La statua era crisoelefantina, d’ avorio i nudi, d’ oro con ismalti colorati il manto. […] Gli antichi se lo figuravano come un bel giovane cogli occhi lucenti, colla chioma tutta a ricci splendenti, e coperto d’ un, elmo d’ oro. […] La bella Aurora, dalle dita rosee, dal manto d’ oro, è descritta spesso dai poeti, ma più come fenomeno nattirale che come dea. […] Era detto l’ unico robusto figliuolo di Posidone e Anfitrite, che con loro abita nel palazzo d’ oro in fondo al mare. […] Mida, spinto dalla sua avarizia, chiese si convertisse in oro ciò che egli toccasse col suo corpo.
Anche Dante confrontando, nel Canto xix dell’Inferno, il numero degli Dei degl’ Idolatri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando che questi Dei son cento volte più numerosi di quelli, accetta per lo meno il computo di Varrone, poichè così rimprovera i Simoniaci stessi5 : « Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ; « E che altro è da voi all’ Idolatre6 « Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? […] Senza occuparci della distinzione che fanno i canonisti della Simonia a pretio, a precibus, ab obsequio, ci contenteremo della definizione che ne dà l’Alighieri pel 1° capo, cioè per la Simonia a pretio : « O Simon Mago, o miseri seguaci, « Che le cose di Dio, che di bontate « Deono essere spose, e voi rapaci « Per oro e per argento adulterate, « Or convien che per voi suoni la tromba, « Perocchè nella terza bolgia state. » 6. […] I più dotti commentatori di Dante, e tra essi anche il canonico Bianchi di onorata memoria, interpretano questo passo cosi : « per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto al numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e moltiplicandolo per cento, come dice Dante, ne verrebbero 3 milioni di Dei, adorati dai Simoniaci.
Arianna (per chi non lo sapesse) significa molto piacente ; e Bacco a cui piaceva il bello ed il buono se ne trovò molto contento, e le regalò come dono nuziale una preziosissima corona d’oro e di gemme, opera egregia di Vulcano, la quale poi fu cangiata in una costellazione che porta ancora il nome di corona di Arianna. […] Mida, che era avarissimo, chiese di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava, e Bacco gliel’accordò ; ma presto egli ebbe a pentirsi di avere ottenuto una tal grazia, poichè quando si pose a mensa trovò con suo grande spavento che si cangiavano in solido oro non solo i vasellami e le stoviglie che egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevande che mettevasi in bocca, e presto sarebbe morto di fame in mezzo all’oro, se non avesse ottenuto da quel Nume benigno la cessazione di sì funesto dono. Bacco gli ordinò di lavarsi nel fiume Pattolo ; e i poeti aggiunsero che le acque di quel fiume contrassero in parte la proprietà che Mida perdè, trasportando nella loro corrente alcune pagliuzze o arene d’oro.
Cupido è rappresentato come un fanciulletto, grazioso in apparenza benchè maligno in effetto, colle ali d’oro, e d’oro l’arco, gli strali e la faretra ; e si aggiunge dai poeti ch’egli è cieco o bendato ; e questi son tutti simboli dell’Amore facili a spiegarsi, ed a cui si fanno interminabili allusioni in verso e in prosa. […] Rappresentavasi come un giovane maggiore di qualche anno del suo fratello Cupido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face ardente nella destra, simbolo del mutuo affetto degli sposi ; e nella sinistra le auree catene a significare i vincoli e gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre.
Chi ha veduto qualche automa in azione189, o almeno conosce storicamente il meccanismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime, che sotto forme di uomini o di animali eseguiscono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano ed hanno studiato una scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate « …….forme e figure « Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive « Giovinette simili, entro il cui seno « Avea messo il gran fabbro e voce e vita « E vigor d’intelletto e delle care « Arti insegnate dai Celesti il senno. […] E Omero narrandoci che quelle ancelle di Vulcano, veramente auree (perchè tutte d’oro) erano simili a vive giovinette, viene a significare che eran veri e proprii automi. […] Sopposte a tutti « D’oro avea le rotelle, onde ne gisse « Da sè ciascuno all’assemblea de’Numi, « E da sè ne tornasse onde si tolse : « Maraviglia a vederli !
Ma fu inutile questa precauzione, poichè Giove stesso trasformatosi in pioggia d’oro discese in quella torre e sposò Danae che fu poi madre di Perseo. S’intende facilmente che l’oro col quale furon comprate le guardie da un ricco principe aprì le porte della torre di bronzo, per la stessa ragione che fece dire a Filippo padre di Alessandro Magno non esservi fortezza inespugnabile alla quale potesse accostarsi un asinello con una soma d’oro48. […] « Aurum per medios ire satellites « Et perrumpere amat saxa potentius « Ictu fulmineo : concidit auguris « Argivi domus ob lucrum « Demersa exitio, diffidit urbium « Portas vir Macedo et subruit æmulos « Reges muneribus ; munera navium « Sævos illaqueant duces. » Di Danae e della pioggia d’ oro parlano ancora e Pindaro nella 12ª delle Odi Pitie e Ovidio nelle Elegie e nelle Metamorfosi, e inoltre più e diversi poeti italiani.
« Quegli è Iason che per cuore e per senno « Li Colchi del monton privati fene. » Medea se ne invaghì ; e Giasone le promise di sposarla e di condurla seco ad esser regina in Grecia, se lo aiutava colle arti sue ad impadronirsi del vello d’oro. […] Quella antica è probabilmente una invenzione poetica per encomiar quegli Eroi che non ebber nulla da fare nella conquista del vello d’oro : la narrazione del fattò vero moderno parrebbe non meno favolosa, se si perdessero i documenti storici. […] Avevano esse nell’Affrica un bel giardino con alberi che producevano pomi di solido oro ; ma perchè questi avrebbero allettato la cupidigia di molti, eran guardati da un terribil dragone con cento teste pronte all’offesa di chi si accostasse. […] Anche l’Ariosto chiamò Dedalo Architetto chi costruì il gran palazzo di gemme e d’oro che il Duca Astolfo trovò nel mondo della Luna. […] È da sapersi inoltre che il Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere in Milano, pubblicò tra gli altri temi di concorso anche il seguente Tema per l’anno 1875 : La trasfusione del sangue nell’uomo, studiata nel concetto di innesto ematico ; e promise un premio di lire 1500 e una medaglia d’oro di lire 500.
Considerato Apollo come il Dio del Sole, chi è che non l’abbia veduto dipinto da più o men valenti pittori come un giovane imberbe di bellissime forme, cinto la fronte e il volto di un’aureola di fulgentissimi raggi, su di un cocchio d’ oro e di gemme107), in atto di guidare con mano ferma e sicura quattro focosi destrieri per le vie del firmamento, e circondato da dodici avvenenti ninfe piè-veloci, che intreccian carole intorno al suo carro ? […] Come poi facesse per ritornar nella notte dalla parte d’Oriente, i più antichi poeti, Omero ed Esiodo, l’hanno prudentemente taciuto : soltanto in appresso qualche mitologo inventò che il Sole, dopo di essersi riposato nel palazzo di Teti, entrava in fondo ad una nave d’oro col suo carro ed i suoi cavalli, ed era trasportato velocissimamente per mare, girando a settentrione, per ritornare in tempo la mattina all’Oriente. […] Tutti i poeti fanno a gara a descriverla di bellezza maravigliosa e immortale, con le bianche e le vermiglie guance 111), colla fronte di rose e coi crin d’ oro.
Talvolta era rappresentato Mercurio con una catena d’oro che gli usciva dalla bocca e pendevagli dalle labbra, a significare l’efficace e gradito potere dell’eloquenza ; e come a Dio della medesima gli si offrivano le lingue degli animali. […] Allora Mercurio, facendosi riconoscere, lo rimproverò della sua perfidia e lo punì trasformandolo in quella pietra nera che dicesi di paragone, perchè serve a far conoscere se v’è mistura o falsificazione negli oggetti d’oro e d’argento162.
Del resto la favola hà sempre riguardati per suoi figli tutti coloro, che celebri si resero nell’artc di lavorare ferri, rame, oro, argento, e tutte in somma le materie capaci di fondersi, e lalorarsi a fuoco(1). […] Si veggono pendere da suoi labbri alcune ben formate catene di oro per significarci la sua aurea eloquenza, e l’ammirabil energia nel commuovere gli ascoltatori, ed attirare a se i loro animi, quasi attratti da dolci ben forti ligami. […] E che in vero non fece per vendicarsi degli oltraggi, che ella credeva d’ aver ricevuti da Trojani si per la scelta di Ganimede per coppier degli Dei invece di Ebe sua figlia, come nell’ esser posposta a Venere nella beltà, per giudizio di Paride divenuto arbitro nella gran contesa sorta per cagione del pomo d’oro gittato dalla Discordia nelle nozze di Teti, e di Peleo ? […] Con due calamite la sospese in aria, con catene di oro le avvinse dietro le spalle le mani, ed un’ aurea incudine ligò destramente a suoi piedi. […] Regge un timon colla sua destra mano, L’altra sparge oro in questa parte, e in quella, E nulla cura il vil piacer mondano.
In fatti a che servirebbe l’oro senza i frutti della Terra ? […] Inoltre per significare le varie vicende della vita di ciascuna persona, le Parche formavano lo stame vitale di lane di diversi colori : il bianco ed il nero (che allora non si sapeva che non fossero colori), indicavano la felicità e la sventura ; il color d’oro e di porpora, le ricchezze e gli onori, ecc.
Non dovrebbe ai moderni recar maraviglia che i Pelopidi portassero per decorazione una piccola spalla d’avorio, essendo noi avvezzi a considerare come un distintivo d’ onore lo spron d’oro, il toson d’oro e la giarrettiera, perchè certamente uno sprone, un pecoro e un legacciolo delle calze non son niente di più nobile della spalla di Pelope e neppure della spalla di san Secondo. — A scanso di equivoci, e per chi non lo sapesse, chiamasi spalla di san Secondo, nel linguaggio dei gastronomi, la spalla suina preparata secondo l’arte dai salsamentarii, volgarmente detti pizzicagnoli.
Aeta, possessore del Vello d’oro, 450. […] Sua nascita, 448 ; — intraprende la conquista del Vello d’oro, 449 e seg.
Dal culto dei corpi celesti si passò presto a quello dei corpi terrestri, ossia dei prodotti della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeismo, e fu principalmente professato dagli Egiziani, i quali anche al tempo di Mosè adoravano come loro Dio il bue Api, la qual goffa idolatria fu imitata dagli Ebrei nel deserto col vitello d’oro, che costò la vita, per ordine di Mosè, a tante migliaia di quegli stupidi imitatori del culto Egiziano.
Nell’interno del rogo eravi una stanza riccamente ornata di tappeti di broccato d’oro, di quadri e di statue : ivi deponevasi il feretro.
Nei moderni ritratti della Fortuna ai frutti ed ai fiori del cornucopia son sostituite le monete d’oro e d’argento ; e i moderni tempii, in cui è esposta l’immagine della Fortuna ad allettamento dei devoti cultori della medesima ; seno i Botteghini del Lotto, ove per altro, se l’aritmetica non falla, è cento mila volte più probabile perdere che guadagnare.
La più bella e sublime immagine della potenza di Giove, e della dipendenza della Terra dal Cielo e dal supremo suo Nume, fu ideata da Omero, attribuendone l’invenzione a Giove stesso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei : « D’oro al cielo appendete una catena, « E tutti a questa v’attaccate, o Divi, « E voi Dee, e traete.
Gli Argonauti nella Colchide, condotti da Giasone alla conquista del Vello d’oro, ec.