Di lei tempio. […] Da lei ebbe Giove un fig. […] E la sua smania fu sì strana che precipitossi in quel mare, il quale da lei prese il nome d’Ionio. […] Ella soprantendeva a’ parti, e però a lei le donne incinte facevan voti per la felicità del parto, ed a lei si raccomandava la prole. […] Presedeva pure al lanificio, percui in Atene a lei si sacrificava la pecora.
Queste furono a lei sacrate al proposito di un picciolo avvenimento. […] Iu seguito questo arbore fu il segno della pace, ed a lei fu consagrato. […] Inviolabili erano i giuramenti concepiti per lei. […] Sulla di lei fronte era altresì scritto : l’està, e l’inverno. […] Erano a lei sagrati due animali di lentissimo moto, la tartaruga, e la lumaca.
Un Nume potente, amabile e giovine, fu preso d’amore per lei, ed immaginò uno strattagemma per esserne costantemente corrisposto. […] Talora è ritta sopra un carro tirato da quattro cavalli ciechi al par di lei, e schiaccia i suoi adoratori, e ogni dì muta favoriti e ministri. […] Lo sventurato che fugge la Follia e respinge il Piacere seco lei si consiglia e si cela nelle solitudini, e si asside sulle patrie ruine. […] Alzi il capo a mirare l’Aurora, e paia sdegnata ch’ella si sia levata prima di lei. […] Ma davanti a lei nel cielo dello sfondato farei alcune figurette di fanciulle l’una dietro all’altra, quali più chiare e quali meno, secondochè meno o più fossero appresso al lume di essa Aurora, per significare l’ore che vengono innanti al Sole ed a lei. » (Vasari, Vita di Taddeo Zucchero.)
A lei si offriva il papavero, ed era questo una simbolica, indicandosi con la rotondità di tal flore la forma quasi sferica della terra, per la quale ella si prendeva. […] Quanto si disse di lei tutto era una simbolica. […] A Venere si dava per figlio il Dio Cupido, ed una a lei era venerato. […] Dandole il nome di Latmia, a lei, così appo Ateneo(4), le preghiere del taciturno esploratore degli astri. Emergendo col suo raggio dalle nuvole, a lei fu dato il nome di Artemide.
Non s’abbassa, non teme, e sempre forte, Non sa temer fortuna ancor funesta, E bella appar per lei l’istessa morte. […] D’essa l’imperio passa oltre la morte, Cade per lei qualunque pena amara, E dan dolce piacer le sue ritorte. […] Mortal odi chi è questa, e nel tuo fio Dell’alta sua pietà sol ti ricorda, Misericordia è lei figlia di Dio. […] Spirano i gesti suoi ogni dolcezza, La sua voce nel cor piacer rinnova, Tal che in lei stà riunita ogni bellezza. […] Cadono a piedi suoi diverse Torme, Ecco la Crudeltà, che atterra il tutto ; E fra i spenti da lei tranquilla dorme.
I Latini per altro non ammettevano che a loro avesse insegnato l’agricoltura Trittolemo e neppur Cerere, ma invece lo stesso Saturno, padre di lei (come dicemmo parlando di questo Dio), e perciò affermavano la lor priorità sopra i greci nell’arte di coltivar la terra. […] Raccontano i mitologi che Proserpina come dea di secondo ordine stava sulla terra e precisamente in Sicilia con diverse ninfe sue compagne od ancelle ; che mentre essa coglieva fiori alle falde del monte Etna fu rapita da Plutone Dio dell’inferno, per farla sua sposa e regina de’ sotterranei regni ; che questo ratto fu eseguito con tal prestezza che neppur le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e non poteron dire alla madre che fosse avvenuto della perduta Proserpina. […] Dante stesso nel descrivere il Paradiso terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, « Ond’era sparsa tutta la sua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la cui splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla solinga valle « Là dove calca la montagna Etnea « Al fulminato Encelado le spalle, « La figlia non trovò dove l’avea « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svelse due pini ; « E nel fuoco li accese di Vulcano « E diè lor non poter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi, il monte, il piano, « Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava nemmen per ombra di dover cercar la figlia nel tartareo fondo, ossia nell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina piangente e spaventata, in un carro ferrugginoso tirato da neri cavalli guidati e spinti precipitosamente da Plutone per le vie sotterranee verso le regioni infernali. […] Fra i supposti miracoli fatti da Cerere, oltre alla trasformazione di Ascalafo in gufo, si narra che essa avesse anche trasformato il fanciulletto Stellio in lucerta per punirlo dell’essersi fatto beffa di lei.
Nè solo di questa atroce vendetta fu paga la furibonda Medea, ma uccise anche i figli, potendo più in lei l’odio contro Giasone che l’amore di madre ; e poi, benchè chiusa nella reggia fuggì per aria a volo in un carro tirato da serpenti alati, e se ne andò ad Atene nella corte del vecchio Egeo padre di Teseo. […] Ne fece egli un dono alla sua prima sposa Alfesibea ; ma poi ripudiatala per isposar Callirœ, questa desiderò di possedere la famosa collana di Erifile ; ed Alcmeone per contentar la nuova sposa, pretendendo di ritogliere il prezioso monile alla ripudiata Alfesibea, fu ucciso dai fratelli di lei. […] Fu detto subito che questo era un castigo di Minerva, perchè Laocoonte aveva violato quel dono a lei offerto in voto dai Greci. […] Perciò Dante, parlando di Didone, disse di lei che ruppe fede al cener di Sicheo. […] Si noti come Dante avendo detto di sopra che Tiresia diventò femmina, usa qui il pronome le, cioè a lei, invece di gli, cioè a lui, perchè Tiresia finchè non ebbe ribattuto li due serpenti con la verga era non più maschio, ma femmina.
Quindi l’altra favola che essi in origine facessero questo strepito per ordine di Cibele, affinchè non si udissero in Cielo le grida dei figli di lei. […] A Cibele era sacro il pino, perchè in quest’albero fu da lei cangiato un suo prediletto sacerdote chiamato Ati, che si era per disperazione mutilato e poi precipitato fra i dirupi e i sottoposti abissi di un monte.
Minerva rappresentavasi con volto serio e maestoso, e quasi sempre armata, coll’elmo in testa, nella sinistra lo scudo detto l’egida e nella destra un’asta ; e ai piedi una civetta o un gufo, animale a lei sacro. […] Infatti Suida, lessicografo greco, scrive nel suo dizionario che la parola Aracne al femminile significa tela, e al maschile ragno, e Plinio asserisce che una donna chiamata Aracne inventò le tele, e Clostère, figlio di lei, i fusi.
Siccome è regina del Cielo e degli Dei ha in capo il diadema ; il suo volto è maestoso ; ha grandi gli occhi, bianche le braccia93), lunga la veste matronale e il manto, i cui lembi estremi le stanno ricinti a mezzo la persona ; in una mano ha lo scettro e talvolta nell’altra una melagrana frutto dell’albero a lei sacro, e ai piedi il pavone. […] Giunone non potendo risuscitarlo (tanta potenza non avevano gli Dei pagani), si contentò di trasformarlo in pavone, serbandogli nelle penne l’immagine e il ricordo de’suoi cento occhi, e lo prescelse per l’animale a lei sacro.
Col solo nome di Diana era considerata come Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei avevan rinunziato a prender marito, passasse il tempo nei boschi ad inseguire ed uccider le fiere. […] La qual’orsa fu poi da Giove trasformata in una costellazione per impedire un matricidio, vale a dire che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, bravo cacciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sapendo che fosse sua madre, stava per trafiggerla con un dardo.
Le si dava ancora un elegantissimo carro tirato dalle colombe : il fiore a lei sacro era la rosa, l’albero il mirto. […] Inoltre ella produsse l’anemone trasformando in questo fiore il giovane Adone da lei favorito e protetto, e che fu ucciso nella caccia da un cinghiale.
« Vedesti come l’uom da lei si slega ? « Bastiti, e batti a terra le calcagne ; « Gli occhi rivolgi al logoro che gira « Lo rege eterno con le rote magne. » I mitologi pretendevano ancora di sapere i nomi delle Sirene, e ne rammentano tre, cioè Lisia, Leucosia e Partenope ; ed aggiungono che la sirena Partenope andò a morire sulla costa del Tirreno dove fu poi fabbricata una città che in memoria di lei ebbe il nome di Partenope o Partenopea, e che in appresso rifabbricata fu detta, come dicesi ancora, Napoli, che significa città nuova.
« Fummo ordinate a lei per sue ancelle. » E nel rammentar questo passo il can.