Bacco volendo ricompensarlo di sì bella ospitalità largita al suo balio, promisegli d’esaudire il primo desiderio ch’ei gli avesse manifestato. […] Ogni sdrucciolone, ogni cascata erano accolti dagli scoppi di risa, dal suon di mano e dalle fischiate degli spettatori ; ma era dato un premio al ballerino che avesse saputo serbar l’equilibrio meglio degli altri. […] Icelo dicono che si trasforma esso stesso in più forme ; e questo figurerei per modo, che nel tutto paresse uomo, ed avesse parte di fiera, di uccello, di serpente, come Ovidio medesimo lo descrive. […] I dodici Numi principali furono eletti arbitri, e decretarono quest’onore a chi dei due avesse creata la cosa più utile per una città. […] Il temerario che con mano sacrilega gli avesse fatto mutar posto veniva proscritto, abbandonato alle furie (232), e ad ognuno era lecito ucciderlo.
Le si offrivano le primizie de’ frutti e v’era pena della vita per chi avesse sturbato i suoi misteri. […] Nessun mortale vivente poteva entrare nella barca di Caronte, a meno che non avesse seco un ramo d’oro consacrato a Minerva. […] Non era il solo Vertunno che avesse il potere di cambiar di forme, ebbervi Proteo, Periclimene ed Acheloo. […] Vuolsi che Pane innamorato di lei ne avesse una figlia iamata Iringa. […] Minerva lo raccolse e lo portò in casa di Alcmena, come una nutrice cui l’avesse raccomandato.
Gli Dei chiamati a dirimere tal controversia decretarono, che quella parte, che per propria virtù prodotto avesse la cosa più vantaggiosa goderebbe della pretesa facoltà. […] Nè contenta di questo da sozzo fango fè sorgere un’orribil serpente detto Pitone, acciò questo inseguito avesse da per tutto la sventurata Latona sua rivale. […] Questi allora ben servendosi della occasione non pria stese le mani all’ opra, che la povera madre non gli avesse promessa, non ostante la sua deformità, la bellissima Venere in isposa. […] Gelosa pur troppo fù del suo onore questa Dea ; sicche il suo sdegno evitar non poteva chiunque osato avesse oltraggiarla. […] Ad onta però del suo ammirabil potere su i morti Dea in sorte incontrar non poteva, che accettato l’avesse in marito.
La morte sul campo di battaglia era un olocausto agli Dei ; nè c’era cosa che così profondamente scolpita avesse la religione in quell’anime semplici e bellicose, come il continuato uso degli augurj e degli auspicj. […] Nel resto del mondo soggetto al dominio romano, l’istinto religioso non era men profanato, sebbene la civiltà romana avesse in alcun luogo reso il culto pubblico meno crudele. […] Pare che la Persia, dai Greci chiamata barbara, avesse avuto nei tempi più remoti un culto più ragionevole e più puro del politeismo d’Europa. […] 149 Qual gloria sarebbe di quel presidente, se potesse venire in chiaro che alcuno avesse divorato cento infanti ! […] Anche umanamente parlando, il suo passaggio sopra la terra è il più grande avvenimento che avesse mai luogo fra gli uomini, poichè la faccia del mondo cominciò a rinnovarsi dopo la predicazione dell’Evangelio.
Ma poichè l’Ariosto, coll’immaginare che il Senàpo imperatore dell’Etiopia avesse ricevuto una punizione simile a quella di Fineo, ha riunito in poche ottave tutte le classiche reminiscenze degli antichi poeti su questo fatto mitologico, aggiungendovi di suo altre invenzioni medioevali, riporterò prima l’imitazione degli Antichi, e dipoi il diverso modo di liberazione da lui immaginato : « Dentro una ricca sala immantinente « Apparecchiossi il convito solenne, « Col Senàpo s’assise solamente « Il Duca Astolfo, e la vivanda venne. […] « Uno sul collo, un altro su la groppa « Percuote, e chi nel petto e chi nell’ala ; « Ma come fera in su un sacco di stoppa, « Poi langue il colpo, e senza effetto cala : « E quei non vi lasciâr piatto nè coppa « Che fosse intatta ; nè sgombrâr la sala « Prima che le rapine e il fiero pasto « Contaminato il tutto avesse e guasto. » (Orl. […] « Quivi s’è quella turba predatrice « Come in sicuro albergo ricondotta, « E già sin di Cocito in su la proda « Scesa, e più là, dove quel suon non s’oda. » E così l’Ariosto collega l’antico col moderno, e fingendo che Astolfo nell’800 dell’èra volgare avesse spinto le Arpie nell’Inferno, ove Dante, 500 anni dopo Astolfo, dice di averle trovate, mette d’accordo, come se fossero una storia vera, le fantasie di tutti gli altri poeti col racconto di sua invenzione. […] Sarebbe dunque rimasta vana ed inutile la spedizione degli Argonauti, quanto al fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse trovato una Maga che lo aiutasse a superare ogni ostacolo soprannaturale.
Fabbricando Cecrope la citta di Atene, Minerva e Nettuno contesero chi avesse a darle il nome. […] Questi che già gli aveva promesso con giuramento qualunque cosa gli avesse chiesto, dopo aver cercato per ogni modo di dissuaderlo, fu suo malgrado costretto ad accordarglielo. […] Essa allora sir volse a Giove per riaverla ed ebbe dà lui promessa che le sarebbe restituita, qualor non avesse giù nell’ Inferno gustato ancor alcun cibo. […] Giunone carpi da Giove il giuramento che chi nascerebbe il primo avesse impero sopra dell’ altro, indi corse ad accelerare la nascita di Euristeo, che venne alla luce di sette mesi, e ritardò quella di Ercole fino al decimo mese. […] Non però a torto deciso aveano i Troiani che Ulisse alla loro patria avesse recato i danni maggiori.
E che questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse adorata in Alba e vi avesse un tempio e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non che da tutti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo zio Amulio a farsi Vestale. […] La Vestale che avesse lasciato spengere il fuoco sacro, era battuta pubblicamente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato al voto di castità era seppellita viva, in un campo, detto scellerato, fuori di Roma.
Il padre di lei non sapendo che ne fosse avvenuto, mandò il figlio Cadmo a cercarla, con ordine di non tornare a casa finchè non avesse trovato la sorella. […] Ma per quanto avesse Cadmo strettissima parentela coi principali Dei, poichè Giove era suo genero, Venere e Marte suoi suoceri e Bacco suo nipote, oltre il proprio merito di fondatore di una illustre città, non ostante non fu felice, e neppure i suoi discendenti. […] Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e che perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo che la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo che Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come afferma Pausania.
Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di Numa, era divenuto inintelligibile a loro stessi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare. […] Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Massimo, ove tutti gli anni si celebrava la detta festa il dì 20 di giugno ; e per quanto questo Nume sia rammentato da molti dei più celebri scrittori Latini, restò peraltro incerto per lungo tempo quale ufficio egli avesse.
Non già che egli, come Dio, avesse bisogno di rubare, ma così per trastullo149 e per dimostrare la sua scaltrezza si divertiva a far delle burle agli Dei, involando ad essi quel che avevano di più caro e prezioso. […] Questo chiamavasi in greco chelys e in latino testudo, parole che in entrambe le lingue significano primitivamente testuggine, perchè credevasi che Mercurio avesse formato questo stromento col guscio di una testuggine adattandovi 7 corde158. […] Attribuirono a Mercurio anche i primi incentivi alla vita sociale e all’incivilimento, asserendo che egli avesse dirozzati i popoli selvaggi col canto e coll’uso dei giuochi ginnastici, esercizii tanto pregiati dagli Antichi160.
Credevasi che Apollo colà avesse ucciso il serpente Pitone che infestava quei luoghi ; e che perciò in origine la città di Delfo fosse detta Pito, donde l’appellativo di Pitio o Pizio dato ad Apollo, di Pitici o Pizii ai giuochi in onore di esso, di Pizia o Pitonessa alla sacerdotessa che invasata dal Nume proferiva mistiche parole, interpretate dai sacerdoti come responsi di Apollo. Gli Oracoli si rendevano in un sotterraneo del tempio, inaccessibile a tutti i profani, ed ove ammettevasi soltanto qualche devoto che ne avesse ottenuto dai sacerdoti il permesso. […] Molti interpretavano che i Greci sarebbero stati vinti a Salamina ; ma Temistocle convinse tutti ragionando così : « Se Apollo avesse voluto significare che Salamina sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’avrebbe appellata divina ; e che perciò la minaccia era contro i Persiani, i quali dall’oracolo eran chiamati figli delle donne per indicare la loro effemminatezza e il loro poco valore. » 290.
Di Giunone Moneta è frequente menzione negli scrittori, ed [è dubbio se onore di tempio avesse sul Campidoglio, o sull’Aventino. […] Ma Clizia, quantunque nell’amore avesse scusa il suo fallo, non gustò più la dolcezza dei baci divini. […] « Si vuole clie nella più remota antichità Parnaso avesse in questo luogo una città,fondata. […] Coloro che si piccano di sapere le genealogie, pretendono che Delfo avesse un figlio chiamato Piti, che regnando diede il suo cognome alla terra. […] Deducesi da tutto ciò che Ino o Leucotea con tal benda soleva effigiarsi: non mi sembra per altro legittima conseguenza l’inferirne che questa sola dea ne avesse il capo adornato.
E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. […] Con queste stravaganti cerimonie volevasi alludere alla favola o tradizione Egizia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello Osiride ; e che questi poi fosse trasformato in bove.
Siccome gli Antichi credevano che alcuni dei loro più famosi eroi, Teseo, Ercole, Orfeo, Ulisse ed Enea in corpo e in anima, ossia da vivi, fossero andati a visitar questi luoghi, e ritornati ne avessero raccontato mirabilia, i poeti impadronendosi di questa popolare credenza vi trovarono un vasto campo libero ed aperto alla loro immaginazione, che percorsero a briglia sciolta, e senza paura di essere smentiti da chi, dopo la morte, nulla vi avesse trovato di quel che essi dicevano. […] Inoltre colle analisi spettrali che dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior parte delle sostanze che si conoscono sul nostro globo239, si venne a confermare i raziocinii dei geologi, che cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizione come il Sole, e che a poco a poco raffreddandosi avesse formato le rocce ignee, acquee, metamorfiche, ecc. ; insomma tutti i diversi strati, sull’ultimo dei quali abitiamo.
Se nella favola si dice, che Saturno avesse castrato il Cielo suo padre, con questo s’intese che presso Saturno, non presso il cielo, è un seme divino. […] Ei si dipingeva con un caduceo in mano, che il poeta della lliade chiama verga dorata, cui andavano attorti due colubri, e fu creduto essere questo un simbolo di pace ; posciachè, incontrandosi ei con due colubri altercantisi, ne avesse tolto di mezzo la rissa, rappacificandoli col tocco della sua verga. […] Taluni si finsero in tal modo questa prima intelligenza per dire, che Dio per verbum avesse creato il mondo. […] I tre corpi dati dalla favola a Gerione forse non erano che tre corpi di armati, che per tutelare il suo territorio oppose ad Ercole ; oppure, che egli avesse tre fratelli, cui vivesse in tanta strettezza di amor fraterno, che potevasi dire, di loro di essere informati di un’anima sola in tre corpi. […] La favola vuole di portar tale denominazione, perciocchè accogliendo egli cortesemente nel Lazio, suo regno, Saturno scacciato dal cielo, avesse avuto da lui il dono di conoscere l’avvenire, e non mai obbliare il passato.
Finsero che Bacco nei suoi viaggi di proselitismo enologico avesse trovato nell’isola di Naxo Arianna figlia di Minos re di Creta, abbandonata dal perfido Teseo che a lei doveva la sua salvezza dal labirinto e dal Minotauro. […] Mida, che era avarissimo, chiese di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava, e Bacco gliel’accordò ; ma presto egli ebbe a pentirsi di avere ottenuto una tal grazia, poichè quando si pose a mensa trovò con suo grande spavento che si cangiavano in solido oro non solo i vasellami e le stoviglie che egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevande che mettevasi in bocca, e presto sarebbe morto di fame in mezzo all’oro, se non avesse ottenuto da quel Nume benigno la cessazione di sì funesto dono.
Infatti in Grecia richiedevasi 1° che l’eroe da considerarsi come un Dio fosse figlio di una Divinità o per padre o per madre ; 2° che vivendo avesse compiute imprese straordinarie per valore o per ingegno a prò dell’umanità ; e 3° che solo dopo la morte, e quando in lui si riconoscessero le due precedenti condizioni fosse considerato e adorato qual Nume.
Non è noto però che la Dea Laverna avesse un pubblico tempio in Roma ; e degli Dei superiori adoravansi pubblicamente i pregi e le virtù, e non i vizii che erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti.
Se la madre avesse potuto veder quegli spasimi atroci, ne sarebbe rimasta impietosita e avrebbe cercato di porvi rimedio ; chè ella sola il poteva.
Di Pandora stessa raccontasi pur anco da alcuni mitologi, che Giove, nel regalarle il fatal vaso, le avesse ordinato di portarlo a Prometeo ; ma questi il cui nome significa provvido o cauto, non volle aprirlo ; ed avendolo essa portato quindi ad Epimeteo, il cui nome significa l’opposto, cioè improvvido o incauto, questi l’aprì.
E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti, ovvero alla parte più interna dei tempii e delle case ove questi Dei erano adorati37.
La veste ornata di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele, che presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava che quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortificar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone come il re degli animali terrestri.
Anche Cicerone nelle sue Opere usa almeno due volte, per quanto mi ricordi, l’aggettivo pànico riferito a timore o romore, ma lo scrive con lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo credeva un neologismo che non avesse ancora acquistato la cittadinanza romana.
Chi ha veduto qualche automa in azione189, o almeno conosce storicamente il meccanismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime, che sotto forme di uomini o di animali eseguiscono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano ed hanno studiato una scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate « …….forme e figure « Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive « Giovinette simili, entro il cui seno « Avea messo il gran fabbro e voce e vita « E vigor d’intelletto e delle care « Arti insegnate dai Celesti il senno.
Questa placida Dea, come la chiama Tibullo19, e queste rozze e semplici cerimonie sarebbero rimaste ignote o presto obliate, se non fosse avvenuto che nel giorno stesso di quella festa avesse Romolo incominciato la fondazione di Roma, tracciando coll’aratro la prima cinta dell’eterna città.