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7. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

Gli antichi mitologi aborrivano le minuzie aritmetiche e geometriche, e spacciavano tutto all’ingrosso ; e ci danno un’idea, secondo loro, sublime della grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per dar la scalata al cielo posero tre monti uno sopra l’altro, cioè sul monte Olimpo il monte Ossa e su questo il monte Pelio 73). […] Si riferisce ad Encelado seppellito vivo nella Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi che giungevano sino al promontorio Lilibeo e le mani sotto agli altri due promontori Pachino e Peloro. Ne riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama che dal fulmine percosso « E non estinto sotto a questa mole « Giace il corpo d’Encelado superbo : « E che quando per duolo e per lassezza « Ei si travolve o sospirando anela, « Si scuote il monte e la Trinacria tutta ; « E dal ferito petto il fuoco uscendo « Per le caverne mormorando esala, « E tutte intorno le campagne e ’l Cielo « Di tuoni empie, di pomici e di fumo77). » Ed è questo uno dei più evidenti esempi a dimostrazione del modo con cui gli Antichi trasformavano in racconti mitologici la descrizione dei naturali fenomeni. Infatti Virgilio, che Dante scelse per suo maestro 78), e. che egli chiama il mar di tutto il senno, dovendo come poeta pagano raccontar questa favola, le fa precedere una dottissima e splendida descrizione delle eruzioni del monte Etna, così egregiamente tradotta dal Caro : « ….. Esce talvolta « Da questo monte all’aura un’atra nube « Mista di nero fumo e di roventi « Faville, che di cenere e di pece « Fan turbi e groppi, ed ondeggiando a scosse « Vibrano ad ora ad or luride fiamme, « Che van lambendo a scolorar le stelle ; « E talvolta le sue viscere stesse « Da sè divelte, immani sassi e scogli « Liquefatti e combusti al Ciel vomendo, « Infin dal fondo romoreggia e bolle79). » E Dante gareggiando col maestro, e, com’è suo stile, distinguendosi da esso e da qualsivoglia altro scrittore per insuperabile concisione, accenna con un solo verso l’opinione mitologica e dà la spiegazione della causa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel Canto iv del Paradiso, che la bella Trinacria, cioè la Sicilia, caliga, ossia cuopresi di caligine, fra Pachino e Peloro (ove appunto è situata l’Etna), « Non per Tifeo, ma per nascente zolfo. » Vedano ora i moderni geologi e chimici (se pure taluno di loro ha tempo di studiare il Dante), come il nostro divino poeta parlava cinque in sei secoli fa, secondo le loro odierne teorie ed analisi chimiche, accennando che lo zolfo nasce e si forma nei sotterranei abissi dei vulcani, e ne vengon tramandate le esalazioni nell’aria circostante ai crateri.

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