Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. […] Si affrettò Cerere di ritornar da Plutone ; e mentre sperava di essere stata in tempo per ricondur via la figlia, poichè molti testimoni interrogati rispondevano di non aver veduto nulla, comparve un impiegato infernale, di nome Ascalafo, che asserì di aver veduto Proserpina succhiare alcuni chicchi di melagrana ; nè Proserpina potè negarlo. […] Dopo aver notato questi miti sarà più facile riconoscere le immagini sculte o dipinte della dea Cerere dagli emblemi coi quali è sempre rappresentata. […] Quest’ultimo distintivo le fu dato, perchè goffamente credevasi che avesse avuto bisogno di un decotto di papaveri che Giove le somministrò per liberarla dall’insonnio cagionatole dall’afflizione di aver perduto la figlia. […] Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anche le punizioni mitologiche dei delitti umani, e specialmente dell’empietà, non avrebbe trascurato di riferire anche questa, se contro i fanciulli insolenti e molesti non ne avesse trovata una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se ne valse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su salire. » Un altro celebre miracolo mitologico attribuito a Cerere è rammentato da molti poeti, e dallo stesso Dante, e perfino dal Giusti ; ed è la punizione dell’empietà di Eresittone.
I poeti si fanno dalla lontana, e veramente ab ovo, narrando che Ecuba quand’era incinta di questo figlio sognò di aver partorito una fiamma che incendiava tutta l’Asia. […] L’ottenne ; ma la sua pietà gli costò cara, perchè dopo aver dato prove di mirabil valore facendo strage dei nemici, quand’era già stanco incontrò Ettore, e combattendo con lui rimase ucciso. Il tristo annunzio colpì talmente Achille, che dopo aver con gemiti e con pianto sfogato il suo immenso affanno rivolse contro Ettore, per vendicar l’amico estinto, tutta l’ira che aveva prima contro Agamennone. […] Dolenti i Greci di aver perduto il loro principal sostegno, gli resero onori divini, gli eressero un monumento sul promontorio Sigèo, e chiusero le sue ceneri nella stessa urna ov’eran quelle di Patroclo, com’egli avea desiderato. […] Non fu già in Ulisse commiserazione per la disgrazia di Filottete, ma calcolo di politica per aver nuovamente nel campo greco le freccie d’Ercole in adempimento di una delle fatalità di Troia.
In tempo di siccità il Sacerdote di Giove, dopo aver sacrificato, agitava l’acqua di quella fontana con un piccolo ramo di quercia. […] In questo chiunque metteva piede prima di aver fatto le dovute lustrazioni, necessariamente nello stesso anno moriva. […] Egliso stimarono di essore stati avvelenati ; e dopo aver ucciso Icario, ne nascosero il corpo in un pozzo. […] Quegli, che lo consultava, prendeva dell’incenso, e dopo d’aver fatto le solite preghiere, gettava lo stesso incenso sul fuoco. […] Dietro il tempio stesso eravi un bosco, in cui potevano aver ingresso a ballare le sole vergini.
xiv del Paradiso, dopo aver descritto i variopinti splendori da lui veduti nell’Empireo, esclama : « O Elios, che sì gli addobbi ! […] Poteva dunque Pindaro aver sentito parlare ed anche aver veduto delle isole natanti ; e valendosi della facoltà accordata ai poeti quidlibet audéndi (di tutto osare)101), ne abbia almeno usato discretamente102), ammettendo soltanto che un’isola galleggiante potesse trovarsi anche in mare103). […] Era Niobe figlia di Tantalo e moglie di Anfione re di Tebe ; e andava superba, come se fosse un gran merito, di aver sette figli e sette figlie ; e perciò dispregiava, non solo in cuor suo, ma pubblicamente, Latona e la stimava a sè inferiore, perchè questa Dea aveva soltanto un figlio ed una figlia. […] Ne parla Omero nel libro xxiv dell’ Iliade ; ne fa molto a lungo la narrazione Ovidio nel libro vi delle Metamorfosi ; e Dante trova il modo di darne un cenno efficace anche nel Purgatorio (Canto xii) dicendo di aver veduto sculto questo fatto in uno dei bassirilievi che rappresentavano esempii di superbia punita : « O Niobe con che occhi dolenti « Vedeva io te segnata in sulla strada « Tra sette e sette tuoi figliuoli spenti !
Nè Giove fu sicuro fra tanti iniqui dopo aver dato l’esempio della violenza. […] Si pretende che snccessivamente la dea dasse la sua porzione a Temi, e che Temi ne facesse dono ad Apollo, e che quest’ultimo, per aver la parte di Nettuno, gli cedesse Calaurea che è dirimpetto a Trezene. […] L’artefice, che si era sollevato fino a concepire una bellezza che con venisse ad un dio, l’ha poi espressa con tanta fé licita nel marmo, che sembra aver realizzato la sua idea con un semplice atto di volontà. […] Qualunque però sia stato lo scopo delle sue freccie, l’ azione di aver saettato è tanto evidentemente espressa, che non cade in equivoco. […] Pitio lo dissero dalla morte del serpente Pitone, che le membra anelanti abbandonò sul giogo Cirreo, dopo aver coperto colle voluminose spire la terra spaventata.
Si racconta che gli Ateniesi furono oppressi da crudele carestia e pestilenza, dalla quale disse l’oracolo non potersi liberare, che dopo di aver dato a Minos quella terribile soddisfazione (2). […] Per somigliante cagione il fratello Radamanto lasciò Creta e pose sua sede nelle isole del Mediterraneo, le quali volentieri a lui si soggettavano per averle liberate da’ corsali, e per aver dato a quegli abitanti giustissime leggi. […] In un intonaco di Pompei, oltre lo sfendone, lo scettro ed il pavone, vi è pure un piccolo simulacro della Vittoria su di una colonna ; e Cicerone rimproverava a Verre di aver tolto alcune Vittorie di oro ch’erano nel tempio di Giunone a Malta. […] Niobe ne fu gelosa, e fra la raccolta moltitudine parlò di Latona con assai villanie : aver ella per avo materno Atlante, e Giove, per suocero ed avo ; esser signora di ampio reame ed aver sembianze degne di una Dea, oltre sette figliuoli ed altrettante figliuole di una bellezza che non avea pari sotto le stelle ; che a Latona la terra avea negato un luogo a partorire, ed aver solo due figliuoli ; ed altre cose di grande dispregio. […] Ma in pena di aver voluto gabbare il Dio degl’indovini, fu condannato a non poter bere in tutto il tempo che il fico ha immaturi i suoi frutti.
Nel Canto xix del Purgatorio immagina di aver fatto un sogno, nel quale, per quanto parvogli, una donna « Io son, cantava, io son dolce sirena « Che i marinari in mezzo al mar dismago, « Tanto son di piacere a sentir piena. […] « Ma così tosto al mal giunse lo empiastro, » in quanto che subito dopo soggiunge : « Ancor non era sua bocca richiusa, « Quando una donna apparve santa e presta « Lunghesso me per far colei confusa. » E questa donna santa era la Virtù, che stracciando le pompose vesti che cuoprivano quella immagine del vizio, ne mostrò a Dante la turpitudine, « E lo svegliò col puzzo che n’usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferire la lezione di morale che immaginava di aver ricevuta in sogno, ma volle che gliela commentasse il suo duca, signore e maestro, Virgilio : « Vedesti, disse, quell’antica strega « Che sola sovra noi omai si piagne ? […] Ma oggidì può chiunque sa leggere sapere dai libri di Storia Naturale, o aver sentito raccontare da chi li ha letti, che la vera e propria Balena,231 senza pinna dorsale e con due sfiatatoi, mentre è il più grosso degli animali viventi, non è vero che sia un animale carnivoro, perchè i suoi stromenti masticatorii sono atti appena a maciullare una meschina aringa, e il suo esofago non è più largo di 4 pollici inglesi, ossia dieci centimetri circa ; e quindi non può trangugiare nè uomini nè donne e neppure un bambino appena nato : di fatti suo cibo prediletto sono i molluschi del genere Clio Borealis, non più grossi di un dito, non più lunghi di 2 pollici. […] Dante rammenta le balene nel fare una sapiente e filosofica osservazione, che cioè la Natura non ha da pentirsi di aver creato animali marini e terrestri di dimensioni e di forze tanto più grandi e potenti di quelle dell’uomo, perchè non avendo loro accordato l’argomento della mente, vale a dire l’intelligenza e il raziocinio, l’uomo che ne è fornito può non solo difendersi da essi, ma vincerli e dominarli, facendoli servire o vivi o morti ai suoi proprii vantaggi234.
E non è necessario di aver scoperto come Balboa dall’alto delle Ande il grande Oceano equinoziale per esser compresi di maraviglia all’idea dell’Immenso e cader prostrati a terra, com’esso, o almeno « Colle ginocchia della mente inchine » come diceva il Petrarca ; ma basta l’essersi trovato o di giorno o di notte, « O quando sorge o quando cade il die » in mezzo olle onde dove non apparisce più terra alcuna e null’altro vedesi che Cielo ed acqua209), per sentirsi intenerito il core210) e rapita in estasi l’immaginazione211). […] Se non è bene che l’uomo sia solo sulla Terra, vale a dire senza aver moglie e famiglia, sarà questo non men vero nel Mare ; e se il matrimonio può convenire in generale a qualunque privato, tanto più conviene a un re, e specialmente a un re assoluto che è padrone di tutto217), e a cui non può mancar mai un lauto trattamento per una numerosa famiglia. […] Così la materia è tenuta avvinta coll’assidua osservazione dei fenomeni e colle reiterate esperienze, e quando essa, dopo aver subìto tutte le fasi dell’analisi e della sintesi, ritorna nella forma primitiva, rivela allora il segreto richiestole. […] L’aver provato i mali della vita rende piu compassionevoli per le altrui sventure.
Apollo giurò ; ma tosto si pentì di aver giurato quando seppe il folle desiderio del figlio. […] Nella invenzione della discendenza in linea retta di queste tre divinità v’è molta connessione logica di principii scientifici, che esamineremo dopo aver parlato del figlio e della nipote di Apollo secondo la Mitologia. […] Dante dopo aver descritto il carro di Beatrice, alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e che anzi al confronto parrebbe meschino e povero : « Non che Roma d’un carro così bello « Rallegrasse Africano, ovvero Augusto ; « Ma quel del sol saria pover con ello. » (Purg.
E che quel soggiorno fosse pur troppo inamabile, come dicono i poeti latini, e tetro, si può dedurre pur anco dal sapere che nessuna Dea o Ninfa, per quanto ambiziosa e vana, acconsentì a sposar Plutone per divenir regina ; e se egli volle aver moglie gli convenne rapirla, e poi contentarsi che ella stesse ogni anno per sei mesi con la madre o sulla Terra o nel Cielo. […] — « Dio vi guardi, Signor, che ’l viso orrendo « Dell’ Orco agli occhi mai vi sia dimostro ; « Meglio è per fama aver notizia d’esso, « Che andargli, sì che lo veggiate, appresso. […] Per altro Minos nell’Inferno di Dante non è un demonio, perchè non è, come i diavoli, maligno nè bugiardo, ma giudica secondo giustizia ; e la sua lunghissima coda non gli offusca l’intelletto, nè lo rende un animale irragionevole e indegno di cotanto uffizio. — Un commentatore Darwiniano direbbe che questo giudice era uno scimmione precocemente perfezionato nella intelligenza, prima di aver perduto la coda, e divenuto uomo nelle facoltà razionali prima di averne acquistato perfettamente la forma.
Gli Zoologi nello studiarsi d’indicare con nomi diversi le successive metamorfosi di certe specie di animali, e principalmente degli insetti, presero dalla Mitologia il vocabolo di ninfa per significare l’insetto nello stato intermedio fra quello di larva e lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso che le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità, ma in una condizione media fra quella degli uomini e quella degli Dei supremi. […] I Botanici anch’essi nel determinare la nomenclatura delle piante aquatiche si ricordarono di aver trovato nella Mitologia, o in qualche classico, certe Ninfe dell’acqua, o che stavano nell’acqua, (il nome preciso di Naiadi non pare che lì per lì lo avessero ben presente) e si affrettarono a chiamar Ninfèa una pianta aquatica (detta altrimenti Nenufar e volgarmente giglio degli stagni), e ne fecero il tipo della famiglia delle Ninfacee, ossia delle piante erbacee aquatiche congeneri alla Ninfèa.
Tutti perirono, fuorchè un sol uomo ed una sola donna, Deucalione e Pirra, che si salvarono in una nave ; la quale dopo aver lungamente errato in balìa delle onde fu spinta e fermossi in Grecia sul monte Parnaso. — Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunati o pii, che soli ebbero in sorte o meritarono di scampare dal generale esterminio ? Furono ambedue della stirpe dei Titani : Deucalione era figlio di Prometeo, e la sua moglie Pirra era figlia di Epimeteo e di Pandora ; ed essendo rimasti soli nel mondo, e quindi il solo modello dei due sessi della specie umana, parve loro un poco lungo, com’è realmente l’aspettare ad aver compagni e sudditi, che fosser nati e cresciuti i loro figli e discendenti ; ed entrati nel tempio della dea Temi che era sul monte Parnaso, dimandarono all’oracolo di essa qual sarebbe un modo più sollecito di ripopolare il mondo.
Ma Dante, che ci assicura di aver trovati parecchi di questi Giganti nel fondo dell’inferno, non ne vide alcuno di quelli più mostruosi. […] Alcuni per altro di quelli che Dante non accenna di aver veduto nel suo viaggio all’Inferno, eran molto più lunghi e più grossi, come per esempio il gigante Tizio che si estendeva per nove jugeri, ed Encelado che era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo che toccava il cielo col capo.
Perseo, dopo aver fatto prodigi di valore colla spada, vedendo che si perdeva troppo tempo ad uccidere i nemici uno alla volta, perchè pochi compagni aveva per aiutarlo, mise fuori la testa di Medusa e pietrificò nell’istante quanti la guardavano ; ed anche Fineo ebbe la stessa sorte. […] « Volando talor s’alza nelle stelle « E poi quasi talor la terra rade ; « E ne porta con lui tutte le belle « Donne che trova per quelle contrade : « Talmente che le misere donzelle « Ch’abbino o aver si credano beltade, « (Come affatto costui tutte le invole), « Non escon fuor sì che le veggia il Sole.
Io pria torrei « Servir bifolco per mercede, a cui « Più scarso il cibo difendesse i giorni, « Che del Mondo defunto aver l’impero. […] Salmoneo, fratello di Sisifo, era sì pien d’orgoglio per aver conquistato l’Elide, « Che temerario veramente ed empio « Fu di voler, quale il Tonante in cielo, « Tonar quaggiuso e folgorare a prova.
Non ostante questi mucchi di rovine non soffocarono la novella credenza che usciva dalla Giudea ; anzi ella vide in questo esterminio una prova della sua verità ; e Roma, dopo aver distrutto una nazione stanziata in un angolo dell’Asia, ebbe a combattere con una religione universale. […] Non ci mettiamo a tavola prima d’aver fatto a Dio un poco d’orazione.
Ella, signore, proponga che condizioni farebbe per il diritto a certo termine, o per l’intera proprietà. » Il contratto non potè aver luogo, perchè all’editore milanese impegnato in molte altre pubblicazioni mancava il tempo, com’ egli rispose direttamente a me stesso, di pubblicare anche questo libro prima della riapertura delle Scuole ; e allora il Tommasèo mi consigliò di stamparlo l’anno appresso per associazione.
Cibele dipoi, per salvare gli altri figli maschi che nacquero in appresso, li mandò nascostamente nell’isola di Creta, e diede ad intendere al marito di aver partorito una pietra che gli fece presentare invece di ciascun neonato.
Urano dopo aver ceduto il regno ai figli non interloquì nelle vertenze dei medesimi e dei nipoti, nè si occupò di affari di Stato.
Potrà bene aver pregio per gli Antiquarii e per la Storia dell’ Arte, ma non reca di certo una gradita sensazione all’occhio dei profani, qual fu immaginata ed eseguita dagli antichi Etruschi.
Ma questo non toglierà che sia sempre necessaria la cognizione della Mitologia greca e romana, nella guisa stessa che la Paleontologia presuppone ed esige la cognizione precedente della storia naturale, perchè è impossibile il dedurre da frammenti di esseri organici fossilizzati, da secoli e secoli non più viventi sulla faccia della terra, la loro antica forma, i loro istinti, le loro abitudini e le loro leggi di vitalità, senza aver prima di queste stesse cose cognizioni esatte negli esseri organizzati viventi.
Dopo aver narrato che i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame canina resa più acuta dal vedersi dinanzi agli occhi, come Tantalo nell’ Inferno pagano, i pomi e l’acqua senza poterne gustare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime, che « Negli occhi era ciascuna oscura e cava, « Pallida nella faccia e tanto scema « Che dall’ossa la pelle s’informava, cominciò a pensare « Alla cagione ancor non manifesta « Di lor magrezza e di lor trista squama ; » e non potendo trovarla da sè, finalmente, fattosi coraggio, domandò a Virgilio : « ……Come si può far magro « Là dove l’uopo di nutrir non tocca ?
Di Vesta Prisca abbiamo parlato abbastanza trattando di Urano ; nè qui, dopo aver notato come distinguevasi essa dalle altre due Dee rappresentanti la Terra, resta altro da aggiungere.
Dice Ugo Foscolo che « Fidia vantavasi di aver dedotto la statua di Giove Olimpio da tre versi di Omero. » E questi tre versi nell’originale greco son quelli di n° 528, 529 e 530, nel i libro dell’ Iliade, che il Monti tradusse così : « Disse, e il gran figlio di Saturno i neri « Sopraccigli inchinò : sull’immortale « Capo del Sire le divine chiome « Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo. » 65.
E poichè è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il sentire con quale impetuosa eloquenza il Xanto incoraggiava il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero.
Narrano di concerto i mitologi ed i poeti greci che la loro antica città di Atene, prima di aver ricevuto questo nome, era detta città Cecropia, perchè costruita o rifabbricata ed ampliata da Cecrope ; e quindi Cecropidi gli abitanti.
Anzi Dante, convinto che tali trasformazioni poeticamente ed ingegnosamente narrate fanno grandissimo effetto sulla immaginazione dei lettori, volle gareggiare anche in questo cogli antichi poeti, come fece nel Canto xxv dell’ Inferno, detto appunto delle trasformazioni ; e fu tanto contento e sicuro egli stesso dell’opra sua, che non potè nasconderlo ai suoi lettori, ed asserì di aver superato Lucano ed anche Ovidio, il famoso autore delle Metamorfosi : « Taccia Lucano omai, là dove tocca « Del misero Sabello e di Nassidio, « Ed attenda ad udir quel ch’or si scocca.
Siccome Siringa in greco significa canna, la somiglianza del nome potè aver dato origine a questa favola, come dicemmo dei nomi di Dafne, di Giacinto, di Ciparisso ecc.
XXXIX Eolo e i Venti Non bastò ai Greci ed ai Romani politeisti, dopo aver considerata l’Aria come uno dei 4 elementi del Caos, il farne anche una Dea, che, sposato il Giorno (sinonimo di luce), produsse Urano, ossia il Cielo ; in quanto che osservando in appresso che nell’aria esiste « Quell’umido vapor che in acqua riede, » ne fecero un Dio sotto il nome di Giove Pluvio ; ed inoltre, poichè l’aria, movendosi, « ….. or vien quinci ed or vien quindi, « E muta nome perchè muta lato, » e produce il fenomeno dei Venti, vollero deificare anche questi.
I chimici chiamano sal di Saturno l’acetato di piombo, e i medici colica saturnina una nevralgia cagionata dall’assorbimento del piombo o delle sue emanazioni : la luce pallida o plumbea del pianeta Saturno può aver suggerito quelle scientifiche denominazioni.
Egli asserisce, non già sulla fede altrui, ma come testimone oculare (poichè finge di aver percorso egli stesso quelle regioni), che l’Inferno è formato di circoli concentrici come un anfiteatro ; che il primo cerchio che si trova, poche miglia sotto la superficie terrestre, è il più grande di tutti gli altri, i quali, vanno gradatamente decrescendo fino al centro del nostro globo, nel qual punto termina l’Inferno stesso ; che i cerchi son 9 ; ma il 7° è diviso in 3 gironi, l’8° in dieci bolge e il 9° in quattro compartimenti chiamati Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca.
Passando ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiutavano Vulcano a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo) e ops (occhio), per indicare la straordinaria particolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare « Di targa e di Febea lampade in guisa « Sotto la torva fronte, » come dice Virgilio.