Riusciva, dicono essi, da nove anni scarsissima la raccolta nell’Egitto, attesa la scarsezza delle pioggie. […] Qualche tempo dopo egli ritornò ad essi, e li uccise col padre loro. […] Erano essi preceduti dallo spettacolo de’ gladiatori. […] Panormo e Gonippo lasciarono, che gli Spartani si accostassero ad essi, e ne uccisero un gran numero. […] Dopo varj combattimenti, ne’ quali i due eserciti nemici perdettero molta gente, Eteocle e Polinice stabilirono, di battersi essi soli.
E non sempre questo si intese co’miti e con le favole, ma la ignoranza e lo smodare per ogni estremo fè ad essi cambiare significato. […] Dei mondani, ed il volgo nella libertà di trattenersi con essi, e con gli antenati, nel mantenere il senso in possessione di ogni diletto, placando con giuochi, danze e conviti, in somma con la imitazione de’vizi de’loro maggiori, più che le anime degli antenati, poste tra i numi, o tra i genii, quelle de’viventi, che ereditavano le loro inclinazioni e le colpe ». […] Ma da’ Greci fu detta Ηερα, dalla quale debbono essere stati detti essi eroi, perchè nascevano da nozze solenni, delle quali era nume Giunone, e perciò generati con amor nobile, che tanto ερος significa, che fu lo stesso che Imeneo : e gli eroi si dovettero dire in sentimento di signori delle famiglie a differenza de’famoli, i quali vi erano come schiavi…. […] Rabaud di Saint-Etienne porge al mito di Venere una diversa interpetrazione « I pianeti, così egli, erano adorati relativamente alle vere o false influenze, che una lunga osservazione ad essi attribuiva. […] « Egli, son queste le parole dello scrittore della Scienza Nuova (1), intorno a questo mito, uccide la gran serpe, sbosca la gran selva antica della terra, ne semina i denti, con la bella metafora con curvi legni duri che innanzi di trovarsi l’uso del ferro dovettero servire per denti dei primi aratri, che denti ne restarono detti, egli ara i primi campi del mondo : gitta una gran pietra, ch’è la terra dura, che volevano per sè arare i clienti, ovvero famoli : nascono da’sol chi uomini armati, per la contesa eroica della prima agraria gli Eroi escono dai loro fondi, per dire che essi sono signori de’fondi, e si uniscono armati contro le plebi : e combottono non già tra di loro, ma co’clienti ammutinati contro esso loro, e coi solchi sono significati essi ordini ».
Da questi due principali nomi Erme e Mercurio e dagli attributi che per essi indicavansi, dedussero gli Antichi altri correlativi uffici di questo Dio. […] Non già che egli, come Dio, avesse bisogno di rubare, ma così per trastullo149 e per dimostrare la sua scaltrezza si divertiva a far delle burle agli Dei, involando ad essi quel che avevano di più caro e prezioso. […] Tito Livio, nel libro 2° della Storia Romana, racconta che il collegio dei mercanti celebrava la festa di Mercurio il 15 di maggio, e Ovidio aggiunge la preghiera che essi recitavano, la quale terminava col chiedere a questo Dio guadagni in qualunque modo ottenuti, e di poterseli godere ingannando accortamente i compratori151. […] In principio aveva la sola verga ; ma un giorno, come raccontano i poeti, avendo egli trovato due serpenti che si battevano, li percosse colla sua verga per separarli e dividerli ; ed essi attortigliandosi a quella rimasero in atto di lambirsi in segno di pace154.
Erravano però nel credere che il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natura diversa da quello terrestre, non sapendo essi che risulta egualmente da combustione o ignizione di materie più o meno infiammabili ; e soltanto gli astronomi moderni colle loro analisi spettroscopiche hanno dimostrato sinora, che nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altrettanti Soli generalmente molto più grandi del nostro, ma composte presso a poco degli stessi elementi. […] Passando ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiutavano Vulcano a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo) e ops (occhio), per indicare la straordinaria particolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare « Di targa e di Febea lampade in guisa « Sotto la torva fronte, » come dice Virgilio. […] Uno soltanto di essi era figlio di Nettuno e della ninfa Toosa, e questi chiamavasi Polifemo (il qual greco vocabolo significa celeberrimo) ed era considerato come il re di tutti gli altri, i quali furono pochi più di cento, ma tutti feroci ed antropofagi.
In quanto al pastore fu trovato il modo di farlo riconoscere per figlio di Priamo e di Ecuba in un torneo in cui Paride vinse tutti i figli del re ; e in tale occasione investigando essi l’origine di lui, scuoprirono che egli era il loro fratello esposto da bambino nelle selve, e per tale lo riconobbero senza pensar più al sogno di Ecuba e all’interpretazione di quello. […] E ritiratosi nelle sue navi con Patroclo suo inseparabile amico e coi suoi Mirmidoni non si oppose, benchè in cuor suo ne fremesse, a lasciar condur via dagli araldi mandati da Agamennone, la sua schiava Briseide, rispettando in essi il diritto delle genti, e confidando che farebber le sue vendette i nemici. […] Prima però di raccontare l’eccidio di Troia, convien far parola, almeno incidentalmente, di quei principi e guerrieri, amici ed alleati dei Troiani che recaron loro soccorso personalmente e perderon per essi la vita in battaglia. […] La parola Divinazione è di origine latina : deriva a divis, cioè dagli Dei, e sta perciò a significare l’interpretazione della volontà di essi. […] In Italia furono primi gli Etruschi a porla in pratica e ne divennero solenni maestri : da essi l’appresero i Romani, i quali la estesero e l’accreditarono maggiormente applicandola con solenni formalità e pratiche religiose alla direzione pur anco ed alle risoluzioni degli affari pubblici ossia del Governo.
Niente si sa di certo intorno all’origine di essi. […] Vi concorrevano molti corri, ornati di ghirlande di fiori, e sopra uno di essi eravi riposto un nero toro. […] Si portavano certi altari, formati come ceppi di vite, e coronati anch’ essi d’ellera, su’ quali abbruciavano incenso ed altri aromi. […] Intorno di essi due ponevasi un gran numero di plù piccoli, i quali rappresentavano le Stelle. […] Nel mezzo di essi collocavano quantità di legno secco.
I Titani mal contenti de’ dritti ad essi usurpati, gli suscitarono contro i Giganti, ch’eran figli della terra. […] La sua figura non lusinghiera pareva che dovesse spaventare i pastori piuttosto che riscuotere da essi un culto. […] Ciò diede occasione ai Napoletani di ascrivere anch’ essi Eunosto fralle patrie tutelari Deità. […] Di essi i più celebri sono Sotero, Eleuterio, Olimpio, appresso de’ Greci ; Feretrio, Statore, Olimpio, appresso de’ Romani. […] Di essi il più famoso è il figlio di Semele conosciuto sotto il nome di Tebano, o il Bacco de’ Greci.
Ciò per molti secoli fu infinito: ma lo spirito s’innamorò dei suoi principj, si mi schiò con essi, e questa misura fu Desiderio chiamata. […] Dei simulacri e dei boschi sacri, e dei riti ad essi risguardanti. […] A questi abbozzi successero molti progressi: si distinse il sesso nei simulacri; convenienti forme si effigiarono nella parte superiore di essi, indicando con taglio longitudinale la divisione delle gambe. […] « Fa di mestieri porre nella stessa classe quei Persiani di marmo frigio, che sostengono un treppiede di bronzo, e che sono capilavori tanto essi che il treppiede. […] Lo scopo della presente Lezione è di parlare de’ più famosi, esponendovi le maniere nelle quali fa la dea, a tenore di essi, rappresentata.
Perciò converrà contentarsi di conoscere quel che ne accennano i Classici e principalmente Virgilio e Cicerone, e starcene a quel che essi ne credevano e ce ne lasciarono scritto ; e tutt’al più deducendone quelle illazioni che ne derivano razionalmente. — Per chi non è idolatra o politeista sembra che possa bastare. […] Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a cui vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro « Che co’rami all’altar facea tribuna, « E coll’ombra a’Penati opaco velo35. » Ma se il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famiglia avessero ricevuto un simil culto.
Quindi l’altra favola che essi in origine facessero questo strepito per ordine di Cibele, affinchè non si udissero in Cielo le grida dei figli di lei. […] Cicerone nelle sue opere filosofiche aggiunge un’altra notabile rassomiglianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce che i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerdoti a cui fosse lasciata per pochi giorni la facoltà di far la questua ; ma non ne dice il perchè, non vedendo forse una buona ragione di questo eccezional privilegio, e, a quanto pare dal contesto delle sue parole, disapprovandolo45.
Parlando il Vico di questa Catena nel libro secondo de’ suoi Principii di Scienza Nuova, riferisce che in essa Dionigi Longino ammirava la maggior sublimità di tutte le favole omeriche ; e quindi aggiunge le seguenti osservazioni : « La qual Catena se gli Stoici vogliono che significhi la serie eterna delle cagioni, con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il Mondo, vedano che essi non vi restino avvolti ; perchè lo strascinamento degli uomini e degli Dei con sì fatta Catena egli pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto al Fato.
Il mar, la terra, e ‘l cielo « Lacerati da lor, confusi e sparsi « Con essi andrian per lo gran vano a volo. […] Il nome greco è significativo delle qualità distintive di ciascuno di essi : Borea significa fremente ; Noto, umido ; Euro, abbronzante ; Zeffiro, oscuro.
Una più terribile punizione inflisse Diana al cacciatore Atteone, il quale essendo penetrato in un boschetto ov’era una fonte in cui si bagnava Diana colle sue Ninfe, la Dea gli gettò dell’acqua sulla faccia e lo trasformò in cervo, che nel fuggire fu raggiunto dai suoi propri cani e da essi miseramente dilaniato. […] E gli uffici che le si assegnavano eran pur essi fantastici e paurosi ; poichè dessa mandava fuor dal regno delle ombre i notturni spettri a spaventare i viventi, e usciva talvolta in persona colle anime dei morti a girare intorno ai sepolcri e pei trivii ; spingeva i cani ad urlare orribilmente per le vie, e proteggeva le maliarde e le streghe nei loro incantesimi.
L’idea generale che ciascuno suol farsene si è che fossero uomini di grandezza e di forza straordinaria ; e i mitologi aggiungono che molti d’essi erano anche di struttura mostruosa. […] I chimici poi che riconoscono coll’analisi l’esistenza del solfo nativo nei terreni vulcanici, specialmente in Sicilia e nella solfatara presso Pozzuoli nelle vicinanze di Napoli, troveranno, nella espressione dantesca di nascente solfo, indicata l’elaborazione e la fabbrica naturale di quello zolfo che essi, alludendo alla stessa origine, chiamano nativo 80).
XXXV I Satiri ed altre Divinità campestri Chiunque ha veduti sculti o dipinti i Satiri avrà notato una gran somiglianza di forme fra essi e il Dio Pane, e riconoscerà quanto graziosamente e concisamente il Redi nel suo Ditirambo intitolato Bacco in Toscana li abbia definiti : « Quella che Pan somiglia « Capribarbicornipede famiglia. » Molti di essi formavano il corteo di Bacco, come dicemmo parlando di questo Dio, ed ivi notammo che per frastuono, stravizii ed ogni genere di follie non la cedevano alle più effrenate Baccanti.
Sarebbe perciò troppo lungo discorso e monotono il parlar di tutti particolarmente ; ed io credo che invece basterà descriverne tre o quattro dei principali e più famosi, e passar leggermente sugli altri con qualche osservazione che sia ad essi comune. […] E come se tutto ciò fosse poco, vi si aggiunsero gli Augurii, di cui eran solenni mæstri gli Etruschi ; e da essi li appresero i Romani che ne facevano un uso frequentissimo negli affari pubblici e nei privati, come sappiamo anche dagli storici di Roma.
Ma gli Dei ricompensarono essi quel povero animale, trasformandolo nella celeste costellazione dell’Ariete ; e invece dell’aureo vello l’adornarono di quarantadue fulgidissime stelle, e il Sole l’onorò coll’ incominciar dal 1° grado di esso l’annuo suo corso tra i segni del Zodiaco. […] Alla pericolosa conquista di quest’aureo vello fu diretta la spedizione degli Argonauti ; e non la considerarono essi una impresa di rapina, ma come l’esercizio di un diritto imprescrittibile, di riacquistar ciò che è suo, essendo che l’aureo montone appartenesse originariamente alla Grecia e precisamente alla real famiglia di Tebe, come abbiam detto di sopra.
Amfitrite è nome di greca origine che significa romoreggiante o corrodente all’intorno, e sta ad indicare i flutti marini e gli effetti di essi sui lidi : etimologicamente è un quid simile dell’Oceanus circumvagus dei Latini. […] Proteo conosceva qualunque segreto degli Dei e ciò che fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarlo ad essi bisognava che vi fosse costretto : così la materia contiene in sè tutti i segreti della Natura, ossia le leggi che regolano il mondo fisico, ma non le rivela, se non costretta.
Sulla Cosmogonia dunque creduta vera dai Greci e dai Romani, e ammessa come base dei loro miti, convien trattenersi alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto, che la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esistita, ma tutta confusa e mista, in una massa rozza ed informe chiamata Caos (Ovid., Metam.
Se una gran parte di queste loro idee, quali si trovano espresse e rappresentate dai loro poeti, ci sembrano fantastiche e strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie della immaginazione e dalle assurde credenze del volgo ; e così insegnarono a noi come doveva intendersi e studiarsi la loro Mitologia.
Quella che per essi è parte suppletoria, per me è stata la parte principale e fondamentale della Mitologia Greca e Romana ; e l’ho estesa anche alla spiegazione dei fenomeni fisici, secondo la mente di G.
Nell’Impero Romano all’opposto l’apoteosi degl’Imperatori e delle Imperatrici era divenuto un vile atto di adulazione al potere assoluto e dispotico del supremo imperante o dei suoi eredi e successori, non già come in Grecia un atto spontaneo delle popolazioni memori delle virtù dei suoi uomini illustri, e grate dei benefizii da essi ricevuti.
Aggiungendovisi poi le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo che essi potessero accogliere nel loro numero e nel loro consesso qualunque mortale benchè scellerato ed empio, come furono i più degli Imperatori romani.
Siccome Urano era un Dio, e perciò immortale, ed essendo inoltre il più antico degli Dei, e perciò lo stipite della celeste dinastia, poteva a suo beneplacito regnare eternamente ; ma poichè egli aveva più figli, supposero i mitologi che gli fosse piaciuto abdicare in favore di essi.
I più dotti commentatori di Dante, e tra essi anche il canonico Bianchi di onorata memoria, interpretano questo passo cosi : « per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto al numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e moltiplicandolo per cento, come dice Dante, ne verrebbero 3 milioni di Dei, adorati dai Simoniaci.
Anche i poeti latini, quando volevano significare che una cosa era impossibile o incredibile, o almeno che essi la stimavano tale, dicevano : « Crederò prima che esista la Chimera. » Cosi, per esempio, Ovidio nelle Elegie : « …..
Nè già si contentavano essi di lasciare le loro vendette a questa Dea, ma davano opera ad ottenerle e compierle col proprio braccio e co’propri mezzi.
IV Una Divinità più potente di Giove Ammessi più Dei, ne vien di conseguenza che nessuno di essi può essere onnipotente, ma ciascuno ha un potere limitato e temperato dalle speciali attribuzioni degli altri.
Degli altri dirò a mano a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e di quelli che si trovarono insieme in una data spedizione prima accennerò brevemente le particolari qualità di ciascuno di essi, e poi li metterò in azione tutti insieme ; parlando più a lungo del capo o protagonista di quella impresa nel narrare l’impresa stessa.
Si rappresentano generalmente seduti in un terreno alquanto declive e colle gambe stese per indicare il corso del fiume e la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di essi presso di sè un’urna da cui esce l’acqua per significar la sorgente ; e se il fiume è navigabile, si pone in mano alla figura del Dio un remo : se poi il suo corso si dirama in due o più alvei, si aggiungono sulla fronte del Nume due corna.
. — Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunati o pii, che soli ebbero in sorte o meritarono di scampare dal generale esterminio ?
Considerarono come un pianeta anche il Sole : e così colla Luna e gli altri 5 pianeti visibili ad occhio nùdo ne annoverarono sette, e attribuirono a ciascuno di essi una Divinità che vi presiedesse o li dirigesse nel loro corso.
Anche nell’antichissima città di Troia aveva un tempio ed una celebre statua che i Romani pretendevano salvata da Enea e trasportata in Italia, e che fosse quella stessa che essi facevano gelosamente custodire nel tempio di Vesta come pegno della salvezza di Roma.
Per gli usi del sacrifizio avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte che trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecitare quei primi ; ma non vedendo tornare nè questi nè quelli, vi andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte, che finiva di divorarsi l’ ultimo di essi.
Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di Numa, era divenuto inintelligibile a loro stessi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare.