Poichè dir si può che lo merita, quando la cagione di meritarlo è palese. […] Da questi cotanto uniti e disposti fino al morire, per questa ingiuria come vi è corrisposto, quando anche una sola notte con poche facelle potrebbe aprir la strada ad una larga vendetta, se fosse lecito a noi ricompensare il male col male ? […] Onde avviene che parimenti ringraziamo le vostre sentenze, mentre al contrario di quello che s’opera dagli uomini, s’opera da Dio ; poichè quando siamo da voi condannati, siamo assoluti da Dio. […] Tuttavia, quando io ceno, compro le roba da voi altri. […] Anche l’eccesso delle prime austerità dei Cristiani era necessario : bisognova che vi fossero dei martiri della castità, quando vi erano pubbliche inverecondie ; penitenti coperti di cenere e di cilicio, quando le leggi autorizzavano i più grandi delitti contro i costumi ; eroi della carità, quando vi erano mostri di barbarie : finalmente, per istrappare tutto un popolo corrotto ai vili combattimenti del circo e dell’arena, bisognava che la Religione avesse, per così dire, anch’essi i suoi atleti ed i suoi spettacoli nei deserti della Tebaide.
Differiva pertanto da Minerva, quando era considerata anch’essa come Dea della guerra, quanto le furibonde sommosse differiscono dalle regolari battaglie. […] Ma non la chiamavano bella i vinti, e neppure i Romani stessi quando furono soggiogati dai barbari e fatto a brani il romano impero177. […] I mitologi aggiungono che fu cangiato in gallo da Marte un suo soldato di nome Elettrione, perchè non fece bene la guardia, quando egli andò a far visita a Venere, e il Sole lo scuoprì. […] Di Marte infatti si raccontano diversi aneddoti poco edificanti ; basti il dire che quando accadeva qualche fatto scandaloso, si attribuiva subito a Marte : sì poco buona stima si aveva di lui per morale condotta ! […] Dante aveva osservato che gli astri riflettono una luce più rossa quando si vedono sul limite estremo dell’orizzonte, e specialmente dalla parte di ponente, ove son più spessi i vapori dell’atmosfera ; e tanto più questo fenomeno si manifesta nel pianeta di Marte, che per natura sua è sempre più rosso di tutti gli altri.
E non è necessario di aver scoperto come Balboa dall’alto delle Ande il grande Oceano equinoziale per esser compresi di maraviglia all’idea dell’Immenso e cader prostrati a terra, com’esso, o almeno « Colle ginocchia della mente inchine » come diceva il Petrarca ; ma basta l’essersi trovato o di giorno o di notte, « O quando sorge o quando cade il die » in mezzo olle onde dove non apparisce più terra alcuna e null’altro vedesi che Cielo ed acqua209), per sentirsi intenerito il core210) e rapita in estasi l’immaginazione211). […] Ma quando P. […] Le Ninfe Oceanine, così chiamate perchè figlie dell’Oceano e di Teti, erano, secondo Esiodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di cui farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare che prese marito e fu madre di qualche altra Divinità. […] Così la materia è tenuta avvinta coll’assidua osservazione dei fenomeni e colle reiterate esperienze, e quando essa, dopo aver subìto tutte le fasi dell’analisi e della sintesi, ritorna nella forma primitiva, rivela allora il segreto richiestole. […] Il Giusti attribuisce principalmente alla famiglia dei Medici la distruzione delle libertà d’Italia, dicendo che essa ordì « Una tela di cabale e d’inganni « Che fu tessuta poi per trecent’anni ; » ed eran precisamente 300, quando il Giusti così scriveva, cominciando a contare da Cosimo I.
Asserivano i mitologi che le Parche avevano l’ufficio di determinare la sorte degli uomini dal primo istante della nascita a quello della morte ; e che ne dessero indizio con un segno sensibile singolarissimo, ma invisibile ai mortali, cioè per mezzo di un filo di lana, che esse incominciavano a filare quando nasceva una persona, e che recidevano, quando quella persona doveva morire. […] Infatti « Stavvi Minos orribilmente e ringhia, « Esamina le colpe nell’entrata, « Giudica e manda secondo che avvinghia, cioè per mezzo della sua coda, come spiega Dante stesso ; diversamente nessun l’avrebbe indovinato ; perciò soggiunge subito dopo : « Dico che quando l’anima malnata « Gli vien dinanzi, tutta si confessa ; « E quel conoscitor delle peccata « Vede qual luogo d’Inferno è da essa : « Cingesi con la coda tante volte « Quantunque gradi vuol che giù sia messa250. » V’è anche « ….. […] Altri Dei e mostri mitologici non mancano nell’Inferno di Dante, anzi vi sono a iosa ; e li noteremo a tempo e luogo, cioè quando dovrà parlarsene nel corso regolare della Mitologia. […] « Correndo viene, e ’l muso a guisa porta « Che ’l bracco suol, quando entra in sulla traccia. […] « E quando Lachesis non ha più lino, « Solvesi dalla carne, ed in virtute « Seco ne porta e l’umano e il divino. » (Purg.
Ebe oltre ad esser la dea della gioventù, mesceva il nettare agli Dei, quando erano a convito con Giove ; perciò si rappresenta come una giovanetta ingenua e gentile con un’idria in mano ed in atto di mescer da quella la celeste bevanda. […] E di queste ci occuperemo principalmente, non però subito, in questo capitolo, per evitare la monotonia dello stesso argomento, ma quando se ne presenterà l’occasione nel parlare di altre divinità odiose a questa Dea, o di famiglie o di popoli da essa perseguitati. […] Ottenutala, la diede in custodia ad Argo che aveva cento occhi, cinquanta dei quali erano sempre aperti e vigilanti anche quando Argo dormiva. […] Questo mito è un anello di congiunzione fra la Mitologia classica e il Feticismo egiziano, e rende qualche probabile ragione di così strano culto, come osservammo pur anco nella guerra dei Giganti, quando gli Dei che ebber paura si trasformarono in bestie. […] Omero quando rammenta Giunone accenna quasi sempre o ai grandi occhi o alle bianche braccia di questa Dea, facendone un distintivo e, a quanto pare, un pregio della medesima.
Ma intanto è bene osservare per la precisa intelligenza delle poetiche frasi, che Apollo è considerato più generalmente come il vero e proprio nome, e che Febo trovasi spesso usato come aggettivo o epiteto ; e si adopra assolutamente come nome quando si vuole indicare esclusivamente il Sole106). […] Apollo giurò ; ma tosto si pentì di aver giurato quando seppe il folle desiderio del figlio. […] Un’altra solenne prova diede Apollo della sua infallibile valentia nel tirar d’ arco, quando dopo il diluvio uccise a colpi di freccie il terribile e micidiale serpente Pitone nato dal fango della terra e dall’infezione dell’aría. […] Del serpente Pitone dovremo parlare altra volta, quando nel trattar degli Oracoli si verrà a rammentare e descrivere l’ufficio della Pitonessa del Tempio di Delfo. […] E per indicare che non sempre l’arte medica può ottenere quest’utile effetto che è lo scopo delle sue cure, fu aggiunto che Esculapio, a richiesta di Plutone, morì fulminato da Giove : il che evidentemente significa, che la suprema legge della natura, quando ha decretato la dissoluzione dei corpi anche meglio organizzati, rende nulla la scienza e l’arte degli uomini.
Aveva Apollo il titolo di Musagete (condottier delle Muse), quando consideravasi come il maestro di queste Dee. […] Egli dice che « ……………… quando « Il Tempo colle sue fredde ali vi spazza « Fra le rovine (dei sepolcri), le Pimplèe fan lieti « Di lor canto i deserti e l’armonia « Vince di mille secoli il silenzio. » Più comuni e perciò più generalmente noti sono gli appellativi delle Muse, derivati dai monti Elicona, Pindo e Parnasso, dal bosco Castalio, dal fiume Permèsso e dalla fontana Ippocrene, luoghi da loro frequentati. […] A Dante non sfuggì neppur questo mito ; anzi per la stessa ragion che lo mosse nella invocazione alle Muse a rammentare la punizione delle Piche, cioè a terrore degl’invidi, rammentò poi nell’invocare Apollo la punizione di Marsia : « Entra nel petto mio, e spira tue, « Sì come quando Marsia traesti « Dalla vagina delle membra sue. » (Parad. […] « Si rade volte, padre, se ne coglie, « Per trionfare o Cesare o poeta, « (Colpa e vergogna delle umane voglie), « Che partorir letizia in su la lieta « Delfica deità dovria la fronda « Peneia, quando alcun di sè asseta.
Ma quando la romana costanza che trionfò di tutti gli ostacoli e di tutte le più dure prove non fu abbastanza forte contro le prosperità e le ricchezze, e si lasciò vincer da queste, le idee morali cominciarono ad esser neglette ed obliate, e la religione stessa perdè il suo prestigio e la sua dignità, e non servì più allo scopo altamente sociale per cui fu istituita. […] xxii del Purgatorio, relativamente a questi primi Cristiani : « Vennermi poi parendo tanto santi, « Che quando Domizian li perseguette, « Senza mio lagrimar non fur lor pianti. […] Dante estese il significato legale di gentili a tutte le persone dello stesso partito, e precisamente a tutti i Ghibellini (considerandoli come componenti una sola famiglia per gl’interessi comuni che avevano) quando egli disse all’ Imperatore Alberto Tedesco nel Canto vi del Purgatorio : « Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura « De tuoi gentili, e cura lor magagne. »
Il volgo però vi presta va pienissima fede, e tanto più allora quando in alcuni luoghi invalse l’uso nei trivii di offrir delle cene ad Ecate, che lasciate intatte da questa Dea eran poi ben volentieri divorate dai poveri. […] Questo secondo tempio esisteva ancora quando l’apostolo Paolo andò a predicare il cristianesimo agli Efesii ; e poichè egli voleva abolire il culto di Diana, poco mancò che non fosse massacrato dagli orefici di quella città, che guadagnavano molto vendendo tempietti d’argento fatti ad imitazione di quello di Diana Efesina146. […] Endymion vero, si fabulas audire volumus ut nescio quando in Latmo obdormivit, qui est mons Cariæ, nondum, opinor, est exporrectus.
Con questo concetto e sotto questo punto di vista furono introdotti i Satiri nelle Belle-Arti, quando cioè si volle rappresentare qualche cosa di giocoso e di bizzarro. […] Talvolta gli scultori pongono le figure dei Satiri per cariatidi ; della qual parola dà una bella spiegazione l’Alighieri nella seguente similitudine : « Come per sostentar solaio o tetto « Per mensola talvolta una figura « Si vede giunger le ginocchia al petto, « La qual fa del non ver vera rancura « Nascere a chi la vede ; così fatti « Vid’io color, quando presi ben cura. » Due Satiri posti per cariatidi si vedono in Firenze nella facciata di un antico palazzo ora appartenente alla famiglia Fenzi. […] Le Feste Terminali eran celebrate agli ultimi di febbraio, che fu per lungo tempo l’estremo mese dell’anno, poiché quando Numa vi aggiunse i mesi di gennaio e di febbraio, fece precedere il gennaio e seguire il febbraio ai dieci mesi dell’anno di Romolo.
Inoltre la Balena con tutta la sua gigantesca statura, che quando alza l’enorme sua testa perpendicolarmente fuori dell’acqua, l’illuso marinaio la crede uno scoglio ; e per quanto sia straordinaria e tremenda la sua forza, che quando flagella furiosamente le onde colla potente sua pinna produce una piccola tempesta e ne rimbomba il suono per le solitudini dell’artico Oceano come il romor del cannone, pur tuttavia ben lungi dall’avere spiriti guerreschi e sanguinarii, è assolutamente priva di coraggio ; per cui se anche un uccelletto marino le si posa sul dorso, le cagiona grande inquietezza e paura. […] « Fuor della grotta il vecchio Proteo, quando « Ode tanto rumor, sopra il mare esce ; « E visto entrare e uscir dall’Orca Orlando, « E al lido trar sì smisurato pesce, « Fugge per l’alto Oceano, oblïando « Lo sparso gregge : e sì il tumulto cresce, « Che fatto al carro i suoi delfini porre, « Quel dì Nettuno in Etiopia corre.
Con pari ardore si mise Apollo ad inseguirla, e già slava per raggiugnerla, quando frodate vide del tutto le sue speranze; perciocchè ella al padre raccomandandosi fu tramutata in alloro. […] Consentì Giove a tale richiesta, sebbene a malgrado; ma quando a lei presentossi, un fulmine da lui uscito l’ incendiò. […] Fu detto da’ Romani, che quando trattossi di fabbricare il Tempio di Giove Capitolino, le statue degli altri Dei per rispetto cedettero il luogo, ma il Dio Termine stette fermo. […] Fu ucciso da Teseo, e condannato nell’ Inferno a spinger sull’ erta di un monte un gran sasso, che quando è vicino a toccare la cima, al basso nuovamente ricade. […] Il fuoco era di buon augurio quando udivasi alla sinistra, perchè giudicavasi proveniente dalla destra di Giove; non così se udivasi al contrario.
I Latini non adottarono questo nome, ma bensì l’aggettivo che ne deriva, e davano l’appellativo di Dionisie 200) alle feste di Bacco, che quando proruppero in eccessi ributtanti, oltre che Baccanali furono dette anche Orgie da un greco vocabolo che significa pur esso furore. […] Mida, che era avarissimo, chiese di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava, e Bacco gliel’accordò ; ma presto egli ebbe a pentirsi di avere ottenuto una tal grazia, poichè quando si pose a mensa trovò con suo grande spavento che si cangiavano in solido oro non solo i vasellami e le stoviglie che egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevande che mettevasi in bocca, e presto sarebbe morto di fame in mezzo all’oro, se non avesse ottenuto da quel Nume benigno la cessazione di sì funesto dono. […] Dante assomigliò la potenza del riso di Beatrice su di lui all’effetto dei fulmini di Giove sopra Semele : « Ed ella non ridea : Ma, s’io ridessi, « Mi cominciò, tu ti faresti quale « Semele fu, quando di cener fessi. » (Parad.
Di fiori ha un serto, che il gran Giove diè Ad ella quando assisesi lassù ; Lei promette a donzelle alta mercè, Perchè più bella, e la più antica fù. […] E che altro infatti significar essa volle quando spedi un cignale terribile a desertare le Campagne del re di Calidone Eneo ? […] Egli fa che il mortal vacilla, e trema Quando le porte del furor disserra, E quando il sacro olivo innalza, e afferra. […] Spada, e bilancia ha in man, con questa prova Scandagliare, e punir dritti sol prezza Giustizia è scudo all’uom quando la trova. […] Per tutto spïa cautamente accorta, Rango, bella, saper non mai rispetta, Tremenda giunge quando men si aspetta, Immensi danni, e rari beni apporta.
Infatti in Grecia richiedevasi 1° che l’eroe da considerarsi come un Dio fosse figlio di una Divinità o per padre o per madre ; 2° che vivendo avesse compiute imprese straordinarie per valore o per ingegno a prò dell’umanità ; e 3° che solo dopo la morte, e quando in lui si riconoscessero le due precedenti condizioni fosse considerato e adorato qual Nume. […] Questa stessa frase nel poema dell’Ariosto adopra Ruggiero, quando per significare che avrebbe ucciso il figlio dell’Imperator Costantino egli dice : e sia d’Augusto Divo.
Questa, quando lo seppe, agitata dall’invidia, dalla vergogna e dai rimorsi, perdè la ragione e si diede la morte. […] Anche i poeti latini, quando volevano significare che una cosa era impossibile o incredibile, o almeno che essi la stimavano tale, dicevano : « Crederò prima che esista la Chimera. » Cosi, per esempio, Ovidio nelle Elegie : « …..
Raccontano i Mitologi ed i poeti, e più estesamente di tutti Ovidio nelle Metamorfosi, che quando nacque Meleagro, le Parche comparvero nella stanza ove Altea partorì, e, gettato nel fuoco un ramo d’albero, dissero : « tanto vivrai, o neonato, quanto durerà questo legno ; » e subito dopo disparvero63. […] Ma quando seppe che Meleagro aveva ucciso gli zii, all’amor materno cominciò a prevalere la pietà dei fratelli uccisi e l’orrore per la scelleraggine del figlio ; e dopo molti e strazianti contrasti vinse finalmente l’ira, e preso il fatal ramo lo gettò tra le fiamme.
E quando Enea li consegna a suo padre Anchise, li chiama patrii Penati 33. […] Sappiamo infatti anche dagli storici essere stata comune opinione che quegli stessi idoli degli Dei Penati venuti da Troia fossero custoditi dalle Vestali in luogo nascosto ai profani insieme col Palladio, sacre reliquie troiane, che nessun vide giammai, ma nella cui esistenza tutti credevano ; — e quando si tratta di credere, non v’è bisogno di dimostrazione ; sola fides sufficit.
Il viaggio di andata e ritorno era un po’ lungo e richiedea qualche mese di tempo : talchè quando giunse in Roma la statua della Dea, il morbo pestilenziale, già pago delle vittime fatte a suo bell’agio, era cessato. […] Cureti significa Cretensi, ossia dell’isola di Creta, perchè ivi in origine abitavano quando nacquero Giove, Nettuno e Plutone.
Anche i poeti cristiani quando parlano di cose mitologiche e di fenomeni fisici usano la parola Natura nell’antico significato filosofico. Così Dante nel descrivere i Giganti, che ora fortunatamente più non esistono, dice : « Natura certo, quando lasciò l’arte » Di sì fatti animali, assai fe’ bene.
Così sagrificavano alla Febbre per non esserne attaccati, I Romani invocavano la Paura, perchè non li avesse sorpresi quando combattevano. […] Ma il Destino geloso della felicità di Admeto era presso a troncare i suoi giorni, quando Alceste che lo amava alla follìa, si offrì di morire per lui. […] Suscitarono una pestilenza spaventevole in Tebe ; si ebbe ricorso all’oracolo, e la risposta fu, che il flagello cesserebbe allora quando l’uccisore di Lajo fosse stato riconosciuto, e punito. […] I Trojani erano al punto di attaccarvi il fuoco, ed Ettore si era già accostato ad uno de’ più belli, quando sopraggiunse arditamente Ajace, per opporsi al figliuolo di Priamo. […] Fu consultato l’oracolo : la risposta fu, che il malore cesserebbe, quando si fosse sacrificata a Bacco una vittima umana, ed in mancanza di questa la stessa Calliroc.
Nei primi tempi non fecero distinzione fra stelle e pianeti ; e questi pure chiamarono stelle ; e solo quando si accorsero che avevano un movimento molto diverso da quello apparente delle Stelle, e apparentemente molto irregolare, li chiamaron pianeti, cioè corpi erranti. […] Anzi Dante considerando forse che un simil vocabolo trovasi anche in Ebraico in significato di eccelso (poichè deriva da El, uno dei nomi ebraici di Dio), l’adoprò con questa doppia allusione per indicare l’ eccelso Sole, cioè Dio, quando nel C.
Non è però possibile scambiarla o confonderla con altre Dee, quando si vede rappresentata in un carro tirato da serpenti alati, o vogliam dire draghi volanti, ed avente in mano una o due faci accese : si riconosce subito Cerere che va in cerca della smarrita Proserpina. […] Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare.
Ma qualunque fosse l’origine dell’uomo, secondo i diversi mitologi, convenivano però tutti nell’asserire, che quando Saturno fu esiliato dal Cielo era già la specie umana sparsa in diverse regioni del mondo, e che nel territorio ove ora è Roma esisteva un regno, di cui la capitale era sul monte Gianicolo. […] Aggiungono i Pagani che in questo tempo anche gli Dei celesti soggiornavano cogli uomini, perchè erano innocenti ; ma quando questi divennero malvagi, gli Dei si ritirarono tutti, e ultima partì Astrea, cioè la Giustizia32.
Servivasi Venere del cèsto per le solenni occasioni ; e non mancò di adornarsene quando si presentò a Paride che doveva decidere chi fosse la più bella tra le Dee. […] Ma quando era considerata come moglie e madre, dipingevasi splendidamente vestita con aurei ornamenti e col cinto donatole da Vulcano.
Nel medio evo, al risorger delle lettere e delle scienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella, e quando le persone entravano le salutava. […] Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità fossero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti che avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo che ciascuna aveva speciali attributi per distinguersi dall’altra.
Le 49 Danaidi micidiali dei loro mariti furon condannate nel Tartaro ad empir d’acqua infernale una botte pertugiata, o come altri dicono sfondata, con l’ironica e beffarda promessa che sarebbe cessata la loro fatica, quando la botte fosse piena. […] Perciò quando egli nel Canto xix con devota ammirazione esclama : « O somma sapïenza, quanta è l’arte « Che mostri in Cielo, in Terra e nel mal mondo, « E quanto giusto tua virtù comparte !
Ma perchè non pochi dei miti, o simboli religiosi dei greci e dei romani politeisti furono espressi con splendide e bellissime immagini e in uno stile impareggiabile dai loro più sublimi poeti, e in appresso accolti e adottati nel linguaggio poetico degl’italiani, nasce quindi il bisogno di conoscerli ed illustrarli, e, quando è possibile, decifrarli.
Ma quando nella pagana religione si giunse ad abusare dell’apoteosi col deificare per vile adulazione i potenti della Terra non solo dopo la loro morte, ma pur anco in vita, si cadde allora nell’abiezione del feticismo, si tolse tutto il prestigio al culto degli altri Dei ; e gli uomini ragionevoli sentirono il bisogno di una religione più pura e più razionale.
Fu nonostante convenuto, ad istanza della madre Vesta Prisca, che regnasse Saturno ; ma Titano vi acconsentì soltanto a patto che Saturno non allevasse figli maschi, intendendo di riserbarsi, non meno di diritto che di fatto, aperta la strada al trono o per sè o per i propri figli Titani, quando Saturno a sua volta fosse stanco di regnare.
Il Pontefice Massimo quando avea scelto una di queste giovanette, per consacrarla Vestale usava la semplice formula : Te, Amata, capio.
Perciò queste Divinità non erano soltanto astrazioni filosofiche o personificazioni poetiche, ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare che quando si stabilì il loro culto pubblico e fintantochè si mantenne, il popolo credeva nell’esistenza della Virtù ; e solo dopo le orribili guerre civili, allo spegnersi della repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la bestemmia che egli per disperato dolore proferì nell’atto di uccidersi : « O Virtù, tu non sei che un nome vano !
E quando nel dar la spiegazione di qualche mito o favola non v’è da citare qualche verso o espressione di Dante, riporto esempii di altri poeti italiani, quali sono il Petrarca, il Poliziano, l’Ariosto, il Tasso, il Monti e il Foscolo.
Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente sin dalla origine del mondo o degli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò general ministra e duce « Che permutasse a tempo li ben vani « Di gente in gente e d’uno in altro sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni della Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mortali.
A questa favola allude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi : « A guisa del parlar di quella vaga (la Ninfa Eco) « Ch’amor consunse come Sol vapori ; » e fa questa similitudine per dar la spiegazione che quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come dice Dante : « Due archi paralleli e concolori « Nascendo di quel d’entro quel di fuori, » ciò avviene per riflessione dei raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon della voce.
Parlata del Tevere ad Enea, quando gli comparve in sogno : « O sate gente Deûm, trojanam ex hostibus urbem « Qui revehis nobis, æternaque Pergama servas, « Expectate solo Laurenti, arvisque latinis ; « Hic tibi certa domus, certi (ne absiste) Penates.
E quando nel Canto xxxii del Purgatorio vuole affermare che i 7 celesti candelabri ardenti non li spengerebbero i più opposti e gagliardi venti, egli dice « Che son sicuri d’Aquilone e d’Austro, » nominando i venti più opposti e più procellosi.
Bellona, il cui nome è di origine tutta romana, derivando da bellum cioè dalla guerra, era creduta sorella del Dio Marte ed auriga del medesimo nelle battaglie, quando egli combatteva dal suo carro.
Non poteva salire a cavallo, nè giurare, nè toccar fave od ellera o carne crud[ILLISIBLE] e gli era vietato di veder lavorare la gente ; laonde quando passava per le strade, un araldo lo precedeva per avvisare gli operai che sospendessero i loro lavori.
Ne riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama che dal fulmine percosso « E non estinto sotto a questa mole « Giace il corpo d’Encelado superbo : « E che quando per duolo e per lassezza « Ei si travolve o sospirando anela, « Si scuote il monte e la Trinacria tutta ; « E dal ferito petto il fuoco uscendo « Per le caverne mormorando esala, « E tutte intorno le campagne e ’l Cielo « Di tuoni empie, di pomici e di fumo77). » Ed è questo uno dei più evidenti esempi a dimostrazione del modo con cui gli Antichi trasformavano in racconti mitologici la descrizione dei naturali fenomeni.