Era interdetto l’avvicinarvisi gran fatto. […] Ina malattia di tal fatta era di gran dolore all’ aimo di Preto. […] Intorno di essi due ponevasi un gran numero di plù piccoli, i quali rappresentavano le Stelle. […] Questo ramo così preparato portavasi con gran pompa in giro. […] Si trovavano nel medesimo in gran copia l’oro e le gemme.
Dante asserisce che a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta che egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù quel suo celebre viaggio, le tre Furie infernali vedendolo da lontano dall’alto di una torre : « Venga Medusa, sì ‘l farem di smalto, « Gridaron tutte riguardando in giuso ; « Mal non vengiammo in Teseo l’assalto. » E non era un timor panico il suo, perchè Virgilio stesso gli disse tosto : « Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso, « Chè se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi, « Nulla sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo che gli antichi rappresentavano la testa di Medusa nell’Egida, e talvolta nell’usbergo della Dea Minerva ; e Cicerone rimprovera a Verre, tra gli altri delitti e sacrilegii, di avere involato una bellissima testa anguicrinita di Medusa, distaccandola dalle porte del tempio di Minerva in Siracusa49. […] Nel giardino di Boboli vedesi nella gran vasca detta dell’isolotto la statua di Perseo sul caval Pegaso e di Andromeda legata allo scoglio ; ma l’Orca è di così piccole dimensioni da render risibile la paura di Arianna di poter essere divorata da quel piccolo mostro poco più grosso di un granchio. […] Aggiungono inoltre che una gran quantità di stelle cadenti, di cui hanno luogo fiammeggianti pioggie ordinarie circa la metà dell’ agosto e del novembre tutti gli anni, si osserva partirsi di verso la costellazione di Perseo ; e perciò quelle tali stelle cadenti son distinte col nome di Perseidi. […] Il viaggio aereo del mago Atlante sull’Ippogrifo, è così splendidamente narrato dall’Ariosto : « Ecco all’orecchie un gran romor lor viene. […] « Vede la donna un’altra maraviglia « Che di leggier creduta non saria ; « Vede passare un gran destriero alato « Che porta in aria un cavaliero armato.
E poichè Virgilio, nel dare un’idea generale dello stato delle anime dopo la morte, accenna ancora la dottrina della Metempsicòsi, ne riporterò qui la traduzione di Annibal Caro, e in nota i versi stessi del poeta latino : « Primieramente il ciel, la terra e ’l mare « L’aer, la luna, il sol, quant’è nascosto, « Quanto appare e quant’è, muove, nudrisce, « E regge un che v’è dentro o spirto o mente « O anima che sia dell’Universo ; « Che sparsa per lo tutto e per le parti « Di sì gran mole, di sè l’empie e seco « Si volge, si rimescola e s’unisce. […] Sisifo, figlio di Eolo, infestò l’Affrica e l’istmo di Corinto co’suoi ladroneggi e colle sue crudeltà ; e dopo la morte fu condannato nel Tartaro a spinger sulla cima di un monte un gran masso, che tosto ricadendo a valle rendeva eterna la sua pena. […] Costui « La gran pietra alla cima alta d’un monte, « Urtando con le man, coi piè puntando, « Spingea ; ma giunto in sul ciglion non era, « Che risospinta da un poter supremo, « Rotolavasi rapida pel chino « Sino alla valle la pesante massa. […] Il nome di questa piccola moneta, l’ obolo, ha avuto una gran fortuna e un gran credito ; è passato in quasi tutte le lingue europee traversando più di 30 secoli, ed è rimasto sempre un termine usitatissimo ed elegante dall’obolo di Caronte all’obolo di San Pietro.
In gran venerazione fu il sole presso di tutti i Gentili, e spezialmente presso gli Orientali. […] Fu ucciso da Teseo, e condannato nell’ Inferno a spinger sull’ erta di un monte un gran sasso, che quando è vicino a toccare la cima, al basso nuovamente ricade. […] Mentre accolti, dice Esiodo, in Mecona o Sicione, uomini e Numi tra lor disputavano, Prometeo mise innanzi un gran bue furbescamente diviso. […] Adrasto perduti i suoi capitani e gran parte delle sue genti dovette tornarse scornato in Argo. […] Eravi pure in Roma il collegio degli Auguri, nè cosa alcuna di gran momento s’ intraprendeva, prima che questi non avessero deciso se l’ augurio era fausto o infausto.
Convenne far diverse fermate per prender, come suol dirsi, paese, ossia per avere a mano a mano opportune notizie riferibili al luogo e allo scopo del loro viaggio, ed anche per rinnovare le loro provvisioni da bocca, perchè Ercole, oltre ad essere il più forte e robusto eroe, era anche il più gran divoratore, e mangiava per cinquanta, bevendo ancora in proporzione ; e perciò gli avevan messo il soprannome di Panfago, che vuol dir mangia-tutto. […] Dante, amico non timido amico al vero ed al retto67, dopo aver narrato l’inganno di Giasone, non fa come certi lassisti 68 che scusano facilmente i così detti errori giovanili : per lui qualunque inganno dannoso al prossimo, in qualunque età commesso, è non solo meritevole di punizione, ma anche di pena maggiore dell’omicidio ; e perciò mette Giasone nella prima bolgia dell’Inferno fra i dannati che eran puniti « Da quei Dimon cornuti con gran ferze « Che li battean crudelmente di retro ; » e soggiunge : « Tal colpa a tal martirio lui condanna, « Ed anche di Medea si fa vendetta. […] Le Arpie eran mostri che Dante dipinge così : « Ale hanno late e colli e visi umani, « Piè con artigli e pennuto il gran ventre, « Fanno lamenti in sugli alberi strani. » E bisogna aggiungere quel che ne dicono i poeti greci e i latini, che cioè questi mostri avevano l’istinto di rapire i cibi dalle mense e di contaminarle con escrementi che fieramente ammorbavano. […] « Subito il paladin dietro lor sprona ; « Volando esce il destrier fuor della loggia, « E col castel la gran città abbandona, « E per l’aria, cacciando i mostri, poggia.
Menelao nella guerra, che per tale ragione si suscitò tra’Greci e i Trojani, diede saggi di gran, valore. […] Panormo e Gonippo lasciarono, che gli Spartani si accostassero ad essi, e ne uccisero un gran numero. […] Ella è di volto ridente, e coa ambe le mani versa in gran copia oro ed altre cose di sommo pregio. […] Ha appresso di se gran quantità di spine, per esprimere, che al Pigro ogni cosa riesce difficile. […] I Romani parimenti le eressero molti tempj, e un gran numero di statue.
L’oracolo rispose : gettatevi dietro le spalle le ossa della gran madre. — Tutte le risposte degli oracoli erano oscure ed avevan bisogno d’interpretazione (e a suo luogo ne diremo il perchè) ; quindi Deucalione e Pirra non credendo possibile che l’oracolo suggerisse loro (come suonavan le parole intese letteralmente), una empietà o violazione dei sepolcri, interpetrarono che la gran madre fosse la Terra, madre comune di tutti i mortali86), e le ossa della medesima le pietre. […] Per lo scopo nostro, cioè in relazione al diluvio, basta il parlare delle roccie acquee per conoscere come la scienza ammette e dimostra il gran cataclisma del diluvio.
Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di questi due Numi figli di Giove e di Latona, il Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai che era regolato da un Titano di nome Iperione. […] Era Niobe figlia di Tantalo e moglie di Anfione re di Tebe ; e andava superba, come se fosse un gran merito, di aver sette figli e sette figlie ; e perciò dispregiava, non solo in cuor suo, ma pubblicamente, Latona e la stimava a sè inferiore, perchè questa Dea aveva soltanto un figlio ed una figlia. […] « Le isole galleggianti, scrive Humboldt, si formano in tutte le zone ; ne ho vedute nel fiume Guayaquil, da 8 a 9 metri di lunghezza, nuotanti in mezzo alla corrente e portanti gran copia di vegetabili, le cui radici si abbarbicano e s’intrecciano facilmente. » Intorno alla formazione delle medesime, lo stesso autore soggiunge : « Sulle rive paludose dei laghi di Xochimilco e di Chelco l’acqua agitata nella stagione delle piene stacca delle zolle di terra coperte di erba e di radici fra di loro intrecciate.
Inventarono i Greci che Cerere avesse prima che agli altri insegnato l’agricoltura a Trittolemo figlio di Celeo re d’ Eleusi, (antica città greca fra Megara e il Pireo), e che questi sul carro di Cerere tirato da draghi volanti avesse percorso gran parte della terra per insegnar quell’arte agli altri popoli. […] Per questa ragione Virgilio nelle Georgiche loda l’ Italia come gran madre, ossia prima produttrice, delle biade (magna parens frugum)51. […] Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare.
Insomma Zeus era il Dio Sovrano, il Dio per eccellenza; e il concetto che se n’ aveva non differiva gran fatto dall’ idea di Dio che si ha anche ora presso i volghi cristiani. […] Come dea della pace, Minerva era venerata insieme con Giove e Giunone, ed aveva la sua cella nel gran tempio di Giove Capitolino. […] Sebbene ora manchino le braccia, è sempre un gran bel lavoro, in cui tu non sai se debba ammirar più l’ espressione stupenda della testa o la incantevole proporzione delle membra. […] Già da tempi abbastanza antichi fu pensato in rapporto con la gran Madre e se ne fece un compagno di lei. […] I quali poi chiedendo grazia agli Dei, per ripopolar la terra ebbero ordine di velarsi la testa, disciogliersi le vesti e gettar dietro sè le ossa della gran madre.
XI) che agli Dei davasi il titolo di Padre in segno di affettuosa venerazione ; e l’Oceano lo merita al par di Giove, e pei grandi benefizii che arreca agli uomini colle innumerevoli e maravigliose produzioni ; ed anche, secondo la Mitologia, pel gran numero dei suoi figli, che Esiodo fa ascendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. […] Ha in testa una corona d’alghe o altre piante marine, e sta in una gran conchiglia posta sopra un carro tirato da quattro cavalli marini attaccati di fronte. […] Dante, nel Canto xxviii dell’Inferno, rammentò questo Dio nel senso mitologico e figurato : « Tra l’isola di Cipri e di Maiolica « Non vide mai sì gran fallo Nettuno, « Non da pirati, e non da gente Argolica ; » per dire che non fu commesso mai prima d’allora nel mar Mediterraneo un sì orribil delitto.
Gli zoologi poi adottarono il nome del favoleggiato serpente Pitone per darlo a un genere di rettili, in cui son compresi i serpenti dell’India e dell’Affrica, animali carnivori e formidabili per la loro gran forza muscolare. […] Infatti da Igiea è denominata Igiene l’arte di conservar la salute, difficilissima in pratica pel gran numero di speciali osservazioni che richiede per ciascuna persona, ma utilissima sempre anche ne’suoi più generali principii, perchè persuadono a schivare qualunque genere d’intemperanza121. […] Il Po era chiamato dai Latini Eridanus e Padus ; e i nostri poeti l’appellano il re dei fiumi, sottinteso però dell’Italia, di cui è realmente il più gran fiume.
Dante usò più volte la parola Dite come sinonimo di Plutone, denominando città di Dite la città del fuoco (di cui abbiam detto nel Cap. precedente) : e poi da Virgilio poeta pagano facendo chiamar Dite il gran diavolo Lucifero242. […] Basterà sentire la descrizione che l’ Ariosto fa dell’ Orco di Norandino nel Canto xvii dell’ Orlando Furioso per vedervi il vero modello di tutti gli Orchi delle più volgari novelle : « Mentre aspettiamo, in gran piacer sedendo, « Che da cacciar ritorni il signor nostro, « Vedemo l’ Orco a noi venir correndo « Lungo il lito del mar, terribil mostro. […] « Viene alla stalla e un gran sasso ne leva ; « Ne caccia il gregge, e noi rinserra quivi ; « Con quel sen va dove il suol far satollo, « Suonando una zampogna ch’avea in collo. » 244.
Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia. […] Oggidì che hanno sì gran credito gli studii preistorici sugli uomini primitivi dell’età delle armi di pietra e delle abitazioni lacustri, di quel tempo cioè in cui i nostri antenati Europei eran forse più rozzi dei selvaggi dell’America scoperti da Colombo, non potrà stimarsi meno importante lo studio intorno alle origini delle idee morali che ebbero tanta efficacia sulla civiltà greca e romana.
Basti dunque il sapere che si fingeva che l’imperatore non fosse morto, ma soltanto malato ; e per aiutar questa finzione ponevasi in un gran letto di avorio la statua di cera del defunto invece del suo cadavere, il quale era seppellito o arso segretamente. […] Dentro e intorno al rogo spargevansi incensi ed aromi preziosi in gran quantità.
I sacerdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di che facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tutto il popolo ; ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano che si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo ne faceva maravigliosa festa. […] Virgilio stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare che, in generale, i Romani non avessero gran devozione per questi mostruosi Dei Egiziani, poichè Giovenale, nella Satira xv, così ne parla : « Chi, o Vòluso, non sa quai mostruose « Adora deità l’Egitto stolta ?
Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte, Vulcano ed Ebe ; e poi da altre Dee, ed anche da donne mortali, altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli che furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Diana, Mercurio e Bacco. […] A legger cotesti libri di così minuziosa erudizione viene il capogiro, pretendendo di ricordarsi di tutte quelle interminabili filiazioni e parentele di un gran numero di Dei e di Dee dello stesso nome.
Ma ben io, se il voglio, « Lo trarrò colla terra e il mar sospeso : « Indi alla vetta dell’immoto Olimpo « Annoderò la gran catena, ed alto « Tutte da quella penderan le cose. […] Dice Ugo Foscolo che « Fidia vantavasi di aver dedotto la statua di Giove Olimpio da tre versi di Omero. » E questi tre versi nell’originale greco son quelli di n° 528, 529 e 530, nel i libro dell’ Iliade, che il Monti tradusse così : « Disse, e il gran figlio di Saturno i neri « Sopraccigli inchinò : sull’immortale « Capo del Sire le divine chiome « Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo. » 65.
Omero ci racconta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi che Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta, suo fratello, di annegar quell’Eroe nelle loro acque ; ed avrebbe ottenuto l’intento, se non accorreva Vulcano con una gran fiamma a vaporizzarle. […] Trovansi infatti anche altrove dei fiumi, le acque dei quali nel loro corso spariscono sotto terra, e a gran distanza ricompariscono sulla superficie di essa.
La concordia coniugale era già rotta da gran tempo fra Giove e Giunone ; e Omero sin dal 1° libro dell’Iliade ce ne rende accorti in questi versi : « Acerbissimo Giove, e che dicesti ? « Riprese allor la maestosa il guardo « Veneranda Giunon : gran tempo è pure « Che da te nulla cerco e nullo chieggo, « E tu tranquillo adempi ogni tuo senno. » (Trad. del Monti.)
XXXV I Satiri ed altre Divinità campestri Chiunque ha veduti sculti o dipinti i Satiri avrà notato una gran somiglianza di forme fra essi e il Dio Pane, e riconoscerà quanto graziosamente e concisamente il Redi nel suo Ditirambo intitolato Bacco in Toscana li abbia definiti : « Quella che Pan somiglia « Capribarbicornipede famiglia. » Molti di essi formavano il corteo di Bacco, come dicemmo parlando di questo Dio, ed ivi notammo che per frastuono, stravizii ed ogni genere di follie non la cedevano alle più effrenate Baccanti. […] Le feste Florali cominciavano in Roma il 28 di aprile e duravano sino a tutto il dì 1° di maggio, nei quali giorni v’era un gran lusso di fiori, di cui tutti facevano a gara a cingersi la testa e ornarne le mense e perfino le porte delle case.
Questa parola Genio ebbe un gran credito e un grande uso nella lingua latina279), e lo ha tuttora nelle lingue affini e derivate, e specialmente nella italiana ; anzi in queste riceve sempre nuove applicazioni, ossia va sempre acquistando nuovi significati. […] « La gran vitalità « Si vede dalla stampa, « Scrivi, scrivi e riscrivi, « Que’ Genî moriranno « Dodici volte l’anno, « E son lì sempre vivi280). » (La Terra dei Morti.)
Pane, Dio dei pastori, 294 ; — suo simulacro, 295 ; — sue feste e suoi sacerdoti, 296 ; — considerato qual simbolo dell’universo, ossia il gran Tutto, 297 ; — origine del cosi detto timor panico, 298 ; inventore della siringa o zampogna, 299. […] U Ulisse, re d’ Itaca, 568 ; — sua finta follia, 569 ; — sue gesta all’assedio di Troja, 570 ; — scampa da Polifemo, 573 ; — tempesta che distrugge gran parte della sua flotta, 574 ; — si libera dagli incantesimi di Circe, 575 ; — sua discesa all’Inferno, 576 ; — sua dimora nell’isola di Calisso e presso Alcinoo re dei Feaci, 578 ; — suo ritorno a Itaca, 579 ; — come egli punisce i Proci, 580-581 ; — sua morte, 582.
Giovi poi ripetere come la traduzione di quest’opera non sia un semplice volgarizzamento, giacchè il Signor Pietro Thouar l’ha in gran parte rifusa e vi ha fatte delle notabili aggiunte le quali consistono in molte e nuove illustrazioni poetiche dei fatti mitologici, cavate da alcuni dei nostri più valenti poeti ; in una Cronologia mitologica, ossia indicazione delle più notabili epoche storiche alle quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice che contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori concernenti la caduta del Paganesimo e la fondazione del Cristianesimo.
Contemporaneamente a queste prime apoteosi sorgeva e ben presto diffondevasi una nuova religione, i cui seguaci destarono l’ammirazione di tutti per la bontà e santità della vita : e questo parve un gran miracolo in mezzo a società così corrotta ; questo richiamò l’attenzione di tutti sulla nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime che essa insegnava.
L’ adopra per altro non già nel senso panteistico degli antichi e di non pochi moderni, ma soltanto a significare un grande ammasso o emporio di oggetti di qualunque forma o figura, ed anche talvolta una gran confusione amministrativa in uno stabilimento industriale o in una pubblica azienda.
Sappiamo poi dagli scrittori ecclesiastici dei primi secoli del Cristianesimo (i quali studiavano con gran premura ed attenzione la Mitologia per dimostrare le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità che non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2, che posteriormente furon perduti o distrutti nelle successive invasioni dei Barbari.
Il duello che usa tuttora è un avanzo dei secoli barbari, e fa una gran tara alla tanto vantata civiltà moderna.
Quindi, benchè d’ora in avanti s’inaridisse per qualche secolo (e non sarebbe un gran danno) la vena poetica degli italiani, o si abolisse (come fu inutilmente tentato un mezzo secolo indietro),. l’uso della Mitologia nei futuri poetici componimenti, resteranno pur sempre necessarie le cognizioni mitologiche per bene intendere il linguaggio poetico di quei sommi, « che non saranno senza fama, « Se l’universo pria non si dissolve. » La Divina Commedia principalmente, che sin dai primi anni della ricuperata indipendenza dagli stranieri, è divenuta il libro nazionale degl’Italiani, esige tra le altre infinite cognizioni anche quelle della Mitologia.
Lo stesso gran luminare degli Inglesi, Bacone da Verulamio, nel suo libro De Sapientia Veterum, esamina ed interpetra più a lungo questa favola che le altre trenta da lui prescelte come meritevoli delle sue considerazioni.
Aggiungono dunque i mitologi che Giove per tre mesi sentì un gran dolor di testa, e non potendo più a lungo tollerarlo, mandò a chiamare Prometeo, o secondo altri, lo stesso Vulcano suo figlio, per farsi spaccare con un ferro tagliente il cranio ; e ne uscì Atena, ossia Minerva.
Da quella strana sementa vide Cadmo con sua gran maraviglia uscir poco dopo una quantità di uomini armati che si misero subito a combattere fra loro, finchè i più rimasero estinti, e i soli cinque sopravvissuti lo aiutarono a fabbricare la città.
Il mar, la terra, e ‘l cielo « Lacerati da lor, confusi e sparsi « Con essi andrian per lo gran vano a volo.
Eran tenuti in grandissima venerazione, e consultati sempre innanzi d’intraprendere cose di gran rilievo, a fine di prevederne l’esito.
Ma il nostro Dante fa una gran tara a queste poetiche iperboli, dicendo : « Lo secol primo quant’oro fu bello ; « Fe’ savorose per fame le ghiande, « E nettare per sete ogni ruscello. » Ammette sì la felicità di una vita semplice e innocente ; non la contorna però d’ozio e di squisiti cibi gratuiti ; ma ne pone per base la frugalità e per condimenti la fame e la sete.