Ed asserivasi che per quanto le prossime coste dell’Italia e della Sicilia biancheggiassero di ossa umane delle vittime delle Sirene, pur non ostante chi udiva anche da lontano il loro canto non poteva resistere alla tentazione di avvicinarsi a loro per udirle meglio, e non pensava più alla trista fine inevitabile che lo attendeva. […] « Così chi nelle mine il ferro adopra, « La terra, ovunque si fa via, sospende, « Che subita ruina non lo cuopra, « Mentre mal cauto al suo lavoro intende. […] « Con Melicerta in collo Ino piangendo, « E le Nereidi coi capelli sparsi, « Glauci e Tritoni, o gli altri, non sappiendo « Dove, chi qua, chi là van per salvarsi. […] Dopo questa arditissima e veramente omerica invenzione, ornata di tante belle similitudini, di bene adattate idee classiche e mitologiche e di tutto lo splendor dello stile ariostesco, chi potrà legger pazientemente nel Ricciardetto la secentistica e plebea descrizione di « Una balena larga dieci miglia « E lunga trenta,……… » avente nelle interne cavità delle sue viscere terreni arborati e seminativi, un ampio lago ed un mercato di grano con gente che compra e vende, e inoltre una chiesa con le campane che suonano a festa, un convento di frati cappuccini ed altre simili stravaganze ? […] Il raziocinio che fa Dante su tal proposito è molto notabile, e merita di essere imparato a memoria con le stesse parole dell’autore : « E s’ella d’elefanti e di balene « Non si pente, chi guarda sottilmente « Più giusta e più discreta la ne tiene ; « Chè dove l’argomento della mente « S’aggiugne al mal volere ed alla possa, « Nessun riparo vi può far la gente. » (Inf.
E a chi si maravigliasse di sì spregevol razza di Dei diremo soltanto che avendo i Mitologi ammessi anche gli Dei malefici, eran questi di certo peggiori dei Satiri, per quanto poco esemplari. […] Talvolta gli scultori pongono le figure dei Satiri per cariatidi ; della qual parola dà una bella spiegazione l’Alighieri nella seguente similitudine : « Come per sostentar solaio o tetto « Per mensola talvolta una figura « Si vede giunger le ginocchia al petto, « La qual fa del non ver vera rancura « Nascere a chi la vede ; così fatti « Vid’io color, quando presi ben cura. » Due Satiri posti per cariatidi si vedono in Firenze nella facciata di un antico palazzo ora appartenente alla famiglia Fenzi. […] Gravissime pene eran minacciate anche dalle Leggi civili a chi rimuovesse il Dio Termine dal suo posto per estendere i proprii possessi a danno di quelli dei vicini. […] Ha nel sinistro braccio una pelle indanaiata di tigre, e co’polpastrelli, cioè colla sommità delle punte delle dita, regge penzo loni un grappolo d’uva matura ; il quale un Satirino d’allegrissima vista, che gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi téma che egli nol vegga, cautamente piluccando. » Non sarà inutile l’osservare per chi studia la propria lingua, che l’espressione indanaiata di tigre, riferibile a pelle, sebbene accolta e registrata nei Vocabolarii italiani, putirebbe ora di lucerna e di affettazione, ed equivale alla più semplice e più dell’uso comune pelle tigrata. […] Ne riporto alcuni distici dei più notabili per chi studia il latino, o come grata reminiscenza per chi l’ha studiato : « Nox ubi transierit, solito celebretur honore « Separat indicio qui Deus arva suo.
XXXVIII Gli Dei Penati e gli Dei Lari Se dovessimo prendere ad esaminare le diverse opinioni degli eruditi intorno a questi Dei, faremmo un lavoro arduo e poco piacevole, e poi senza alcun frutto, perchè non è possibile conciliarle tra loro, nè scuoprire chi meglio abbia colto nel segno. Perciò converrà contentarsi di conoscere quel che ne accennano i Classici e principalmente Virgilio e Cicerone, e starcene a quel che essi ne credevano e ce ne lasciarono scritto ; e tutt’al più deducendone quelle illazioni che ne derivano razionalmente. — Per chi non è idolatra o politeista sembra che possa bastare. […] La questione per altro verte intorno all’etimologia del nome ed alla origine di questi Dei, poichè v’è chi li crede così chiamati, perchè figli della Ninfa Lara o Larunda, ed altri ne derivano il nome da Lar antica parola etrusca che significa capo o principe. Chi non la pretende a filologo è indifferente per l’una o per l’altra etimologia ; ma quanto all’origine e alla particolar natura di questi Dei nessuno potrà convenire di dover confondere i Penati coi Lari, come fanno alcuni Eruditi. […] Chi non è affatto ignaro della lingua latina sa bene quanto differiscano fra loro le due parole ignis e focus.
Bacone da Verulamio, che nel suo libro De Sapientia Veterum spiegò anche troppo minutamente e sottilmente il mito del Dio Pane, dichiara che gli Antichi lasciarono in dubbio la generazione di questo Dio, osservando che non si accordavano i Mitologi ad assegnargli i genitori, poichè lo stimavano figlio chi di Giove e di Calisto, chi di Mercurio e di Penelope, ed anche di Urano e di Gea, ossia Tellure. […] i delle Metamorfosi, che cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suonasse la lira, ma gli raccontasse pur anco la favola di Pane e Siringa : « S’io potessi ritrar come assonnaro « Gli occhi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa che ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco, la quale era stata da Giunone cangiata in voce, in punizione della sua loquacità, e condannata a tacere se nessun le parlava, ed a ripeter soltanto le ultime voci di chi le dirigeva il discorso : favola ricavata evidentemente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco. […] Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panicus terror est).
I Coribànti ogni anno piangevano l’amaro fato di Ati ; e chi colle chiome rabbuffate discorreva per le montagne, e chi percuoteva timpani e cembali, in guisa che il monte Ida era tutto ripieno di tumulto e di furori. […] Chi desiderava combattere, dava il suo nome dieci mesi prima, e nel pubblico ginnasio di Elide occupavasi in esercizii preparatori i. […] Vi è chi crede ch’essa sia la stessa cosa che il Dio Termine, confondendo gli Ermi ed i Termini. […] Gli ottenne pure dalle Parche che giunto all’ora estrema, potesse evitarla, se trovato si fosse chi per lui avesse voluto morire. […] L’aurea sua clamide si allaccia gentilmente sull’omero destro, ed i piedi sono ornati di bellissimi calzari, forse di quel genere che dai Greci si appellavanosandalia leptoschide, sandali di sottili strisce ec. » In questa statua chi ravvisa Apollo cacciatore, chi quel Nume, dopo avere scagliato i suoi dardi contro i Greci ; altri, dopo la strage che fece degli orgogliosi giganti, o de’figliuoli di Niobe ; e chi dopo l’uccisione del serpente Pitone.
Chi ha veduto qualche automa in azione189, o almeno conosce storicamente il meccanismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime, che sotto forme di uomini o di animali eseguiscono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano ed hanno studiato una scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate « …….forme e figure « Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive « Giovinette simili, entro il cui seno « Avea messo il gran fabbro e voce e vita « E vigor d’intelletto e delle care « Arti insegnate dai Celesti il senno. […] Nel medio evo, al risorger delle lettere e delle scienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella, e quando le persone entravano le salutava. […] Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità fossero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti che avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo che ciascuna aveva speciali attributi per distinguersi dall’altra. […] Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ?
Doveva Perseo tagliare a Medusa la testa cinta di orribili serpenti, che facea divenir di pietra chi la guardava. […] Così Perseo volando e coperto di armi divine si accostò non visto a Medusa e le tagliò la testa, che dipoi portò sempre seco e se ne servì utilmente per far diventar di sasso chi più gli piacque, come vedremo. […] « E vede l’oste e tutta la famiglia, « E chi a finestre e chi fuor nella via, « Tener levati al ciel gli occhi e le ciglia, « Come l’ecclisse o la cometa sia.
Il Cecchi, citato dal Vocabolario della Crusca, nei seguenti versi rammenta il Genio buono con tali caratteri che potrebbero convenire anche ad un Angelo : « Da chi lo feo gli fu dat’anco « Quel santo precettor, quell’alma guida « Genio appellato, il qual come ministro « Della ragion lo sproni al bene oprare, « E dall’opere ingiuste il tiri e frene. » Il Parini, nel suo celebre poemetto satirico il Giorno, personifica il Piacere come un Genio e così lo descrive : « L’uniforme degli uomini sembianza « Spiacque ai Celesti, e a varïar la Terra « Fu spedito il Piacer. […] Chi ha letto i classici latini sa bene che son comunissime le frasi : indulgere genio ; defraudare genium ; bellare cum genüs suis. […] Perciò soltanto il tribunal della Crusca potrà decidere chi di loro abbia ragione. Il Fanfani invece accenna un altro uso della parola Genio in questi termini : « Di una persona eccellente nella sua arte o in più discipline si ode dire spessissimo : È un genio. » Lo dice infatti lo stesso Tommaseo nel suo Dizionario dei Sinonimi, e son queste le sue parole : « Il genio genera : chi confronta, raccozza, non è un genio. » Nessun vocabolarista, per altro, ammette e registra il Genio Militare e il Genio Civile nel significato d’ingegneria militare e civile, come anticamente chiamavansi.
Da’ questi e da innumeri altri miti, che potremmo portare in mezzo, non v’ha chi non comprende di leggieri, essere i miti un parlar vero espresso per via di allegorie, e tutti gl’intraprendimenti umani essere conceputi con modi fantastici e per immagini. […] E come tra voi il portinalo sedendo presso le prime soglie del tetto vede lo entrare, e lo uscire. cosi lo portinaio del Cielo gardo l’Oriente e l’Occidente. — Da queste poche parole del cantore de’Fasti romani chi è colui, che sì perduto d’intelletto non vede di esser tutta un’allegoria la favola di Giano ? chi non vede essere egli non un principe del Lazio, ma un segno celeste, che deve trovarsi alla testa, e nello istante, che il sole incomincia l’apparente giro dei cieli, quando egli apre il cammino del tempo, che circola nello Zodiaco ? […] Cadmo promise largo prezzo a chi avrebbe morto siffatta Sfinge — Edipo lo uccise. […] Cloacina — Tito Tazio, che regnò una a Romolo, ritrovando un simulacro di una dea in una gran cloaca romana, ed ignorando di chi fosse le diede il nome dal luogo ove fu trovata.
« Con lui sen va chi da tal parte inganna. » Dopo questo episodio, poco cavalleresco a dir vero, proseguirono gli Argonauti il loro viaggio. […] « Uno sul collo, un altro su la groppa « Percuote, e chi nel petto e chi nell’ala ; « Ma come fera in su un sacco di stoppa, « Poi langue il colpo, e senza effetto cala : « E quei non vi lasciâr piatto nè coppa « Che fosse intatta ; nè sgombrâr la sala « Prima che le rapine e il fiero pasto « Contaminato il tutto avesse e guasto. » (Orl. […] « Quasi della montagna alla radice « Entra sotterra una profonda grotta, « Che certissima porta esser si dice « Di chi all’inferno vuol scender talotta.
Dante stesso fa dire a Virgilio esservi « ……. chi creda « Più volte il mondo in caos converso, » cioè ritornato nella prima mistura e confusione di tutti i suoi elementi2. […] Può riuscir piacevole e divertente per chi intende bene le lingue dotte il leggere nei poeti greci e latini le fantastiche descrizioni del contrasto continuo dei quattro elementi di così diversa natura confusi e misti fra loro nel caos ; ma divengono pedanterie e freddure le imitazioni che talvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue moderne, ora specialmente che le scienze fisico-chimiche hanno scoperto e percorso un sì vasto campo di maraviglie vere e reali della natura. […] Sembra che voglia dire a chi ha orecchi da intendere : Vedete !
Fortunatamente, per chi deve studiar la Mitologia, a ben pochi di questi Dei fu dato dai Pagani un nome proprio, e la maggior parte furon compresi sotto certe generali denominazioni, come ora suol farsi nella Storia Naturale in cui si distinguono soltanto i generi, le specie, le famiglie, le varietà, ecc. e non gl’individui, o vogliam dire i singoli prodotti naturali. E a render più facile il còmpito di chi vuole imparar la Mitologia contribuisce ancora il non avere inventato i Pagani molti miti o fatti miracolosi riferibili a questi Dei Inferiori, perchè molto limitata credevano la loro potenza. […] Chi ha letto almeno una volta tutta la Divina Commedia sa bene che vi si trovano più e diversi latinismi, o vogliam dire parole di forma e terminazione latina, come è questa Idolatre invece di Idolatri ; e cosi altrove Eresiarche, peccata e simili.
La cognizione di questi simboli è necessaria a qualunque italiano desideri accostarsi « ……….. ove più versi « Di sue dolcezze il lusinghier Parnaso. » Quanto poi alle idee mitologiche dei classici greci e latini riporto nel testo, per chi non conosce le lingue dotte, gli opportuni esempi tratti dalle migliori traduzioni italiane, e registro in nota alcune più speciali citazioni di erudizione linguistica e letteraria a maggiore utilità degli scolari dei ginnasii. […] Possono perciò riuscire utili soltanto a chi è valente nelle lingue greca e latina. […] Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitologici molte delle loro denominazioni, la cui etimologia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione della Mitologia.
XX Mercurio Chi è che non conosca qualcuno dei molti significati di questa parola Mercurio ? […] E chi fu mai sì losco o dell’occhio o dell’intelletto che non abbia veduto e ammirato, in tela, in legno, in plastica, in bronzo o in marmo, dipinta o sculta, una svelta ed elegante figura di un giovane nudo con due piccole ali al capo ed ai piedi147 ed avente in mano una verga a cui stanno attortigliati due serpenti ? […] Il significato di questo mito s’intende facilmente ; indica cioè che l’onestà degli uomini si mette alla prova col denaro ; e la conclusione o morale della favola è questa : chi, nelle cose illecite, per lucro favorisce, per lucro tradisce.
Considerato Apollo come il Dio del Sole, chi è che non l’abbia veduto dipinto da più o men valenti pittori come un giovane imberbe di bellissime forme, cinto la fronte e il volto di un’aureola di fulgentissimi raggi, su di un cocchio d’ oro e di gemme107), in atto di guidare con mano ferma e sicura quattro focosi destrieri per le vie del firmamento, e circondato da dodici avvenenti ninfe piè-veloci, che intreccian carole intorno al suo carro ? […] Così, per citarne qualche esempio, usa l’Ariosto le seguenti espressioni mitologiche a significare che per chi aspetta sembra che il tempo non passi mai : « In quel duro aspettare ella talvolta « Pensa ch’Eto e Piroo sia fatto zoppo, « O sia la ruota guasta, che dar volta « Le par che tardi, oltre l’usato, troppo. » (Orl. […] I nomi di questi segni del zodiaco furono riuniti, per comodo di memoria di chi sa o studia il latino, nei due seguenti esametri : « Sunt Aries, Taurus, Gemini, Cancer, Leo, Virgo, « Libraque, Scorpius, Arcitenens, Caper, Amphora, Pisces. » 111.
« Corron chi qua chi là, ma poco lece « Da lui fuggir veloce più che ’l Noto. […] Lo stesso Cicerone lo dimostra elegantissimamente nella Orazione pro Roscio Amerino, di cui riporto qui le precise parole per chi studia la lingua latina, affinchè ciascuno le legga e rilegga finchè le abbia imparate così bene a memoria, da non dimenticarle mai : « Nolite enim putare, quemadmodum in fabulis sæpe numero videtis, eos, qui aliquid impie scelerateque commiserint, agitari et perterreri Furiarum tædis ardentibus.
Oggi non è certamente assoluta penuria di opere nel genere della nostra, chè anzi varie sono belle che parlano delle diverse religioni dei popoli dell’antichità, e tutte le Mitologie ànno avuto i loro storici, i loro cronisti, i loro scrittori, i quali, chi più chi meno, ànno disseminata, con le loro opere antiche e moderne, la conoscenza del culto religioso dei primitivi popoli della terra. […] Egli fece un giorno una scommessa con certo Depreo, figlio di Nettuno, a chi avesse mangiato un intero bue. […] L’ardia sol ella.Il padre cieco, da tutti diserto, In chi trovò, se non in lei, pietade ? […] Alle inattese parole, Xanto rivolse il capo per vedere chi lo seguisse, e Melanto allora gli immerse il brando nella nuca. […] Ella fu un’abilissima ricamatrice, e osò un giorno sfidare Minerva a chi avrebbe meglio ricamato una ricchissima tela.
Questo è l’ordito della favola, secondo i più ; ma poi vi si fanno sopra tanti ricami e intorno intorno tante aggiunte e frangie, da tener lungamente occupato chi volesse darne di tutte la descrizione e la spiegazione : è questo l’argomento prediletto non solo dei poeti, ma pur anco di molti filosofi nostri e stranieri. […] Anzi nella modernissima scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il Sole che n’ è fisicamente la causa prima), produce il lavoro meccanico delle macchine a vapore e dà la forza anche alle braccia degli uomini. — Felice chi potè conoscer le cause delle cose 84), diceva Virgilio ; e in oggi spingendosi le scienze sempre più arditamente e con prospero successo a far mirabili conquiste nelle regioni del vero, posson chiamarsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle !
Ma non è dimostrato nè fisicamente nè moralmente che il mondo invecchi e vada sempre peggiorando : fisicamente subisce continue modificazioni e trasformazioni ; ma chi può asserire e provare che le leggi fisiche vadan sempre perdendo della loro efficacia ? […] Chi sa il latino si rammenti o legga la satira di Orazio, che comincia : Jamdudum ausculto, nella quale il poeta dice al suo servo : Age, libertate decembri (Quando ita majores voluerunt) utere ; narra.
Servivasi Venere del cèsto per le solenni occasioni ; e non mancò di adornarsene quando si presentò a Paride che doveva decidere chi fosse la più bella tra le Dee. […] Si aggiogavano al carro di Venere le colombe, perchè sono affettuosissime e feconde ; e la favola aggiunge che erano sacre a questa Dea, perchè fu cangiata in colomba una Ninfa sua prediletta chiamata Peristeria, per un infantile vendetta di Cupido su questa Ninfa che aveva aiutato Venere a vincere una scommessa a chi coglieva più rose.
Ma son pur anco sdegnosi, e guai a chi li tocca !132 e ne hanno non solo l’esempio delle Muse nella metamorfosi delle Piche, ma altresì di Apollo, che in un modo più tremendo (e diremo ancora crudele) fece scorticar vivo il satiro Marsia, dopo averlo vinto nella sfida da lui ricevuta a chi meglio cantasse.
Egli finge che sia Virgilio che gli dà tale spiegazione da lui richiesta : « Filosofia, mi disse, a chi la intende, « Nota non pure in una sola parte, « Come natura lo suo corso prende « Dal divino intelletto e da sua arte : « E se tu ben la tua Fisica note, « Tu troverai non dopo molte carte, « Che l’arte vostra quella, quanto puote, « Segue, come il maestro fa ’l discente, « Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote. […] Non dovrebbe ai moderni recar maraviglia che i Pelopidi portassero per decorazione una piccola spalla d’avorio, essendo noi avvezzi a considerare come un distintivo d’ onore lo spron d’oro, il toson d’oro e la giarrettiera, perchè certamente uno sprone, un pecoro e un legacciolo delle calze non son niente di più nobile della spalla di Pelope e neppure della spalla di san Secondo. — A scanso di equivoci, e per chi non lo sapesse, chiamasi spalla di san Secondo, nel linguaggio dei gastronomi, la spalla suina preparata secondo l’arte dai salsamentarii, volgarmente detti pizzicagnoli.
Chi conosce la Filosofia del Gioberti sa bene che quel sistema filosofico è fondato sul principio che l’Ente crea le esistenze.
Chi poteva infatti stimar benefici Dei i proprii tiranni, e sante Dee Livia, Poppea e Messalina ?
Virgilio stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare che, in generale, i Romani non avessero gran devozione per questi mostruosi Dei Egiziani, poichè Giovenale, nella Satira xv, così ne parla : « Chi, o Vòluso, non sa quai mostruose « Adora deità l’Egitto stolta ?
Li riporto per chi studia la lingua latina : « Juno, Vesta, Minerva, Ceres, Diana, Venus, Mars, « Mercurius, Jovi’, Neptunus, Vulcanus, Apollo. » 8.
Finalmente chi conosce il valore della parola metamorfosi, che significa trasformazione, come abbiamo spiegato altra volta, e di cui tanto avvien di parlare nella Mitologia, intenderà facilmente il significato generale di roccie metamorfiche, e lo tradurrà per trasformate.
Una giovane lidia, di nome Aracne, osò sfidar Minerva a chi meglio sapesse lavorare e ricamare in lana.
Chi studia o sa il latino farà bene a leggere e rileggere questo mito egregiamente descritto da Ovidio nel libro viii delle Metamorfosi.
Chi conosce o studia la lingua latina sa bene che i Romani usavano l’aggettivo bellus, a, um nel significato non di pulchrum, cioè bello, ma più comunemente di comodo e utile.
Ma neppure il termine di Artofilace andò perduto o dimenticato nella poesia italiana ; e chi mai non si allontani da qualche cara cosa o persona fu detto che egli le sta sempre come Artofilace all’Orse (secondo la frase dell’Ariosto), appunto perchè questa costellazione è vicinissima a quelle, e di certo non si scosta mai da quel posto.
Siccome gli Antichi credevano che alcuni dei loro più famosi eroi, Teseo, Ercole, Orfeo, Ulisse ed Enea in corpo e in anima, ossia da vivi, fossero andati a visitar questi luoghi, e ritornati ne avessero raccontato mirabilia, i poeti impadronendosi di questa popolare credenza vi trovarono un vasto campo libero ed aperto alla loro immaginazione, che percorsero a briglia sciolta, e senza paura di essere smentiti da chi, dopo la morte, nulla vi avesse trovato di quel che essi dicevano.
Finalmente contiensi solfo in uno stato di particolare combinazione nelle sostanze proteiche di provenienza di ambedue i regni organici ; e fra i prodotti che son propri degli animali si distinguono, quanto alla proporzione dello solfo, i peli, i capelli ed altre materie cornee. » — Cosi risponderebbe tutto in un fiato quel chimico ; e a chi volesse sapere ancora come si fa a liberare, ossia ad estrarre lo zolfo dalle sue molteplici combinazioni, soggiungerebbe : La spiegazione è troppo lunga ; e se volete saperla, studiate la chimica, e vi troverete più maraviglie e metamorfosi, visibili e palpabili, che in tutte quante le Mitologie dei poeti e degl’ideologi le fantastiche e immaginabili.