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13. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

L’Asia minore offriva in ogni sua parte la mescolanza degli Dei eleganti della Grecia colle superstizioni del paese. […] Il culto, simbolo vano, non era più da veruna credenza rafforzato, e conservavasi per consuetudine a cagione delle sue pompe e delle sue feste. e soprattutto de’ suoi legami colle istituzioni dello Stato. […] Quante volte, senza riguardo a voi, di sua autorità l’inimico volgo ci assale colle pietre e cogl’incendj ! […] Siamo soliti di congregarci, acciocchè, orando avanti a Dio, quasi, per dir così, fatto uno squadrone, l’assediamo colle preghiere. […] 155 Sembrano a me i fiori più vaghi, mentre son liberi o sciolti, e vaganti per ogni parte, che non se sono ristretti in corona : noi godiamo delle corone solo colle narici.

14. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231

Questa noiosa monotonia dell’altra vita anche negli Elisii, come la descrivevano gli Antichi, fu un poco interrotta colla invenzione della Metempsicòsi, immaginata dal filosofo Pitagora253. […] Sisifo, figlio di Eolo, infestò l’Affrica e l’istmo di Corinto co’suoi ladroneggi e colle sue crudeltà ; e dopo la morte fu condannato nel Tartaro a spinger sulla cima di un monte un gran masso, che tosto ricadendo a valle rendeva eterna la sua pena. […] Ma Belo coll’insistenza e colle ostilità lo costrinse a cedere ; e Danao allora per tentar di assicurarsi la vita macchinò un misfatto, che 49 delle sue figlie eseguirono, qual fu quello di uccidere i loro sposi la prima sera del loro matrimonio. […] Notabilissimi sono i principii filosofici dai quali deduce la reità dei motivi a delinquere, o come dice il Romagnosi, la spinta criminosa, considerandola in ragion composta coll’ingiuria che risulta dal commesso delitto, ossia colla violazione dei doveri morali verso Dio, verso sè stesso, e verso il prossimo. […] « L’ipotesi dell’ anima del mondo, dice il Pestalozza, non è erronea per sè stessa, ma pel solo motivo che in essa l’anima s’immedesima colla divina sostanza, supponendosi emanata da questa, ovvero sussistente eternamente con essa. » Questo stesso filosofo rosminiano chiama Antropomorfismo il politeismo greco e romano, perchè, dic’ egli, « gli Dei della natura presero forma e natura umana.

15. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

XII La Titanomachia e la Gigantomachia Per intender bene le vere cause di queste guerre convien risalire al patto di famiglia fra Titano e Saturno, la cui violazione produsse nel Cielo la prima guerra fraterna che terminò colla prigionia di Saturno e di Cibele (vedi il n° VI). […] Ora sono i soccombenti ed oppressi Titani che tentano colla forza di ricuperare il perduto possesso del celeste regno. […] La famiglia dei Titani privata del trono, prima per frode, e poi per forza 69, esiliata dal Cielo ed oppressa, tenta di riacquistar colla forza ciò che colla forza erale stato tolto70. […] Il teatro della guerra fu dunque nella Grecia continentale sui confini della Macedonia colla Tessaglia ; e l’immane combattimento ebbe il nome di pugna di Flègra 74) dalla prossima antica città di questo nome, poi chiamata Pallène.

16. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

A quest’epoca si riferiscono le più straordinarie imprese condotte a termine colla forza e col senno degli uomini, assistiti e protetti dalle Divinità. […] Nel Medio Evo dopo la caduta del romano Impero e le irruzioni dei Barbari, se non si rinnovò precisamente un circolo similare di tutte le antiche fasi sociali, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato della greca e della romana civiltà, come dice il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritornò per altro colla dissoluzione di tutti gli ordini sociali il predominio della forza in tutto il suo furibondo vigore e il così detto diritto della privata violenza. […] Scendendo ora a parlare dei principali Eroi, e Semidei e Indigeti di quest’epoca, convien prima di tutto determinare l’estensione, o vogliam dire la durata dell’età eroica ; ed io l’accennerò prima di tutto colle parole stesse del nostro Giovan Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca. » Volendo poi determinare cronologicamente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso della distruzione di Troia, poichè si trova in taluni Autori la differenza di più di un secolo ; ma seguendo la Cronologia greca più accreditata colle modificazioni di Petit-Radel nel suo Examen critique, troveremo almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Cerere allora ricorse a Giove, che per questo caso strano consultò il libro del Fato, nel quale trovò il decreto irrevocabile, che se Proserpina avesse mangiato o bevuto nell’ Inferno, non avrebbe potuto esser libera e ritornar colla madre. […] Si venne allora ad una transazione, e fu convenuto per la mediazione di Giove che Proserpina restasse 6 mesi dell’anno col marito Plutone nell’inferno, e gli altri 6 mesi colla madre sulla terra54. […] Quando poi s’incominciò a rappresentare l’estate presso a poco come Cerere, cioè colla corona e col covone di spighe, e inoltre la falce da grano, parve anche necessario l’aggiungere il distintivo del mazzo di papaveri all’immagine della dea Cerere. […] Lo dimostrano di fatto, colle loro dotte investigazioni sui tempi mitologici ed eroici, Bacone da Verulamio, il Vico, Mario Pagano ed altri.

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269

E il Dio Pane gareggiando con Apollo ad onorare in quella pianta la prediletta Ninfa, formò di sette canne di diversa lunghezza, unite fra loro colla cera, un musicale stromento, che in greco chiamavasi col nome stesso della Ninfa, cangiata in canna, cioè Siringa, in latino fistula e in italiano sampogna 11. […] i delle Metamorfosi, che cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suonasse la lira, ma gli raccontasse pur anco la favola di Pane e Siringa : « S’io potessi ritrar come assonnaro « Gli occhi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa che ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco, la quale era stata da Giunone cangiata in voce, in punizione della sua loquacità, e condannata a tacere se nessun le parlava, ed a ripeter soltanto le ultime voci di chi le dirigeva il discorso : favola ricavata evidentemente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco. […] Anche a tempo di Cicerone, com’egli racconta nelle sue epistole familiari, esisteva sotto quel colle un antro consacrato da Evandro al Dio Pane. […] Ma perchè questo improvviso e mal fondato timore debba chiamarsi pànico, ossia prodotto dal Dio Pane, anzichè Plutonico, o diabolico, o altrimenti, cerca di spiegarlo la Mitologia ; la quale, dopo avere asserito che il Dio Pane soggiornando nelle solitudini più selvagge e piene di sacro orrore, spaventa da quelle colla sua terribil voce i passeggieri, vi aggiunge, quali prove di fatto, diversi aneddoti riferiti nelle antiche storie, come per esempio, che il Dio Pane al tempo della battaglia di Maratona parlasse a Fidippide Ateniese, e gli suggerisse il modo di spaventare i Persiani ; che la voce di questo Dio, uscita dalle sotterranee caverne del tempio di Delfo, atterrisse e mettesse in fuga i Galli che volevano saccheggiare quel ricchissimo tempio, ecc.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

Dovendosi ora parlare de’suoi ufficii speciali diremo che, considerata come la Luna, immaginarono i mitologi che essa sotto la forma di una avvenente e giovane Dea percorresse le vie del Cielo in un carro d’argento o d’avorio tirato da 2 o 4 cavalli bianchi ; ma non seppero inventare alcuna graziosa favola sulle fasi lunari ; e in quanto alle ecclissi lasciarono correre la volgare e grossolana opinione che l’oscurazione di questo astro dipendesse dagl’incantesimi degli stregoni, i quali colle loro magiche parole avessero tanta potenza da trarre la Luna dal Cielo in Terra per farla servire alle loro male arti. […] Sappiamo infatti che anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i popoli della Tessaglia facevano alti rumori con stromenti ed utensili di metallo per liberar di travaglio la Luna, credendo così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ; che un esercito perdè la battaglia fuggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si oscurasse e rasserenasse la faccia della Luna. […] Una più terribile punizione inflisse Diana al cacciatore Atteone, il quale essendo penetrato in un boschetto ov’era una fonte in cui si bagnava Diana colle sue Ninfe, la Dea gli gettò dell’acqua sulla faccia e lo trasformò in cervo, che nel fuggire fu raggiunto dai suoi propri cani e da essi miseramente dilaniato. […] E gli uffici che le si assegnavano eran pur essi fantastici e paurosi ; poichè dessa mandava fuor dal regno delle ombre i notturni spettri a spaventare i viventi, e usciva talvolta in persona colle anime dei morti a girare intorno ai sepolcri e pei trivii ; spingeva i cani ad urlare orribilmente per le vie, e proteggeva le maliarde e le streghe nei loro incantesimi.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Ma Omero fa raccontare a Vulcano stesso che il trattamento brutale di esser precipitato dal Cielo in Terra (per la qual caduta divenne zoppo) lo ricevè essendo già adulto, e non da Giunone, ma da Giove, poichè il poeta così introduce Vulcano a parlar colla madre : « …….Duro egli è troppo « Cozzar con Giove. […] Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. […] Erravano però nel credere che il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natura diversa da quello terrestre, non sapendo essi che risulta egualmente da combustione o ignizione di materie più o meno infiammabili ; e soltanto gli astronomi moderni colle loro analisi spettroscopiche hanno dimostrato sinora, che nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altrettanti Soli generalmente molto più grandi del nostro, ma composte presso a poco degli stessi elementi. […] e che noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fenomeni del lampo e del fulmine, benchè in piccole proporzioni, colla macchina elettrica ?

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

I Fauni erano antiche divinità campestri d’origine italica15 : in appresso si confusero coi Satiri, ma non furon mai rappresentati colle gambe e colle corna di capra16. […] Il nome di Vertunno, che davasi al Dio delle stagioni e della maturità dei frutti, colla sua latina etimologia a vertendo, (cioè dai cangiamenti operati dalle stagioni sui prodotti della terra) dimostra l’origine italica e romana di questo Dio. […] Ha nel sinistro braccio una pelle indanaiata di tigre, e co’polpastrelli, cioè colla sommità delle punte delle dita, regge penzo loni un grappolo d’uva matura ; il quale un Satirino d’allegrissima vista, che gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi téma che egli nol vegga, cautamente piluccando. » Non sarà inutile l’osservare per chi studia la propria lingua, che l’espressione indanaiata di tigre, riferibile a pelle, sebbene accolta e registrata nei Vocabolarii italiani, putirebbe ora di lucerna e di affettazione, ed equivale alla più semplice e più dell’uso comune pelle tigrata.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316

Tra i lavori moderni poi è da rammentarsi la testa di Medusa dipinta da Leonardo da Vinci, che si ammira nella Galleria degli Uffizi in Firenze, e la statua di Perseo colla testa di Medusa in mano, opera egregia in bronzo fuso, di Benvenuto Cellini, che è posta sotto le loggie dell’ Orgagna in Piazza della Signoria. […] Nel tempo che l’Orca avanzavasi per ingoiarla, passò per aria Perseo sul caval Pegaso, e accortosi del pericolo di Andromeda volò tosto in soccorso di lei ; ma non potendo pervenire ad uccidere il mostro colla spada, perchè era più duro d’uno scoglio, lo pietrificò col teschio di Medusa. […] Perseo, dopo aver fatto prodigi di valore colla spada, vedendo che si perdeva troppo tempo ad uccidere i nemici uno alla volta, perchè pochi compagni aveva per aiutarlo, mise fuori la testa di Medusa e pietrificò nell’istante quanti la guardavano ; ed anche Fineo ebbe la stessa sorte. Dipoi volle Perseo tornar colla sposa a riveder sua madre Danae ; e nel passare dalla Mauritania gli fu negata l’ospitalità dal re Atlante ; il quale avea saputo dall’Oracolo, che per quanto egli fosse di statura e di forza gigantesca, dovea tutto temere da un figlio di Giove.

23. (1874) Ristretto analitico del dizionario della favola. Volume I pp. -332

Lachesi filava gli avvenimenti della vita : e Atropo, la più vecchia, tagliava, colle forbici, il filo, e cosi dava fine alla vita dell’uomo. […] Ale-Deo. — Dio alato, soprannome dato a Mercurio perchè si dipinge colle ali ai piedi. […] So che Anfione agli nomini salvatici Colla lira insegnò l’umanità. […] Aposteosi. — Nome della cerimonia colla quale i Romani annoveravano fra gli Dei i loro imperadori dopo la morte. […] Mentre s’accinge Ad incurvarlo colla quarta prova E spezzarlo, d’ Achille il folgorante Brando il prevenne arrecator di morte.

24. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Della mitologia in generale. » pp. 17-359

Corse poi opinione che Giove, impietosito da Cerere, concedesse a Proserpina (53) di passare sei mesi dell’anno colla madre e gli altri sei col marito. […] Il Corvo ed il Cigno (120) furon sacri ad Apollo, denotando colla differenza del colore, che a questo Nume era noto tutto ciò che soglion produrre sì i giorni che le notti. […] Altri adopri aste e corazze ; Io guerreggio colle tazze. […] Siechè Mercurio, per calmarne la collera, gli regalò la lira, della quale era già reputato inventore. […] Gli Dei, che le avevano preposte a tormentare le anime dei perversi, le destinavano anche a gastigare gli uomini in vita con tutti i flagelli della celeste collera.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

Pelia non osando di dargli un aperto rifiuto, lo seppe talmente allucinare colle idee della gloria e dell’onor nazionale, che lo impegnò a riconquistare il vello d’oro che ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restituirgli il regno al suo ritorno, ma sperando in cuor suo che sarebbe perito in quella impresa. Fu costruita la nave per questa spedizione coi pini del monte Pelio e colle quercie della selva di Dodona sacra a Giove, e, aggiungono i poeti, sul disegno dato da Minerva stessa, per significarne la perfetta costruzione. […] Approdati gli Argonauti nella Tracia o bene accolti da Fineo, vollero per gratitudine liberarlo dalle Arpie, ed oltre a cacciarle dalla reggia colle armi, le fecero inseguire per aria da Calai e Zete, figli di Borea, che avevano le ali come il loro padre ; i quali le respinsero fino alle isole Strofadi, ove poi furono trovate da Enea nel venire in Italia, come a suo luogo diremo. […] E sebbene la presenza e il braccio di tanti famosi Eroi rendesse sicura qualunque impresa da compiersi colla forza, trovaron per altro che questa non bastava a conquistare il Vello d’oro : bisognava ancora vincer gl’incanti, nelle quali arti i Greci eran novizii in confronto dei Colchi70.

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

E non è necessario di aver scoperto come Balboa dall’alto delle Ande il grande Oceano equinoziale per esser compresi di maraviglia all’idea dell’Immenso e cader prostrati a terra, com’esso, o almeno « Colle ginocchia della mente inchine » come diceva il Petrarca ; ma basta l’essersi trovato o di giorno o di notte, « O quando sorge o quando cade il die » in mezzo olle onde dove non apparisce più terra alcuna e null’altro vedesi che Cielo ed acqua209), per sentirsi intenerito il core210) e rapita in estasi l’immaginazione211). […] XI) che agli Dei davasi il titolo di Padre in segno di affettuosa venerazione ; e l’Oceano lo merita al par di Giove, e pei grandi benefizii che arreca agli uomini colle innumerevoli e maravigliose produzioni ; ed anche, secondo la Mitologia, pel gran numero dei suoi figli, che Esiodo fa ascendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. […] È rappresentata questa Dea come un’avvenente giovane con una reticella da capelli che le cinge la testa, – probabilmente a significare la pesca colla rete. […] Così la materia è tenuta avvinta coll’assidua osservazione dei fenomeni e colle reiterate esperienze, e quando essa, dopo aver subìto tutte le fasi dell’analisi e della sintesi, ritorna nella forma primitiva, rivela allora il segreto richiestole.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

Sappiamo poi che nelle case dei più ricchi politeisti romani v’era il Larario, ossia la cappella dei Lari ; e nelle altre, almeno un tabernacolo colle statue o immagini di questi Dei, le quali spesso ponevansi ancora dentro certe nicchie nei focolari, parola questa che alcuni etimologisti notano come composta colla voce Lari 38. […] v della Repubblica, ov’egli parla, per dirlo colla frase del Romagnosi, dei fattori dell’ Incivilimento.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

Da queste idee filosofiche derivò il titolo di Ottimo Massimo che davasi a Giove dai romani politeisti ; e Cicerone stesso spiega questi due attributi colle seguenti parole : « Il popolo romano chiamò « Giove Ottimo per i suoi benefizii e Massimo per la sua potenza » 59. […] Ma ben io, se il voglio, « Lo trarrò colla terra e il mar sospeso : « Indi alla vetta dell’immoto Olimpo « Annoderò la gran catena, ed alto « Tutte da quella penderan le cose. […] Perciò questo duplice titolo di Ottimo Massimo lo troviamo attribuito a Dio anche nella religion cristiana ; e si vede indicato colle iniziali D.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

Cupido è rappresentato come un fanciulletto, grazioso in apparenza benchè maligno in effetto, colle ali d’oro, e d’oro l’arco, gli strali e la faretra ; e si aggiunge dai poeti ch’egli è cieco o bendato ; e questi son tutti simboli dell’Amore facili a spiegarsi, ed a cui si fanno interminabili allusioni in verso e in prosa. Parve strano ai mitologi ed ai poeti meno antichi che Cupido si occupasse sempre a saettar colle sue freccie uomini e donne, Dei e Dee, senza pensar mai a scegliersi una sposa per sè ; e inventarono una complicatissima favola, una specie di romanzetto all’uso di quelli delle Fate del medio evo, o delle Mille e una notti, e conclusero che dopo mille prove a cui Cupido, nascondendo l’esser suo, sottopose la curiosità e la fiducia della sua eletta, sposò finalmente e rese felice col più invidiabile degli imenei la bella e vivacissima Psiche. […] Psiche è rappresentata come una giovanetta delicatissima colle ali di farfalla, per alludere all’immortalità dell’anima, derivandone il concetto dalla crisalide che si trasforma in farfalla.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goethe ce ne dà prova egli stesso colla sua quanto mirabile altrettanto fantastica invenzione del Fausto. […] Perciò Dante oltre al chiamarli Demonii e Diavoli, li chiama ancora angeli neri, come nel Canto xxiii dell’ Inferno : « Senza costringer degli angeli neri, « Che vengan d’esto fondo a dipartirci. » Nelle Belle Arti spesso i Genii dei Pagani furono rappresentati in figura d’imberbi giovanetti colle ali come Cupido, e allora potrebbero facilmente confondersi cogli Angeli dei Cristiani ; ma per altro hanno quasi sempre qualche distintivo, perchè per lo più tengono nelle mani la patera o il cornucopia. […] Per altro i Genii delle persone con caratteri e distintivi pagani furono ammessi anche nell’arte cristiana, e si vedono per lo più nei monumenti sepolcrali in atto mesto e colla face rovesciata o spenta, simbolo di morte.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

Perciò queste Divinità non erano soltanto astrazioni filosofiche o personificazioni poetiche, ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare che quando si stabilì il loro culto pubblico e fintantochè si mantenne, il popolo credeva nell’esistenza della Virtù ; e solo dopo le orribili guerre civili, allo spegnersi della repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la bestemmia che egli per disperato dolore proferì nell’atto di uccidersi : « O Virtù, tu non sei che un nome vano !  […] Anche Orazio mette in versi la preghiera di un ladro a Laverna, Dea dei ladri, in cui alla furfanteria è congiunta la ipocrisia colle parole da justum sanctumque videri, perchè cioè quel ladro non si contentava di rimanere impunito, ma voleva anche apparire agli occhi del mondo uomo santo e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284

Amadriadi poi è un greco vocabolo composto, che significa insiem colla quercia, o come si è detto di sopra, coll’albero ; e davasi questo titolo a quelle Ninfe la cui esistenza era legata alla vita vegetativa di una data pianta ; inaridendosi la quale, oppure essendo recisa o arsa, periva ad un tempo la Ninfa Amadriade. — Questi termini essendo significativi degli attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro che non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano non solo i poeti greci e i latini, ma altresì, benchè più di rado, gl’ italiani. […] XXXIV ; ed è collegata colla favola di Narciso.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91

Considerarono come un pianeta anche il Sole : e così colla Luna e gli altri 5 pianeti visibili ad occhio nùdo ne annoverarono sette, e attribuirono a ciascuno di essi una Divinità che vi presiedesse o li dirigesse nel loro corso. […] Ora convien parlare delle Divinità che dirigevano il Sole e la Luna, e parlarne a lungo, prima in generale, e poscia particolarmente, perchè la fantasia dei mitologi e dei poeti non venne meno così per fretta a inventar miti fantasmagorici e dilettevoli su queste due Divinità, alle quali diedero il nome di Apollo e di Diana, che poi identificarono col Sole e colla Luna.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325

Di lui ci dicono i Mitologi che si ritirò insieme colla moglie in una solitudine, e che ivi furono ambedue cangiati in serpenti, e posti da Plutone a guardia degli Elisii. La qual metamorfosi sta a significare che egli si ritirò insieme colla moglie dalla vita pubblica e finì oscuramente i suoi giorni.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143

Perciò i Greci, che nelle loro celebri guerre contro lo straniero invasore opraron molto co senno e con la mano, e vinsero aiutando l’eroico valore colla strategia e cogli strattagemmi di guerra, preferivano il culto di Minerva a quello di Marte ; e lasciarono che lo adorassero, devotamente i Traci, i quali, come dice Orazio, avevano il barbaro costume di terminar con risse e pugne anche i conviti. […] Trovasi infatti in Cicerone : Marte nostro, per significare colle nostre forze, cioè col nostro ingegno e senza l’aiuto di alcuno.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-

Egli infatti colle indicazioni astronomiche ci fa conoscere non solo i giorni del suo viaggio allegorico, ma pur anco le ore diverse di quei giorni. […] iv delle Metamorfosi : « Clauserat Hippotades æterno carcere ventos. » Orazio chiama Eolo ventorum pater, volendo colla parola pater significare Deus, secondo che abbiamo detto altra volta spiegando il titolo di padre dato ad Apollo anche da Dante ; e per la stessa ragione Virgilio appella Giove pater omnipotens.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

VII Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio Poichè i mitologi, e specialmente i poeti latini, ci raccontano che Saturno esiliato dal Cielo si fermò in Italia alla corte di Giano su quel celebre colle che tuttora chiamasi Gianicolo (abitazione di Giano) ; ed essendo questa la prima volta che noi troviamo un Dio che abita e conversa familiarmente con gli uomini, convien premettere qualche osservazione sull’origine della specie umana. […] Aveva in una mano una chiave, e nell’altra una verga : la prima significava non solo che Giano era il celeste portinaio, ma ancora il custode delle case ; e colla verga si voleva far supporre che egli indicasse ai viandanti la strada.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202

La sua poetica descrizione è tanto chiara ed evidente che molti cultori delle arti belle, e tra questi lo stesso Michelangiolo, hanno potuto rappresentarla senza alcuna difficoltà colla matita e col pennello. […] Inoltre colle analisi spettrali che dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior parte delle sostanze che si conoscono sul nostro globo239, si venne a confermare i raziocinii dei geologi, che cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizione come il Sole, e che a poco a poco raffreddandosi avesse formato le rocce ignee, acquee, metamorfiche, ecc. ; insomma tutti i diversi strati, sull’ultimo dei quali abitiamo.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131

Come nunzio di Giove e di tutti gli Dei dovendo Mercurio far molti viaggi in Terrà e nell’Inferno, per diminuir le distanze e guadagnar tempo colla velocità, si metteva il petaso e i talari, e volava celere al pari del vento153. […] In principio aveva la sola verga ; ma un giorno, come raccontano i poeti, avendo egli trovato due serpenti che si battevano, li percosse colla sua verga per separarli e dividerli ; ed essi attortigliandosi a quella rimasero in atto di lambirsi in segno di pace154.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

Omero inventò che Ulisse, volendo udire il canto delle Sirene e schivare qualunque pericolo, si fece legare all’albero della nave, avendo otturate prima le orecchie colla cera ai suoi compagni, e detto loro qual direzione tener dovessero per non accostarsi troppo agli scogli ov’esse abitavano. […] Inoltre la Balena con tutta la sua gigantesca statura, che quando alza l’enorme sua testa perpendicolarmente fuori dell’acqua, l’illuso marinaio la crede uno scoglio ; e per quanto sia straordinaria e tremenda la sua forza, che quando flagella furiosamente le onde colla potente sua pinna produce una piccola tempesta e ne rimbomba il suono per le solitudini dell’artico Oceano come il romor del cannone, pur tuttavia ben lungi dall’avere spiriti guerreschi e sanguinarii, è assolutamente priva di coraggio ; per cui se anche un uccelletto marino le si posa sul dorso, le cagiona grande inquietezza e paura.

41. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103

Tutti i poeti fanno a gara a descriverla di bellezza maravigliosa e immortale, con le bianche e le vermiglie guance 111), colla fronte di rose e coi crin d’ oro. […] « Da tutte parti saettava il giorno « Lo sol ch’avea colle saette conte « Di mezzo ’l ciel cacciato il capricorno. » (Purg.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14

I corpi elementari, secondo gli antichi, non erano più di quattro, cioè : terra, aria, acqua e fuoco 3 ; mentre i fisici e i chimici moderni colle loro analisi, ne hanno per ora distinti e caratterizzati più di 60 ; e non si stancano di cercarne, nè disperano di trovarne molti altri.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27

Ma le opinioni e le scoperte dei dotti antichi eran tenute nascoste al volgo, e costituivano la scienza segreta, colla quale cercavano d’imporre rispetto alle moltitudini e di tenerle soggette ; e con false immagini e miracolose, quanto più strane e tanto più credute dagl’ignoranti, li pascevano di vane illusioni e li dominavano, « Forse con intenzion casta e benigna, » per rimuoverli dalla vita selvaggia e vincolarli in un più umano consorzio.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

La Vestale che avesse lasciato spengere il fuoco sacro, era battuta pubblicamente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato al voto di castità era seppellita viva, in un campo, detto scellerato, fuori di Roma.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

Quindi Orazio la chiama sœva Necessitas (crudel Necessità) e la rappresenta in atto di portar colla mano di bronzo lunghi e grossi chiodi da travi, e cunei, ossia biette o zeppe, e uncini e piombo liquefatto, simboli tutti di costrizione o coazione15 La parola Fortuna è di origine latina ; deriva da fors significante il caso ; Fortuna è dunque la Dea delle casuali vicende, ma per lo più buone ossia favorevoli agli uomini ; e perciò Cicerone ne deduce l’etimologia a ferenda ope, dal recar soccorso.

46. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Ingegnosissimo è pure il mezzo che fanno adoprare a Prometeo per rapire il fuoco celeste, inventando che egli accese lassù una verghetta o un fascetto di legna ; e cosi vengono a significare il modo usato anche oggidì, in caso di bisogno o per esperimento, di eccitar la fiamma colla confricazione di due aridi legni.

47. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

Trovasi anche rammentato dagli scrittori latini il Dio Anùbi, che gli Egiziani dicevano esser figlio di Osiride, e lo rappresentavano sotto la forma di cane e talvolta di uomo, ma però sempre colla testa di cane, come se ne vedono alcuni idoletti di metallo nel Museo Egiziano.

48. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

Chiamavasi Opi dal nome latino Ops, Opis, che significa aiuto, soccorso, perchè la Terra colle sue produzioni soccorre ai bisogni dei mortali.

49. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

Si rappresentano generalmente seduti in un terreno alquanto declive e colle gambe stese per indicare il corso del fiume e la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di essi presso di sè un’urna da cui esce l’acqua per significar la sorgente ; e se il fiume è navigabile, si pone in mano alla figura del Dio un remo : se poi il suo corso si dirama in due o più alvei, si aggiungono sulla fronte del Nume due corna.

50. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393

Deucalione si rifugia colla sua moglie Pirra sul monte Parnaso, e poi ripopola la Tessaglia.

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