I Romani la chiamarono favola da fari, discorrere. […] I Romani onorarono Giano con special culto ; e pel suo regno lungo e tranquillo fu detto il Dio della pace. […] Quindi i Romani collocavano la sua statua ne’giardini. […] I Greci e i Romani ebbero in gran venerazione questa Dea. […] I Romani l’ebbero in molta venerazione ; e le alzarono templi.
Il suo culto era in voga presso i Romani : i Greci però non han punto conosciuta questa Divinità. […] Ino prese il nome di Leucotoe, e Melicerta quello di Palemone, che i Romani chiamarono Portunno. […] I Romani la figuravano qual donna vestita di una tunica, nel di cui lembo si leggeva questo motto : la morte, e la vita. […] Ciascuna città aveva la propria Fortuna, come quella de’ Napoletani, de’ Romani presso Plutarco detta ancora Pubblica. […] Questi al dire di Livio, s’imbandivano presso i Romani colle carni delle vittime immolate, e nei casi di qualche seria disgrazia della Repubblica.
LXVIII Apoteosi degl’Imperatori Romani Benchè nella Greca Mitologia si trovino alcuni uomini illustri elevati agli onori divini, tali apoteosi molto differivano da quelle degl’Imperatori romani. […] Divi infatti chiamavansi e non Dei gl’imperatori romani deificati, come li troviamo detti anche nella raccolta delle Leggi romane dell’Imperator Giustiniano (Divus Augustus, Divus Antoninus, Divus Traianus, ecc). Tutte le cerimonie dell’apoteosi, o consacrazione degl’ Imperatori romani, ci furono descritte estesamente non solo da Erodiano, ma ancora da Dione Cassio senatore, che assistè per dovere d’ufficio a quella dell’Imperator Pertinace l’anno 193 dell’E.
Secondo i Cronologisti più accreditati, Didone viveva tre secoli dopo la guerra di Troia, e perciò era impossibile che avesse conosciuto Enea ; ma per quanto vi sia questo non piccolo anacronismo, l’invenzione di Virgilio fu ritenuta per una verità istorica ed ebbe gran fama, perchè faceva risalire gli odii dei Cartaginesi contro i Romani sino allo stipite della dinastia del fondatore di Roma ed a quei compagni di Enea, dai quali vantavansi discesi molti dei più nobili ed illustri Romani. […] In Italia furono primi gli Etruschi a porla in pratica e ne divennero solenni maestri : da essi l’appresero i Romani, i quali la estesero e l’accreditarono maggiormente applicandola con solenni formalità e pratiche religiose alla direzione pur anco ed alle risoluzioni degli affari pubblici ossia del Governo. […] A queste e simili pratiche religiose del Paganesimo suol darsi comunemente il titolo di superstizioni ; perciò è da vedersi ancora qual’è l’etimologia di questa parola e quale estensione di significato le attribuivano i Politeisti romani. […] V’era anche un altro proverbio in latino : ab ovo usque ad mala, che voleva significare dal principio alla fine ; ma questo proverbio alludeva al principio e alla fine dei pranzi antichi romani, che incominciavano coll’ imbandigione delle uova e finivano colle frutta. […] « Vetus opinio est jam usque ab heroicis ducta temporibus, eaque et populi Romani et omnium gentium firmata consensu, versari quamdam inter homines divinationem, quam Græci mantichen appellant, id est præsensionem et scientiam rerum futurarum.
Onorato era presso i Romani Giove Lapideo. Così chiamavasi per la pietra che adoperavano nel giuramento, di cui ci ha conservato memoria Polibio nella guerra fra i Romani ed i Cartaginesi. […] Di Giove Pistore fu l’ara nel Campidoglio, perche ai Romani assediati dai Galli fama era che avesse consigliato di gettare del pane negli accampamenti di Brenne, onde togliergli la speranza di vincere i Romani col mezzo della fame. […] La guarnizione del lembo era detta dai Greci πεϛα:, instita o segmentum dai Latini; onde poi si trovano menzionate dai Romani segmentatœ vestes. […] Nè tacerò che Conso appellarono i Romani Nettuno, e che Consuali si dissero i giuochi che successivamente denominati furono Circensi.
Nominavasi finalmente Quirinus da quiris, che significa lancia, per cui i Romani si dissero Quirites dal lor fondatore Romolo creduto, come si è detto, figlio di Marte. […] Re de’ Romani. […] Celebri furono le feste, che dal suo nome vennero dette Saturnali istituite o da Tullo terzo re de’ Romani, o secondo Tito Livio da’ Consoli Sempronio, e Minucio. […] Altra consimile festa introdussero i Romani ìn memoria del giorno, in cui dalla Frigia ad essi pervenne il culto di tal Dea ; quale festa dall’uso di portare a bagnare nel fiume Almone la sua statua detta venne Lavazione. […] Bruto esclama : Romani or che faremo Qual sarà di costor la giusta sorte ?
LXVII L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii I Greci ed i Romani politeisti, oltre all’aver deificato tutti i fenomeni fisici e morali, come abbiam detto, attribuirono a queste Divinità pregi e difetti, virtù e vizii come agli esseri umani ; quindi vi furono divinità benefiche e divinità malefiche, come vi sono uomini buoni e malvagi ; ed anche le migliori divinità ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ottenuto, si unì con Giunone a perseguitare per dispetto Paride ed i Troiani. […] Quegli antichi Romani per altro che tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù gli stessi Padri della Chiesa, non conobbero le assurdità della greca fantasia ; e gli antichi precetti religiosi riportati da Cicerone con antico stile nel libro ii delle Leggi, sono ben lontani dalle aberrazioni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo della repubblica, che studiarono e imitarono la greca mitologia. […] Dicemmo, parlando di Mercurio, che i mercanti romani, secondo quel che afferma Ovidio nei Fasti, pregavano questo Dio a proteggerli nell’ingannare il prossimo senza essere scoperti, e a potersi godere tranquillamente il frutto delle loro ruberie.
Quel giorno che fu il 21 di aprile divenne poi celebre e festeggiato solennemente anche in Roma come l’anniversario della fondazione di essa20, e tuttora si celebra e si solennizza, ma in altro modo, dai moderni Romani dopo 2628 anni. […] I Romani ponevano la statua di Priapo nei loro orti o giardini, ma per far soltanto da spauracchio agli uccelli ; e a tal fine ed effetto nell’alto della testa gli piantarono una canna con stracci in balìa del vento. […] Con tali feste terminavano anticamente il loro anno i Romani ; e queste coincidevano in appresso con quelle della cacciata dei re24.
Nè queste idee eran proprie soltanto dei Politeisti greci e latini ; anzi non furon nemmeno di loro invenzione, poichè sappiamo di certo che ebbero origine nell’Oriente e prevalsero principalmente tra gl’Indiani e i Persiani, e poi passarono agli Egizii, e finalmente ai Greci e ai Romani. […] ………………………… « Non v’è forse sistema di teologia presso gli antichi, sia che si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Romani, che non ammetta il dualismo del principio benefico e del principio maligno. » Vien poi a concludere giustamente che con questo sistema si libera l’uomo da ogni responsabilità, sottomettendolo al cieco destino. […] Ai Genii si offrivano dai Romani le libazioni, le frutta, i fiori, e gl’incensi o altri profumi : « Ipse suos Genius adsit visurus honores, « Cui decorent sanctas mollia serta comas ; « Illius puro destillent tempora nardo ; « Atque satur libo sit, madeatque mero. » (Tib., ii, 2ª.)
Anche i Romani ricorrevano talora a consultare gli Oracoli della Grecia ; e lo stesso T. […] E come se tutto ciò fosse poco, vi si aggiunsero gli Augurii, di cui eran solenni mæstri gli Etruschi ; e da essi li appresero i Romani che ne facevano un uso frequentissimo negli affari pubblici e nei privati, come sappiamo anche dagli storici di Roma. […] Se ne trovano riportate alcune anche nei libri di rettorica e belle lettere, come quella che si suppone data a Pirro re dell’Epiro prima di muover guerra ai Romani : « Aio te, Æacida, Romanos vincere posse. » E l’altra : « Ibis, redibis, non, in bello morieris. » Notabilissima è poi la risposta dell’Oracolo di Delfo ai figli di Tarquinio il Superbo che insieme con Bruto erano andati a consultarlo per sapere chi dovesse regnare in Roma.
Ma perchè non pochi dei miti, o simboli religiosi dei greci e dei romani politeisti furono espressi con splendide e bellissime immagini e in uno stile impareggiabile dai loro più sublimi poeti, e in appresso accolti e adottati nel linguaggio poetico degl’italiani, nasce quindi il bisogno di conoscerli ed illustrarli, e, quando è possibile, decifrarli. Sulla Cosmogonia dunque creduta vera dai Greci e dai Romani, e ammessa come base dei loro miti, convien trattenersi alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto, che la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esistita, ma tutta confusa e mista, in una massa rozza ed informe chiamata Caos (Ovid., Metam.
E poichè i moderni filosofi, e tra questi il Pestalozza, discepolo e seguace fidissimo del Rosmini, danno alla religione pagana il titolo di Panteismo Mitologico, è questo un altro motivo di credere che il sistema da me prescelto sia il più opportuno a spiegare i miti dei Greci e dei Romani. […] Furono allora immaginati e splendidamente dipinti con stile impareggiabile dai Greci e dai Romani i più celebri e graziosi miti di cui non perirà mai la memoria, finchè si leggeranno e s’intenderanno i loro poetici scritti e quelli dei moderni poeti che li imitarono.
I Romani sino al termine della seconda guerra punica furono i puritani della pagana religione, e considerarono sin dal tempo di Numa il sentimento religioso e morale come il primo fattore dell’incivilimento ; e perciò ebbero cura di tenerne lungi qualunque elemento che tendesse a viziare la moralità delle azioni, senza la quale non può esistere vera civiltà. […] Aggiungendovisi poi le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo che essi potessero accogliere nel loro numero e nel loro consesso qualunque mortale benchè scellerato ed empio, come furono i più degli Imperatori romani.
Campo di Marte, palestra dei Romani, 259 (nota). […] Cerimonie funebri dei Greci e dei Romani, 689 e seg. […] — dei Romani, 675.
Riguardo poi all’ etimologia del titolo di questi Dei, che furon portati in Italia « ……. da quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia, » lasceremo decidere ai solenni filologi di professione se il vocabolo stesso Penati discenda in linea retta o collaterale dal troiano linguaggio, come i Romani dai Troiani. […] Sappiamo poi che nelle case dei più ricchi politeisti romani v’era il Larario, ossia la cappella dei Lari ; e nelle altre, almeno un tabernacolo colle statue o immagini di questi Dei, le quali spesso ponevansi ancora dentro certe nicchie nei focolari, parola questa che alcuni etimologisti notano come composta colla voce Lari 38.
Da queste idee filosofiche derivò il titolo di Ottimo Massimo che davasi a Giove dai romani politeisti ; e Cicerone stesso spiega questi due attributi colle seguenti parole : « Il popolo romano chiamò « Giove Ottimo per i suoi benefizii e Massimo per la sua potenza » 59. […] Se tutto questo e null’altro si sapesse di Giove, avremmo in esso una nobilissima idea del Dio filosofico, riconosciuto e affermato da Socrate, da Cicerone e dagli altri sommi greci e romani antichi.
In quelle feste gli schiavi dei Romani erano serviti a mensa dai loro padroni, ed avevano libertà di rimproverarli dei loro difetti36). […] Conoscevano dunque i Romani gli usi e le pratiche religiose degli Ebrei.
Insegnò le Belle-Lettere ad Evandro ; e perciò i Romani lo riconobbero come uno de’loro fondatori. […] Presso i Romani M. […] I Romani pure eressero alla Vittoria un tempio durante la guerra, che avevano co’Sanniti sotto il Consolato di L. […] I Romani poi le eressero il più grande è magnifico tempio, che vi fosse tra loro. […] I Romani parimenti le eressero molti tempj, e un gran numero di statue.
I Romani avanti la prima guerra punica poco lo consideravano ed adoravano come Dio del mare, ma più generalmente, a tempo di Romolo, come Dio del consiglio sotto il nome di Conso, e in appresso anche come protettore dei cavalli e dei cavalieri col titolo di Nettuno equestre, alludendosi alla favola che questo Dio nella gara con Minerva per dare il nome alla città di Cecrope avesse prodotto il cavallo. […] Ora è da notarsi che gli Antichi fecero presiedere Leucotoe (chiamata dai Romani anche Matuta) alla calma del mare, e Palemone ai porti (e perciò fu chiamato anche Portunno).
La descrizione delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure, che sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili, finchè rimane disgiunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire che ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani.
Passata quest’epoca, che è la più poetica e che ha dato origine e materia ai più celebri poemi epici, si continua la personificazione di nuove idee astratte, non solo delle virtù, ma pur anco dei vizii, e si termina con l’apoteosi degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo.
Il feticismo però non prevalse nella religione dei Greci e dei Romani, ma sì di altri popoli o più antichi o più rozzi, e fu proprio più specialmente degli Egiziani, come abbiamo altrove accennato.
Sotto questo punto di vista nelle lingue moderne affini della latina, e specialmente nella italiana, furono accolti e adottati dai nostri poeti i miti dei Greci e dei Romani, non però tutti alla rinfusa e senza discriminazione, ma quelli soltanto o principalmente, che presentavano una più evidente, o almeno probabile spiegazione dei fenomeni fisici o morali.
Se poco hanno avuto da inventare e da raccontarci i mitologi sulla vita semplice e monotona che attribuirono a questa Dea, molto ci hanno narrato gli storici romani sulla importanza del culto di Vesta e dell’ufficio delle Vergini Vestali in Roma.
Perciò nel Corpus Juris dei Romani (le Pandette, il Codice, ecc.) troviamo rammentati col titolo di Divi quegli Imperatori di cui si citano le leggi o i rescritti (Divus Julius, Divus Augustus, Divus Traianus, ecc.).
E quantunque il termine di Mitologia in senso lato sia riferibile a tutte le religioni pagane, è per altro più specialmente applicabile a quella dei Greci e dei Romani, le cui classiche lingue e letterature tanto contribuirono e contribuiscono a dar pregio e vigore alla lingua e alla letteratura italiana.
ii, de Legibus, Cicerone porta due potenti ragioni perchè fu dai Romani proibita la questua in generale : stipem sustulimus (nisi eam quam ad paucos dies propriam Ideœ Matris excepimus), implet enim superstitione animos et exhaurit domos.
I giureconsulti romani nel parlare della schiavitù (quantunque a quei tempi fosse ammessa per diritto internazionale o delle genti, e riconosciuta per diritto civile), dicono francamente che è contro natura 11.