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11. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386

La morte sul campo di battaglia era un olocausto agli Dei ; nè c’era cosa che così profondamente scolpita avesse la religione in quell’anime semplici e bellicose, come il continuato uso degli augurj e degli auspicj. […] Questi aveano, a così dire, rubato il mestiero agli oracoli ed agli auspicj caduti in disuso ; e la magia s’era arricchita della ruina del paganesimo. […] Nelle Gallie e nell’Affrica più non si offrivano agli Dei vittime umane. La sola Germania, nelle parti che ancor resistevano alle armi romane, conservava i suoi culti sanguinarj ; nè conosceva libazioni più grate agli Dei di quelle fatte col sangue dei prigionieri romani. […] Ma noi però non siamo bastanti a riparare agli nomini e a’vostri Dei mendicanti ; nè crediamo di dover dare la limosina, se non a chi la chiede.

12. (1836) Mitologia o Esposizione delle favole

A Saturno in Roma sacrificavasi col capo scoperto, laddove agli altri Iddii col capo velato. […] Il più celebre presso i poeti fu il terzo, a cui pur venne ascritto quanto poteva agli altri appartenere. […] Le Nereidi ninfe del mare appartenevano agli Dei marini. […] Giove al capo, Nettuno al petto, Marte ai lombi, il Genio alla fronte, Giunone alle sopracciglia, Cupidine agli occhi, la Memoria agli orecchi, al dorso Plutone, alle reni e agl’ inguini Venere, alla destra mano la Fede, alle ginocchia, che abbraciavansi da’ supplichevoli, la Misericordia, Minerva alle dita, Mercurio a’ piedi, Tetide alle calcagna. […] Ma Prometeo riuscì a trovarlo, ed agli uomini lo riportò in una cava ferula o sferza o come volgarmente dicesi canna d’ India.

13. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-

II Ara o Altare, luogo destinato pei sacrifizj agli Dei. […] Aruspici,1 sacerdoti istituiti da Romolo, e destinati principalmente ad esaminare gli animali offerti in sacrifizio ed immolati agli Dei, ossia le vittime, per cavarne i presagi. […] Il nome di vittima era dato solamente agli oggetti vivi ed agli animali grossi ; quello di ostia agli animali di latte, e tanto alle eose animate ehe inanimate ; e l’olocausto era un sacrifizio nel quale la vittima veniva interamente consumata dal fuoco, senza che ne restasse alcuna parte per il banchetto dei sacerdoti o degli assistenti.

14. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215

Lo stesso Omero dice chiaramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orrore anche agli Dei. […] Primo si trova il barcaruolo dell’Acheronte, « Caron dimonio con occhi di bragia, « Un vecchio bianco per antico pelo, « Che intorno agli occhi avea di fiamme ruote. » Egli invita coll’antica sua buona grazia le anime ad entrar nella barca, « Gridando : guai a voi, anime prave ! […] — « Dio vi guardi, Signor, che ’l viso orrendo « Dell’ Orco agli occhi mai vi sia dimostro ; « Meglio è per fama aver notizia d’esso, « Che andargli, sì che lo veggiate, appresso. […] Son questi i versi di Dante riferibili ai nomi ed agli ufficii delle tre Parche : « Ma po’ colei che di e notte fila « Non gli avea tratta ancora la conocchia, « Che Cloto impone a ciascuno e compila. » (Purg.

15. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24

I Pagani rappresentavano cieco o bendato il Destino, e sordo agli umani lamenti ; ma appunto perchè inesorabile, nessun lo pregava o adorava, nè perciò ebbe mai tempii ed offerte. […] La Necessità considerata dai Politeisti come una Dea è la personificazione e la deificazione dell’ idea di conseguenza inevitabile di una o più cause destinate a produrre certi determinati effetti ; e poichè la Necessità costringe gli uomini a fare o soffrire, perciò fu-creduta una Dea avversa anzi che propizia agli umani desiderii. Quindi Orazio la chiama sœva Necessitas (crudel Necessità) e la rappresenta in atto di portar colla mano di bronzo lunghi e grossi chiodi da travi, e cunei, ossia biette o zeppe, e uncini e piombo liquefatto, simboli tutti di costrizione o coazione15 La parola Fortuna è di origine latina ; deriva da fors significante il caso ; Fortuna è dunque la Dea delle casuali vicende, ma per lo più buone ossia favorevoli agli uomini ; e perciò Cicerone ne deduce l’etimologia a ferenda ope, dal recar soccorso.

16. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59

Il nome di Giove deriva dal verbo giovare (juvare) : Giove significa dunque etimologicamente il Dio che giova agli uomini, il Dio benefico per eccellenza57. […] La più bella e sublime immagine della potenza di Giove, e della dipendenza della Terra dal Cielo e dal supremo suo Nume, fu ideata da Omero, attribuendone l’invenzione a Giove stesso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei : « D’oro al cielo appendete una catena, « E tutti a questa v’attaccate, o Divi, « E voi Dee, e traete. […] Vedendosi l’alta cima del monte Olimpo spesso cinta di nubi, dicevano gli Antichi che ve le stendesse Giove, allorquando vi soggiornava, per nascondersi agli occhi dei mortali.

17. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78

Trovarono da per tutto orribili delitti, nefandità di nuova idea ; e saputo tra le altre cose, che v’era un re d’Arcadia, Licaone figlio di Pelasgo, il quale imbandiva agli ospiti nuovamente venuti le carni di quelli arrivati prima, e facea poi servir di pasto le carni loro agli ospiti che arrivavano dopo, volle presentarsi egli stesso all’infame reggia divenuta macello e cucina di carne umana. […] La tradizione del diluvio universale è dunque non soltanto biblica, ma pur anco mitologica, ossia affermata nelle diverse e più opposte religioni e credenze ; e vi si aggiunge la moderna scienza geologica a dimostrarne la verità anche agli scettici, o universali dubitatori.

18. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54

Inventarono i Greci che Cerere avesse prima che agli altri insegnato l’agricoltura a Trittolemo figlio di Celeo re d’ Eleusi, (antica città greca fra Megara e il Pireo), e che questi sul carro di Cerere tirato da draghi volanti avesse percorso gran parte della terra per insegnar quell’arte agli altri popoli. […] Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali.

19. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505

Nel mese di Gennaio, il cui nome facevasi derivare da quello di Giano, si celebrava nel primo giorno la festa di questo Dio, e prima ad esso sacrificavasi che agli altri Dei, perchè egli era considerato come il portiere delle celeste reggia. […] E poichè i Consoli furono conservati, almeno di nome, anche sotto gl’Imperatori e sino agli ultimi tempi del romano impero, le stesse cerimonie descritte da Ovidio nel libro i dei Fasti si mantennero in Roma per più di mille anni. […] Zandonella in un suo articolo inserito nell’Ateneo di Firenze del 15 febbraio 1874, esaminando il nome Monsummano « applicato a borgo e monte nel Veneto e nella Val di Nievole » mentre non approva « l’etimologia di Monsummano da Sommo Mane (il Plutone dei Pagani) che fu adottata dal Proposto Gori e poi dal Tigri nella descrizione di Pistoia e suo territorio, » e invece riconosce giusta la conclusione del Preller, non nasconde per altro che le notizie date dal dotto autore tedesco non discordano punto da quelle, più erudite del Giornale Arcadico stampato in Roma nel 1820, cioè mezzo secolo prima degli scritti del Preller. — Avvertimento agli ammiratori di tutto ciò che è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò che è nostro.

20. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160

Ma poichè ammettevasi nella classica Mitologia una Divinità più potente di Giove, il Fato, agli inesorabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi al Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. […] Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. […] Avevano sì gli antichi osservato l’elettricità che si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal cui greco nome di electron fu appunto denominato questo fenomeno e l’elettricità stessa), ma si fermarono per secoli e secoli a questa prima osservazione, e non andaron più oltre191, lasciando ai moderni, e specialmente agli italiani, (Galvani e Volta), la gloria delle più grandi scoperte e delle più utili applicazioni della elettricità 192.

21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241

Nè queste idee eran proprie soltanto dei Politeisti greci e latini ; anzi non furon nemmeno di loro invenzione, poichè sappiamo di certo che ebbero origine nell’Oriente e prevalsero principalmente tra gl’Indiani e i Persiani, e poi passarono agli Egizii, e finalmente ai Greci e ai Romani. […] Platone così parla dei Dèmoni nel Convito : « Essi sono esseri intermediarii fra gli Dei e i mortali ; ed è loro ufficio l’interpretare e il recare agli Dei ciò che viene dagli uomini, e a questi ciò che vien dagli Dei ; …. poichè la Divinità non ha comunicazione diretta cogli uomini, ma soltantò per mezzo di Dèmoni. » E altrove aggiunge : « Ogni mortale alla sua nascita è affidato ad un dèmone particolare che lo accompagna sino alla fine della sua vita. » Conoscendo questi ufficii attribuiti anche dal divino Platone ai Dèmoni, non dee recar maraviglia che Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebraica, asserisse che i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli che Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scritto che corrispondono ai Genii dei Latini. […] Quando poi i Pagani divenner Cristiani, confusero i Genii buoni cogli Angeli, e i cattivi coi Diavoli 277), trovandovi grandissima rassomiglianza quanto alle attribuzioni e agli effetti sulla vita degli uomini.

22. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183

XI) che agli Dei davasi il titolo di Padre in segno di affettuosa venerazione ; e l’Oceano lo merita al par di Giove, e pei grandi benefizii che arreca agli uomini colle innumerevoli e maravigliose produzioni ; ed anche, secondo la Mitologia, pel gran numero dei suoi figli, che Esiodo fa ascendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. […] Secondo Omero, l’Oceano ha il suo palazzo nelle acque del mare agli estremi confini delle Terra, e questo palazzo, secondo altri poeti, è d’oro.

23. (1841) Mitologia iconologica pp. -243

Pingevasi egli colle ali alla testa, ed a’piedi, mentre essendo suo ufficio portare i comandi di Giove, servire agli Dei nelle loro ordinanze, ed il presidente altresì essendo alla negoziatura, al governo della guerra, e della pace, a giuochi, alle adunanze, alle pubbliche arringhe, come possibil era potersi spedire di tante faccende, se il vantaggio non avea de suoi celeri vanni ? […] Chi è mai costei che ogni periglio sfida, E nel sembiante agli Angioli somiglia ? […] Due fanciulle ha vicino, ed alla meta Di gran disegno volge l’intelletto, Cura del tutto ognor si nudre in petto, Che alcun si accosti proibisce, e vieta Nemica di tesori, e di ricchezza Solo il giusto con essa al mondo giova ; Dà la mano agli oppressi, i forti sprezza. […] Nudra dunque ognun nel cuore si necessaria virtù, ricordandosi sempre di quel, che scrisse agli Ebrei al 13. l’Apost. […] Si squarci pure il suol, apransi l’onde, Si sconvolghino i Cieli, e gli Elementi Religïon non manca, o si confonde Sicuro porto ai giusti, e agli innocenti.

24. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496

LXVII L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii I Greci ed i Romani politeisti, oltre all’aver deificato tutti i fenomeni fisici e morali, come abbiam detto, attribuirono a queste Divinità pregi e difetti, virtù e vizii come agli esseri umani ; quindi vi furono divinità benefiche e divinità malefiche, come vi sono uomini buoni e malvagi ; ed anche le migliori divinità ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ottenuto, si unì con Giunone a perseguitare per dispetto Paride ed i Troiani. […] Anche Orazio mette in versi la preghiera di un ladro a Laverna, Dea dei ladri, in cui alla furfanteria è congiunta la ipocrisia colle parole da justum sanctumque videri, perchè cioè quel ladro non si contentava di rimanere impunito, ma voleva anche apparire agli occhi del mondo uomo santo e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo.

25. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330

Questo re nel fare un sacrifizio agli Dei in ringraziamento per le buone raccolte ottenute, erasi dimenticato di Diana ; ed essa lo punì mandando un mostruoso cinghiale a devastare lo stato di lui. […] Dopo aver narrato che i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame canina resa più acuta dal vedersi dinanzi agli occhi, come Tantalo nell’ Inferno pagano, i pomi e l’acqua senza poterne gustare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime, che « Negli occhi era ciascuna oscura e cava, « Pallida nella faccia e tanto scema « Che dall’ossa la pelle s’informava, cominciò a pensare « Alla cagione ancor non manifesta « Di lor magrezza e di lor trista squama ; » e non potendo trovarla da sè, finalmente, fattosi coraggio, domandò a Virgilio : « ……Come si può far magro « Là dove l’uopo di nutrir non tocca ? 

26. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294

Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia di Priamo : « Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a cui vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro « Che co’rami all’altar facea tribuna, « E coll’ombra a’Penati opaco velo35. » Ma se il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori della sua città e del suo regno, questo fatto non toglie agli Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famiglia avessero ricevuto un simil culto. […] Con tal distinzione sparisce ogni dubbio sul vero e proprio ufficio attribuito dai Pagani agli Dei Penati.

27. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289

E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero. […] corri « Veloce in mio soccorso, apri le fonti, « Tutti gonfia i tuoi rivi, e con superbe « Onde t’innalza, e tronchi aduna e sassi, « E con fracasso ruotali nel petto « Di questo immane guastator, che tenta « Uguagliarsi agli Dei.

28. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137

L’invenzione è bellissima e facile ad intendersi ; significa che l’ingegno è dato agli uomini dalla Divinità, e che le opere di esso non si compiono senza il favore di quella. […] Perchè poi fosse sacro a Minerva quell’animale notturno, rispondono i poeti, perchè le recava notizie di quel che accadeva di notte ; e si voleva significare che l’ingegno vede e scuopre le cose che agli altri restano oscure ed ignote.

29. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Ed ecco l’origine e la causa della Gigantomachia ; la qual guerra è cantata dai poeti preferibilmente alla Titanomachia, perchè parve agli Antichi che in quella il miglior diritto fosse degli Dei che rimasero vincitori, mentre in questa era più veramente dei Titani che furono vinti. […] Si riferisce ad Encelado seppellito vivo nella Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi che giungevano sino al promontorio Lilibeo e le mani sotto agli altri due promontori Pachino e Peloro.

30. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278

I Romani ponevano la statua di Priapo nei loro orti o giardini, ma per far soltanto da spauracchio agli uccelli ; e a tal fine ed effetto nell’alto della testa gli piantarono una canna con stracci in balìa del vento. […] Le Feste Terminali eran celebrate agli ultimi di febbraio, che fu per lungo tempo l’estremo mese dell’anno, poiché quando Numa vi aggiunse i mesi di gennaio e di febbraio, fece precedere il gennaio e seguire il febbraio ai dieci mesi dell’anno di Romolo.

31. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194

Omero inventò che Ulisse, volendo udire il canto delle Sirene e schivare qualunque pericolo, si fece legare all’albero della nave, avendo otturate prima le orecchie colla cera ai suoi compagni, e detto loro qual direzione tener dovessero per non accostarsi troppo agli scogli ov’esse abitavano. […] Scelsero egregiamente gli Antichi per soggiorno delle Sirene un clima incantevole bene adattato agli attributi che a queste assegna la favola.

32. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172

Raccontano che Giunone essendosi accorta che Giove prediligeva Semele, figlia di Cadmo re di Tebe, volle vendicarsi della medesima, e trasformatasi nella vecchia Beroe nutrice di Semele, suggerì a questa di farsi promettere con giuramento da Giove di comparirle innanzi con tutta la maestà e tutti i distintivi con cui si mostrava in Cielo agli Dei. […] Il termine di vipistrello usato da Dante sembra preferibile agli altri due vipistrello e pipistrello, perchè è più simile al latino vespertilio, di cui ci dà l’etimologia Ovidio nelle Metamorfosi, dicendo che questi animali notturni : « ……….. tenent a vespere nomen. » 206.

33. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -

Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che hanno favorevolmente accolti e adottati nelle loro Scuole gli altri miei libri, vorranno accogliere e proporre ai loro scolari ed ai loro amici la soscrizione a questa Mitologia ; la quale spero che possa esser utile non solo agli scolari, ma ancora ad ogni colta persona, poichè voile il Tommasèo che cosi fosse detto nel titolo della medesima.

34. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254

Nella terza poi vedremo cambiarsi la scena : le grandi virtù, congiunte sempre a grandissima forza fisica, si considerano incarnate negli uomini dalle Divinità per mezzo di matrimonii misti, che danno origine ai Semidei ed agli Eroi ; e questi son sempre in lotta coi mostri e coi grandi scellerati e ne purgano il mondo.

35. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499

LXVIII Apoteosi degl’Imperatori Romani Benchè nella Greca Mitologia si trovino alcuni uomini illustri elevati agli onori divini, tali apoteosi molto differivano da quelle degl’Imperatori romani.

36. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47

Al secondo modo era simile la pena detta della propaginazione, che davasi nel Medio Evo agli assassini, seppellendoli vivi in una fossa cilindrica, stretta e profonda : alla qual pena allude Dante con una celebre similitudine nel descriver la terza bolgia dell’ Inferno, nella quale son puniti i Simoniaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte cessa, » e in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco al perfido assassino.

37. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72

Parve esorbitante e tirannico questo supplizio agli stessi Dei, che inoltre rimasero indispettiti delle pretese di Giove di arrogarsi per sè solo la facoltà di creare gli uomini ; ma invece di protestare con parole o con dimostrazioni clamorose, asserirono il loro diritto, esercitandolo di fatto e creando una donna fornita di tutte le più rare doti di corpo e di spirito, la quale chiamarono Pandora, che in greco significa tutto dono, perchè tutti avevano contribuito a darle qualche particolar pregio.

38. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308

Lo stesso Omero l’usa assai spesso in quest’ultimo significato tanto nell’Iliade quanto nell’Odissea ; e del pari si adopra comunemente nella lingua italiana tanto in verso quanto in prosa ; e si applica pur anco agli uomini illustri della storia antica e della moderna, come pure ai più straordinarii personaggi d’invenzione della fantasia dei poeti.

39. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510

Si continuarono inoltre in Roma sino agli ultimi tempi dell’impero pagano le Feste Carmentali, cioè in onore della Dea Carmenta madre di Evandro.

40. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43

La veste ornata di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele, che presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava che quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortificar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone come il re degli animali terrestri.

41. (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393

Doro diè origine ai Dorii ; Eolo agli Eolii ; Xuto ebbe due figli, Acheo, origine degli Achei, ed Jone degli Jonii.

42. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85

Ebe oltre ad esser la dea della gioventù, mesceva il nettare agli Dei, quando erano a convito con Giove ; perciò si rappresenta come una giovanetta ingenua e gentile con un’idria in mano ed in atto di mescer da quella la celeste bevanda.

43. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38

Facevasi vacanza anche negli uffizi pubblici e nelle scuole, e si mandavano regali chiamati in latino strenœ, ond’è derivato in italiano il vocabolo strenne e l’uso di mandarle o di darle agli ultimi o ai primi dell’anno.

44. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122

Questo secondo tempio esisteva ancora quando l’apostolo Paolo andò a predicare il cristianesimo agli Efesii ; e poichè egli voleva abolire il culto di Diana, poco mancò che non fosse massacrato dagli orefici di quella città, che guadagnavano molto vendendo tempietti d’argento fatti ad imitazione di quello di Diana Efesina146.

45. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151

A Venere fu dedicato il venerdì ; e di Venere ebbe il nome il più bello e rilucente dei pianeti primarii, « Lo bel pianeta che ad amar conforta, » come con perifrasi mitologica lo contraddistinse Dante, alludendo agli attributi della Dea Venere.

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