Impaziente allora con piè veloce al designato fiore ne corse la Dea, ed immantinenti n’ ebbe a sperimentare con sommo suo piacere l’effetto. […] Celebre fù la quistione, e la lite, che ebbe questo Dio col suo zio Nettuno. […] Non ebbe però la fortuna di sottrarsi del tutto all’ altrui vigilanza, mentre nel meglio del suo nero attentato fù veduto dal vigilante Batto. […] Il peso della sua collera ebbe similmente a provare l’irreligioso Eresittone. […] La temerità che ebbe di attaccar con disprezzo la sua beltà fù la cagione di tanta sventura.
Ponto, cioè il mare, dal suo commercio colla Terra ebbe il giusto Nereo, Taumante, Forci, Ceto ed Euritia. […] Taumante sposò Elettra figlia deirOceano, e n’ebbe Iride e l’Arpie Aello e Ocipete. […] Tati dall’Oceano ebbe tutti i fiumi, ed innumerabile stuolo di ninfe abitatrici delle fontane. […] E noto a tutti che tanto figlio ebbe Giove da Alcmena, che ingannò colle sembianze d’Anfitrione marito. […] Una parte dell’armata di Serse ebbe lo stesso scopo.
Europa vedendolo così mansueto vi era salita in groppa per giovanile trastullo ; ma il toro giunto sulla riva del mare, si gettò in mezzo alle onde, e nuotando trasportò all’isola di Creta la giovinetta, ed ivi, riprese le forme divine, la fece sua sposa, e n’ebbe due figli Minos e Radamanto 57. […] Fondata la città, prese Cadmo per moglie Ermione, o, secondo altri Mitologi, Armonia, figlia di Venere e di Marte, e dalla medesima ebbe quattro figlie : Autonoe, Ino, Semele ed Agave, e inoltre un figlio chiamato Polidoro. […] E quanto alla sua sorella Europa, della quale dicono i Mitologi che ebbe da Giove il privilegio di dare il nome alla terza parte dell’antico continente che noi abitiamo, gli storici non sanno dire nulla di più nè di diverso. […] Nel 1821 fu pubblicato dal Bagnoli il suo poema epico in venti Canti, intitolato : Il Cadmo, nel quale l’autore (come è detto anche nella sua prefazione) considera quest’ Eroe Fenicio non solo come guerriero, ma altresì come « il primo che introdusse l’alfabeto in Europa, le pratiche religiose e molte di quelle arti che procurarono l’universale coltura. » Ma il poema non ebbe credito, perchè vi predomina la fiacchezza d’ idee e di stile.
In Roma per altro, la cui fondazione ebbe luogo tre in quattro secoli dopo l’eccidio di Troia, il culto di Marte fu il più solenne e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore della loro città fosse figlio di Marte, come narra lo stesso Tito Livio. […] Marte fu accusato da Nettuno di avergli ucciso contro ogni ragione il suo figlio Alitrozio ; e fu scelto un consesso di 12 Dei per giudicarlo, e il dibattimento ebbe luogo in un borgo d’Atene che d’allora in poi fu chiamato perciò Areopago. […] Dalla luce rossastra e quasi sanguigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che si diletta del sangue e delle stragi. […] « E falso che Attila rovinasse Firenze, non avendo mai passato l’Appennino ; ma forse Totila re dei Goti fu quegli che molto la guastò nelle guerre che ebbe a sostenere contro i generali di Giustiniano.
La Divinità non ebbe mai in alcuna lingua un nome etimologicamente più bello, poichè anche più della giustizia e della clemenza è bella la beneficenza. […] Ammone significa arenoso, e Giove ebbe questo titolo perchè nelle arene della Libia comparve sotto la forma di ariete a Bacco, assetato e smarrito nel deserto, e gl’indicò in un’ oasi vicina una fontana per dissetarsi. Il tempio che Bacco per gratitudine gli eresse in quell’oasi fu perciò detto di Giove Ammone, e l’idolo del Nume ebbe perciò la forma di ariete65.
XIX La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno Al pari di Apollo aveva Diana diversi ufficii non solo in Cielo ed in Terra, ma pur anco nell’Inferno ; e secondo ciascuno di questi rappresentavasi in 3 diverse forme ; quindi ebbe il titolo di Dea Triforme 135. […] Questa favola ebbe fortuna e credito presso i pittori, i poeti e i filosofi. […] Il Petrarca si credè autorizzato da questo racconto mitologico a darci ad intendere, nella sua 4ª Canzone, che per opera di Madonna Laura avvenisse a lui stesso un fatto simile a quello di Atteone : « Io perchè d’altra vista non m’appago, « Stetti a mirarla, ond’ella ebbe vergogna ; « E per farne vendetta, o per celarse, « L’acqua nel viso con le man mi sparse.
I poeti aggiungono che andò a fermarsi in Cipro, ed ivi ebbe il maggior culto e il titolo di Ciprigna. In molti altri luoghi fu poi venerata, in Citera, in Pafo, in Idalio, in Àmatunta, in Gnido, ed ebbe da questi luoghi del suo culto i titoli di Citerèa, Pafia, Idalia ecc., tanto frequenti nei poeti classici latini e greci ; e quelli specialmente di Ciprigna e di Citerèa anche negl’italiani e nello stesso Dante183. […] A Venere fu dedicato il venerdì ; e di Venere ebbe il nome il più bello e rilucente dei pianeti primarii, « Lo bel pianeta che ad amar conforta, » come con perifrasi mitologica lo contraddistinse Dante, alludendo agli attributi della Dea Venere.
Anche in questo placido ufficio ebbe a soffrir disgrazie e dispiaceri. […] Dalla somiglianza del nome ebbe origine questa trasformazione. […] Non la sdegnò il Poliziano, adoratore devoto e felice di tutto ciò che fu scritto dalla classica antichità ; e così vi fece allusione : « Bagna Cipresso ancor pel cervio gli occhi, « Con chiome or aspre, e già distese e bionde. » Più tristi effetti ebbe per Apollo la morte del giovinetto Giacinto.
Sulla nascita di Bacco venner fuori a dire ch’egli ebbe due madri. […] Il piccolo Bacco cresceva vivace ed allegro ; ed ebbe per custode della sua giovinezza (o come ora diremmo per aio o educatore) un vecchio satiro chiamato Sileno, a cui molto piaceva il vino, e che ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto più facile che istillare il gusto delle belle lettere e delle scienze. […] Mida, che era avarissimo, chiese di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava, e Bacco gliel’accordò ; ma presto egli ebbe a pentirsi di avere ottenuto una tal grazia, poichè quando si pose a mensa trovò con suo grande spavento che si cangiavano in solido oro non solo i vasellami e le stoviglie che egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevande che mettevasi in bocca, e presto sarebbe morto di fame in mezzo all’oro, se non avesse ottenuto da quel Nume benigno la cessazione di sì funesto dono.
Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutte le altre parole che ora vi si leggono ; e non si contentò di dirmelo a voce in familiare conversazione, ma lo ripetè in una delle lettere ch’egli ebbe occasione di scrivermi ; e poi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo della Nuova Antologia, che egli mi suggeriva di adottare il soprascritto titolo. […] E la lettera correva di certo, ed io la spedii subito, e qui la riporto per copia conforme : « Il saggio di Mitologia in uso delle Scuole, che sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compiuto, e che da esperti nell’insegnare ebbe lode ; e io, proponendoglielo, ne dico assai ; e meglio di me lo raccomanda il Compendio di Cosmografia, lavoro dell’autore medesimo, accettato da più di una Scuola in Toscana, e di cui l’avveduto signor Barbèra credette utile farsi editore.
Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte, Vulcano ed Ebe ; e poi da altre Dee, ed anche da donne mortali, altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli che furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Diana, Mercurio e Bacco. […] ii dei Principii di scienza nuova : « Quindi tanti Giovi che fanno maraviglia a’filologi ; perchè ogni nazione gentile n’ebbe uno, de’quali tutti gli Egizi per la loro boria dicevano il loro Giove Ammone essere lo più antico, sono tante Istorie fisiche conservateci dalle favole, ecc. ecc. » Fortunatamente in progresso di tempo di tutti quei Giovi, Mercurii, Ercoli ecc., se ne fece un solo Giove, un solo Mercurio, un solo Ercole ecc., vale a dire si attribuirono ad un solo tutti gli uffici e le imprese degli altri loro omonimi.
— Io, sua figlia, rapita da mercanti Fenicj, e condotta in Egitto, e per la sua bontà stimata degna d’Osiride, soprannominato Giove ; da ciò evidentemente ebbe origine la nota favola della metamorfosi della involata donzella. […] Doro diè origine ai Dorii ; Eolo agli Eolii ; Xuto ebbe due figli, Acheo, origine degli Achei, ed Jone degli Jonii.
Cerere ebbe da Giove una figlia chiamata Proserpina in latino e in italiano, Persephone in greco, che rappresenta una splendida parte nelle vicende e negli attributi di sua madre. […] Questo re di Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo invadere dalla Fame (considerata come una Dea malefica), la quale lo ridusse a divorarsi in poco tempo tutto il suo ricco patrimonio, vendendo perfino la figlia Metra, ed a morire ciò non ostante di estenuazione e di tal disperazione « Che in sè medesmo si volgea co’denti. » Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto secco « Per digiunar quando più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insaziabile usuraio : « Da un lato un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mangiatore56. » Il nome di Cerere in latino stava a significare, per figura rettorica di metonimia, il grano o le biade, come Bacco il vino, Minerva la sapienza ecc. ; e nello stesso Virgilio troviamo l’espressione Cerere corrotta dalle onde (Cererem corruptam undis), per indicare il grano avariato dall’acqua del mare.
Eran tutti però molto alti e grossi, talchè da lontano tra la caligine infernale li aveva presi per torri, quantunque non apparissero che per metà, cioè dai fianchi in su ; e Virgilio lo disingannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son torri, ma giganti. » Per quanto Dante ci confessi sinceramente ch’egli ebbe una gran paura al primo vederli, non lasciò per questo di guardarli bene e di misurarne a occhio le dimensioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli che vide dovevano essere alti in media più di venticinque braccia, ossia circa quattordici metri ciascuno, e di grossezza proporzionati all’altezza come nella specie umana. […] Il teatro della guerra fu dunque nella Grecia continentale sui confini della Macedonia colla Tessaglia ; e l’immane combattimento ebbe il nome di pugna di Flègra 74) dalla prossima antica città di questo nome, poi chiamata Pallène.
Dante asserisce che a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta che egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù quel suo celebre viaggio, le tre Furie infernali vedendolo da lontano dall’alto di una torre : « Venga Medusa, sì ‘l farem di smalto, « Gridaron tutte riguardando in giuso ; « Mal non vengiammo in Teseo l’assalto. » E non era un timor panico il suo, perchè Virgilio stesso gli disse tosto : « Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso, « Chè se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi, « Nulla sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo che gli antichi rappresentavano la testa di Medusa nell’Egida, e talvolta nell’usbergo della Dea Minerva ; e Cicerone rimprovera a Verre, tra gli altri delitti e sacrilegii, di avere involato una bellissima testa anguicrinita di Medusa, distaccandola dalle porte del tempio di Minerva in Siracusa49. […] Perseo, dopo aver fatto prodigi di valore colla spada, vedendo che si perdeva troppo tempo ad uccidere i nemici uno alla volta, perchè pochi compagni aveva per aiutarlo, mise fuori la testa di Medusa e pietrificò nell’istante quanti la guardavano ; ed anche Fineo ebbe la stessa sorte.
« Bastiti, e batti a terra le calcagne ; « Gli occhi rivolgi al logoro che gira « Lo rege eterno con le rote magne. » I mitologi pretendevano ancora di sapere i nomi delle Sirene, e ne rammentano tre, cioè Lisia, Leucosia e Partenope ; ed aggiungono che la sirena Partenope andò a morire sulla costa del Tirreno dove fu poi fabbricata una città che in memoria di lei ebbe il nome di Partenope o Partenopea, e che in appresso rifabbricata fu detta, come dicesi ancora, Napoli, che significa città nuova. […] Da sì lieve causa e somiglianza, che doveva sembrare anche più grande alla robusta e sbrigliata immaginazione degli Antichi, ebbe origine la favola delle Sirene, abbellita dall’arte dei poeti nel modo che abbiam detto.
Al desolato fratello convenne continuar solo il viaggio marittimo che ebbe termine nella Colchide ov’era diretto. […] Nella sua schiavitù ebbe Issipile a custodire il piccolo figlio di Licurgo, chiamato Ofelte, o altrimenti Archemore ; ed avendolo lasciato solo in un prato per mostrare ad Adrasto e a’suoi compagni la fontana Langia non molto distante, al suo ritorno trovò il bambino morto pel morso velenoso di un serpente ; ed oltre al dispiacere provato avrebbe dovuto subire anche la morte, se non la di fendevano Adrasto e i suoi compagni.
E trascorrendo di tempo in tempo di errore in errore, e cogliendo in fine gli estremi, facendosi per ogni divieto, la Idea andò in lui offuscata e dispersa ; con la perdita della unità sociale fu obbliato del pari il concetto creativo e della unità cosmica, disparve la intuitiva divina, nacque il politeismo, e quasi ogni aggregazione sociale ebbe i suoi Iddii peculiari, pochi eletti infuori, che scrbando il concetto rivelato e tradizionale serbarono non meno il concetto di Dio, fu instituita una Mitografia, ed alla casta feratica fu affidata la tutela del patrimonio di cotanta insania. […] Perciocchè nè in un’opera così preclara e piena di tanta dignità ardiscono sotto il nome degl’ Iddii e delle Dee attribuirne qualche parte alla Dea Cloacina(2), o a Volupia, che dalla voluttà si ebbe questo nome ; o alla Dea Libentina, che fu così detta dalla libidine ; o al dio Vagitano, che presiede a’vagiti degl’infanti ; o alla dea Cunina, che tutela le cune di loro…… Nè stimarono commettere ad un solo nume la tutela de’ campi ; ma rura alla dea Rusina ; le giogaie de’monti al dio Giogatino ; i colli alla dea Collina ; le valli a Vallonia. […] Oltre l’alloro sacro ad Apollo e ad Ercole, ebbe questi insieme con quello la cetra e la compagnia delle Muse, onde fu detto Musagete. […] Questo lucido aere, e questi tre corpi, che rimangono, il fuoco, l’acqua, e la terra, non erano che un solo ammasso ; e quando la discordanza degli elementi, che lo componevano, ebbe fine, disciolte le parti di questo ammonticchiamento, andarono ad occupare nuove sedi : in alto la luce, più vicino a questa l’aere, in mezzo la terra ed il mare.
Non ostante questi mucchi di rovine non soffocarono la novella credenza che usciva dalla Giudea ; anzi ella vide in questo esterminio una prova della sua verità ; e Roma, dopo aver distrutto una nazione stanziata in un angolo dell’Asia, ebbe a combattere con una religione universale. […] E di vero esso non ebbe a lottare se non colle passioni, gl’interessi e le opinioni dominanti in tutto l’universo I Armato d’una croce di legno, fu veduto a un tratto avanzarsi in mezzo ai pazzi tripudj ed alle sguajate religioni d’un mondo invecchiato nella corruzione.
Sua nascita, 146 ; — sua educazione, 149 ; — suoi viaggi, 151 ; — sposa Arianna, 152 ; — feste in ono[ILLISIBLE]uo, 153 ; — gastigo di Penteo, 155 ; — e delle Mineidi, 156 ; — com’è rappresentato, 157 ; — sacrifizj in onor suo, 158 : — supposizioni degli antiquarj intorno a questo Nume, e diversi nomi che egli ebbe, 159. […] Suoi ufficj, 160 ; — considerato come Dio dell’eloquenza, 163 ; — come Dio del commercio, 164 ; — come protettore dei ladri, 165, 166 ; — trasforma Batto in pietra di paragone, 167 ; — varj nomi che egli ebbe, 168 ; — pluralità di Mercuri, 169.
Apollo, questo Dio oltre molte altre attribuzioni ebbe in perpetuo anche quella di guidare il carro della luce19, e sotto il nome particolare di Febo fu considerato come il Sole istesso.
I cacciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità che quella acquistata con questa trista fine ; ma, come dice un moderno poeta : « Trar l’immortalità dalla sua morte « È una sorte meschina, o non è sorte. » Dopo altre vicende che poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la gloria di atterrare quell’immane belva ; e il diritto che egli avea di prender per sè il teschio e la pelle del cinghiale lo cedè ad Atalanta.
I Pagani rappresentavano cieco o bendato il Destino, e sordo agli umani lamenti ; ma appunto perchè inesorabile, nessun lo pregava o adorava, nè perciò ebbe mai tempii ed offerte.
Peggio poi che bestiale non che disumana fu la condotta di questo Dio nel precipitar dal Cielo in Terra con un calcio Vulcano figlio suo e di Giunone, non per altro motivo se non perchè gli parve brutto e deforme : per la qual caduta il misero Vulcano ebbe di più la disgrazia di rimaner perpetuamante zoppo, e di esser perciò il ludibrio di quelle stravaganti Divinità del Paganesimo, come vedremo a suo luogo.
L’Egizia Dea Iside, poichè credevasi che fosse la stessa Ninfa Io trasformata in vacca da Giove, fu ben presto adorata ed ebbe un tempio in Roma, come asserisce Lucano nel lib.
Dai Romani ebbe questo Dio anche il nome di Luperco (ab arcendis lupis) dal tener lontani i lupi dal gregge ; e si celebravano le feste Lupercali, in onore cioè di Luperco, ossia del Dio Pane, nel mese di febbraio.
Di Borea dicono che rapì la Ninfa Orizia figlia di Eretteo re di Atene, e n’ebbe 2 figli chiamati Calai e Zete, di cui dovremo parlare nella spedizione degli Argonauti.
In Astronomia ebbe il nome di Iride il 7° asteroide, o piccolo pianeta telescopico scoperto da Hind il 13 agosto 1847.
Hutton pubblicò la sua Teoria della Terra nel 1785 ; ed ebbe una grnde efficacia sui progressi della geologia.
Questa parola Genio ebbe un gran credito e un grande uso nella lingua latina279), e lo ha tuttora nelle lingue affini e derivate, e specialmente nella italiana ; anzi in queste riceve sempre nuove applicazioni, ossia va sempre acquistando nuovi significati.