Si rapresenta come un bel giovine, snello di corpo, col caduceo in mano, qualche volta con una borsa e colle ali alla testa ed ai piedi. […] Le Oceanidi figlie di Teti, coronate di fiori, a truppe nuotavano dietro il carro di lei ; le belle chiome scendevano loro sulle spalle ed in balía de’ venti ondeggiavano. […] Si dipingevano giovani, belle e vergini perchè le Grazie ed i piaceri sono sempre stati risguardati come attributi della gioventù. […] Si dipingono giovani, belle, modeste e vestite semplicemente. […] Si ravvisa in Pireneo il nome di qualche principe il quale non amando le belle lettere distrusse i luoghi ove erano coltivate.
Abbondanza. — Divinità allegorica che si rappresenta sotto le forme di una donna giovane e bellissima, circondata di tutti i beni della terra dall’eterno sorriso e dalle tinte vive dei più ricchi colori : tiene nelle mani un corno rovesciato da cui escono a profusione i fiori e le frutta più belle. […] Formarsi ancor nel bel vermiglio Le note che v’impresse il biondo Dio : E mostrò il novo fior descritto (come L’altro) il duol di Giacinto, e il costui nome. […] Quando alcuna di loro alla vita esce, Con lei nasce un abeto, un pino, un faggio, Che verso il cielo alteramente cresce : E si domanda il bel loco selvaggio Bosco sacro agli dei, nè giammai porta O mano o ferro a quelle plante oltraggio. […] E i dipinti Agatirsi in varie tresche Gli s’aggiran d’intorno, o quando spazia Per le piagge di Cento a l’aura sparsi I bel crin d’oro, e de l’amata fronde Le tempie avvolto, e di feretra armato. […] Autunno. — Gli antichi rappresentavano questa stagione sotto la figura d’un bel giovane, avente in mano un canestro di frutta e con ai piedi un cane.
Il riferirne ed analizzarne le poetiche descrizioni antiche e moderne è ufficio dei professori di rettorica e belle lettere, e il descriverne le antiche e le moderne sculture o pitture appartiensi ai professori gnostici ed estetici di Belle Arti, e non al Mitologo, poichè miti speciali non vi sono in queste astrazioni, o personificazioni, o apoteosi, da raccontare.
La sua poetica descrizione è tanto chiara ed evidente che molti cultori delle arti belle, e tra questi lo stesso Michelangiolo, hanno potuto rappresentarla senza alcuna difficoltà colla matita e col pennello. […] Oltre i quattro fiumi dell’Inferno Pagano, cioè l’Acheronte, lo Stige, il Flegetonte e il Cocìto si trovano nell’ Inferno di Dante cascate d’acqua, paludi, pantani, un gran lago gelato, argini, ponti, torri, un castello « Sette volte cerchiato d’alte mura, « Difeso intorno da un bel fiumicello, » e finalmente, tralasciando ogni altra singolarità, la città di Dite, ossia del fuoco con mura ferruginose, e dentro, invece di case, cassoni di ferro rovente, pieni di dannati.
Dante asserisce che a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta che egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù quel suo celebre viaggio, le tre Furie infernali vedendolo da lontano dall’alto di una torre : « Venga Medusa, sì ‘l farem di smalto, « Gridaron tutte riguardando in giuso ; « Mal non vengiammo in Teseo l’assalto. » E non era un timor panico il suo, perchè Virgilio stesso gli disse tosto : « Volgiti indietro, e tien lo viso chiuso, « Chè se ‘l Gorgon si mostra e tu ‘l vedessi, « Nulla sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo che gli antichi rappresentavano la testa di Medusa nell’Egida, e talvolta nell’usbergo della Dea Minerva ; e Cicerone rimprovera a Verre, tra gli altri delitti e sacrilegii, di avere involato una bellissima testa anguicrinita di Medusa, distaccandola dalle porte del tempio di Minerva in Siracusa49. […] « Volando talor s’alza nelle stelle « E poi quasi talor la terra rade ; « E ne porta con lui tutte le belle « Donne che trova per quelle contrade : « Talmente che le misere donzelle « Ch’abbino o aver si credano beltade, « (Come affatto costui tutte le invole), « Non escon fuor sì che le veggia il Sole.
Le più belle massime antiche morali e filosofiche eran credute responsi degli Oracoli ; e la più sapiente e mirabile di tutte, espressa con queste poche parole : conosci te stesso, leggevasi scritta sul pronao del tempio di Apollo in Delfo. […] Se ne trovano riportate alcune anche nei libri di rettorica e belle lettere, come quella che si suppone data a Pirro re dell’Epiro prima di muover guerra ai Romani : « Aio te, Æacida, Romanos vincere posse. » E l’altra : « Ibis, redibis, non, in bello morieris. » Notabilissima è poi la risposta dell’Oracolo di Delfo ai figli di Tarquinio il Superbo che insieme con Bruto erano andati a consultarlo per sapere chi dovesse regnare in Roma.
Dopo questa arditissima e veramente omerica invenzione, ornata di tante belle similitudini, di bene adattate idee classiche e mitologiche e di tutto lo splendor dello stile ariostesco, chi potrà legger pazientemente nel Ricciardetto la secentistica e plebea descrizione di « Una balena larga dieci miglia « E lunga trenta,……… » avente nelle interne cavità delle sue viscere terreni arborati e seminativi, un ampio lago ed un mercato di grano con gente che compra e vende, e inoltre una chiesa con le campane che suonano a festa, un convento di frati cappuccini ed altre simili stravaganze ? […] Orazio annovera tra le più belle e mirabili descrizioni di Omero, (chiamandole speciosa miracula) quelle di Scilla e di Cariddi.
Il piccolo Bacco cresceva vivace ed allegro ; ed ebbe per custode della sua giovinezza (o come ora diremmo per aio o educatore) un vecchio satiro chiamato Sileno, a cui molto piaceva il vino, e che ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto più facile che istillare il gusto delle belle lettere e delle scienze. […] Il celebre Magalotti, relatore delle esperienze dell’Accademia del Cimento, in una delle sue lettere scientifiche (lettera 5ª a Carlo Dati), intese di dare la spiegazione di questo fenomeno con una ipotesi, alla quale allude il Redi nel Bacco in Toscana, parlando del vino : « Sì bel sangue è un raggio acceso « Di quel Sol che in Ciel vedete, « E rimase avvinto e preso « Di più grappoli alla rete. » Ma la chimica soltanto colla teoria delle trasformazioni per mezzo della luce, del calorico e della elettricità può darne la più razionale e probabile spiegazione.
XXIX Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri Pur di esser re, Plutone benchè nato in Cielo ed allevato in una delle più belle regioni della Terra, accettò di regnar nell’ Inferno. […] « Quando noi fummo fatti tanto avante, « Che al mio Maestro piacque di mostrarmi « La creatura ch’ebbe il bel sembiante, « Dinanzi mi si tolse, e fe’ ristarmi, « Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco « Ove convien che di fortezza t’armi. » (Inf.
Così possiam dire che il nostro libro comprenda una specie d’Antologia Mitologica opportunissima anche ai cultori delle Belle Arti.
Nè men necessaria è a tutti gli studiosi delle belle arti, giacche le favole tanti soggetti hanno fornito, e forniscono di continuo alla pittura, alla scultura, alla musica, alla danza. […] Zefiro fu marito di Glori o Flora Dea dei fiori; e come egli a noi porta comunemente il bel tempo, suole dipingersi in figura di alato giovinetto con faccia serena e incoronato di fiori. […] Furono poi trasportati in cielo amendue nella costellazione de’ Gemelli, ed ebbero amendue il nome comune di Dioscuri, cioè figli di Giove, e di, Tindaridi, cioè figli di Tindaro; e in somma venerazione erano entrambi, presso de’ naviganti, perchè il loro apparire dicevasi portator del bel tempo. Polluce erasi reso celebre nella lotta e bel combattimento de’ cesti, co’ quali uccise Amico, tenuto prima invincibile, Castore si distinse nei matteggio de cavalli.
Da questi studi scientifici traggono in oggi le più belle immagini quei pochi eletti che hanno intelletto a poetare4.
Di tali divinità il cui ufficio si conosce e s’intende dal significato del loro stesso nome ve n’era un bel numero nel Politeismo, come per esempio, il Dio Robigo, la Dea Ippona, il Dio Locuzio, la Dea Mefiti, ecc. ecc. ; e basta conoscere l’etimologia e il significato di questi vocaboli per intendere qual fosse l’ufficio di tali Dei.
Quindi è che anco nelle Belle Arti è raro il trovar dipinta o sculta la figura della Chimera.
È da osservarsi peraltro che nè Dante nè gli altri poeti nostri adottarono i più strani, oscuri o assurdi miti dei Greci e dei Latini, e invece hanno preferito e trascelto quelli soltanto che racchiudevano le più belle immagini e i più chiari e notabili simboli dell’antica sapienza.
« Certo non si scotea sì forte Delo « Pria che Latona in lei facesse il nido « A parturir li due occhi del Cielo ; » ove è da notarsi tra le altre belle espressioni l’ardita e sublime metafora di chiamare Apollo e Diana, considerati come il Sole e la Luna, i due occhi del Cielo.
Il più bel tempio però e la più famosa statua di questa Dea erano in Atene : la statua distinguevasi col nome di Parthenos (la vergine), cioè statua della vergine, e il tempio chiamavasi il Partenone, cioè sacro alla vergine, sottinteso Atena, vale a dire Minerva.
Anche i pittori hanno trattato questo soggetto : basti il rammentare il bel quadro del Ratto di Proserpina, dipinto dal Turchi soprannominato L’ Orbetto.
« Dodici, sei d’un sesso e sei dell’altro, « Gli nacquer figli in casa ; ed ei congiunse « Per nodo marital suore e fratelli, « Che avean degli anni il più bel fior sul volto.
Ogni divinità aveva le sue vittime diverse, ed erano scelte fra le più belle.
Poco o nulla hanno scritto di lui i Classici latini ; e tra i Greci, dopo Esiodo che creò questo bel tipo di maldicente, gli fece le spese Luciano ne’suoi dialoghi a schernire gli Dei ; ma gli fa dire tante freddure che sono una miseria e uno sfinimento a sentirle.