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7. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. […] Anche il culto di Ercole Tebano fu introdotto nella stessa regione da Evandro ed accolto dai popoli limitrofi in ringraziamento dell’averli Ercole liberati da quel mostro dell’assassino Caco, « Che sotto il sasso di monte Aventino « Di sangue fece spesse volte laco. » Della qual liberazione e del qual culto non solo ragionano a lungo Virgilio nel lib.  […] Quando dunque dai Mitologi si parla di Dei stranieri adorati dai Romani non si deve intender delle greche Divinità che i Romani conoscevano e adoravano sin dall’origine di Roma, ma di tutte le altre di qualsivoglia nazione delle quali era ammesso o almeno tollerato il culto in Roma, dopo che fu accordata la cittadinanza romana a tutti i popoli conquistati. […] Quantunque i Greci sotto Alessandro Magno, e trecento anni dopo di loro i Romani sotto Cesare, Marc’ Antonio ed Augusto, avessero conquistato l’Egitto, poche e sconnesse notizie ci hanno tramandato gli scrittori di ambedue quelle nazioni relativamente al feticismo Egiziano ed alle idee religiose che quel popolo annetteva al suo stravagantissimo culto. […] Nè gli Egiziani si contentavano di adorare queste due Divinità sotto la forma dei suddetti animali, ma tenevano nel loro tempio e prestavano il loro culto ad un bue vivente a cui davasi il nome di Bue Api.

8. (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248

Il principale suo culto consisteva a tenere sempre vivo il fuoco, che ai raggi solari ogni anno si raccendeva nelle calende di Marzo. […] La sua figura non lusinghiera pareva che dovesse spaventare i pastori piuttosto che riscuotere da essi un culto. […] Il suo culto era in voga presso i Romani : i Greci però non han punto conosciuta questa Divinità. […] La fedeltà, o la buona Fede aveva il suo culto nel Lazio prima di Romolo. […] Il di lui culto era etesissimo nell’Egitto.

9. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Quindi il culto di questa Dea fu affidato ad alcune sacerdotesse chiamate le Vergini Vestali. Il culto di Vesta per altro è antichissimo, poichè Virgilio asserisce che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. […] Se poco hanno avuto da inventare e da raccontarci i mitologi sulla vita semplice e monotona che attribuirono a questa Dea, molto ci hanno narrato gli storici romani sulla importanza del culto di Vesta e dell’ufficio delle Vergini Vestali in Roma. Il culto di Vesta aveva importanza non solo relativamente alla religione, ma pur anco alla politica. […] Il culto di Vesta, fu abolito in tutto l’impero romano nel quarto secolo dell’èra cristiana dall’imperator Teodosio il Grande.

10. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

Perciò queste Divinità non erano soltanto astrazioni filosofiche o personificazioni poetiche, ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare che quando si stabilì il loro culto pubblico e fintantochè si mantenne, il popolo credeva nell’esistenza della Virtù ; e solo dopo le orribili guerre civili, allo spegnersi della repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la bestemmia che egli per disperato dolore proferì nell’atto di uccidersi : « O Virtù, tu non sei che un nome vano ! » Per lo contrario nei migliori tempi della Repubblica non troviamo facilmente che fossero eretti tempii e prestato culto pubblico a divinità viziose o credute protettrici del vizio. […] Ma della Dea Nèmesi, Dea della vendetta, era pubblico il culto ; e fu generale tra i Pagani il sentimento che lo ispirava. […] Vero è che in Roma nel culto pubblico e nel tempio che erale stato eretto, questa Dea fu adorata come figlia di Giove e della Giustizia, e perciò come rappresentante la giusta vendetta, ossia la punizione di quelle colpe che non cadono sotto la sanzione penale delle comuni leggi umane : riferivasi dunque piuttosto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo della guerra, che alle vendette particolari dei privati cittadini. […] Ma non tutte queste allegoriche divinità ebbero culto pubblico e tempii presso i Pagani : delle Virtù però molte, come abbiam detto di sopra nominandole ; dei Vizii ben pochi.

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