Anche il culto di Ercole Tebano fu introdotto nella stessa regione da Evandro ed accolto dai popoli limitrofi in ringraziamento dell’averli Ercole liberati da quel mostro dell’assassino Caco, « Che sotto il sasso di monte Aventino « Di sangue fece spesse volte laco. » Della qual liberazione e del qual culto non solo ragionano a lungo Virgilio nel lib. […] viii della Farsalia : « Nos in templa tuam Romana accepimus Isim. » Di questa Dea eran devote principalmente le donne ; tra le quali è rammentata da Tibullo la sua Delia, che passò ancora qualche notte avanti le porte del tempio d’Iside a pregar la Dea per la salute di Tibullo stesso che era infermo in Corfù. […] « Qui i coccodrilli, là di velenose « Serpi Ibi sazia a venerar si volta ; « Di sacri omaggi segno eziandio pose « Caudata scimia in fulgid’oro scolta « Là dove a Tebe diroccata accanto « Scioglie i magici suon Mennone infranto.
Egli dice che « ……………… quando « Il Tempo colle sue fredde ali vi spazza « Fra le rovine (dei sepolcri), le Pimplèe fan lieti « Di lor canto i deserti e l’armonia « Vince di mille secoli il silenzio. » Più comuni e perciò più generalmente noti sono gli appellativi delle Muse, derivati dai monti Elicona, Pindo e Parnasso, dal bosco Castalio, dal fiume Permèsso e dalla fontana Ippocrene, luoghi da loro frequentati. […] « Sai che là corre il mondo ove più versi « Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Odesi spesso chiamar estro la poetica ispirazione. […] A Dante piacque questo mito, e rammentando quel che dice Ovidio, che le Muse, per confonder le loro emule presuntuose, cantarono così divinamente da farle rimanere attonite ed atterrite, se ne vale stupendamente coll’ invocar per sè da quelle Dee un simil canto, che abbatta l’invida rabbia de’ suoi nemici : « Ma qui la morta Poesia risurga, « O sante Muse, poichè vostro sono, « E qui Calliopea alquanto surga, « Seguitando il mio canto con quel suono, « Di cui le Piche misere sentiro « Lo colpo tal che disperar perdono130. » (Purg.
Di qui l’accanimento di quella guerra spaventevole che fece terrore ai Romani medesimi, e diè loro per la prima volta a combattere il fanatismo religioso. […] Di questa sorta di gente si fanno i Cristiani,147 cioè di quelli che, deposta l’ignoranza con l’informarsi, incominciano ad odiare quello che furono e professare quello che odiarono : e son tanti quanti vedete che noi siamo. […] Di questo alcuno non si vergogna, alcuno non si pente, se non di non essere stato per lo passato Cristiano. […] Di presente avete meno nemici per la moltitudine dei Cristiani quasi tutti vostri cittadini, anzi quasi cittadini di tutte le città.
« Ella s’adorna il crine, e l’aurea testa « Di rose colte in paradiso infiora. » I pittori pur anco ne fecero ritratti maravigliosi e ispirati, fra i quali meritamente è il più celebre quello dell’Aurora di Guido Reni in Roma. […] Di un altro figlio di Apollo convien qui parlare, perchè il mito o fatto mitologico che di lui si racconta è relativo al Sole. […] « Da tutte parti saettava il giorno « Lo sol ch’avea colle saette conte « Di mezzo ’l ciel cacciato il capricorno. » (Purg.
Di alcune induzioni, che hanno attenenza a questo ragionamento — Si dimostra come i miti furono creduti come una messe, cui ognuno può porre la falce, e dar loro diversi siguificati — Ragioni ed esempii tratti da Depuis, da Esiodo, da Giamblico, da Pitagorici e da Macrobio. 10. […] Tempo già fu, che dilettando i prischi Dell’ Apollineo culto archimandriti Di quanti la natura in cielo e in terra E nell’ aria e nel mar produce effetti, Tanti Numi crearo : onde per tutta La celeste materia e la terrestre Vno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea, che l’alma era del mondo. […] Entro la buccia Di quella pianta palpitava il petto D’ una saltante Driade…. […] Chi sia questo nume ben si scorge da un frammento delle Commedie di Alesside, e noi qui lo riproduciamo secondo la nostra istessa versione dal greco, quale fu prodotto in un’alra nostra opera(2), « A me che un dì rediva dal Peireo, Egra la mente dal pensier de’mali, Filosofare fu talento — Quale Amok si sia, nè pittor, ned altri, Che sculta immago a questo demon fece, Conoscer sembra : posciachè non maschio, Nè femmina, non uom, non è un divino, Non fatuo, non scaltro, è un misto, è un misto Di tutto questo : in un’immagin sola Presenta molti aspetti — un’ardimento Dell’uomo è in lui, muliebre tendenza, Vn’amenzia funesta, una ragione Cordata circospetta, una ferina Veemenza, indomabile fatiga, Vn’ambir prodigioso, e tutto degno Di maraviglia. […] Di letiforo sangue verrà rimescolato tutto l’orbe, se gli uomini infieriti non si rattengono dalla guerra.
Di là udì Cefalo chiamar aura, e agitandosi per dolore e per ira fece tale strepito fra le fronde, che Cefalo credendo nascosta ivi una fiera lanciò il dardo, da cui la misera Procri rimase estinta. […] Di ciò Apollo, avvertito dal corvo, che poi di bianco fu tramutato in nero, uccise Ischi, e Coronide. […] Pomona Dea de’ fruiti fu amata dal Di o Vertunno, cosi chiamalo perchè volgeasi a piacer suo in tutte le forme. […] Di là dell’ Acheronte era il cane Cerbero con tre teste, nato da Tifone e da Echina, ch’ era il custode dell’ Inferno. […] Di ciò orgoglioso volle provarsi con Ercole, e con lui combattendo sotto varie forme, da ultimo cangiossi in aquila.
Di tutte le affezioni dell’animo, e perciò di tutte le Virtù e di tutti i Vizii, hanno gli antichi ed i moderni poeti fatto la descrizione come di tanti esseri soprannaturali, di tante divinità o benefiche o malefiche ; e a seconda di queste descrizioni si sono aiutati gli artisti a rappresentarle in scultura e in pittura. […] E se nei pubblici monumenti non vedonsi che personificazioni di Virtù e di novelli pregi derivati dall’incremento e dal perfezionamento delle Scienze e delle Arti, nei poeti moderni trovansi ancora descritti e personificati i Vizii del loro secolo ; e basterà per tutti citare il Giusti, che ci rappresentò quelli predominanti a tempo suo (cioè nella prima metà del presente secolo) facendone poeticamente l’apoteosi mitologica nei seguenti versi : « Il Voltafaccia e la Meschinità « L’Imbroglio, la Viltà, l’Avidità « Ed altre Deità, « Come sarebbe a dir la Gretteria « E la Trappoleria, « Appartenenti a una Mitologia « Che a conto del Governo a stare in briglia « Doma educando i figli di famiglia, « Cantavano alla culla d’un bambino, « Di nome Gingillino, « La ninna nanna in coro, « Degnissime del secolo e di loro. »
Di che Meleagro irritato, e dalle parole venendo ai fatti, li uccise ambedue. […] Dopo aver narrato che i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame canina resa più acuta dal vedersi dinanzi agli occhi, come Tantalo nell’ Inferno pagano, i pomi e l’acqua senza poterne gustare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime, che « Negli occhi era ciascuna oscura e cava, « Pallida nella faccia e tanto scema « Che dall’ossa la pelle s’informava, cominciò a pensare « Alla cagione ancor non manifesta « Di lor magrezza e di lor trista squama ; » e non potendo trovarla da sè, finalmente, fattosi coraggio, domandò a Virgilio : « ……Come si può far magro « Là dove l’uopo di nutrir non tocca ?
« Ed ei lor sopra realmente adorno « Di corona e di scettro, in alto assiso « L’ira e gl’impeti lor mitiga e molce. […] « Costoro ciascun dì siedon tra il padre « Caro e l’augusta madre, ad una mensa « Di varie carca delicate dapi.
Basterà che io citi Dante che così la chiama in rima e fuor di rima, come nel seguente esempio : « Nella profonda e chiara sussistenza « Dell’alto lume parvemi tre giri « Di tre colori e di una contenenza ; « E l’un dall’altro come Iri da Iri « Parea reflesso, e il terzo parea fuoco « Che quinci e quindi egualmente si spiri. » (Parad. […] Di forme corporee ed in figura umana raramente trovasi Iride dipinta o sculta, e non è mai rappresentata nelle statue, ma soltanto nei vasi ed in alcuni bassi rilievi, come una snella ed aerea giovanetta alata, e talvolta avente in mano un’Idria, quasi ad indicare l’erronea idea degli Antichi che Iride somministrasse l’acqua alle nubi.
Di qui nascevano i tempii, di qui i sacrifizii, di qui le supplicazioni ed ogni altra cerimonia in venerarli, perchè l’oracolo di Delo, il tempio di Giove Ammone ed altri celebri Oracoli tenevano il mondo in ammirazione e devoto. » Da tutte le preaccennate autorità e da altre molte che si potrebbero citare, e delle quali ciascun che legge queste pagine avrà facilmente præ manibus più d’una, si può dedurre con sicurezza di non errare, che gli Oracoli e gli altri modi d’interpretazione della volontà degli Dei furono inventati da prima con intenzion casta e benigna per uno scopo altamente sociale, e che essendo diretti al pubblico bene furono utilissimi, e divennero, come direbbe il Romagnosi, uno dei primi fattori dell’Incivilimento. […] Anche il Giusti chiama santa impostura l’artifizio di Numa nel dare ad intendere al popolo romano che le sue prescrizioni religiose e civili gli erano suggerite dalla Dea Egeria : « Con aspri precetti « Licurgo severo « Corresse i difetti « Del Greco leggiero ; « E Numa con arte, « Di santa impostura « La buccia un po’ dura « Del popol di Marte. » (Apologia del Lotto).
« Messo il puntello, e fattosi sicuro « Che’l mostro più serrar non può la bocca, « Stringe la spada, e per quell’antro oscuro « Di qua e di là con tagli e punte tocca. […] « Di bocca il sangue in tanta copia fonde, « Che questo oggi il mar Rosso si può dire, « Dove in tal guisa ella percuote l’onde, « Che insino al fondo le vedreste aprire : « Ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde « Del chiaro Sol : tanto le fa salire.
« E prima fa che ‘l re con suoi baroni « Di calda cera l’orecchio si serra, « Acciò che tutti, come il corno suoni, « Non abbiano a fuggir fuor della terra. […] « Quasi della montagna alla radice « Entra sotterra una profonda grotta, « Che certissima porta esser si dice « Di chi all’inferno vuol scender talotta.
Entro la buccia Di quella pianta palpitava il petto D’una saltante Driade ; e quel Duro Artico Genio destruttor l’uccise. […] Di là passò in Egitto, ove insegnò pure l’agricoltura, coltivò pel primo la vigna e fu adorato come Dio del vino. […] Di tutte le opere di Vulcano la più maravigliosa fu la statua di Pandera che fu da lui anche animata. […] Di là dell’Acheronte errava il Can Cerbero cui alcuni danno cinquanta teste e che secondo l’opinione comune non ne aveva che tre. […] Di là arrivato a Tebe trovò il paese infestato dalla Sfinge mostro alato nato da Tifone e da Echidna che aveva la testa ed il petto di donna, il corpo di cane, le zampe di leone, la coda di drago e l’ali d’uccello.
Di maggiore importanza erano le Parche, figlie di Giove e di Temi 244, e corrispondevano a quelle Dee che i Greci chiamavano le Mire. […] « Di quaranta persone, appena diece « Sovra il navilio si salvaro a nuoto.
E poichè Virgilio, nel dare un’idea generale dello stato delle anime dopo la morte, accenna ancora la dottrina della Metempsicòsi, ne riporterò qui la traduzione di Annibal Caro, e in nota i versi stessi del poeta latino : « Primieramente il ciel, la terra e ’l mare « L’aer, la luna, il sol, quant’è nascosto, « Quanto appare e quant’è, muove, nudrisce, « E regge un che v’è dentro o spirto o mente « O anima che sia dell’Universo ; « Che sparsa per lo tutto e per le parti « Di sì gran mole, di sè l’empie e seco « Si volge, si rimescola e s’unisce. […] Di alcuni di quei dannati che Dante non rammentò raccolsero i nomi gli Scienziati per formarvi certe particolari denominazioni scientifiche.
Di′ana [Diana], goddess of hunting and of chastity. […] Di′do [Dido]. […] Di′es Pa′ter [Dies Pater], or Father of the Day, a name of Jupiter. […] Di′ræ [Diræ].
Di quest’opera di erudizione letteraria furono pubblicati per saggio xxii capitoli nel periodico fiorentino L’Educazione, e ne fu parlato dal Tommasèo nel fascicolo del dicembre 1873 della Nuova Antologia.
Vi manca soltanto la ribellione degli oppressi ; e questá verrà sotto il regno di Giove, e sarà mirabile e tremenda, « Di poema degnissima e di storia. » 21.
Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Politeismo, come per esempio, il Dio Robigo, la Dea Ippona, il Dio Locuzio, la Dea Mefiti, ecc. ecc. ; e basta conoscere l’etimologia e il significato di questi vocaboli per intendere qual fosse l’ufficio di tali Dei.
La cognizione di questi simboli è necessaria a qualunque italiano desideri accostarsi « ……….. ove più versi « Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Quanto poi alle idee mitologiche dei classici greci e latini riporto nel testo, per chi non conosce le lingue dotte, gli opportuni esempi tratti dalle migliori traduzioni italiane, e registro in nota alcune più speciali citazioni di erudizione linguistica e letteraria a maggiore utilità degli scolari dei ginnasii.
. — Di queste esiste soltanto la seconda, cioè : Prometeo incatenato.
Prima di por termine a questo Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria, anche una lunghissima vita a tutti gli Eroi, non devesi calcolare la loro media e la loro probabile esistenza secondo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti.
. — Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunati o pii, che soli ebbero in sorte o meritarono di scampare dal generale esterminio ?
Di questa sua folle empietà fu terribilmente punita nella causa stessa della sua ambizione o vanità, poichè Apollo e Diana invisibili a tutti saettarono a gara l’uno i figli e l’altra le figlie di Niobe ; e la madre per ineffabil dolore fu cangiata in pietra.
Di lui ci dicono i Mitologi che si ritirò insieme colla moglie in una solitudine, e che ivi furono ambedue cangiati in serpenti, e posti da Plutone a guardia degli Elisii.
Anche le colonie Romane adoravano Marte come loro Dio protettore : e tra queste Firenze che non fu già tutta plasmata da « ….quell’ingrato popolo maligno « Che discese di Fiesole ab antico « E tiene ancor del monte e del macigno, » ma vi fu mista ancora « …….la sementa santa « Di quei Roman che vi rimaser, quando « Fu fatto il nido di malizia tanta. » (Inf.
Di questi tre distintivi non sarà inutile dar la spiegazione, perchè riesce più concludente.
LXIX Di alcune Divinità più proprie del culto romano A render più completa la spiegazione della classica Mitologia, accennerò brevemente alcune feste che celebravansi più specialmente in Roma che altrove.
Di altre che sono totalmente favolose e strane avremo occasione di parlare a lungo in appresso, narrando, sotto il regno di Giove, le vicende di Prometeo e di Pandora, che cronologicamente vengono dopo il regno di Saturno.
« Vero dirò (forse e’parrà menzogna), « Ch’io sentii trarmi della propria immago ; « Ed in un cervo solitario e vago « Di selva in selva, ratto mi trasformo ; « Ed ancor de’miei can fuggo lo stormo. » È facile peraltro l’intendere che qui il Petrarca parla soltanto metaforicamente.
« Nel dritto mezzo del campo maligno « Vaneggia un pozzo assai largo e profondo, « Di cui suo loco dicerà l’ordigno.
Ne riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama che dal fulmine percosso « E non estinto sotto a questa mole « Giace il corpo d’Encelado superbo : « E che quando per duolo e per lassezza « Ei si travolve o sospirando anela, « Si scuote il monte e la Trinacria tutta ; « E dal ferito petto il fuoco uscendo « Per le caverne mormorando esala, « E tutte intorno le campagne e ’l Cielo « Di tuoni empie, di pomici e di fumo77). » Ed è questo uno dei più evidenti esempi a dimostrazione del modo con cui gli Antichi trasformavano in racconti mitologici la descrizione dei naturali fenomeni.
Di mezzo alle più graziose fantasie poetiche degli antichi Mitologi ne spunta di tratto in tratto qualcuna non egualmente felice, ed inoltre poco dignitosa per una divinità, qual fu l’invenzione del Dio Priapo.
« Grandi eran l’ale e di color diverso, « E vi sedea nel mezzo un cavaliero, « Di ferro armato luminoso e terso, « E ver ponente avea dritto il sentiero.
Indice alfabetico Di tutti i termini mitologici e scientifici spiegati in ambedue i volumi di questa mitologia NB.
Di fatti se nell’ applicarsi a qualsivoglia Scienza quell’ordine prima di tutto conviene seguire ; il quale a guisa di luminosa face suole guidare agevolmente il nostro intelletto all’acquisto di ogni più sublime e difficile cognizione ; questa esattezza d’ordine non venne fin’ora osservata dalla maggior parte di quegli Scrittori, che nella nostra Italiana favella ci trasmisero la serie de’ vetusti Favolosi avvenimenti. […] Di tutti i suoi beninon gli restava che una figliuola, di nome Metra, e questa pure egli vendette per isfamarsi. […] Di questo tempio finalmente si racconta, che Tarquinio Prisco, prima di fondarlo, ordinò, che si rimovessero da quel luogo le statue degli altri Nunti, e se ne attetrassero i tempj ; che tutti quegli Dei cedettero senza difficoltà il loro luogo a Giove ; che solamente il Dio Termine(22), e la Dea Ebe, riconosciuta da’ Romani sotto il nome di Giuventa, ossia Dea della Gioventù (23), non vollero cangiare situazione ; e che quindi furono lasciati entro il recinto del nuovo tempio (d).
Quoiqu’il fut le plus puissant des Dieux, il n’eut point d’adorateurs parce que ses arrêts étoient irrévocables, pensée ingénieusement exprimée dans ces vers de Métastase : Se si adorano in terra e perche sono Placabili gli dei ; d’ogn’ altro il fato Nume il piu grande : e sol perche non muto Un decreto giammai, non trovi esempio Di chi voglia innalzargli nu’ ara, un tempio44. […] Nella sorte piu serena Di se stesso il vizio e pena47.