in civitate Memphi solis instar excipitur : vel quia in oppido Hermunti magnifico Apollinis templo consecratum Soli colunt taurum .
Infatti, secondo la teoria di Hutton, adottata generalmente come la più probabile, dice il geologo Strafforello, i materiali di questi strati furono depositati originariamente dall’acqua nella solita forma di sedimento, ma furono poi alterati e quasi cristallizzati dal calore sotterranco del sottoposto strato vulcanico.
Ma vero fondatore di quella città è detto dalla storia essere stato Sisifo, figlio di Deucalione (altri dice d’Eolo), capo dei Sisifidi che tennero lo stato finché non furono cacciati dai Pelopidi.
Giunone stessa cosi dice ad Eolo Dio dei venti : « Sunt mihi bis septem præstanti corpora Nymphœ. » (Virg., Æneid.