Della sampogna poi convien raccontare pur anco l’origine mitologica. […] Egli pure voleva sposar per forza una Ninfa di nome Siringa ; ma essa avendo pregato gli Dei a liberarla da un sì fatto sposo, ottenne soltanto di esser cangiata in canna, come Dafne in lauro. […] i delle Metamorfosi, che cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suonasse la lira, ma gli raccontasse pur anco la favola di Pane e Siringa : « S’io potessi ritrar come assonnaro « Gli occhi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa che ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco, la quale era stata da Giunone cangiata in voce, in punizione della sua loquacità, e condannata a tacere se nessun le parlava, ed a ripeter soltanto le ultime voci di chi le dirigeva il discorso : favola ricavata evidentemente dai noti effetti del fenomeno acustico dell’Eco.
Nella sua pubblica rappresentanza è una Dea maestosa e benefica ; ma essa pure, nella vita che diremmo privata o domestica, ha i suoi difetti non meno di Giove, sebbene di un altro genere : è superba, dispettosa e vendicativa. […] « Riprese allor la maestosa il guardo « Veneranda Giunon : gran tempo è pure « Che da te nulla cerco e nullo chieggo, « E tu tranquillo adempi ogni tuo senno. » (Trad. del Monti.) […] Questo mito è un anello di congiunzione fra la Mitologia classica e il Feticismo egiziano, e rende qualche probabile ragione di così strano culto, come osservammo pur anco nella guerra dei Giganti, quando gli Dei che ebber paura si trasformarono in bestie.
Esce talvolta « Da questo monte all’aura un’atra nube « Mista di nero fumo e di roventi « Faville, che di cenere e di pece « Fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse « Vibrano ad ora ad or luride fiamme, « Che van lambendo a scolorar le stelle ; « E talvolta le sue viscere stesse « Da sè divelte, immani sassi e scogli « Liquefatti e combusti al Ciel vomendo, « Infin dal fondo romoreggia e bolle79). » E Dante gareggiando col maestro, e, com’è suo stile, distinguendosi da esso e da qualsivoglia altro scrittore per insuperabile concisione, accenna con un solo verso l’opinione mitologica e dà la spiegazione della causa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel Canto iv del Paradiso, che la bella Trinacria, cioè la Sicilia, caliga, ossia cuopresi di caligine, fra Pachino e Peloro (ove appunto è situata l’Etna), « Non per Tifeo, ma per nascente zolfo. » Vedano ora i moderni geologi e chimici (se pure taluno di loro ha tempo di studiare il Dante), come il nostro divino poeta parlava cinque in sei secoli fa, secondo le loro odierne teorie ed analisi chimiche, accennando che lo zolfo nasce e si forma nei sotterranei abissi dei vulcani, e ne vengon tramandate le esalazioni nell’aria circostante ai crateri. […] Chiunque legge con attenzione e riflette su quel che ha letto, quntunque egli sia nuovo alle scienze, pure facendo uso soltanto del lume naturale della ragione, dirà a sè stesso o a qualche chimico : Ma dunque se dite che v’è lo zolfo nativo, parrebbe che vi dovesse essere anche lo zolfo non nativo, ossia procurato con mezzi artificiali per l’industria dell’uomo ! […] Se ne trova pure in copia combinato col piombo, col rame, collo zinco ed altri metalli.