Il suo regno però non fu sempre tranquillo. […] La sempre bella Ebe era la Dea della giovinezza. […] Egli amò varie Ninfe ; ma fu sempre infelice nelle sue intraprese. […] Teseo fu preso vivo, e condannato a restar per sempre nel Tartaro. […] Mai sempre prudente riunì i tesori, e li pose in serbo entro una caverna.
Ozio beato regnò nell’Olimpo, e coll’ozio vennero i vizj, che mai sempre furono la ricreazione dei potenti sicuri. […] E le sue piume son dove la serra a non ben sempre strameggiata terra. […] Non ostante, l’opinione più probabile e più seguitata è che Apollo ha sempre avuto delle donne per interpreti delle sue risposte. […] Veneran sempre gli oltraggiati numi. […] Abiterò sempre nei poggi, e mi mescolerò solamente coi luoghi abitati dagli uomini quando le donne, oppresse da acerbe doglie, mi chiameranno in soccorso.
Egli aveva sempre l’aspetto di giovane197, con volto reso più rubicondo dalle copiose libazioni di vino ; in testa una corona di ellera e di corimbi, ed anche di pampini con grappoli d’uva pendenti ; in mano un tirso (cioè una verga a cui era attortigliata l’ellera, oppure i pampini) ; una pelle di tigre o di pantera gli ricuopriva in parte le membra, nude in tutto il resto ; e viaggiava in un carro tirato da animali feroci, per lo più tigri o pantere. […] Anzi per indicare non tanto la forza del vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza che ne deriva in chi ne abusa, si aggiungevano sulla fronte di Bacco le corna198 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il che significa che non era sempre ubriaco. […] Il nome stesso di Bacco, o che si faccia derivare da un greco vocabolo che significa favellare, ed accenni al vaniloquio dell’ubriachezza, o da altro termine greco significante urlare, e indichi perciò il frastuono dei gozzovigliatori, è pur sempre espressivo dei principali attributi di questo Dio. […] « Sopra l’asin Silen, di ber sempre avido, « Con vene grosse, nere e di mosto umide, « Marcido sembra, sonnacchioso e gravido ; « Le luci ha di vin rosse, enfiate e fumide ; « L’ardite ninfe l’asinel suo pavido « Pungon col tirso ; ed ei con le man tumide « A’crin s’appiglia, e mentre sì l’aizzano, « Casca nel collo, e i Satiri lo rizzano. » Bacco aveva diversi altri nomi e titoli. […] Quel Nume gioviale e nemico della malinconia la consolò subito facendola sua sposa e conducendola sempre seco in continua festa ed allegria.
Perciò Ugo Foscolo nel suo Carme sui Sepolcri parlando del Petrarca, che nelle sue poesie per Madonna Laura aveva sempre adoperato un linguaggio casto e verecondo, lo encomia meritamente e lo chiama con bella perifrasi « …….quel dolce di Calliope labbro « Che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma, « D’un velo candidissimo adornando, « Rendea nel grembo a Venere celeste. » Infatti gli antichi mitologi di più sana mente avean dovuto immaginare un’altra Venere che presiedesse all’Amor puro e casto, e la chiamaron Venere Urania, ossia Celeste, come accenna Ugo Foscolo. […] Parve strano ai mitologi ed ai poeti meno antichi che Cupido si occupasse sempre a saettar colle sue freccie uomini e donne, Dei e Dee, senza pensar mai a scegliersi una sposa per sè ; e inventarono una complicatissima favola, una specie di romanzetto all’uso di quelli delle Fate del medio evo, o delle Mille e una notti, e conclusero che dopo mille prove a cui Cupido, nascondendo l’esser suo, sottopose la curiosità e la fiducia della sua eletta, sposò finalmente e rese felice col più invidiabile degli imenei la bella e vivacissima Psiche. […] Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre. Sino al secolo passato non celebravasi un matrimonio tra persone che sapesser leggere, che subito un poeta qualunque non componesse un epitalamio 188, in cui v’era sempre Imene con le catene, per rima obbligata, a unire gli sposi. […] Aveva quasi sempre presso di sè il fanciulletto Cupido e talvolta anche Imene e le Grazie.
Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice, la quale in quelle pugne in cui prendevano parte anche gli Dei, come nella guerra di Troia, si metteva sempre dalla fazione contraria a Marte. […] Rappresentavasi Marte tutto armato, e con aspetto fiero ; ma talvolta anche nudo ; specialmente nelle statue di marmo e di bronzo (chè il nudo è il campo della statuaria), però sempre almeno coll’elmo in testa e coll’asta nella destra. […] Essendo la guerra il fondamento e la causa della loro potenza, e’ la chiamavano bellum, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino al termine della repubblica e ai primi tempi dell’impero, perchè a fin di guerra riuscivan sempre vincitori e conquistatori176. […] Dante aveva osservato che gli astri riflettono una luce più rossa quando si vedono sul limite estremo dell’orizzonte, e specialmente dalla parte di ponente, ove son più spessi i vapori dell’atmosfera ; e tanto più questo fenomeno si manifesta nel pianeta di Marte, che per natura sua è sempre più rosso di tutti gli altri. […] Gli scritti dei loro classici e dei loro giureconsulti e legislatori fecero risorgere le lettere, le scienze e la civiltà moderna, e varranno sempre a conservarle ed accrescerle, se saranno studiati e meditati come conviensi.
Per questa stessa ragione che anticamente le poesie erano cantate e accompagnate dal suono di qualche musicale istrumento, tutti coloro che compongono poesie dicono sempre che cantano, ancorchè scrivano soltanto o belino versi da fare spiritare i cani, e da cantarsi al suon d’un campanaccio, come diceva scherzevolmente il Redi124. […] Apollo però non fu sempre felice. […] Il lauro d’allora in poi fu sempre la pianta sacra ad Apollo, che se ne fece una corona di cui portò sempre cinta la fronte ; e i poeti subito lo imitarono, e dopo i poeti anche i generali trionfanti e tutti gl’ imperatori, ancorchè non fossero poeti nè mai stati alla guerra. […] Invenzione semplicissima, basata sul nome e la proprietà di questo fiore, di voltarsi sempre dalla parte dove si trova il sole.
Avendo voluto far violenza a Latona, fu egli ucciso da Apollo, e sepolto nel Tartaro, dove occupava collo smisurato suo corpo nove iugeri di terreno, e le viscere sempre rinascenti gli erano rose da due avvoltoi. […] Ma Giove sdegnato col fulmine lo percosse, e lo fe poi dalle furie legare giù nell’ Inferno ad una ruota circondata da serpenti e che sempre gira. […] Lottò con Anteo figlio della Terra, e veggendo che atterrato ei sorgeva sempre più vigoroso, levollo in aria, e il petto gli strinse colle sue braccia sì fattamente, che il soffocò. […] Invano Cassandra figlia di Priamo, che era per destino verace sempre e non creduta mai, gridò che quel cavallo era un’ insidia e che doveva distruggersi. […] I sacrifici eran sempre accompagnati dalle libazioni, che consistevano nel versare del vino (o in mancanza di esso dell’ acqua) in onore del Dio, al quale sacrificavasi.
Quasi sempre ha la falce in mano, o perchè la falce del tempo ogni cosa miete e distrugge. […] Ma di tutti gli Dei Pallade o la Sapienza era più d’appresso al trono di Giove che sempre valevasi de’ consigli di lei. […] Da Omero però è quasi sempre chiamata Pallade Minerva (Παλλας Αθηνη). […] I suoi lunghi crini erano i raggi del sole, e gli si attribuiva una perpetua giovinezza, perchè il sole sorge sempre mai collo stesso splendore. […] Un greco autore dice elegantemente che il Sonno era nè immortale, nè mortale ; che nè fra’ celesti viveva, nè sulla terra ; ma che nasceva sempre e sempre spariva ; e ch’era invisibile, mentre tutti il conoscono.
Ma questo non toglierà che sia sempre necessaria la cognizione della Mitologia greca e romana, nella guisa stessa che la Paleontologia presuppone ed esige la cognizione precedente della storia naturale, perchè è impossibile il dedurre da frammenti di esseri organici fossilizzati, da secoli e secoli non più viventi sulla faccia della terra, la loro antica forma, i loro istinti, le loro abitudini e le loro leggi di vitalità, senza aver prima di queste stesse cose cognizioni esatte negli esseri organizzati viventi. Dunque lo studio della Mitologia greca e romana sarà utile sempre, ed anche sempre più necessario, quanto maggiori progressi verranno a farsi nella Paleontologia mitologica, secondo le eruditissime elucubrazioni dei germani filologi. […] Quindi, benchè d’ora in avanti s’inaridisse per qualche secolo (e non sarebbe un gran danno) la vena poetica degli italiani, o si abolisse (come fu inutilmente tentato un mezzo secolo indietro),. l’uso della Mitologia nei futuri poetici componimenti, resteranno pur sempre necessarie le cognizioni mitologiche per bene intendere il linguaggio poetico di quei sommi, « che non saranno senza fama, « Se l’universo pria non si dissolve. » La Divina Commedia principalmente, che sin dai primi anni della ricuperata indipendenza dagli stranieri, è divenuta il libro nazionale degl’Italiani, esige tra le altre infinite cognizioni anche quelle della Mitologia.
« Temer si deve sol di quelle cose « Che hanno potenza di fare altrui male : « Dell’altre no, chè non son paurose, » diceva Dante nella Divina Commedia ; ma non tutti gli uomini e non sempre possono ragionare freddamente e conoscer subito la causa delle cose ; e per casi nuovi o ignorati o non preveduti avviene spesso che si alteri la fantasia, specialmente del volgo, e si tema ove nessuna ragion v’è di temere. […] Anche Tito Livio racconta molti miracoli nella sua Storia Romana, ma non li garantisce, e aggiunge quasi sempre un si dice, o si crede ; e nella prefazione dichiara esplicitamente che egli non intende di confermarli nè di confutarli12. […] Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panicus terror est). […] Il qual compenso non seppero trovare gl’Italiani ; e perciò per distinzione bisogna dir sempre il Dio Pane.
Perciò Dante oltre al chiamarli Demonii e Diavoli, li chiama ancora angeli neri, come nel Canto xxiii dell’ Inferno : « Senza costringer degli angeli neri, « Che vengan d’esto fondo a dipartirci. » Nelle Belle Arti spesso i Genii dei Pagani furono rappresentati in figura d’imberbi giovanetti colle ali come Cupido, e allora potrebbero facilmente confondersi cogli Angeli dei Cristiani ; ma per altro hanno quasi sempre qualche distintivo, perchè per lo più tengono nelle mani la patera o il cornucopia. […] Questa parola Genio ebbe un gran credito e un grande uso nella lingua latina279), e lo ha tuttora nelle lingue affini e derivate, e specialmente nella italiana ; anzi in queste riceve sempre nuove applicazioni, ossia va sempre acquistando nuovi significati. […] « La gran vitalità « Si vede dalla stampa, « Scrivi, scrivi e riscrivi, « Que’ Genî moriranno « Dodici volte l’anno, « E son lì sempre vivi280). » (La Terra dei Morti.)
Perciò le ore del giorno e della notte essendo sempre uguali di numero dovevano necessariamente esser più lunghe o più corte, secondo le diverse stagioni. […] Infatti da Igiea è denominata Igiene l’arte di conservar la salute, difficilissima in pratica pel gran numero di speciali osservazioni che richiede per ciascuna persona, ma utilissima sempre anche ne’suoi più generali principii, perchè persuadono a schivare qualunque genere d’intemperanza121. […] E per indicare che non sempre l’arte medica può ottenere quest’utile effetto che è lo scopo delle sue cure, fu aggiunto che Esculapio, a richiesta di Plutone, morì fulminato da Giove : il che evidentemente significa, che la suprema legge della natura, quando ha decretato la dissoluzione dei corpi anche meglio organizzati, rende nulla la scienza e l’arte degli uomini. […] Così il Tasso ha scritto : « Sorgeva il nuovo sol dai lidi eoi « Parte già fuor, ma ’l più nell’onde chiuso. » I poeti minori poi non finiscono mai di rammentare le eoe maremme, che rimano sempre con le indiche gemme.
Il suo vero nome primitivo era Ipponoo ; ed è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte, che gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller suo fratello ; di che rimase poi sempre dolente e mesto52. […] Le fu dato ancora volgarmente dai pescatori settentrionali il nome di Regalec, ossia di re delle Aringhe, perchè la trovano sempre in mezzo alle innumerevoli legioni delle aringhe. […] Su queste stesse idee di Iobate eran fondati nei secoli barbari del Medio Evo i così detti Giudizi di Dio, pretendendosi che la Divinità dovesse sempre intervenire a dar la vittoria all’innocente e a far perdere il reo.
Le viscere delle vittime, il canto o il volo degli uccelli, tutte quelle minute osservanze che la guerra mai sempre teneva in vigore, davano continuo alimento alla fede dei soldati. […] Intanto lo scompiglio de’tempi, le frequenti rivoluzioni dello stato, l’ardente curiosità del popolo di conoscer l’avvenire in cui leggea sempre affrancamento e libertà, l’ambizione dei pretendenti all’imperio, e certa qual frenesia scusabile in quella nazione che avea tutto conquistato, che a tutto era stata avvezza, che tutto avea sofferto, empievano le fantasie di mille strane aberrazioni, e davano pieno potere alla fallace scienza degli astrologi. […] Sorpresi, tremano ; accusati, negano ; e tormentati, non sempre confessano con facilità ; condannati, s’attristano, si scolpano, e accusano gl’impeti d’una non ben disciplinata inclinazione, il destino e le stelle, e non vogliono che sia suo quello che riconoscono per male. […] In qualunque ipotesi che immaginare si voglia, si trova sempre che l’Evangelio impedì la distruzione della società : perchè, supponendo da un lato ch’esso non fosse comparso sulla terra, e dall’altro che i Barbari avessero continuato a starsene nelle loro foreste, il mondo romano, marcendo ne’suoi costumi, era minacciato de una spaventevole dissoluzione.
Inoltre lo stesso poeta alla solita pena di Tantalo aggiunge il timore continuo di essere schiacciato da una rupe che sta sempre per cadergli addosso, e il tormento di sapere che egli è immortale, e che perciò la sua pena durerà eternamente. […] Del gigante Tizio che offese Latona, udiremo da Omero qual fosse la pena nel Tartaro : « Sul terren distendevasi e ingombrava « Quanto in dì nove ara di tauri un giogo ; « E due avvoltoi, l’un quinci e l’altro quindi, « Ch’ei con mano scacciar tentava indarno « Rodeangli il cor, sempre ficcando addentro « Nelle fibre rinate il curvo rostro »267). […] Il nome di questa piccola moneta, l’ obolo, ha avuto una gran fortuna e un gran credito ; è passato in quasi tutte le lingue europee traversando più di 30 secoli, ed è rimasto sempre un termine usitatissimo ed elegante dall’obolo di Caronte all’obolo di San Pietro.
Gli uomini di tutti i tempi, dai più antichi ai più moderni, hanno sempre mostrato curiosità di sapere l’origine di questo mondo, o vogliam dire dell’ universo ; e non solo tutte le religioni antiche degl’idolatri inventarono a modo loro una Cosmogonia, ma spesso anche i poeti e i filosofi ne hanno foggiate diverse l’una più strana dell’altra, a gara coi sacerdoti delle varie religioni1. […] Sulla Cosmogonia dunque creduta vera dai Greci e dai Romani, e ammessa come base dei loro miti, convien trattenersi alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto, che la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esistita, ma tutta confusa e mista, in una massa rozza ed informe chiamata Caos (Ovid., Metam.
« Nel 1838 fu pubblicata a Parigi la quinta edizione del Corso di Mitologia dei signori Noël e Chapsal, che è stato sempre favorevolmente accolto dal pubblico, e che riesce molto utile nelle scuole. […] Ma supponendo che la pura traduzione di esso non avrebbe pienamente soddisfatto al bisogno dei primi studj letterarj, abbiamo accresciuto non poco le notizie mitologiche, tenendoci sempre nei limiti di un libro elementare.
Nella terza poi vedremo cambiarsi la scena : le grandi virtù, congiunte sempre a grandissima forza fisica, si considerano incarnate negli uomini dalle Divinità per mezzo di matrimonii misti, che danno origine ai Semidei ed agli Eroi ; e questi son sempre in lotta coi mostri e coi grandi scellerati e ne purgano il mondo.
Dal che si deduce che le Divinità adorate allora nel Lazio e nel territorio stesso ove sorse Roma esser dovevano per la massima parte quelle stesse dei Troiani e dei Greci al tempo della guerra di Troia, poichè Omero in tutta quanta l’Iliade ne rammenta sempre almeno le principali, come adorate egualmente da entrambe le nazioni. […] Trovasi anche rammentato dagli scrittori latini il Dio Anùbi, che gli Egiziani dicevano esser figlio di Osiride, e lo rappresentavano sotto la forma di cane e talvolta di uomo, ma però sempre colla testa di cane, come se ne vedono alcuni idoletti di metallo nel Museo Egiziano.
E in questo stesso significato si usa nelle scienze anche oggidì, per non star sempre a rammentare il nome di Dio : e non solo nelle scienze fisiche, ma pur anco nelle scienze morali, come per esempio, dove si tratta del diritto naturale. […] Il volgo stesso ha sempre pronte sulle labbra le espressioni : è naturale ; naturalmente ; per natura, o di natura sua e simili.
Dalle idee di Omero fu ispirato Fidia nel far la sua celebratissima statua di Giove Olimpico 63, considerata come una delle maraviglie del mondo ; la quale rimase sempre per tutti i seguenti scultori e pittori il primo e più egregio modello dei lineamenti caratteristici di questa suprema divinità del paganesimo64. […] Questa invenzione dell’aurea catena che lega la Terra al Cielo è sempre sembrata sì bella e sapiente, che non solo fu accolta con plauso dai poeti e dai letterati, ma commentata pur anco splendidamente dai filosofi, e tra questi da quel potente e straordinario ingegno del nostro Giovan Battista Vico66.
Perciò si trovan sempre rappresentate come giovinette ingenue, semplicemente vestite, e tutt’al più ornate di fiorellini campestri come le pastorelle. […] Le Ninfe oltre ad esser giovani e belle, erano anche generalmente buone e cortesi ; e perciò tanto nelle lingue antiche quanto nelle moderne, e specialmente nella nostra, questo termine di Ninfa, anche nel senso traslato, cioè non mitologico, ha sempre un significato favorevole.
Ottenutala, la diede in custodia ad Argo che aveva cento occhi, cinquanta dei quali erano sempre aperti e vigilanti anche quando Argo dormiva. […] Omero quando rammenta Giunone accenna quasi sempre o ai grandi occhi o alle bianche braccia di questa Dea, facendone un distintivo e, a quanto pare, un pregio della medesima.
Eran tenuti in grandissima venerazione, e consultati sempre innanzi d’intraprendere cose di gran rilievo, a fine di prevederne l’esito. […] Cieco doveva sempre essere il povero popolo.
Il volgo peraltro vi credeva di certo, perchè l’ignoranza fu sempre un terreno fertilissimo da allignarvi e crescervi qualunque più bestiale errore ; e la storia di tutti i tempi lo prova. […] Ma neppure il termine di Artofilace andò perduto o dimenticato nella poesia italiana ; e chi mai non si allontani da qualche cara cosa o persona fu detto che egli le sta sempre come Artofilace all’Orse (secondo la frase dell’Ariosto), appunto perchè questa costellazione è vicinissima a quelle, e di certo non si scosta mai da quel posto.
E il nostro Dante valendosi della facoltà consentita ai poeti greci e latini, e specialmente dietro l’esempio di Virgilio suo maestro ed autore, costruì un Inferno che sarà sempre una maraviglia non solo della sua fantasia, ma pur anco della sua sapienza morale e politica. […] L’Acheronte, il Cocìto e il Flegetonte scorrevano dentro il Tartaro, ed erano fiumi propriamente da dannati, perchè le acque dell’Acheronte erano corrosive, quelle del Cocìto erano formate dalle lagrime dei malvagi, e nel Flegetonte scorreva un liquido infiammabile (come lo spirito di vino o il petrolio) che sempre ardeva, e serviva per tuffarvi i dannati.
Inoltre per bellezza e comodo si moltiplicheranno sempre gli orologi ; e si può asserire che anche i girarrosti a macchina son più utili degli automi di animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare. […] L’originale latino, mirabile sempre per l’eleganza dello stile e l’armonia del verso, dice così : « Ferrum exercebant vasto Cyclopes in antro, « Brontesque, Steropesque et nudus membra Pyracmon.
E perciò son rammentati quasi sempre scherzevolmente dai poeti, e per gli aneddoti che se ne raccontano rappresentati come i buffoni e i pagliacci delle divinità pagane. […] Ma il verbo piluccare fu anche usato dall’Alighieri nel Canto xxiv del Purgatorio nella seguente terzina : « Ei mormorava ; e non so che Gentucca « Sentiva io là ov’el sentìa la piaga « Della giustizia che si gli pilucca ; » ed inoltre è un vocabolo sempre vivente nel linguaggio comune o dell’ uso.
Così Perseo volando e coperto di armi divine si accostò non visto a Medusa e le tagliò la testa, che dipoi portò sempre seco e se ne servì utilmente per far diventar di sasso chi più gli piacque, come vedremo. […] Proseguendo ora il racconto mitologico delle gesta di Perseo, è da dirsi prima di tutto che dal sangue sgorgato dal teschio di Medusa nacquero molti orribili serpenti, e dal tronco o busto di essa uscì l’alato caval Pegaso, che servì poi sempre di cavalcatura a Perseo.
I medici per sette giorni si recavano a visitare l’illustre infermo (vale a dire la statua di lui) e uscivano dicendo ogni giorno che l’imperatore andava sempre peggiorando.
Questa facoltà poetica di rappresentare con descrizioni o con immagini sculte o dipinte qualunque virtù, qualunque vizio, qualunque idea astratta non è già spenta negli uomini dei nostri tempi ; anzi vedesi sempre rinnuovata non solo nelle moderne poesie, ma pur anco nei monumenti ove le Virtù civili e militari, ed anche le religiose, sono rappresentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici che ne suggeriscono il significato ed il nome, senza bisogno di scriverlo sulla base delle medesime o in qualche parte delle loro vesti o dei loro ornamenti.
. — Felice chi potè conoscer le cause delle cose 84), diceva Virgilio ; e in oggi spingendosi le scienze sempre più arditamente e con prospero successo a far mirabili conquiste nelle regioni del vero, posson chiamarsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle !
Tibullo si maravigliava che il Padre Nilo nascondesse il suo capo in ignote terre26 ; e per quanto i Geografi e i più arditi viaggiatori si sieno affaticati a cercarlo, non son riusciti ancora ben bene, dopo circa 2000 anni, a levarsi questa curiosità : sembra che il Padre Nilo si diverta a far capolino tra i monti dell’Abissinia e si ritiri sempre un poco più in là.
Nè sanno assicurarci se ciò fu per opera di un Dio o del caso : le loro opinioni sono divise, e il dubbio e l’incertezza predominano sempre.
Minerva rappresentavasi con volto serio e maestoso, e quasi sempre armata, coll’elmo in testa, nella sinistra lo scudo detto l’egida e nella destra un’asta ; e ai piedi una civetta o un gufo, animale a lei sacro.
Questa fu da prima chiamata Cadmea dal nome di Cadmo, e poi Tebe, conservandosi però sempre il nome di Cadmea alla fortezza che fu primamente il nucleo della città.
Dopo aver notato questi miti sarà più facile riconoscere le immagini sculte o dipinte della dea Cerere dagli emblemi coi quali è sempre rappresentata.